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Capitolo 2. Le somatizzazioni nel bambino

2.3 Somatizzazione nel bambino: implicazione dei fattori psicologic

propri sentimenti, spesso associati a lamentele fisiche (Sifneos, 1973; Rieffe et al., 2010) e ad una scarica della tensione emotiva nel corpo dei soggetti. La ricerca ha inoltre dimostrato una forte correlazione tra sintomi somatici e alessitimia in età infantile, nonostante la maggior parte degli studi siano stati condotti su campioni di soggetti adulti (Modestin, Furrer & Malti, 2004) in cui una maggiore difficoltà di soggetti alessitimici nell'identificazione delle emozioni è fortemente correlata con i sintomi somatici riferiti (Waller & Sheidt, 2004; Kooiman et al., 2000). Inoltre l'alessitimia costituisce un importante fattore di rischio per la configurazione dei sintomi somatici nei bambini. Nemzer (1996) ha sottolineato che la mancanza di capacità cognitiva relativa alla consapevolezza e di regolazione delle proprie emozioni può portare alla presenza di sintomi somatici con esiti marcatamente negativi sul funzionamento psicosociale e scolastico dei bambini. La ricerca ha mostrato inoltre che la tendenza a mostrare una marcata preoccupazione dei genitori relativa alla salute dei loro figli può portare ad una maggiore somatizzazione dei bambini, mentre un atteggiamento positivo e di cura dei genitori può moderare l'espressione dei sintomi somatici nei bambini (Garber, Van Slyke & Walker, 1998; Pirinen et al., 2011). Altresì è stata rilevata una tendenza dei genitori a riferire meno sintomi somatici rispetto a quelli riferiti dai propri figli, in campioni di bambini selezionati in contesti scolastici (Pirinen et al., 2011). Tali dati cambiano notevolmente in campioni di bambini afferenti a contesti clinici, infatti i genitori di questi bambini riferiscono un maggior numero di sintomi

somatici e una compromissione marcata dello stato di salute rispetto a quanto riportato dai loro figli (Walker & Greene, 1989). Inoltre molte ricerche enfatizzano l'importanza di un tipo di atteggiamento genitoriale particolarmente sensibile e supportivo nella genesi delle somatizzazioni, in quanto costituirebbe un fattore di facilitazione nella gestione delle difficoltà derivanti dalla sintomatologia somatica (Eisenberg et al., 2003).

Uno studio recente condotto da Cerutti e colleghi (2017) ha indagato la relazione tra prevalenza e frequenza dei sintomi somatici e livelli di disfunzione nei vari contesti di vita -familiare, scolastica, sociale- in bambini con età media di 11 anni. Inoltre i ricercatori hanno esplorato la percezione genitoriale dei sintomi e della disabilità funzionale dei loro figli, cercando di approfondire gli effetti diretti ed indiretti delle difficoltà nell'identificazione delle emozioni, nella predizione dei sintomi somatici e della disabilità funzionale nei bambini. I ricercatori hanno somministrato al campione di bambini un inventario delle somatizzazioni, il Children's Somatization Inventory (CSI-24, Walker et al., 2008), l'inventario sulla disabilità funzionale, il Functional Disability Inventory (FDI, Walker & Greene, 1991) per valutare il funzionamento fisico e psicosociale e il questionario di alessitimia per bambini, l' Alexithymia Questionnaire for Children (AQC, Rieffe, Oosterveldt & Meerum Terwogt) mentre alle mamme sono state somministrate le forme parentali di tali test. La ricerca ha fatto emergere una correlazione significativa tra numerosità dei sintomi somatici rilevati attraverso il Children Somatization Inventory (CSI, Walker,

Garber & Greene, 1991), tra quelli autoriferiti dai bambini e i sintomi somatici riferiti dalle loro mamme. La stessa positività riguarda la correlazione fra alti punteggi al Children Somatization Inventory (CSI,

Walker, Garber & Greene, 1991) e livelli maggiori di disabilità funzionale riferiti dai bambini e dalle loro mamme e infine i dati hanno mostrato che i sintomi somatici mediavano il rapporto tra difficoltà ad identificare i sentimenti e la disfunzione funzionale. Pertanto la presenza di tratti alessitimici sembrerebbe contribuire in modo marcato alla predizione della presenza di sintomatologia somatica.

In un interessante studio di Wearden e collaboratori (2005) gli autori hanno ipotizzato che l'alessitimia possa rappresentare una variabile modulatrice tra attaccamento e comportamento di salute e malattia. Nello studio i ricercatori hanno somministrato ad un gruppo sperimentale di circa 200 soggetti la TAS-20 per rilevare la presenza di tratti alessitimici, un test per la rilevazione di sintomi autoriferiti il Psychology of Pshysical Symptom, (PILL, Pennebaker, 1982), la scala Coping with Health Injuries and Problems (CHIP, Endler & Parker, 1992) per la valutazione delle strategie di coping, la scala Positive Affect and Negative Affect Scales (PANAS, Watson, Clark & Tellegen, 1988) della quale sono stati presi in considerazione 20 items relativi a stati di umore positivi e negativi esperiti durante l'ultima settimana e 18 items relativi agli attaccamenti di tipo sicuro ed evitante dell'Adult Attachment Scale (Collins & Read, 1990). I risultati della ricerca hanno mostrato una correlazione positiva tra attaccamento evitante, una

presenza maggiore di emozioni negative e presenza di tratti alessitimici, rilevati attraverso le sottoscale TAS-20 (difficoltà ad identificare e a descrivere le emozioni) e una maggiore tendenza ad utilizzare strategie di coping come la "preoccupazione emotiva". Sarebbe così emersa una correlazione tra attaccamento evitante e sintomi somatici lamentati mediata da alessitimia e da stati di umore negativi. Altri studi hanno indagato la relazioni tra consapevolezza emozionale, alessitimia e somatizzazioni in età pediatrica. Tali relazioni sono state esplorate su due gruppi di bambini: un gruppo con molti sintomi somatici (n=35) e un gruppo con minori somatizzazioni (n=34). Le risposte dei bambini relative ai vari compiti emotivi forniscono interessanti informazioni circa le maggiori difficoltà che i bambini con somatizzazzione possono incontrare nel loro funzionamento emotivo. Le misure effettuate sui due gruppi di bambini comprendono una misurazione dell'intensità dei sintomi dolorosi attraverso la scala visiva analogica (VAS), un questionario sef-report sulla somatizzazione The Somatic Complaint List, (SCL, Jellesma, Rieffe & Terwogt, 2007) e la rilevazione di attenzione spontanea per le emozioni, misurata attraverso la presentazione di tre vignette. Relativamente ai compiti emotivi è stato chiesto ai partecipanti di riferire che tipo di emozione suscitasse ciascuna immagine. Successivamente sono state poste domande riguardanti tre emozioni negative di base (rabbia, paura e tristezza) ai fini di misurare la loro capacità di identificare le emozioni fondamentali. Al riconoscimento di immagini seguivano delle domande su quattro emozioni di base affinché si

potesse misurare la capacità di identificazione e descrizione delle emozioni provate, su una scala a 5 punti. Infine per valutare la competenza emotiva sono state presentate ai bambini 6 storie che potevano suscitare emozioni simultanee. I risultati di questa ricerca hanno evidenziato che i bambini che presentavano un minor numero di somatizzazioni mostravano una buona capacità nel riferire le loro emozioni spontaneamente, nonchè di identificare e differenziarle in relazione ai diversi scenari e contesti. I bambini che invece presentavano un maggiore numero di somatizzazione hanno riferito maggiore frequenza e intensità di tristezza e paura, riconoscendo più facilmente le emozioni negative nelle vignette presentate, riferendo, altresì, di avvertire stati interni per i quali mostravano difficoltà a riferire, definire e riconoscere le suddette emozioni. Dunque i risultati sottolineano che i bambini con somatizzazione non hanno mostrato particolari difficoltà nell'identificazione delle emozioni e nel comunicarle verbalmente ma ciò che distingue i due gruppi consiste sostanzialmente in una diversa risposta emotiva. Pertanto l'identificazione di emozioni specifiche o la differenziazione tra esse non sembra essere un problema per i bambini con somatizzazione. Piuttosto i bambini che lamentano molti sintomi somatici hanno riferito di sperimentare stati interiori indefiniti o prettamente negativi che non sono in grado di descrivere e collocare nel contesto. Inoltre nel gruppo di bambini con molti sintomi somatici vi erano alcuni bambini che hanno mostrato difficoltà nel parlare di stati interni. I ricercatori hanno ipotizzato che l'esperienza di stati interni mal definiti possa contribuire ad

una difficoltà nella comunicazione relativa ai sentimenti. Infine i bambini con alta somatizzazione hanno dichiarato di percepire situazioni di vita come meno controllabili per cui farebbero ricorso a strategie di regolazione delle emozioni meno efficaci, sentendosi insicuri rispetto alle loro capacità di affrontare ed adattarsi allo stress.

Risultati simili sono stati rilevati in uno studio di Jellesma e colleghi (2006). I ricercatori hanno cercato di rilevare la possibile correlazione tra presenza di più o meno sintomi somatici, in campioni di bambini clinici e non clinici, e funzionamento emotivo. In tale studio sono stati confrontati gli stati d'animo, la presenza di sintomi tipici della depressione, il senso di coerenza e la sensibilità emotiva in tre gruppi di bambini con età media pari a 10 anni. Il campione dello studio era costituito da:

 due gruppi di bambini frequentanti una scuola elementare di Amsterdam, un gruppo presentante pochi sintomi somatici e uno molti sintomi somatici

 un terzo gruppo afferente ad un contesto clinico, con sintomi somatici funzionali di tipo gastro-intestinali.

Per verificare la loro ipotesi i ricercatori hanno somministrato ai loro campioni il questionario Somatic Complaint List (SCL, Rieffe, Meerum Terwogt & Bosh, 2002, 2004) contenente items relativi a 10 sintomi somatici, tra i più comuni rilevabili in infanzia (dolori addominali, mal di testa, vertigini ecc.); il Mood Questionnaire (MQ, Rieffe, Meerum Terwogt & Bosh, 2002, 2004) strutturato in quattro scale, ovvero Felicità, Rabbia,

Paura, Tristezza, rapportabili alle emozioni esperite più frequentemente dai soggetti, il Children Depression Inventory (CDI, Kovacs, 1979) formato da 32 items relazionabili a sintomi depressivi; una scala per valutare il senso di coerenza (SOC-13, Torsheim, Aaroe & Wold, 2001) contenente items come ad esempio "quanto spesso hai la sensazione che le cose che fai quotidianamente non siano realmente importanti?" oppure "quante volte hai la sensazione di essere trattato in modo sleale?". Infine una scala di consapevolezza emotiva, la Emotional Awarness Questionnaire (EAQ, Rieffe et al., 2007). I risultati dello studio hanno mostrato come il gruppo non clinico di bambini con poche somatizzazioni riportava un buon senso di coerenza, una minore frequenza di tristezza rispetto alle proprie esperienze emozionali ed una minore consapevolezza somatica. Il campione non clinico di bambini con un elevato numero di somatizzazioni ha riportato evidenti difficoltà nel differenziare le varie emozioni ma ha mostrato una buona capacità nel rilevare le sensazioni somatiche che si accompagnano alle esperienze emotive ed infine il campione clinico di bambini con sintomi gastrointestinali ha mostrato una generale difficoltà a distinguere le esperienze emotive e una scarsa attenzione verso le sensazioni somatiche delle emozioni.

I risultati degli studi citati finora mostrano come la rilevazione di somatizzazione in campioni di bambini non si traduca necessariamente in una rilevazione di scarse abilità nel cogliere le caratteristiche distintive delle diverse esperienze emozionali o di tratti alessitimici ma si tratterebbe altresì

di esperienze emotive che possono mostrarsi qualitativamente differenti. In particolare è stato riscontrato che la presenza di numerose somatizzazioni porti i soggetti ad esperire maggiormente emozioni negative come la rabbia, la tristezza e la paura e a percepire una scarsa fiducia circa la possibilità di poter intervenire con i propri strumenti al fine di modificare le esperienze e a far fronte a situazioni di stress intense. Nonostante le acquisizioni della letteratura di settore abbiano in disparate sedi evidenziato e ben trattato tali connessioni per quel che concerne l'età adulta, approfondimenti futuri potrebbero meglio mettere in risalto come tali assunti possano verificarsi, seppure con specifiche peculiarità, sin dall'infanzia.

2.4 Somatizzazione nel bambino: influenza sulla qualità di vita

La definizione del WHO ha avuto una notevole influenza sul costrutto di qualità di vita. Per Spieth ed Harris (1996) risultano centrali la dimensione fisica, mentale e sociale che includono a loro volta ulteriori 4 domini: stati di disagio, sintomi fisici, stato funzionale, funzionamento psicologico e sociale. Il concetto di HRQoL ovvero di qualità di vita relativa alla salute (Health Related Quality of Life) è stato inizialmente sviluppato e reso operativo per la misurazione della percezione di salute nella popolazione adulta. Tale strumento è stato sviluppato in conseguenza al progresso tecnologico in campo medico, al fine di minimizzare i costi sanitari e

valutare la comorbilità nella popolazione con una buona prospettiva di vita (Bowling, 1995).

La valutazione della HRQoL in pediatria ha ricevuto nel tempo un'attenzione minore, ma risulta emergente in letteratura negli ultimi anni. Valutare l'HRQoL in campioni pediatrici è importante per descrivere l'impatto delle disfunzioni sulla vita dei bambini, l'efficacia di specifici trattamenti e consente di individuare più facilmente situazioni di comorbilità (Eiser 1995; Mulhern et al., 1989). La valutazione della qualità di vita relativa alla salute può facilitare l'identificazione di disfunzioni acute/croniche e la ricerca di interventi idonei in modo da prevenire che tali problemi evolvano in situazioni di maggiore gravità e l’individuazione dei rischi che conducono allo sviluppo di difficoltà psicologiche o fisiche come ad esempio sintomi cronici quali il dolore addominale (Eiser 1995; Mulhern et al., 1989). L'OMS (Whoqol Group, 1994) ha definito la qualità di vita, QoL come "la percezione circa la propria posizione nella vita, nel contesto culturale e dei valori in cui vivono in relazione ai propri obiettivi, aspettative, standard e preoccupazioni" e ha definito HRQoL come "la percezione dei soggetti circa i propri obiettivi, aspettative, standard e le preoccupazioni riguardanti i domini relativi alla salute."

Sono state utilizzate diverse definizioni di HRQoL, tuttavia il termine "qualità di vita" è stato utilizzato in modo intercambiabile con HRQoL. La qualità di vita in realtà si riferisce a un complesso di indici più ampio che comprende aspetti della vita non afferenti ai servizi sanitari. L'HRQoL è un

costrutto multidimensionale che comprende il funzionamento sociale, emotivo, cognitivo e fisico, nonché aspetti culturali della famiglia. I bambini che crescono in condizioni precarie di salute, con storie di malattie croniche, presentano maggior rischio di incorrere in problemi psicosociali rispetto ai loro pari (Lou et al., 2008). La ricerca interessata ai problemi di salute dei bambini ha visto un notevole incremento negli ultimi anni, per cui la rilevazione di HRQoL sta diventando una misura sempre più importante nella pratica clinica e in ricerca. Inoltre l'HRQoL è una misura puramente soggettiva, infatti, la medesima condizione di disagio può avere un impatto differente tra gli individui, il paziente/soggetto è il migliore informatore circa la percezione della propria salute.

A tal proposito, uno studio tedesco di Ellert e colleghi (2011) ha verificato il livello di accordo tra percezione soggettiva della qualità di vita di un campione di bambini (11-17 anni) e dei loro genitori.

Al campione di bambini è stato somministrato un questionario generico costruito per misurare la qualità di vita per bambini ed adolescenti, il KINDL-R (Bullinger et al., 2008), e una forma parentale del questionario ai genitori, i quali riferiscono una qualità di vita giudicata positivamente e che non corrisponde alla valutazione dei loro figli rispetto a dimensioni come rendimento scolastico, funzionamento fisico e autostima. I genitori sottovalutavano inoltre dimensioni come benessere psicologico (in particolare problemi emotivi e tensioni) e benessere percepito all'interno della famiglia, le stesse ai quali i bambini sembrano conferire maggiore

importanza. È emerso inoltre che il genere dei bambini, i problemi emotivo- comportamentali, il clima familiare, stato di migrazione e genere genitoriale possono essere considerate variabili che sembrano portare ad un maggiore disaccordo tra le valutazioni operate dai genitori rispetto ai bambini. Lo studio mostra quindi che i rendiconti genitoriali non possono sostituire adeguatamente la percezione della qualità di vita dei figli, quanto più possono fornire informazioni supplementari.

Le informazioni provenienti da misure generiche di HRQoL per bambini e adolescenti sono utili per identificare sottogruppi di bambini e adolescenti a rischio di problemi di salute (Bisegger et al., 2005). Le valutazioni di tale costrutto incorporano non solo l’impatto della malattia e del trattamento sulle funzioni fisiche, ma anche i loro effetti sullo stile di vita e sul benessere emotivo. Dunque la valutazione della qualità di vita si occupa di rilevare l'impatto dello stato funzionale relativo a tutti gli aspetti della vita, inclusa la capacità dei bambini di andare a scuola, di giocare nonché delle risposte emozionali. Uno studio di Svavardottir e Orlygsdottir (2006), ha dimostrato che la salute percepita, la frequenza scolastica, la promozione della salute, il bullismo, le visite mediche e l'età risultano predittivi nel 44% della variazione di HRQoL tra le ragazze. In associazione a tali variabili, rilevabili già all'età di 8 anni anche uno status socio-economico medio-alto potrebbe avere implicazioni per la salute fisica e mentale di bambini e anche in età adulta (Mansour et al., 2003). Studi sulle differenze di genere sulla percezione di salute e i relativi sintomi somatici hanno rilevato che i

bambini appartenenti ad entrambi i generi hanno un HRQoL simili in età infantile ma che differiscono in adolescenza, in particolare si rilevano punteggi più bassi per le ragazze sia per il dominio psicologico sia per quello fisico (Raven-Sieberer et al., 2009). Altri studi si sono interessati a campioni di bambini con problemi di salute mentale di media ed alta gravità, rilevando un punteggio HRQoL psicosociale e fisico inferiore rispetto a bambini sani (Dey, Mohler-Kuo & Landolt, 2012). Uno studio molto interessante di Svedberg, Eriksson e Boman (2013) si è focalizzato all'indagine della possibile correlazione tra le diverse dimensioni di HRQoL e sintomi psicosomatici comuni come ad esempio disturbi gastro-intestinali, difficoltà di concentrazione, problemi del sonno e sintomi depressivi più lievi, a diverse età e tra i generi. A tale scopo i ricercatori hanno somministrato a 253 bambini -99 di età compresa tra gli 11 e i 12 anni e 154 di età tra i 15 e i 16 anni- il questionario Kidscreen-52 (Ravens-Sieber et al., 2005). Il kidscreen-52 misura la HRQoL su 10 dimensioni: benessere fisico, benessere psicologico, stati d'animo ed emozioni, autopercezione, autonomia, relazioni genitoriali e vita familiare, sostegno sociale e rapporto con i coetanei, ambiente scolastico, accettazione sociale e bullismo e risorse finanziarie. Per rilevare i sintomi somatici sono state poste delle domande relative ad 8 elementi della lista validata da uno studio dell' OMS del 2008, la Health Behaviour in School-aged Children (HBSC, Roberts et al., 2009). I risultati di questo studio hanno mostrato una correlazione tra HRQOL e differenze di età e di genere e tra HRQoL e sintomi somatici. In particolare i

ragazzi hanno ottenuto un punteggio di qualità di vita superiore rispetto alle ragazze rispetto alle seguenti dimensioni: benessere fisico, benessere psicologico, stati d'animo ed emozioni, autopercezione ed autonomia. I bambini di età compresa tra gli 11 e i 12 anni hanno riportato livelli più elevati di benessere fisico, benessere psicologico, autopercezione, autonomia e dell'ambiente scolastico rispetto al campione con età maggiore (15-16 anni). È stata trovata un'interazione tra genere e benessere fisico tra i ragazzi più grandi; le ragazze in particolare hanno mostrato di percepire un benessere fisico inferiore rispetto ai coetanei maschi e anche rispetto alle bambine più piccole, mentre non è stata evidenziata alcuna differenza di genere rispetto al benessere fisico all'interno del gruppo dei bambini con età inferiore (gruppo di bambini con 11-12 anni). Inoltre i ragazzi adolescenti (15-16 anni) hanno mostrato punteggi maggiori circa stati d'animo ed emozioni rispetto ai bambini più piccoli e rispetto al genere femminile in generale. I sintomi somatici hanno spiegato il 27 e il 50% della varianza nel HRQoL dei campioni in generale, ma sono risultati più frequenti per il genere femminile in generale e per i bambini più piccoli. Sono state riscontrate differenze di genere anche per i sintomi psicosomatici. Sintomi depressivi e difficoltà di concentrazione sono risultati più frequenti nelle femmine mentre dolori gastro-intestinali erano più frequenti per i maschi. Le difficoltà del sonno sono state lamentate frequentemente da entrambi i gruppi. Infine in generale i bambini più piccoli hanno mostrato una qualità di vita migliore rispetto agli adolescenti.

Dunque gli studi di HRQoL possono avere un notevole significato nella comprensione del funzionamento e dello sviluppo psicosociale dei bambini, nonchè le loro percezioni di malattia e gli effetti di questa sulla vita quotidiana (Eiser & Morse, 2001). Lo studio appena descritto ha mostrato come la HRQoL è associata alle condizioni di salute e alla sintomatologia che caratterizza i diversi disturbi dei bambini. Di grande importanza risulta così la promozione della salute tra i bambini in ambito scolastico, al fine di prevenire una disfunzione e più livelli dei soggetti ed una generale percezione negativa del proprio benessere psico-fisico, che possono perdurare ed esacerbarsi in età adulta.

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