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Sollecitato dall’amico che si trova all’esterno, lo sguardo di Dong-soo s

apre sul fuoricampo (Conte de cinéma)

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rima ci viene mostrato in primo piano Dongsoo mentre legge una lettera, ma a seguito di uno zoom all’indietro vediamo il suo amico, che lo ha appena riconosciuto, bussare sulla vetrata. Il luogo è quindi costituito da un doppio spazio: l’interno e l’esterno del bar sono separati da una vetrata, che al tempo stesso li collega grazie alla sua trasparenza. Lo spa- zio interno si apre così visivamente verso l’esterno. Sul piano sonoro, il rumore di fondo del traffico, poi il bussare dell’amico attenuano ulteriormente la demarcazione. Peraltro, la zoo- mata veloce all’indietro attenua anche la distinzione tra qui

(regista e spettatore) e là (la realtà filmica). Questa comuni- cazione visiva e sonora contraddice la chiusura e l’isolamento dello spazio tipici dei film precedenti, un processo già avviato dalla sequenza nel ristorante cinese di La femme est l’avenir de l’homme. Durante questo piano-sequenza di Conte de cinéma, il ricorso al fuoricampo mentre l’amico entra nel bar contribuisce alla stessa evoluzione: per cinque secondi, lo sguardo di Dong-soo sostituisce lo spostamento dell’amico e apre uno spazio immaginario, virtuale, situato tra interno ed esterno e loro punto di contatto.

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’importanza di questa sequenza è accresciuta dal fatto che Conte de cinéma è composto da due parti distinte. La prima propone una mise en abyme (un film nel film), mentre la seconda si svolge fuori dalla sala cinematografica, come «pseudo-autentica-realtà». Per tutto il film, l’unico criterio che distingue queste due realtà è la presenza o l’assenza di monologo interiore, giacché la prima è guidata dalla voce off di Sang-won. Tuttavia, alla fine della seconda parte, udiamo un monologo di Dong-soo. Dopo esser stato in ospedale a trovare il suo amico regista morente, cammina per la strada da solo pensando: «D’ora in poi, bisognerà pensare. Pensare è importante. Se si pensa fino in fondo, si può correggere ogni cosa. Così, potrò anche smettere di fumare. Dovrò pensare di più. Solo il pensiero mi può salvare, farmi vivere più a lungo senza morire». L’aforisma di questo discorso interiore qui conta meno della sua funzione trasgressiva nella struttura generale del film. L’insolita comparsa di questo monologo, che fa crol- lare l’equilibrio finora mantenuto tra le due realtà (fiction vs pseudo-autentica-realtà), esercita quindi la stessa funzione di apertura della vetrata del bar, rendendo possibile la co- municazione tra due parti impermeabili, il cinema e la realtà. Prima di questo monologo, contavano solo la somiglianza e la differenza tra due realtà simili, ma con esso Hong conclude la propria riflessione sul rapporto tra cinema e realtà: il cinema entra nella realtà e la realtà entra nel cinema.

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etaforizzando l’incontro tra cinema e realtà grazie ad un dispositivo di trasparenza, Hong va in direzione opposta rispetto all’idea, derivata dall’allegoria platonica, di un cinema come realtà illusoria racchiusa in una sala, semplice copia fan- tasmatica (32) della realtà. In questo senso, l’intro- duzione di nuovi strumenti di messa in scena non traduce l’abbandono della sua ricerca di realtà ma al contrario la ricerca di un’osmosi perfetta tra realtà e cinema, secondo la visione “evoluzionista” di Bazin che osserva il realismo integrale mitico dei primi film: «La loro immaginazione [quella dei precursori del cinema] identifica l’idea cinemato- grafica a una rappresentazione totale e integrale

della realtà, guarda di primo acchito alla restituzione di un’illusione perfetta del mondo esterno col suono, il colore e il rilie- vo» (33). Inoltre, la trasparenza all’origine di questa apertura tra realtà e cinema in Conte de cinéma richiama metafo- ricamente la pellicola cinematografica (di cellulosa, ricoperta di un’emulsione fotosensibile). «Ricreazione del mondo a sua immagine» (34), il cinema imprime su una pellicola trasparente e, attraverso la proiezione, ci rivela il senso della realtà. Da questo punto di vista, il titolo Conte de cinéma (35) assume pienamente il suo significato come tentativo di apertura fuori dalla caverna di Platone. Il cinema

non è più l’eidolon (simulacro) dell’eidos (la natura delle cose). Per Hong, che in questo concorda con i neorealisti italiani, la creazione cinematografica deve sfidare, tramite la sua specificità, l’eikon (la copia) della realtà.

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ccorre anche osservare che la costruzione finzionale dei suoi film (di cui è sempre anche sceneggiatore, eccezion fatta per il primo che è adattato da un romanzo) lascia uno spazio sem- pre più ampio all’immaginazione. Le sequenze ripetute in due versioni (La Vierge), l’introduzione del flash-back (La femme est l’avenir de l’homme) e delle sequenze oniriche (La femme est l’avenir e Conte de cinéma) testimoniano questa evoluzione. La graduale introduzione di questi elementi sog- gettivi, psicologici e immaginari mostra che i suoi film sono sempre più aperti all’aspetto illusionistico dell’arte della rappresentazione. Un processo di apertura che indica quindi uno spostamento dell’asse creativo: dalla fabbricazione di una pseudo-realtà-perfetta e saldamente controlla- ta, che ambisce a rappresentare la “vera” realtà, passiamo alla rappresentazione della realtà come potenzialità. Il che non significa che sia cambiato il suo obiettivo iniziale. Si tratterebbe piuttosto di un cambiamento di strategia per cercare il modo più efficace per raggiungere e rappresentare sullo schermo cinematografico una realtà più “auten- tica” di quella fornitaci dall’apparenza delle cose. Questo cambio di tecnica è paradossale perché in definitiva questo è un compito che spetta all’illusio- ne dell’arte. In altre parole, si tratta di raggiungere un vero per mezzo di un falso, il che contribuisce del resto a chiarire la scelta iniziale di Hong di ci- mentarsi nel cinema di fiction.

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n definitiva il percorso di Hong può essere così ri- assunto: la sua prima fase (Le cochon, Le pouvoir) è una riflessione sulla natura della realtà (stadio dell’ontologia). Poi, durante la seconda (La vierge, Turning Gate, La femme est l’avenir), il regista si concentra sulla ricerca del modo più efficace per catturare e disporre la realtà nel film (stadio della pratica). Infine, con Conte de cinéma, inizia la fase dell’osmosi o fusione perfetta tra realtà e cinema. Dopo una ventina di film, il cineasta non è ancora sazio nella sua ricerca volta a rappresentare la re- altà sullo schermo. Quella ricerca è dunque eterna, ma Hong rimane in corsa esplorando nuovi modi di filmare con i suoi peculiari mezzi. L’evoluzione del suo stile testimonia ad un tempo il permanere del suo interrogarsi sulla realtà e il suo perfezionismo. Come un artigiano che ogni giorno perfeziona la propria tecnica, Hong mette la tékne al servizio della creazione artistica, dove la ripetizione del gesto non è di alcun ostacolo alla creazione.

(traduzione dal francese di Monica Corbani)

(32) È forse per questo che Hong inserisce una scena oni- rica nella prima parte del film durante la quale Sang-won in- contra una giovane occidentale nelle scale dell’hotel.

(33) André Bazin, Le Mythe du

cinéma total, in Qu’est-ce que le cinéma ?, op. cit., pag. 22.

(34) Ibid., pag. 23.

(35) Inteso qui anche nel senso fisico di sala cinematografica, cosa che la versione originale del saggio rende tramite la locuzione Conte de [salle de]

cinéma (NdT). Conte de cinéma

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