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SORDITÀ NEUROSENSORIALE

3.3 SORDITA’NEUROSENSORIALE

«La sordità completa è rara. Circa il 99% dei soggetti colpiti da sordità è comunque in grado di percepire i suoni, aventi determinate frequenze, se essi sono sufficientemente forti81>>.

Ma perché i sordi non percepiscono i suoni come gli udenti e non discriminano le parole? Per rispondere a questa domanda, è necessario analizzare la sordità in relazione alla localizzazione del danno che ha determinato la perdita dell’udito.

L’ipoacusia neurosensoriale, una delle forme più gravi di sordità, è dovuta ad una lesione che interessa l’orecchio interno, colpendo frequentemente la coclea o il nervo acustico. I soggetti, quindi, affetti da sordità neurosensoriali gravi e profonde, non «percepiscono il parlato, neppure se l’interlocutore si trova a 20/30 centimetri e parla a voce alta»82.

In questi casi, è importante dare precocemente una protesi acustica83 ai bambini

sordi i quali imparano a controllare l’intonazione della voce con l’aiuto di una

79 Kalat J.K., op.cit. 80 Ibidem. 81 Ibidem, pag.262

82 Maragna S., La sordità-Educazione,scuola,lavoro e integrazione sociale, Hoepli, Milano, 2000, pag.16.

83 La protesi acustica è un apparecchio elettronico miniaturizzato che riceve, amplifica e ripropone i suoni, con la minima distorsione possibile, a

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logopedista. La protesizzazione, però, aiuta il bambino solo nell’apprendimento vocale ma non rende migliore la ricezione del suono a livello di intensità.

Le ipoacusie neurosensoriali possono essere suddivise in categorie a seconda dell’entità della perdita uditiva espressa in decibel e rilevata attraverso un grafico, l’audiogramma (Fig. 17), dove in ascissa sono riportate le frequenze e in ordinata le intensità soglia per ogni frequenza. «L’entità del deficit uditivo viene solitamente calcolata facendo la media dell’intensità soglia ottenute per le frequenze 500, 1000 e

2000 Hz che sembrano essere quelle fondamentali per la parola parlata».84

Figura 17: audiogramma

Le ipoacusie neurosensoriali85 si distinguono in:

 ipoacusia grave: soglia fra 7O e 90 decibel. Il soggetto percepisce solo alcuni suoni delle parole, anche se pronunciate a intensità elevata. Il soggetto, con o senza protesi, in questo caso, necessita della labiolettura e della lingua dei segni o di una delle modalità comunicative visive, oltre la lingua italiana;

 ipoacusia profonda: soglia uguale o superiore a 90 decibel. In questo caso, il soggetto percepisce le vibrazioni dei suoni mediante la via tattile. Egli, con o senza protesi, ha sempre bisogno della labiolettura e di una delle modalità comunicative visive o della lingua dei segni, a parte la lingua italiana.

Esistono tre livelli di sordità profonda86:

 sordità con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze tra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 db.

84 Zanobini M., Carmen Usai M.,op.cit. pag.39. 85 S. Maragna, op.cit.,2002.

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 sordità con curva dai 125 ai 2000 Herzt all’intensità uguale o maggiore di 90 dB.

 sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz ad intensità maggiore di 90 dB.

In questi tipi di sordità, il soggetto percepisce alcuni suoni gravi e intensi che hanno una notevole componente vibratoria, come lo sbattere della porta, il rombo di un motore. Non sente la parola. Senza un ausilio protesico, associato alla lettura delle parole, il soggetto non ha la possibilità di apprendere il linguaggio verbale. Però tutto questo non basta!.

Questa immagine (Fig. 18) fa capire che cosa sente e che cosa non sente un sordo con una perdita uditiva di 90 decibel. Il sordo, ad esempio, non può sentire una normale conversazione, né tanto meno la radio o il suono del clacson.

Figura 18: valori in decibel di alcuni suoni comuni

Questo per dire che, nonostante la protesizzazione, il sordo ha bisogno di altri incentivi per “leggere” tutte le voci, tutte le parole e partecipare alla vita della società; incentivi che esistono già dentro di sé e che la società non vuole ascoltare. In tal modo, diviene inevitabile il passaggio da una sordità neurosensoriale anatomica ad una sordità sociale e culturale.

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3.3.1 SORDITÀ SOCIALE E CULTURALE

Sarà opportuno che la società impari ad ascoltare la “voce” del sordo perché solo lui sa di cosa ha bisogno per vivere in sintonia con l’altro. L’udente, che ha sempre udito, non può decidere che cosa sia meglio per il bambino sordo, se non sa nemmeno che cosa significhi leggere una voce o tante voci nello stesso tempo.

Leggere una voce non è come sentire scorrevolmente un fiume di parole. Leggere significa individuare visivamente l’insieme di fonemi costituenti una serie di parole e poi comprendere il significato semantico delle frasi.

Le parole, inoltre, non hanno una stessa grafia ma diverse grafie a seconda della forma della bocca. Ciò vuol dire che gli occhi del sordo lavorano in continuazione per decifrare visivamente le diverse grafie e non sempre riescono nel loro intento. Le difficoltà aumentano, poi, se si devono leggere le parole di un udente che cammina, ad esempio, in un’aula o che tiene una conferenza. Tale situazione può essere paragonata a quella di un udente che deve leggere un libro posto a 10 metri di distanza. L’impresa diviene ancora più ardua se ci si trova nel mezzo di una conversazione e si devono leggere, allo stesso tempo, parole che provengono da due o tre bocche. È come leggere tre libri contemporaneamente!

Ma un sordo come legge le voci? Le protesi sono utili solo per dialoghi a due o tre, a patto che la forma della bocca dell’udente sia leggibile, in quanto permettono di controllare l’intonazione della voce, di percepire i suoni e i rumori formati da determinate frequenze, di riconoscerli in parte, ma non di discriminare le parole ed i fonemi come la “p” e la “b”, la “s” e la “z”, la “c” e la “g”.

L’alunno sordo, in genere, riconosce visivamente le parole anche grazie al proprio bagaglio culturale, collegandole al contesto in cui sono inserite.

Al contrario, quando vengono pronunciate parole sconosciute o parole conosciute, ma di cui non si ricorda visivamente la forma, ha bisogno della dattilologia o dei segni; in tal modo potrà leggerle e sapere quali sono i fonemi che le compongono.

Da questo bisogno è nato inevitabilmente l’uso della lingua dei segni, tramandata di generazione in generazione in famiglie di sordi. Sempre da questo bisogno, per alcuni

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sordi bilingui, che vivono contemporaneamente nel mondo degli udenti e dei non udenti, è nata la consapevolezza di essere socialmente e culturalmente sordi. Prima di questa presa di coscienza, a volte, gli stessi sordi hanno tentato di essere “udenti” o di comportarsi da “udenti”, ma ciò è stato controproducente, perché hanno annullato la propria identità, non mettendo in evidenza le proprie esigenze. In tal modo, gli udenti non comprendono le loro difficoltà e, di conseguenza, le loro esigenze e li trattano come se fossero udenti, ad esempio, parlano “velocemente”, a “denti stretti”, “di spalle”, “con una gomma in bocca” e persino “mangiandosi le parole”. I sordi, quindi, non riuscendo a leggere le loro parole, vengono esclusi dalla conversazione.

Per questo motivo, non viene pienamente condivisa la posizione medica secondo la quale è preferibile che il sordo si omologhi al modello di udente. È meglio essere se stessi, facendo capire all’udente che esistono regole e codici comunicativi per interagire con un sordo.

L’interscambio fra udenti e sordi è fondamentale per trasformare la diversità in ricchezza sociale e culturale, per sviluppare l’integrazione, per promuovere un’educazione bilingue ed interculturale che permetta al bambino sordo di avere un buon sviluppo cognitivo e linguistico.

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CAP.4