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Variazione delle somatizzazioni in risposta ad un programma di educazione al riconoscimento e alla consapevolezza emotiva nella Scuola Primaria

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE

VARIAZIONE DELLE SOMATIZZAZIONI IN RISPOSTA AD UN PROGRAMMA DI EDUCAZIONE AL RICONOSCIMENTO E ALLA

CONSAPEVOLEZZA EMOTIVA NELLA SCUOLA PRIMARIA

RELATORE Prof.ssa Antonella Ciaramella

CANDIDATA Greta Bruno

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Indice

Introduzione ... 3

Capitolo 1: Definizioni del concetto di somatizzazione ... 4

1.1 Inquadramento nosografico dei disturbi somatoformi ... 4

1.2 Cenni storici: dall’isteria della psicoanalisi ai disturbi somatoformi nel DSM ... 6

1.3 Classificazione dei disturbi somatoformi nel DSM 5 ... 11

1.4 Ruolo dell’alessitimia nell’alterazione della percezione corporea .... 16

1.5 Alessitimia e consapevolezza emotiva ... 21

1.6 Epidemiologia del disturbo da somatizzazione nell’età adulta ... 25

1.7 Somatizzazione: altri meccanismi psicologici implicati nella eziopatogenesi ... 26

Capitolo 2. Le somatizzazioni nel bambino ... 32

2.1 Somatizzazione nel bambino: alcuni quadri clinici ... 35

2.1.1 Sintomi gastro-intestinali ... 35

2.1.2 Cefalea ... 39

2.2 Somatizzazione nel bambino e comorbidità psicopatologica ... 40

2.3 Somatizzazione nel bambino: implicazione dei fattori psicologici nell’etiopatogenesi. L’alessitimia. ... 46

2.4 Somatizzazione nel bambino: influenza sulla qualità di vita ... 54

Capitolo 3: Progetto di ricerca "Emozioniamoci con il corpo" ... 60

3.1 Ipotesi di ricerca ... 60 3.2 Materiali e Metodi ... 62 3.2.1 Partecipanti ... 62 3.2.2 Strumenti ... 62 3.2.3 Procedure ... 71 3.3 Risultati ... 81 3.4 Discussione ... 93

3.5 Limiti dello studio ... 94

3.6 Conclusione ... 95 Appendice A ... 98 Appendice B ... 99 Appendice C ... 100 Appendice D ... 101 Bibliografia ... 106 Sitografia ... 128

Introduzione

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Questa tesi si propone di analizzare il fenomeno della somatizzazione focalizzando la propria analisi sulla sintomatologia esperita dai bambini nel contesto educativo della scuola primaria. Al fine di individuare interventi idonei alla promozione della salute psicofisica è stato condotto un programma di psico-educazione alle emozioni affinché si possa prevenire la tendenza alle somatizzazioni ed alle conseguenze che la loro presenza comporta in ambito relazionale, sociale, familiare e personale. A questo proposito infatti oltre che le somatizzazioni è stata valutato l’impatto del progetto sulla qualità di vita di bambini con età compresa tra i 7 e i 10 anni. La tesi, di tipo sperimentale, consta di una iniziale disamina del concetto di somatizzazione e delle rispettive ricerche svolte in ambito pediatrico. Mentre la parte sperimentale fa riferimento ad un progetto psico-educativo dal titolo “Emozioniamoci con il corpo”. Tale progetto, tenuto dalla associazione Aplysia Onlus, è stato svolto negli anni scolastici compresi tra il 2014 e il 2016 in 8 scuole primarie delle province di Pisa e Massa Carrara. Nell’arco di 3 mesi, e attraverso 6 incontri, di cui solo 4 di intervento, si è potuto osservare una progressiva riduzione della tendenza a somatizzare con una parallela differenziazione delle emozioni provate (incluse quelle negative). I bambini, attraverso il gioco strutturato secondo l’orientamento psicomotorio di Aucouturier e attraverso la pratica della meditazione (Quite Time), hanno incrementato la propria consapevolezza delle emozioni e delle influenze che esse hanno sulle attività fisiologiche corporee.

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Capitolo 1: Definizioni del concetto di somatizzazione

1.1 Inquadramento nosografico dei disturbi somatoformi

La somatizzazione può essere definita come un fenomeno che porta un individuo ad esperire un grado variabile di sofferenza psichica che si esprime attraverso una sintomatologia a livello del corpo (Compare & Grossi, 2012).

Sono state proposte diverse definizioni del concetto di somatizzazione fra le quali si ritrova quella in cui la sintomatologia somatoforme viene descritta come espressione di una malattia psicologica attraverso sintomi fisici (Goldberg & Bridges, 1988), oppure come la ricerca continua di aiuto per molteplici sintomi medici in assenza tuttavia di una malattia organica (Escobar et al., 1998).

La prima definizione accettata in ambito accademico è stata quella di Lipowski (1988) che ha concettualizzato la somatizzazione come una tendenza a sperimentare e a comunicare un distress psicologico a livello del soma con conseguente impatto sul comportamento definito “comportamento da malato”. Il comportamento da malato è stato descritto per la prima volta da Mechanic (1962) e ripreso successivamente da Pilowsky. Quest’ultimo autore ha approfondito lo studio relativo al comportamento da malato definendolo con il termine di Abnormal Illness Behaviour (AIB) e descrivendolo come: “un modo inappropriato di percepire, valutare e comportarsi in base a delle credenze relative al proprio stato di salute

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nonostante il medico fornisca accurate spiegazioni e chiarimenti circa la natura dell'affezione e le indicazioni da seguire per un adeguato decorso della stessa” (Pilowsky, 1969). Il soggetto che presenta AIB tende ad interpretare i sintomi fisici come segno di una grave patologia o a riportare sensazioni esperite come evidenze di malattia, nonostante i ripetuti accertamenti medici non supportino alcuna diagnosi di disturbo fisico che possa spiegarne l’eziopatogenesi. Per alcuni autori possono rientrare fra gli AIB anche i soggetti che mostrano condizioni definite “disturbi funzionali” ovvero quei disturbi caratterizzati da sintomi cronici o ricorrenti che si manifestano in assenza di anomalie anatomiche, infiammazioni o danni ai tessuti (Boronat et al., 2017). McHugh e Slavney (1998), hanno proposto una classificazione in cui i disturbi di somatizzazione vengono inseriti in un cluster detto di comportamento mal adattivo. Simili tendenze comportamentali inadeguate possono essere individuate anche in caso di abuso di sostanze, disturbi alimentari ecc., purché i soggetti presentino una spiccata tendenza ad assumere un ruolo da malato. I soggetti con elevati livelli di somatizzazione spesso asseriscono di riscontrare grave compromissione circa la funzionalità fisica e la salute mentale tale da essere paragonabile o superiore alla disabilità riscontrata in pazienti con patologie croniche con grave compromissione della qualità di vita (Smith, Monson & Ray, 1986). Alcuni autori hanno ipotizzato che alla base della tendenza alla somatizzazione possa esservi una particolare vulnerabilità allo stress, intesa come predisposizione psicologica a percepire distress somatico. Nello

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specifico, studiando soggetti con ipocondria, alcuni ricercatori hanno rilevato un'associazione positiva tra somatizzazione e affettività negativa come risposta abnorme allo stress (Pennebaker & Watson, 1991). La somatizzazione è comunemente associata, inoltre, a diversi disturbi psichiatrici. Le condizioni psichiatriche che più comunemente si trovano nei pazienti che somatizzano riguardano i disturbi depressivi e di ansia (Kroenke et al., 1994).

1.2 Cenni storici: dall’isteria della psicoanalisi ai disturbi somatoformi nel DSM

Le somatizzazioni sono entrate nella nosografia psichiatrica e sono state riunite in una categoria diagnostica a partire della terza edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 1980) definita "Disturbi Somatoformi". Alcuni degli aspetti eziologici che caratterizzano il moderno concetto di somatizzazione sono storicamente ravvisabili nel concetto di isteria secondo la prospettiva psicoanalitica. I sintomi isterici sono stati concettualizzati come meccanismo di difesa dell'Io che consentono all'energia psichica prodotta da un conflitto sessuale inconscio, di essere convertita in un sintomo fisico (Lefons, 2008). La conversione isterica, come avverrebbe per la somatizzazione è un meccanismo secondo il quale: "sostituendo un'idea repressa con un sintomo somatico, l’individuo apporta sia un vantaggio primario, ovvero l'evitamento di un conflitto emotivo, che un vantaggio secondario, ovvero il beneficio di poter assumere

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un ruolo di malato" (Spence, 2006; Owens & Dein, 2006).

Nel 1682 Thomas Sydenham, medico inglese, ha operato una delle prime descrizioni sistematiche dei sintomi fisici e psicologici presenti nei disturbi da somatizzazione e nei disturbi psicosomatici. Sydenham riconobbe che i fattori psicologici, da lui definiti "dispiaceri antecedenti", risultavano essere coinvolti nella patogenesi dei sintomi. Riteneva che l'isteria fosse caratterizzata da manifestazioni patologiche riscontrabili in una qualsiasi malattia medica. Mentre l’isteria era maggiormente diagnosticata nelle donne, l'ipocondria risultava essere prevalente negli uomini. Nel XIX secolo Paul Briquet, medico francese, descrisse dettagliatamente 430 casi di isteria. Osservò la molteplicità dei sintomi, descrivendone il decorso che solitamente si presentava di tipo cronico. Tale configurazione clinica è nota, infatti, come sindrome di Briquet. Alcuni anni dopo, Freud e Breuer, offrirono una nuova prospettiva sull'isteria considerandola come una trasformazione di un disturbo emotivo in sintomi fisici, successivamente definita come "disturbo da conversione" (Freud & Breuer, 1893). La sintomatologia tipica dell'isteria era il risultato di un meccanismo mentale, una dissociazione, che portava alla successiva conversione intesa come uno spostamento dell'energia mentale verso il corpo al fine di eludere l’elaborazione cosciente di uno stress mentale dannoso. Steckel, allievo di Freud, nel 1943 definì per la prima volta il concetto di somatizzazione per indicare un processo attraverso il quale una nevrosi profondamente radicata poteva causare un disturbo somatico (Garcìa-Albea, Garcìa-Parajna &

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Navas, 2015).

Questa definizione è molto affine alla conversione isterica proposta da Freud e alla "teoria della psicogenesi", che ha caratterizzato i primi anni della medicina psicosomatica, secondo cui lo scopo della medicina psicosomatica consiste nella individuazione di una classe di malattie causate da fattori psicologici da distinguere da quelle di natura esclusivamente organica (Chiozza, 1998). Seguendo un approccio teorico simile, Menninger ha esteso il concetto di somatizzazione concettualizzando le reazioni da somatizzazione come "espressioni viscerali dell'ansia, cioè un'attivazione fisiologica tale da impedire ai soggetti di divenire consapevoli del disagio psichico che ne è alla base". Aggiunge inoltre l'importanza di accostare la somatizzazione ad uno stato d'animo, riferendosi a ciò che precedentemente veniva affrontato sostanzialmente come tratto nevrotico (Menninger, 1947). Le somatizzazioni, dunque, sono state etichettate e categorizzate in modo diverso a seconda del periodo storico. Prima del XX sec., le diagnosi psichiatriche risultavano abbastanza incoerenti e variavano da un ospedale all'altro e addirittura tra i professionisti, nonostante ci fosse un discreto accordo circa le principali categorie diagnostiche. È grazie alla pubblicazione dei principali sistemi di classificazione come il DSM e ICD che la ricerca relativa a tali sintomatologie e i relativi disturbi si sviluppa notevolmente. Nella classificazione del DSM I (1952), prevale una descrizione di disturbi psicologici descritti come reazioni (fatta eccezione di condizioni di ritardo mentale e dei disturbi cerebrali organici). Vengono

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osservati problemi psicologici soprattutto in militari reduci dalla seconda guerra mondiale. In questa edizione l'isteria viene menzionata come "reazione da conversione" caratterizzata da sintomi neurologici funzionali e descritta come una risposta a condizioni persistenti di stress, i cui sintomi rappresentano un'espressione simbolica di un conflitto. Nel DSM II (1968), l'isteria compare come "nevrosi isterica" e suddivisa in: nevrosi di conversione (paralisi, anestesie ecc.) e nevrosi dissociativa (amnesia, sonnambulismo, fuga e personalità multipla). A parte venivano elencate altre reazioni nevrotiche ovvero ansiosa, fobica, ossessivo-compulsiva, depressiva, di personalizzazione e ipocondriaca. In particolare la nevrosi ipocondriaca veniva descritta come contraddistinta da una particolare preoccupazione verso il corpo con convinzione di avere malattie presunte in vari organi. Con il DSM III (1980) compare una forma cronica di isteria il "Disturbo da Somatizzazione", caratterizzato da sintomi fisici non riscontrabili in disfunzioni organiche. Fra i disturbi somatoformi nel DSM III venivano elencate anche il Disturbo da Conversione (o nevrosi isterica), l'Ipocondria e il Dolore Psicogeno. La definizione del disturbo della somatizzazione nel DSM III derivava dal concetto di sindrome di Briquet, come concettualizzata da Perley e Guze (1962) e cioè una "sindrome cronica, tendenzialmente stabile nel tempo con predisposizione particolare all'interno di una famiglia". Un cambiamento degno di nota in tale edizione del manuale, riguarda l'introduzione del sistema multi-assiale per la valutazione diagnostica, in particolare uno dei cinque assi (asse IV) viene

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dedicato all'indagine dei fattori psicosociali e i problemi ambientali che possono avere un peso sul disordine preso in considerazione. Con le edizioni del DSM III-R (1987) e DSM IV (1994) vengono incluse altre categorie diagnostiche quali il Disturbo Somatoforme Indifferenziato, il Disturbo da Conversione e il Disturbo da Dismorfismo Corporeo. Nel DSM IV per fare diagnosi di disturbo di somatizzazione, i sintomi fisici devono comparire prima dei 30 anni, non devono essere giustificati da danni organici e costituiscono la motivazione per cui il soggetto richiede continuamente interventi medici (corrispondente quindi alla sindrome di Briquet). Inoltre viene introdotto il Disturbo Algico, molto simile concettualmente al disturbo da dolore psicogeno del DSM III distinto in: a) associato a sintomi psichici e b) associato sia a sintomi psichici che fisici, la cui diagnosi è determinata dall'importanza attribuita ai fattori psicologici che determinano il mantenimento ed esacerbazione del dolore che ha motivato la visita medica. Il dolore deve essere di gravità tale da compromettere la sfera sociale, lavorativa e altri contesti funzionali alla vita del soggetto.

Tra i limiti più consistenti della classificazione dei disturbi somatoformi del DSM IV vi è la promozione del dualismo mente-corpo, infatti i pazienti che lamentano una determinata sintomatologia a livello fisico, che non risulta riscontrabile a livello organico, sono soggetti a stigmatizzazione in misura superiore rispetto ad altri pazienti psichiatrici. Non verrebbe perciò riconosciuta la loro sofferenza e il loro disagio ma considerati unicamente

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come portatori di una mancata malattia somatica (Ciaramella, 2015). La diagnosi dei Disturbi Somatoformi riguarderebbe una diagnosi per esclusione derivante dalla difficoltà nell’inquadramento nosografico della sintomatologia funzionale. Tale diagnosi pone scarsa attenzione verso la valenza psicologica implicita in una particolare configurazione dei sintomi somatici. La percezione e l’interpretazione del soggetto riguardo i sintomi somatici che esperisce, così come il vissuto mal adattivo - in termini di pensiero, sentimenti e comportamenti - pertinente alla sintomatologia non vengono considerati come elementi salienti per i soggetti con somatizzazione.

1.3 Classificazione dei disturbi somatoformi nel DSM 5

Con l'ultima edizione del manuale il DSM 5 (2013), l’intera sezione dei disturbi somatoformi del DSM-IV è stata rinominata “Disturbi da Sintomi Somatici e Disordini Correlati”. Tale sezione è composta da un disturbo principale ovvero il Disturbo da Sintomi Somatici insieme ad altri minori che rientrano in una stessa classe di sindromi in quanto implicano la presentazione clinica di sintomi fisici e/o elevata preoccupazione per le malattie. L’abolizione dell’etichetta Disturbi Somatoformi è stata operata perché il termine “somatoforme” risulta ambiguo e può facilmente essere confuso con “somatizzazione” (Dimsdale & Levenson, 2013).

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dal DSM IV al DSM 5 riguardano:

 il raggruppamento di gran parte dei disturbi somatoformi in un’unica etichetta di Disturbo da Sintomi Somatici;

 sdoppiamento dell’ipocondria nelle diagnosi di Disturbo da Sintomi Somatici e Disturbo da Ansia di Malattia, a seconda della presenza/assenza di sintomi ai quali la medicina non riesce a dare una spiegazione, i “Medically Unexplained Symptoms” (MUS);  conservazione del Disturbo di Conversione con eliminazione del

criterio di associazione con stress psicologico;

 spostamento del Disturbo da Dismorfismo Corporeo nella sezione dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi;

 inclusione di due categorie considerate a parte del DSM IV, ossia il Distubo Fittizio (provocato su sé o sugli altri) e i Fattori psicologici che influenzano altre Condizioni Mediche (Porcelli, 2014).

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DSM-IV

Disturbi Somatoformi

DSM 5

Disturbi da sintomi somatici e disordini correlati

 Disturbo da somatizzazione  Disturbo da sintomi somatici  Disturbo Algico  Disturbo da Ansia di Malattia  Disturbo Somatoforme

Indifferenziato

 Disturbo di Conversione

 Ipocondria  Disturbo da Sintomi Somatici

Aspecifico  Disturbo di conversione  Disturbo Fittizio  Disturbo Somatoforme Non

Altrimenti Specificato

 Fattori Psicologici che Influenzano Altre Condizioni Mediche

Tabella 1: Classificazione del DSM-IV e DSM 5 dei Disturbi da Somatizzazione.

La categoria dei "Disturbi da Sintomi Somatici e disordini correlati" ha raggruppato il Disturbo di Somatizzazione, il Disturbo Algico e il Disturbo Somatoforme Indifferenziato del DSM-IV in un’unica etichetta ovvero Disturbo da Sintomi Somatici. Tale disturbo richiede un criterio di cronicità (sintomi persistenti per almeno 6 mesi, anche se non continuativamente) e due criteri principali: presenza di sintomi somatici in cui uno o più sintomi somatici provocano disagio o difficoltà significativa nella vita quotidiana (Criterio A); eccessiva preoccupazione ovvero presenza di pensieri, emozioni o comportamenti eccessivi in relazione a tali sintomi somatici

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(Criterio B), definiti da almeno uno dei seguenti: (1) preoccupazioni persistenti e sproporzionate sulla gravità dei propri sintomi; (2) livelli elevati di ansia per la salute o per i sintomi; (3) tempo ed energie eccessivamente dedicati a tali sintomi o preoccupazioni. È poi possibile specificare (a) la predominanza del dolore, se costituisce la sintomatologia preminente per il Criterio A (in questa specificazione rientrerebbe il Disturbo Algico del DSM-IV); (b) la persistenza, se ha durata di oltre 6 mesi; (c) la gravità, suddivisa in lieve (soddisfatto solo un punto del Criterio B), moderata (2 o più punti del Criterio B) e grave (2 o più punti del Criterio B e sintomi somatici multipli). In questa ultima edizione del manuale, a differenza del passato non è la presenza dei sintomi somatici che porta alla diagnosi di disturbo da sintomi somatici ma il tipo di interpretazione e di presentazione di questi sintomi da parte dei soggetti, includendo una componente affettiva, cognitiva e comportamentale nei criteri diagnostici. Inoltre compare come categoria a se stante i "Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche" in cui deve essere presente un sintomo o una condizione medica (diversa da un disturbo mentale); i fattori psicologici e comportamentali possono influenzare una condizione medica influenzando il decorso della malattia, interferendo con il suo trattamento (scarsa aderenza terapeutica), costituendo dei rischi per la salute dell'individuo in quanto possono sollecitare o aggravare la condizione medica. Tali fattori costituiscono così un rischio emotivo o fisico per il paziente.

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La sezione dei fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche del DSM 5 è stato ampiamente studiato dal gruppo di Fava e collaboratori (1995) introducendo un gruppo di sindromi importanti per la diagnosi in medicina psicosomatica.

Secondo gli autori la frequente e associazione di alcune variabili psicosociali nelle malattie croniche ha generato l’esigenza di sviluppare un sistema operativo per la ricerca in psicologia clinica e medicina psicosomatica. La difficile sistematizzazione delle interazioni tra qualità di vita, eventi stressanti, somatizzazione e disturbi di personalità ha creato i presupposti e la necessità di tradurre le variabili psicosociali della medicina psicosomatica in strumenti operativi per una caratterizzazione del paziente (Porcelli & Sonino, 2008). Tale classificazione è nota come DCPR (Diagnostic Criteria for Psychosomatic Research) e include 12 sindromi:

CLASSIFICAZIONE DCPR: Alessitimia

Comportamento di tipo A Nosofobia

Tanatofobia Ansia per la salute Negazione di malattia

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Somatizzazione persistente Sintomi da conversione Reazione da anniversario Umore irritabile

Demoralizzazione

1.4 Ruolo dell’alessitimia nell’alterazione della percezione corporea L’alessitimia è stata ampiamente studiata e sembra essere una delle sindromi che più facilmente si associano alle patologie croniche in quanto sembrerebbe implicata nella eziopatogenesi. Il costrutto di alessitimia è stato elaborato da Nemiah e Sifneos (1970) che, attraverso l’analisi delle trascrizioni letterali di colloqui tenuti al MIT di Boston, riscontrarono nella maggior parte dei pazienti un’evidente difficoltà a descrivere i propri sentimenti, accompagnata da un’attività immaginativa povera. Definirono questa condizione "alessitimia" che letteralmente significa “emozione senza parola o mancanza di parole per esprimere le emozioni”.

Secondo i criteri della suddetta classificazione, i soggetti alessitimici presentano una marcata difficoltà a riconoscere e descrivere stati emotivi, difficoltà a distinguere gli stati emotivi soggettivi e componenti somatiche dell'attivazione emotiva, scarsa proprietà di immaginazione, conformismo sociale e uno stile cognitivo orientato alla realtà esterna. L’alessitimia coinvolge sia la sfera affettiva che quella cognitiva, cioè l’incapacità di

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riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, ma soprattutto di verbalizzarle. Nella sfera cognitiva si assiste al pensiero operativo e concreto, tendenza all’agito, e all’inibizione della fantasia. Nella sfera affettiva emerge incapacità a verbalizzare i sentimenti, incapacità di specificare bene tra emozioni spiacevoli e piacevoli, vocabolario ridotto rispetto alla possibilità di esprimere emozioni e descrivere i sentimenti (Apfel & Sifneos, 1979). Le risposte stesse sono descrizioni delle azioni che compiono in quelle circostanze, spesso accompagnate da irritazione (Sifneos, 1987). La percezione del corpo in questi pazienti è vissuta come un’esperienza frammentata, il corpo viene percepito come parte scissa dalla mente, dunque emerge un tipo di rappresentazione disturbata dello schema corporeo ed è inadeguatamente connesso a sé. L'alessitimia è considerata anche come una dimensione riconducibile ad un deficit meta-cognitivo di sviluppo non adeguato della Teoria della Mente e spesso associata a storie di attaccamento insicuro e a traumi emotivi (Dimaggio et al., 2013). Per quanto riguarda la salute fisica di questi soggetti, la loro incapacità di regolare le loro emozioni negative porta ad uno squilibrio delle attività endocrina, autonomica e immunitaria. Tali soggetti presentano un' iperattivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) e una risposta immunitaria e neuroendocrina al pari di soggetti con disturbo da stress cronico (Guilbaud et al., 2003).

Lane e collaboratori (1997) hanno definito l'alessitimia come l'equivalente emozionale della cecità cerebrale (Blindfeel Model).

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Attraverso le tecniche di neuroimaging in soggetti alessitimici, Lane e collaboratori (1998) hanno evidenziato una ridotta attivazione di aree cerebrali implicate nei processi di elaborazione degli stimoli emozionali. In particolare i ricercatori hanno rilevato una ridotta attività della corteccia cingolata anteriore, valutata con la PET durante l'esposizione a filmati contenenti scene connotate emotivamente, in soggetti alessitimici rispetto ad un gruppo di controllo.

I soggetti alessitimici mostrano inoltre una ridotta attività a livello delle regioni cerebrali anteriori e medio-frontali, valutati con fMRI, se esposti a stimoli visivi emozionali. Mostrano inoltre una ridotta attività della corteccia medio-frontale dell'emisfero destro durante l'analisi del flusso ematico cerebrale. Infine è stata riscontrata una disregolazione delle regioni corticali anteriori nelle prime fasi dell'elaborazione degli stimoli emotivi (Berthoz et al., 2002; Kano et al., 2003). L'alessitimia non può essere associata ad una patologia organica definita ma può concorrere allo sviluppo e alla determinazione di alcune malattie psicosomatiche come ulcera peptidica, artrite reumatoide, patologie tiroidee, malattie della pelle o neurodermatiti, rettocolite ulcerosa, ipertensione essenziale e asma bronchiale (Ciaramella, 2015). Inoltre l'alessitimia mostra una correlazione significativa con disturbi psicopatologici come depressione, disturbo post-traumatico da stress e disturbo di panico, abuso di sostanze, disturbi alimentari e disturbi di personalità (Caretti & La Barbera, 2005).

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elaborare cognitivamente le emozioni dolorose può dare origine a delle risposte esasperate del sistema nervoso e dei sistemi neuroendocrini, creando le condizioni per lo sviluppo dei suddetti disturbi somatici.

Tale condizione, dunque, è legata non solo a disturbi psicosomatici ma anche a diverse patologie somatiche funzionali come ad esempio disturbi gastrointestinali, dolore cronico, o come detto precedentemente, sintomi funzionali.

Taylor, Bagby e Parker (1997) hanno condotto uno studio su una popolazione clinica di 118 pazienti etnicamente eterogenei afferenti al dipartimento psichiatrico ambulatoriale di Honolulu, con l'obiettivo di indagare il grado di correlazione tra alessitimia e lamentele somatiche. I risultati hanno mostrato che coloro che avevano raggiunto punteggi più elevati alla Toronto Alexitymia Scale (TAS-20, Bagby, Parker & Taylor, 1994) lamentavano una maggiore presenza di sintomi somatici, oltre a riportare alti livelli di ansia e depressione rispetto a coloro che non erano risultati alessitimici.

Gli autori hanno discusso il rapporto tra alessitimia e somatizzazione spiegando come l'alterata capacità di elaborazione e di regolazione delle emozioni dei soggetti alessitimici può causare amplificazione ed errori nell'interpretazione delle sensazioni somatiche che accompagnano un'eccitazione emotiva portando ad ipocondria e alla somatizzazione, inoltre questi soggetti non essendo capaci a regolare le emozioni negative, mostrano una predisposizione al disagio psicologico favorendo lo sviluppo

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dei disturbi affettivi con aumento dell'attività del sistema nervoso autonomo e risposte neuroendocrine intensificate, condizioni che predispongono allo sviluppo di disturbi somatici funzionali.

Tali soggetti "quanto più sono sensibili nel cogliere i sintomi fisici tanto meno sono in grado di cogliere i moti interiori della loro emotività". Nell'esperienza emotiva un aspetto fondamentale è costituito dal ruolo che i sintomi somatici assumono (Rainville et al., 2006). Gli stati emotivi e gli eventi stressanti hanno un peso importante per questi sintomi, ma spesso i pazienti non sono in grado di cogliere la relazione tra vissuti emotivi e stati fisici. “L'esperienza corporea ed emotiva vengono considerate come indipendenti tra loro e ciò costituisce un ostacolo al raggiungimento o al

ripristinare uno stato di benessere psico-fisico”.

(http://www.tramenteecorpo.it/it/disturbi-somatoformi/disturbi-di-somatizzazione-007.html)

Alte correlazioni sono state riscontrate tra alessitimia e patologie come malattie gastrointestinali, cardiovascolari, dermatologiche, disturbi del comportamento alimentare (anoressia, obesità, vomito psicogeno), dipendenze da sostanze, disturbi psichiatrici come depressione maggiore e disturbi della personalità (Caretti & La Barbera, 2005).

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1.5 Alessitimia e consapevolezza emotiva

Dai diversi studi emerge quindi che l'alessitimia può essere concepita come una sindrome caratterizzata da un’alterata elaborazione delle stimolazioni e di un'errata interpretazione dei segnali provenienti dal corpo, correlata ad una scarsa capacità di introspezione assimilabile ad un deficit nella "consapevolezza emotiva".

Taylor e collaboratori (1999) a tal proposito hanno precisato che l'alessitimia corrisponderebbe ad un deficit della consapevolezza soggettiva dell'elaborazione degli affetti.

La consapevolezza emotiva rappresenta la capacità di riconoscere e dare il giusto nome alle proprie emozioni nel momento in cui esse vengono esperite nei vari contesti di vita (Gross, 1998). Attraverso la consapevolezza emotiva si diventa capaci di identificare le modificazioni fisiologiche che si accompagnano alle emozioni e comprendere le cause che hanno generato un certo stato emotivo. Si tratta di una dimensione che permette di attribuire un significato alla nostra esperienza emozionale, così da orientare le scelte e i comportamenti, in particolare nel far fronte alle situazioni emotivamente intense.

L'acquisizione delle competenze emotive risulta difficoltosa per i soggetti alessitimici che mostrano dei deficit sia ad un livello cognitivo e di apprendimento esperienziale dei sintomi di risposta emotiva, sia nella regolazione interpersonale delle emozioni. Essendo incapaci di identificare accuratamente i propri sentimenti soggettivi, gli alessitimici possiedono

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scarsi livelli di consapevolezza emotiva, scarsa capacità di comunicare attraverso le parole il proprio disagio emotivo a cui fa seguito una difficoltà nella richiesta di aiuto e di supporto (Mancini, 2011).

La consapevolezza emotiva è un'abilità cognitiva che riflette le differenze individuali nella capacità di riconoscere e descrivere le emozioni in se stessi e negli altri (Lane et al. 1990).

Il modello dello sviluppo affettivo di Lane e Schwartz (1987), sostiene l'esistenza di una relazione tra una scarsa capacità di identificare e descrivere i sentimenti soggettivi ed il mancato passaggio nella percezione ed interiorizzazione delle emozioni, da un livello pre-concettuale ad uno concettuale d’organizzazione delle rappresentazioni mentali.

Nella prospettiva di Lane e collaboratori (1987) il concetto di consapevolezza emozionale si colloca nell’ambito della teoria della mente cioè della capacità dell’individuo di riuscire a rappresentare i propri stati mentali e di quelli altrui (es: emozioni, desideri, convinzioni ecc.) in modo da prevedere o spiegare un comportamento.

La relazione tra alessitimia e consapevolezza emozionale è stata indagata da diversi ricercatori, riportando risultati contrastanti. Infatti da una ricerca condotta da Subic-Wrana e colleghi (2010) è stata messa in evidenza come soggetti con somatizzazione mostrassero un deficit nella consapevolezza emozionale associato ad elevati punteggi alla Toronto Alexithymia Scale per l’alessitimia (TAS-20, Bagby, Parker & Taylor, 1994). Studi successivi hanno evidenziato la relazione tra ridotta consapevolezza emozionale e

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teoria della mente ma nessuna relazione è stata trovata tra teoria della mente ed alessitimia. La consapevolezza emozionale è stata infatti definita “agnosia” intendendo un deficit della rappresentazione mentale delle emozioni e l’alessitimia è stata definita “anomia” cioè l’incapacità di nominare le emozioni (Lane et al., 2015).

La relazione tra alessitimia e consapevolezza emozionale è stata esplorata in altri studi prendendo in considerazione un’altra variabile che è la consapevolezza interocettiva. Lo scopo della consapevolezza interocettiva è quello di ottimizzare l'efficienza omeostatica. I disturbi di tale consapevolezza porterebbero ad una condizione patologica attraverso uno squilibrio omeostatico. Diversi studi che hanno utilizzato tecniche di neuroimaging hanno mostrato che la presenza di alessitimia equiparata ad una bassa consapevolezza emozionale correlano negativamente con l'attivazione delle regioni su citate coinvolte nell'elaborazione dell'esperienza emozionale (Kano et al., 2003; Moriguchi & Komaki, 2013). McEwen e Stellar (1993) hanno suggerito a tal proposito una stretta relazione cooperativa tra consapevolezza interocettiva ed emozionale. La maggior parte di questi substrati neurali che concorrono all'elaborazione emotiva implicita e alla consapevolezza interocettiva sono anche noti per essere responsabili di funzioni dell'asse HPA e del SNA, che sono i principali sistemi regolatori omeostatici o sistemi allostatici. Tali sistemi possiedono un set point (parametro che l'organismo tenta di mantenere entro un certo valore) di stabilità che non è un valore statico ma altresì dinamico.

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Un' alterazione del set point potrebbe predisporre gli individui alla malattia. Apparentemente risulterebbe contraddittoria la correlazione positiva tra consapevolezza emotiva e consapevolezza somatica interocettiva che sembra correlarsi ad una variazione dell’amplificazione somatosensoriale (Moriguchi & Komachi, 2013). Una spiegazione è stata suggerita da uno studio di Barsky e colleghi (1988), in cui i ricercatori hanno rilevato come pazienti con dolore cronico che possiedono una minore consapevolezza emotiva ed interocettiva sperimentano la persistenza di un tipo specifico di dolore come ad esempio mialgia verso una zona specifica del corpo con amplificazione somatosensoriale. Barsky, Wyshak e Klerman (1990) hanno sostenuto il concetto di amplificazione somatosensoriale dimostrando che pazienti con ipocondria mostravano elevata amplificazione somatosensoriale ma al contempo bassa consapevolezza della propria attività cardiaca. Inoltre Mailloux e Brener (2002) hanno rilevato una maggiore amplificazione somatosensoriale in soggetti con scarse capacità di rilevare il battito cardiaco rispetto a soggetti con una buona rilevazione dello stesso, suggerendo, così, che l'amplificazione somatosensoriale rappresenterebbe tuttalpiù un bias, un pregiudizio cognitivo sviluppato dalle informazioni che il soggetto possiede che conduce ad un errore di valutazione e non si traduce verosimilmente in accresciuta consapevolezza somatica. La consapevolezza interocettiva e l'amplificazione somatosensoriale non sono pertanto sullo stesso asse. L'amplificazione somatosensoriale è una condizione in cui la sensazione di uno stato somatico è superiore allo stato attuale presunto

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mentre l'interocezione fa riferimento ad una sensazione accurata di uno stato somatico quindi ridotta interocezione potrebbe significare una condizione di iper o ipo-sensibilità. Gli individui con minore consapevolezza emotiva ed interocettiva non riescono a percepire il loro stato emotivo e somatico correttamente ma possono esibire amplificazione somatosensoriale. Secondo la prospettiva psicosomatica, l'amplificazione non deriverebbe unicamente da un errore di interpretazione a livello cognitivo ma anche da un bias fisiologico (Kanbara & Fukunaga, 2016).

Alcuni studi di neuroimaging hanno dimostrato che l’associare la sensazione emotiva alle parole, cioè influenzare l'etichettatura dello stato emozionale, ha portato a cambiamenti nella risposta agli stimoli dell'amigdala e di altre strutture limbiche (Lieberman et al. 2007). Questi risultati suggeriscono che la consapevolezza e l'elaborazione linguistica delle alterazioni emotive hanno un effetto sulla funzione autonomica. Il processo di produzione linguistica, coinvolgendo la consapevolezza emotiva e sensoriale, porterebbe ad una migliore attività autonomica.

1.6 Epidemiologia del disturbo da somatizzazione nell’età adulta

Studi clinici ed epidemiologici riguardanti l'assistenza sanitaria di base come le cliniche ambulatoriali hanno fornito negli ultimi decenni interessanti dati circa la tendenza alla somatizzazione. In uno studio di Bain e Spaulding (1967), è stato rilevato che la più comune presentazione

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sintomatologica osservata in 4000 nuovi pazienti frequentanti una clinica di medicina generale a Toronto, riguardava per lo più dolore toracico, cefalea, dispnea, stanchezza, nervosismo e vertigini. Il 30% di questi sintomi era attribuito ad un disturbo psichiatrico. Dunque sintomi somatici multipli, depressione, paura e disagio, preoccupazione verso il corpo caratterizzavano gli utenti che maggiormente si rivolgono alle strutture mediche.

Anche Fink e collaboratori (1999) hanno stimato che tra il 22% e il 58% dei pazienti in contesti di assistenza primaria, lamentano sintomi fisici non giustificabili da una base medica o risultavano discordanti con il grado di malattia.

1.7 Somatizzazione: altri meccanismi psicologici implicati nella eziopatogenesi

Nella pratica clinica la somatizzazione investe tre livelli essenziali: esperienziale, cognitivo e comportamentale (Compare & Grossi, 2012). Il modo in cui i soggetti percepiscono soggettivamente il dolore o altri distress fisici costituisce l'aspetto esperienziale della patologia. Il modo in cui interpretano e attribuiscono le loro percezioni somatiche (severità dei sintomi, compromissione della salute fisica), costituisce l'aspetto cognitivo. Infine le azioni e il tipo di comunicazione (comportamento da malattia, incessante richiesta di essere visitato, riportare i sintomi in modo eccessivo) costituiscono l'aspetto comportamentale (Compare & Grossi, 2012).

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condizione di somatizzazione è costituito dall'interpretazione soggettiva circa le ipotetiche cause del proprio malessere (alimentari, eziologiche, costituzionali, psicologiche). Anche il particolare vocabolario adottato per esprimere il disagio può scandire gli aspetti comportamentali che il soggetto con somatizzazione assume. Il costrutto di comportamento di malattia può rappresentare un concetto adatto a comprendere il modo individuale di monitorare le sensazioni fisiche, gli stati interni, interpretare i sintomi, effettuare ipotesi di probabili attribuzioni causali del comportamento (Sirri, Fava & Sonnino, 2013).

Una distinzione saliente, inoltre, riguarda il fattore tempo scindendo la somatizzazione transitoria da una somatizzazione persistente. Una somatizzazione temporanea o transitoria può verificarsi come una risposta acuta a eventi di vita o situazioni stressanti come ad esempio quando la persona subisce un lutto. Il sintomo somatico tende a risolversi quando il distress svanisce o la persona viene rassicurata da un medico riguardo l'assenza di una tangibile minaccia di natura organica che possa compromettere la sua salute fisica. È stato stimato che l'80% degli adulti medi accusino uno o più sintomi fisici al mese e che il 75-95% di tali episodi sintomatici vengano gestiti autonomamente senza ricorrere a consultazioni mediche. Una somatizzazione di tipo persistente, invece, implica un problema di tipo cronico, che potrebbe essere presente per tutta la vita del soggetto (Porcelli et al., 2009).

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parte del corpo o in un organo oppure lamentare una sintomatologia diffusa, che interessa più funzioni o parti del suo corpo. Un esempio fra i più frequenti riguarda il dolore al petto, dolori addominali, cefalee, mal di schiena e dolori più diffusi. I sintomi fisici presentati dal paziente possono non corrispondere necessariamente a disfunzioni fisiologiche ma possono rappresentare dei canali elettivi, delle metafore attraverso cui il corpo comunica un disagio o conflitto di tipo emozionale.

La somatizzazione dunque, non fa riferimento ad una malattia specifica ma si tratta piuttosto di un processo con manifestazioni multiformi. Essa è concettualizzabile come un continuum dimensionale piuttosto che come una o più categorie discrete caratterizzate da sintomi distinti. Vi possono essere diversi fattori che concorrono a predisporre, far precipitare e a mantenere questi disturbi. Inoltre i sintomi da somatizzazione possono essere esperiti a qualsiasi età dalla prima infanzia fino all'età adulta (Porcelli, 2014).

L'eziologia della somatizzazione viene considerata multifattoriale e può essere determinata da fattori costituzionali, sociali, culturali, evolutivi, ambientali ecc. La somatizzazione può innescarsi parallelamente alla presenza di fattori di stress psicosociale, grandi cambiamenti nella vita del soggetto, più spesso eventi negativi, legati a un conflitto interpersonale o a una perdita, che il soggetto rifugge. A causa di un atteggiamento di evitamento della presa di coscienza dei conflitti o verbalizzazione di tali distress, il dolore psichico si traduce in dolore a livello corporeo (Sauer & Eich, 2007).

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Alcuni studi hanno rilevato l'influenza di fattori a carattere emotivo e psicologico sulla eziologia e sulla esacerbazione dei disturbi o dei sintomi di somatizzazione. Tali studi hanno concluso che i sintomi somatici sono spesso associati all'ansia e alla depressione (Fava & Wise, 2007; Kroenke et al., 1994; Kirmayer & Robbins, 1991; Lipowski, 1988; Kellner, 1985). Una maggiore associazione tra sintomi fisici ed emozioni è stata riscontrata in presenza di una emotività a carattere negativo, quali ansia e depressione ma anche sentimenti di rabbia, ostilità e senso di colpa (Diener et al., 1985; Watson & Tellegen, 1985; Watson & Clark, 1984). A tal proposito è stato dimostrato che quanto maggiore è l'emotività negativa provata, tanto più numerosi risultano i sintomi fisici riportati (Costa & McCrae, 1985; Pennebaker & Skelton, 1981; Tessier & Mechanic, 1978; Luborsky, Docherty & Penick, 1973).

Altri fattori psicologici alla base delle somatizzazioni sono: l'ipervigilanza, la focalizzazione dell’attenzione sulle sensazioni corporee, l'inclinazione a reagire a sensazioni corporee con pensieri che vanno ad intensificarne la percezione. Tali meccanismi risultano alla base dell'amplificazione somatica, cioè la tendenza a esperire sensazioni somatiche come intense, nocive o disturbanti (Barsky et al., 1988; Pennebaker & Skelton, 1981). Sperimentare in modo consistente emozioni negative può indirizzare l'attenzione verso il corpo, a ciò conseguirebbe un abbassamento della soglia del dolore e l'incremento delle sensazioni somatiche nocive. È stata individuata infatti una relazione tra amplificazione delle sensazioni

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somatiche con depressione, ansia e ostilità (Barsky et al., 1988). Dunque il perdurare di un'emotività negativa modula la percezione del dolore e altri aspetti psicologici possono incrementare la percezione nocicettiva. Infatti, in casi di dolore cronico, la errata attribuzione dell'attivazione fisiologica e l'ipervigilanza verso il dolore, associata a emotività negativa, possono portare ad una sensibilizzazione al dolore (Barsky et al., 1988; Pennebaker & Skelton, 1981). D’altra parte la preoccupazione verso il dolore e l'evitamento delle attività che lo inducono, possono aumentare l'emotività negativa, l'ipervigilanza e la disabilità funzionale, creando un circolo di esacerbazione patologica (Janssen, 2002). La relazione tra somatizzazione e emotività negativa indotta da stress risulta essere alla base della iperattività vegetativa ed immunitaria associati a numerosi disturbi di tipo funzionali. Lo stress, come noto, è un fattore di grande importanza specie nei processi infiammatori. Infatti il Sistema Nervoso Centrale produce e modula le reazioni infiammatorie generali, non solo in risposta all'infezione, al trauma e al danno tissutale, ma anche in risposta allo stress (Black & Berman, 1999). Nell'ambito dei disturbi gastro-intestinali funzionali si è riscontrato che tali pazienti hanno una più bassa soglia del dolore rispetto ai soggetti sani (Salet et al., 1998; Ritchie, 1973) e che l'ansia e lo stress acuto alterano la funzionalità gastrointestinale (Geeraerts et al., 2005; Dickhaus et al., 2001; Mertz, 2002; Gue et al, 1997; Stam, Akkermans & Wiegant, 1997) sviluppando e aggravando i sintomi gastrointestinali (Geeraerts & Tack, 2008). In pazienti con dispepsia funzionale (caratterizzata da nausea,

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pesantezza di stomaco, bruciori o dolori di stomaco in relazione o meno alla ingestione di cibo, eruttazione, cattiva digestione e a volte vomito) che hanno una forte ipersensibilità gastrica, è stata riscontrata una forte correlazione fra lo stato di ansia, disagio gastrico e soglia del dolore (Fischler et al., 2003). Ansia, stress e ipervigilanza al dolore, sembrano essere le condizioni psicologici più frequentemente associati ai disturbi funzionali (Anand et al., 2007). I pazienti con disturbi funzionali mostrano una persistente tendenza all’incremento della attenzione selettiva agli input viscerali normalmente sotto-soglia (Labus et al., 2004). Un esempio è dato dalla sindrome del colon irritabile in cui l'ipervigilanza sembra essere il meccanismo responsabile del disturbo e della persistenza del dolore (Hobson & Aziz, 2003; Whitehead & Palsson, 1998). I pazienti con sindrome del colon irritabile presentano notevole stress generando disturbi mentali (specialmente quelli di ansia) antecedenti l’insorgenza della sindrome del colon irritabile (Sykes et al., 2003). Questo sembra suggerire che l'ansia somatica assuma un ruolo importante nello sviluppo della sintomatologia e medi la relazione fra disagio psicologico e gravità dei sintomi (Porro et al., 2003).

In uno studio recente di Sribastav e colleghi (2017), è stato rilevato come fattori psicologici e sociali svolgano un ruolo importante nello sviluppo ed esacerbazione della lombalgia. La lombalgia è caratterizzata dalla presenza di dolore nella zona lombare, lombo-sacrale o regioni sacro-iliache (Vrbanic, 2011). La lombalgia comporta alterato benessere psicologico,

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scarsa qualità della vita, importante disabilità funzionale associata ud un'onerosa spesa di assistenza sanitaria (Ferreira & Tavella Navega, 2010). I risultati di questi studi hanno mostrato una maggiore incidenza di disturbi del sonno, ansia e un aumento del punteggio alla VAS (misura dell’intensità del dolore) in pazienti con lombalgia rispetto a soggetti sani. Inoltre è emerso un livello inferiore di abilità sociali ed una maggiore tendenza alla perdita del posto di lavoro.

Capitolo 2. Le somatizzazioni nel bambino

Le somatizzazioni in età evolutiva, così come per i successivi stadi di vita, possono manifestarsi attraverso numerosi sintomi e disturbi a livello del corpo e allo stesso tempo implicare un disagio psicologico alimentato da conflitti di natura affettiva ed ambientale. Il processo di somatizzazione così come per l’adulto sarebbe il prodotto dell’interruzione nell'espressione delle emozioni, funzionale ad allontanare dal bambino sentimenti e desideri conflittuali (Brunelli, Balzani & Briganti, 2006).

I sintomi da somatizzazione, come già descritto per il soggetto adulto, si collocano in una intersezione tra le due dimensioni fondamentali che caratterizzano l'essere umano, la psiche e il soma: "mente e corpo sono parti inscindibili la cui mancata integrazione genera disagio che si può

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manifestare sia a livello psichico sia a livello fisico" (Trombini & Baldoni, 1999). Kreisler (1986), pediatra e psichiatra infantile ha affermato che "l'espressione somatica di un disagio può essere compresa relativamente all'età, allo stadio di sviluppo psico-affettivo in cui il bambino vive" e che "i bambini quanto più sono piccoli, tanto più utilizzano il corpo come luogo e mezzo privilegiato attraverso cui esprimere il proprio malessere".

In ambito pediatrico i criteri dei disturbi da sintomi somatici del DSM 5 in età adulta, seppur utili allo studio e alle rilevazioni della somatizzazione in infanzia, potrebbero dimostrarsi poco rappresentativi all'interno di scenari in cui i bambini palesano notevoli difficoltà nella descrizione circa la presenza, la preoccupazione e i livelli di gravità della malattia. Molto importante risulta rilevare il rapporto che intercorre tra il bambino, il proprio ambiente e le proprie figure di riferimento: la dimensione familiare, la comunicazione del suo disagio - per una corretta gestione dei sintomi somatici - e il suo funzionamento adattativo (Geist et al., 2008).

I disturbi da somatizzazione riguardano una delle aree della psichiatria infantile poco studiata. I sintomi fisici e le lamentele relative alla natura algica degli stessi con un'eziologia sconosciuta sono abbastanza comuni nei bambini e negli adolescenti e rappresentano fino al 50% delle nuove visite ambulatoriali (Kelly et al., 2010).

I sintomi somatici a cui si accompagna la sofferenza emotiva nell'infanzia e nell'adolescenza rappresentano un fenomeno complesso e multi-determinato da affrontare nella pratica clinica. I sintomi somatici possono arrecare

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notevole disagio per il bambino, influenzandone lo sviluppo, la frequenza scolastica e l'adattamento sociale. La prevalenza dei sintomi somatici è spesso indagata in contesti scolastici: si rileva infatti che circa il 25% dei bambini presenta dolori cronici o ricorrenti (ad esempio mal di testa, dolori addominali e dolori muscolo-scheletrici) e un 10% lamenta affaticamento cronico (Cerutti et al., 2017). Nella complessità della casistica si evidenzia che vi sono situazioni in cui il manifestarsi dei sintomi in un ridotto arco temporale, non impatta negativamente sul funzionamento quotidiano o sullo sviluppo del bambino. Si rilevano, altresì, casi in cui una sintomatologia persistente risulta associabile a disabilità funzionale, disturbi emotivi, assenteismo scolastico e richieste di assistenza medica (Bisht et al., 2008; Imran et al., 2014). Non a caso i sintomi somatici risulterebbero legati ad un incremento del ricorso ai servizi sanitari, tendendo ad esercitare un onere finanziario pesante sia sulle famiglie che sul sistema sanitario (Walker et al., 2006).

Come più volte emerso dalla letteratura specialistica le somatizzazioni portano ad una riduzione generale della qualità di vita dei soggetti con una significativa riduzione delle attività svolte dal bambino come attività sportive, ludiche, relazioni con i pari, hobbies ecc (Bellini et al., 2013). Varie possono essere le manifestazioni sintomatologiche che investono il corpo e la sua funzionalità. Un disagio psicologico, uno stress persistente o la mancata possibilità o capacità di comunicare i propri bisogni e le proprie emozioni possono non trovare espressione attraverso i tradizionali canali

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linguistici ma essere espressi attraverso un linguaggio più arcaico, quello del corpo.

2.1 Somatizzazione nel bambino: alcuni quadri clinici

Nei paragrafi seguenti verrà fornito un revisione della letteratura scientifica avente come oggetto d'indagine alcune relative alle somatizzazioni esploranti alcune configurazioni sintomatiche più ricorrenti in età evolutiva.

2.1.1 Sintomi gastro-intestinali

I disturbi dell'apparato gastro-intestinale fanno parte dei sintomi più frequentemente lamentati dai bambini (Brunelli, Balzani & Briganti, 2006). I sintomi gastro-intestinali e il dolore addominale sono spesso fonte di marcata preoccupazione, traducendosi in una consistente tendenza a richiedere frequenti consultazioni sanitarie. Alcune indagini condotte sui bambini con dolore addominale hanno riportato una percentuale relativa alla richiesta di consultazione sanitaria che va dal 39 al 93% (Boey & Goh, 2001). In uno studio di Brunelli e colleghi (2006) sono stati rilevati sintomi addominali su un campione di 15 preadolescenti aventi un età media di 11 anni (di cui 11 femmine e 4 maschi). La maggior parte di questi soggetti lamentava dolore collocandolo nella regione peri-ombelicale, e nella parte inferiore destra dell'addome. I ricercatori hanno rilevato peculiari caratteristiche psicologiche riguardanti tratti ansiosi sia nei ragazzi che nei loro genitori e, in alcuni casi, fobia scolare relazionabile ad una maggiore difficoltà di separazione temporanea dalla figura materna o dal contesto

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familiare in generale. Infine sono state riscontrate situazioni conflittuali, ansia di separazione e paura del cambiamento in soggetti con nausea e vomito. Dai colloqui che i ricercatori hanno tenuto con ragazzi e i loro genitori, è emerso che l'atteggiamento prevalente nelle dinamiche di interazione risultava essere di eccessiva preoccupazione verso lo stato di salute. Molto frequente infatti è risultata l’adozione di comportamenti alimentari precauzionali a preservare lo stato di salute in cui particolari regimi alimentari portavano il soggetto ad un'attenzione continua verso il proprio apparato intestinale.

Un successivo studio su patologie gastro-intestinali, di tipo funzionale, condotto su un campione di soggetti aventi età compresa tra i 13 e i 18 anni, in un contesto scolastico dello Sri Lanka, ha approfondito la severità dei sintomi, la percezione della loro qualità di vita relativa alla salute (Health Related Quality of Life, HRQoL) e il ricorso alla consulenza sanitaria (Devanarayana, Rajindrajith & Benninga, 2014). Delle malattie gastrointestinali funzionali caratterizzate da dolore addominale si possono elencare la sindrome dell'intestino irritabile; il dolore addominale funzionale; l'emicrania addominale e la dispepsia funzionale. Le informazioni riguardanti tali patologie sono state raccolte attraverso i criteri di Roma III -criteri diagnostici stabiliti da una commissione internazionale per definire la diagnosi e guidare il trattamento dei disordini funzionali gastrointestinali (FGIDs). Questo studio prevedeva la somministrazione di un questionario con domande relative alla consultazione sanitaria e un

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questionario sulla qualità della vita relativa alla salute: Pediatric Quality of Life Inventory 4.0 (PedsQL-4.0, Varni et al., 2003). L'inventario è stato utilizzato per indagare quattro domini ovvero: il funzionamento fisico, il funzionamento emotivo, il funzionamento sociale e il funzionamento scolastico del bambino. I risultati hanno mostrato che i bambini con sindrome dell'intestino irritabile ed emicrania addominale avevano punteggi della qualità di vita inferiori per tutti e quattro i domini rispetto ai controlli sani. Bambini con dolore addominale funzionale avevano ottenuto punteggi inferiori solo per i domini funzionali e fisici ed emotivi. Non è stata trovata alcuna differenza significativa tra i bambini con dispepsia funzionale e i controlli. In generale la relazione tra una maggiore gravità dei sintomi lamentati da bambini con malattia gastrointestinale e una percezione negativa della propria qualità di vita è risultata significativa per il 27% del campione preso in considerazione. In tale studio è emerso che il ricorso ad assistenza sanitaria si aveva soprattutto quando i bambini manifestavano gonfiore addominale e vomito.

Un altro disturbo frequente durante l'infanzia e la preadolescenza riguarda la stipsi funzionale o stitichezza funzionale. I meccanismi eziopatologici sottostanti alla stipsi funzionale non sono di semplice rilievo e spesso sono intrecciati con fattori di tipo bio-psico-sociali. La stipsi porta ad una valutazione negativa della qualità di vita relativa alla salute, a un basso rendimento scolastico e di conseguenza a carenze nell'apprendimento scolastico (Kovacic et al., 2015). I ricercatori hanno dimostrato che un

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bambino con stipsi funzionale può soffrire anche di altri disturbi gastro-intestinali. A tal proposito uno studio degli Stati Uniti ha evidenziato che solo il 19% dei piccoli pazienti con disturbi gastrointestinali ha ottenuto una singola diagnosi attraverso i criteri di Roma III, mentre molto frequenti risultano le diagnosi di sovrapposizione, così da rendere difficile la separazione della stipsi da altri disturbi intestinali funzionali (Van Tilburg et al., 2013). Gli studi europei hanno evidenziato uno spettro di prevalenza che va dallo 0,7% nei neonati e nei bambini piccoli in Italia al 15% dei i bambini in Grecia (Iacono et al., 2005; Kiefte-de Jong et al., 2010). Tra i

fattori predisponenti per la stitichezza, lo stress psicologico risulta un'entità di rischio ben consolidata. Un' indagine scolastica in Sri Lanka ha osservato che lo stress vissuto a casa e a scuola rende i bambini più vulnerabili alla stipsi funzionale (Devanarayana & Rajindrajith, 2010). Lo stress, può portare ad un'alterazione permanente della motilità gastro-intestinale, della sensibilità viscerale, delle alterazioni della funzione autonoma e della disfunzione ipotalamo-pituitaria-surrenale (Chang, 2011). Inan e colleghi (2007), hanno mostrato che la presenza di particolari condizioni, come aver subito traumi fisici o psicologici, avere fratelli con gravi condizioni di salute, può portare i bambini allo sviluppo di stipsi. Per quanto riguarda la comorbidità psicologica rintracciabile in tale patologia, alcuni ricercatori olandesi sostengono che importanti problemi emotivi risultano essere alla base dello sviluppo della stipsi funzionale spesso associata a problemi di natura comportamentale (Benninga et al., 2004). Altri studi hanno rilevato

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tratti di disturbi di personalità e una maggiore tendenza ad avere disturbi d'ansia. Questi fattori incidono negativamente sulla vita sociale e familiare di questi bambini (Ranasinghe et al., 2016; Devanarayana & Rajindrajith, 2010).

2.1.2 Cefalea

Il mal di testa costituisce il dolore più frequentemente lamentato dai bambini, seguito da dolori addominali e muscolo-scheletrici (Brattberg, 1994; Petersen, Bergstom & Brulin, 2003; Perquin et al., 2003). I risultati degli studi epidemiologici indicano che negli ultimi decenni la cefalea è diventata molto più diffusa in bambini ed adolescenti (Laurell, Larsson & Eeg-olofsson, 2004).

In una ricerca di Smith e colleghi (1999) è stata indagata l'incidenza di fattori psicosociali nell'espressione di una sintomatologia relativa al mal di testa. I ricercatori hanno selezionato, in un contesto scolastico un ampio campione di 900 preadolescenti, con età media di 13 anni a cui sono state poste delle domande riguardanti la durata, la frequenza, l'intensità del mal di testa e il ricorso a consultazioni mediche. La diagnosi di cefalea è stata fatta in accordo con i criteri dell' International Headache Society (IHS, 1988). Tra i fattori psicosociali che i ricercatori hanno ipotizzato interagire con l'espressione della cefalea, vi sono tratti d'ansia misurati mediate la somministrazione dello State-Trait Anxiety Invertory (STAI, Spielberg et al.,

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1983), la depressione misurata attraverso il Children's Depression Inventory (CDI, Kovacs, 1979), la somatizzazione attraverso il Children's Somatization Inventory (CSI, Walker, Garber & Greene, 1991) e, infine, lo stato funzionale e qualità della vita mediante Medical Outcome Study, Short Form Health Survey (MOS, SF-36, Ware & Sherbourne, 1992). I risultati ottenuti da tali misurazioni evidenziano che il campione non clinico di studenti che ha riportato frequenti mal di testa mostra una significativa correlazione con alti punteggi rispetto ai sintomi di ansia, depressione, somatizzazione e alti livelli di disabilità funzionale rispetto agli studenti che hanno riportato scarsi episodi di cefalea. In sostanza, studenti con frequenti mal di testa hanno mostrato in generale una peggiore salute mentale e fisica. Alcuni studi si sono focalizzati su metodologie psicologiche atte al controllo della cefalea in infanzia. Una riduzione della sintomatologia relativa al mal di testa si è ottenuta, infatti, mediante training e tecniche di rilassamento (Larsson & Carlsson, 1996; Larsson et al., 1987), biofeedback inseriti all'interno dei programmi scolastici (Osterhaus et al., 1993).

2.2 Somatizzazione nel bambino e comorbidità psicopatologica

Dalla letteratura emerge come le somatizzazioni possano verificarsi in concomitanza con disturbi psichiatrici come ansia e depressione (Vaccarino et al., 2008) in cui la comorbidità sembra essere stabile nel tempo.

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presenza di depressione come variabile modulatrice della correlazione tra tratti alessitimici e somatizzazione. Gli studiosi hanno cercato di comprendere meglio la natura di questo rapporto, maggiormente studiato negli adulti, da una prospettiva di sviluppo, partendo dalle considerazioni già note sull'alessitimia come caratterizzata da risposte disadattive e da situazioni emotive che portano a livelli cronici di emozioni negative. Senza l'identificazione delle emozioni e la corrispondente azione appropriata, gli individui alessitimici rimarrebbero chiusi in un modello di emozioni negative e risposte maladattive sia agli stimoli esterni che interni (es. Dolore) con potenziali conseguenze negative a lungo termine (Rieffe et al., 2010). Lo scopo del suddetto studio era di indagare l'associazione tra alessitimia, depressione e somatizzazione in un campione di 244 bambini sani. La rilevazione partiva dall'identificazione della presenza di tratti alessitimici, utilizzando la TAS-20 –strumento utilizzato per indagare il

costrutto di alessitimia per gli adulti– per misurare 3 dimensioni

dell'alessitimia: la difficoltà ad identificare i sentimenti, la difficoltà a descrivere i sentimenti e il pensiero orientato all'esterno; per misurare la somatizzazione è stato utilizzato il Children Somatization Inventory (CSI,

Walker, Garber & Greene, 1991) e infine un inventario per la depressione nei bambini, il Children Depression Inventory (CDI, Kovacs, 1979). I risultati hanno mostrato una forte correlazione tra due sottoscale del costrutto di alessitimia, ovvero: la difficoltà a identificare e a descrivere i sentimenti con considerevoli punteggi di depressione e somatizzazione. Inoltre i punteggi

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di depressione sono risultati significativi nel mediare parzialmente il rapporto tra le due sottoscale di alessitimia e la somatizzazione come ipotizzato dagli autori. Rieffe e colleghi (2010) hanno esplorato il rapporto tra alessitimia ed emozioni (felicità, paura, rabbia, tristezza) e internalizzazione dei sintomi (es. preoccupazione/ruminazione) in un campione di 579 bambini iraniani di età compresa tra i 10 e i 15 anni. Gli autori hanno rilevato che le emozioni negative mediano il rapporto tra alessitimia e una maggiore presenza di sintomi somatici. In uno studio di Jellesma e colleghi (2009) è stato rilevato che bambini che riportano molti sintomi somatici non mostrano una compromissione della capacità di identificare le emozioni, rispetto a bambini che riportano pochi sintomi somatici. Tuttavia, coloro che hanno segnalato molti sintomi somatici presentano maggiori difficoltà ad identificare e comunicare stati interni negativi interni (ad esempio la rabbia o la tristezza) ma sono stati in grado di identificare più emozioni rispetto ai bambini che riportano poche lamentele fisiche. I ricercatori hanno spiegato tali risultati ipotizzando che i bambini che sono in grado di riconoscere le diverse emozioni hanno anche maggiori capacità di soffermarsi sui cambiamenti fisiologici a cui il corpo va incontro in determinate circostanze emotive, risultando quindi una maggiore capacità di riconoscere le variazioni fisiologiche associate alle diverse condizioni emotive più che la discriminazione delle emozioni in sé.

Anche i disturbi di ansia contribuiscono al mantenimento e all'esacerbazione del dolore e della somatizzazione. In particolare è stato ipotizzato che la

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Sensibilità all'Ansia (Anxiety Sensivity, AS, Reiss & McNally, 1985) sia correlata alla somatizzazione. La AS è riferita ad uno stato di timore che subentra quando il soggetto percepisce determinate sensazioni corporee con la convinzione che tali sensazioni avranno conseguenze somatiche, psichiche o sociali dannose (Reiss et al., 1986). Sebbene la sensibilità all'ansia sia considerata una componente fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento di disturbi d'ansia e di altri disturbi emotivi (Clark, 1986), studi più recenti dimostrano che tale fattore psicologico è associato soprattutto a risposte dolorose acute (Tsao et al,. 2004; Tsao et al., 2006). Inoltre costituirebbe un fattore predittivo circa il dolore in bambini ed adolescenti (Muris, Vlaeyen & Meesters, 2001). Nei bambini con dolore cronico la sensibilità all'ansia è legata ad una minore qualità di vita e ad un peggioramento nel funzionamento complessivo (Tsao et al., 2007). Le teorie cognitive suggeriscono che il concetto di sensibilità all'ansia non si esaurisce intorno ai temi relativi alle mere manifestazioni ansiose ma può essere esteso ad uno stile di pensiero di tipo catastrofico con ingenti conseguenze sui sintomi corporei. Lo stesso dolore crea un circolo vizioso in cui il soggetto che avverte sensazioni somatiche tende a porre maggiore attenzione verso queste sensazioni, incrementando sensibilmente i livelli di ansia attraverso interpretazioni catastrofiche (Cox et al., 2001). La tendenza a catastrofizzare le implicazioni dei sintomi fisici, può essere considerata un fattore comune relativo al dolore e alla somatizzazione. Alcune ricerche hanno dimostrato che le credenze catastrofiche attribuite al dolore

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costituiscono i fattori chiave dell'esperienza dolorosa (Sullivan et al., 2001) e sono stati associati ad un'ipersensibilità agli stimoli spiacevoli (Dixon, Thorn & Ward, 2004). La catastrofizzazione del dolore è stata rilevata sia per dolori cronici che per dolori acuti in adulti e bambini (Drahovzal, Stewart & Sullivan, 2006; Reid, Gilbert & McGrath, 1998; Vervoort et al., 2008). Al fine di verificare una ipotetica correlazione tra sensibilità all'ansia, catastrofizzazione e somatizzazione in infanzia, Tsao e collaboratori (2009) hanno condotto una ricerca selezionando un campione non clinico di preadolescenti con età media di 12 anni. Al campione sono stati somministrati l'Indice di sensibilità d'ansia in infanzia il Childwood Anxiety Sensivity Index, (CASI, Silverman et al., 1991), l'inventario delle somatizzazione per bambini il Children Somatization Inventory (CSI,

Walker, Garber & Greene, 1991), il questionario di coping nei confronti del dolore il Pain Coping Questionnaire, (PCQ, Reid, Gilbert & McGrath, 1998) ed un questionario costruito ad hoc per rilevare la presenza di dolori attuali e la relativa localizzazione.

I ricercatori hanno rilevato in linea con le loro ipotesi di partenza che i bambini che hanno segnalato la presenza di dolori attuali mostravano alti livelli di ansia, alti punteggi rispetto alla somatizzazione e hanno riferito maggiori timori circa le conseguenze fisiche delle sensazioni di ansia. Infine la sensibilità all'ansia e la catastrofizzazione sono risultate indipendentemente associate alla somatizzazione. I risultati sono coerenti con i dati che emergono di recente dalla letteratura che sottolineano elevati

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