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1. Introduzione

1.2 Sostanze naturali e NAFLD

Nutraceutici e alimenti funzionali

Diete ad alto contenuto di frutta e verdura sono ampiamente raccomandate per le loro proprietà benefiche per la salute. Questi alimenti occupano da sempre un posto primario nelle diete per la loro concentrazione di vitamine, minerali e antiossidanti; inoltre frutta e verdura sono raccomandate come una fonte di fibra alimentare (Slavin J. L. e Lloyd B., 2012).

Diversi studi epidemiologici negli ultimi 50 anni hanno chiaramente dimostrato come le diete dominate da frutta, verdura e fibre alimentari (alimenti a base di vegetali) prevengano e riducano il rischio di malattie croniche (ad esempio malattie cardiovascolari, obesità, diabete) e promuovano la salute dell’uomo. Le ricerche scientifiche che collegano gli alimenti di origine vegetale e la salute, in tutto il mondo, hanno portato a riconoscere composti bioattivi (fitochimici) presenti nelle piante come sostanze con proprietà antiossidanti e salutari (Cencic A. e Chingwaru W., 2010; Traka M. H. e Mithen R. F., 2011). Questi composti fitochimici (phytochemicals), ovvero sostanze vegetali non nutrienti dotate di attività biologica, possono essere divisi in numerosi gruppi tra cui i più significativi sono: polifenoli, carotenoidi, alcaloidi, composti contenenti azoto ed organosolfuri (Liu R. H., 2003).

In campo nutrizionale si osserva il fiorire di numerosi neologismi per categorizzare gli alimenti. Termini come “alimento funzionale”, “nutraceutico” e “supplemento dietetico” o “integratore alimentare” vengono spesso coniati ad hoc sia per esigenze di classificazione sia per esigenze di mercato.

Il termine “functional foods” o “alimento funzionale” è stato proposto per la prima volta in Giappone negli anni ’80 (Arai S., 1996). Il Ministero giapponese della salute e del welfare (MHW) organizzò infatti un meeting nel 1988 per delineare le prime regolamentazioni su questi cibi funzionali (Cencic A. e Chingwaru W., 2010).

La definizione comunemente accettata oggi è stata coniata nel 1999 dall’European Food Information Council (EUFIC). Con la collaborazione di esperti europei in nutrizione e medicina, che parteciparono al progetto Fufose (Functional Food Science in Europe), fu

elaborato infatti il “Consensus Document” che stabilisce che “un alimento può essere considerato funzionale se dimostra in maniera soddisfacente di avere effetti positivi su una o più funzioni specifiche dell’organismo, che vadano oltre gli effetti nutrizionali normali, in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello stato di salute e di benessere e/o per la riduzione del rischio di malattia”.

Alcuni esempi di alimenti con caratteristiche funzionali sono: i probiotici, batteri vivi, contenuti nello yogurt o in prodotti simili, che influenzano il bilancio della microflora intestinale; i prebiotici, carboidrati non digeribili come i frutto-oligosaccaridi, che stimolano selettivamente la crescita di un limitato numero di specie batteriche utili già presenti nella flora intestinale (Cencic A. e Chingwaru W., 2010; Dahiya D. K. et al., 2017; FAO/WHO expert consultation. 2001); numerosi alimenti di origine vegetale costituiti da composti fitochimici con potenziale attività antiossidante, anticancerogena e antiaterosclerotica (Aghajanpour M. et al., 2017).

I “supplementi alimentari” sono prodotti che vengono consumati per completare e integrare eventuali carenze alimentari. Essi non sono destinati a diagnosticare, alleviare, prevenire o curare le malattie. Questi includono acidi grassi, vitamine, minerali, aminoacidi o fibre oltre ad altre sostanze. Solitamente si ritrovano in un formato farmaceutico come pillole (Varzakas T. et al., 2016).

Il termine "nutraceutico" è stato coniato unendo le parole "nutrizione" e "farmaceutica" nel 1989 da Stephen DeFelice, fondatore e presidente della Fondazione per l'innovazione in medicina (FIM), Cranford (DeFelice S., 1995; Kalra E.K., 2003).

Con il termine “nutraceutico” si indica una specifica sostanza o un insieme di sostanze estratte dagli alimenti con qualità benefiche e salutistiche. I nutraceutici possono essere, quindi, un aiuto nella protezione e nel trattamento delle malattie.

Sostanze naturali per la terapia della NAFLD e asse intestino-fegato

La steatoepatite non alcolica è caratterizzata dall’infiltrazione di grasso negli epatociti. I pazienti sono solitamente asintomatici e la diagnosi spesso avviene accidentalmente

Oggi una terapia farmacologica per NAFLD non è disponibile, ma cambiamenti nello stile di vita (come riduzione dell’importo calorico e aumento dell’attività fisica) sono considerati elementi chiave per il trattamento di NAFLD.

È stato visto però che a lungo termine la perdita di peso per restrizione calorica ha poco successo e inoltre non sempre è facile incoraggiare i pazienti ad un cambiamento nelle proprie abitudini, alimentari e di vita. Lo sviluppo di quest’ultime infatti è un processo molto complesso che può essere influenzato da molti fattori come la religione, la famiglia, i costi e i livelli di stress (Cencic A. e Chingwaru W., 2010; Rodas M.C.H. et al., 2015). I ricercatori quindi si sono focalizzati sullo sviluppo di terapie dietetiche con lo scopo di prevenire l’evoluzione di NAFLD ad uno stadio più grave di steatoepatite, NASH. La NAFLD infatti rappresenta uno stadio di steatosi ancora reversibile quindi un trattamento efficace che ne prevenga la progressione è necessario poiché, se non trattata, questa patologia ha un forte rischio di progredire a NASH. La steatosi è positivamente associata con lo sviluppo di obesità, insulino-resistenza e diabete mellico di tipo due e spesso è considerata come la manifestazione epatica della sindrome metabolica, quindi gli sforzi dei ricercatori sono direzionati nel trovare un agente terapeutico che migliori i diversi eventi patologici e quindi un composto direzionato verso più target (Rodas M. C. H. et al., 2015).

Per la terapia della NAFLD sono stati studiati diversi agenti antiossidanti, antinfiammatori e sensibilizzanti all’insulina utilizzati come supplementi nella dieta. Alcuni esempi sono l’estratto di thè verde, ricco del polifenolo l’epigallocatechina- 3- gallato (Park H. J. et al., 2012; Kuzu N. et al., 2008), curcumina, che possiede una potente azione antiossidante ed antiinfiammatoria (Wang L. et al., 2015), le Brassicaceae, ricche di polifenoli e glucosinolati (Melega S. et al., 2013).

Molti studi inoltre supportano la teoria per la quale il microbioma intestinale potrebbe contribuire allo sviluppo di NAFLD. È noto che il fegato sia suscettibile all’esposizione di prodotti batterici dell'intestino a causa di una stretta connessione anatomica e funzionale tra il lume intestinale e il fegato attraverso il sistema portale. L'asse intestino- fegato è un percorso importante nello sviluppo della NAFLD, che è associato alla

proliferazione batterica nel lume dell’intestino tenue (piccolo intestino) e all’aumento della permeabilità intestinale (Wisnewsky J. A. et al., 2013).

È dimostrato inoltre come una dieta sbilanciata alteri il microbioma e le funzioni della barriera intestinale favorendo lo sviluppo di endotossiemia metabolica e un basso grado di infiammazione (Kirpich A. I. et al., 2015) portando sia a patologie intestinali di varia natura, ma anche ad un impatto generale sulla salute (Khan I. et al., 2017; Murphy E. A. et al., 2016). È riscontrata infatti una crescita diversificata di particolari popolazioni di batteri (disbiosi) a seconda della dieta consumata se più ricca di grassi, di verdure, di proteine animali o vegetali. La crescita di particolari popolazioni nella flora intestinale è stata associata a diverse patologie tra cui obesità, malattie cardiovascolari, diabete e malattie infiammatorie croniche intestinali (inflammatory bowel disease, IBD) (Khan I. et al., 2017; Murphy E. A. et al., 2016; Singh R. K. et al., 2017). In particolare diete grasse sono associate, oltre che ad alterazione delle popolazioni della flora batterica, ad un aumento di infiammazione a livello intestinale (Ding S. e Lund P. K., 2011; Ding S. et al., 2010; Kim K. A. et al., 2012).

Nell’IBD, in particolare, è stata riscontrata una diminuzione della popolazione di diversi batteri protettivi e un aumento della popolazione di batteri nocivi. Studi con modelli animali hanno dimostrato come l'IBD sia associato ad un aumento di perossidazione lipidica, ed ad elevati livelli di TNF-α. Poiché l'infiammazione intestinale cronica è associata alla formazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), lo stress ossidativo è stato proposto come uno dei principali fattori che contribuiscono allo sviluppo dell’IBD. Ricerche scientifiche suggeriscono che l'IBD sia associato, infatti, ad uno squilibrio tra l’aumentata produzione di ROS e la diminuzione dell'attività antiossidante (Balmus et al., 2016; Khan I. et al., 2017; Kondamudi P. K. et al., 2015).

L’utilizzo di vari nutraceutici/alimenti funzionali che migliorino la permeabilità intestinale, l’endotossiemia metabolica e l’infiammazione dovuta ad una dieta iperlipidica sono riportati in letteratura. Alcuni esempi sono i probiotici (Kawano M. et al., 2016; Briskey D. et al., 2016), la pectina derivata dalla mela (Jiang T. et al., 2016; Wang S. et al., 2017) e la curcumina, un componente naturale della Curcuma longa or Curcuma domestica (Feng W. et al., 2017).

Sostanze naturali ed encefalo

I benefici apportati dall’utilizzo di sostanze naturali possono essere riscontrati anche a livello encefalico. In letteratura sono presenti alcuni studi al riguardo, per esempio nella ricerca di Charradi K. et al., (2017) viene studiato l’effetto protettivo di un estratto di uva verso la lipotossicità e lo stress ossidativo indotto da una dieta iperlipidica. In particolare le concentrazioni di MDA e delle proteine carbonilate del cervello, aumentate con la dieta iperlipidica, diminuiscono nei ratti trattati con l’aggiunta dell’estratto di uva. Anche in Smine S. et al., (2017) viene dimostrata la funzione protettiva di un estratto di semi e buccia di uva nei confronti dello stress ossidativo ed dell’alterata espressione proteica indotta da una dieta iperlipidica.

In un’altro studio di Martins M. V. et al., (2016) viene riportato come il trattamento di una dieta iperlipidica aumenti le concentrazioni di MDA ed diminuisca l’attività dell’enzima antiossidante SOD (superossido dismutasi) a livello encefalico. Sempre in questo lavoro la supplementazione con castagne della pianta Sapucaia in aggiunta alla dieta iperlidica porta ad un miglioramento dei parametri di stress ossidativo, diminuendo i livelli di MDA, ed aumenta l’attività della SOD.

Inoltre anche in un lavoro di Saliu J. A. et al., (2016) i ratti trattati con una dieta iperlipidica e una bassa dose di streptozotocina mostrano livelli di perossidazione lipidica nell’encefalo maggiori rispetto ai controlli. Questi valori rientrano nei ratti diabetici alimentati con foglie di una pianta africana (Padauk) conosciuta per il suo ampio contenuto in flavonoidi.

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