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Valutazione degli effetti di un estratto acquoso di Kavolì® nei confronti di steatosi epatica.

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea Magistrale in

Biologia Molecolare e Cellulare

TESI DI LAUREA

“Valutazione degli effetti di un estratto

acquoso di Kavolì® nei confronti di steatosi

epatica”

Relatori:

Candidata:

Dott. Vincenzo Longo

Martina Menchini

Dott.ssa Luisa Pozzo

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Indice dei contenuti

Indice dei contenuti...1

Abbreviazioni...4

Riassunto...7

Abstract ... 10

1. Introduzione... 12

1.1 Steatosi epatica e steatoepatite non alcolica (NAFLD e NASH)...12

1.1.1 Generalità della patologia... 12

1.1.2 Asse intestino-fegato... 17

1.1.3 Progressione del danno epatico (da NAFLD a NASH)... 20

1.1.4 Modello Sperimentale di NAFLD ... 29

1.1.5 Drug metabolism ... 31

1.1.6 Dieta iperlipidica ed encefalo... 40

1.2 Sostanze naturali e NAFLD...42

1.3 Brassicaceae...46

1.3.1 Brassicaceae: generalità ... 46

1.3.2 Attività antiossidante ... 47

1.3.3 Cottura delle Brassicaceae... 53

1.3.4 Il Kavolì®... 55

1.3.5 Brassicaceae e NAFLD ... 57

2. Scopo della tesi ... 59

3. Materiali e metodi... 60

3.1 Sostanze utilizzate...60

3.2 Caratterizzazione del profilo fenolico...60

3.3 Preparazione dell’estratto di Kavolì® ...60

3.4 Modello sperimentale...61

3.5 Parametri ematici...64

3.6 Preparazione delle frazioni microsomiali e citosoliche...64

3.7 Determinazione del contenuto di proteine ...65

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3.9 Perossidazione lipidica (MDA)...66 3.9.1 Misurazione fluorimetrica... 66 3.9.2 Misurazione spettrofotometrica ... 66 3.10 Carbonilazione proteica...67 3.11 Lipidi epatici ...68 3.12 Attività enzimatiche ...68 3.12.1 Etossicumatina-O-deetilasi (ECOD)... 68 3.12.2 p-Nitrofenolo idrossilasi (pNPH)... 69

3.12.3 Anilina idrossilasi (AnH) ... 69

3.12.4 Eme ossigenasi (HO-1) ... 70

3.12.5 DT-diaforasi (NAD(P)H chinone ossidoreduttasi-NQO1)... 70

3.13 Estrazione dell’RNA e preparazione del cDNA...70

3.13.1 Estrazione dell’RNA totale ... 70

3.13.2 Quantificazione e controllo dell’RNA... 71

3.13.3 Trattamento con DNasi e retrotrascrizione dell’RNA... 71

3.14 Real Time PCR...72

3.15 Analisi istologica...73

3.16 Analisi statistica ...75

4. Risultati ... 76

4.1 Caratterizzazione del profilo fenolico del Kavolì®...76

4.2 Incremento ponderale, peso relativo del fegato e consumo giornaliero dell’alimento 77 4.3 Parametri ematici...78

4.4 Contenuto dei lipidi epatici ...82

4.5 Indici di stress ossidativo nel fegato...83

4.6 Attività degli enzimi microsomiali...85

4.7 Attività degli enzimi citosolici...88

4.8 Analisi dell’espressione genica...88

4.9 Analisi istologica del tessuto di fegato ...91

4.10 Indici di stress ossidativo nel colon ...92

4.11 Indici di stress ossidativo nell’encefalo ...93

5. Discussione ... 96

(4)
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Abbreviazioni

ALT = alanina aminotransferasi ANOVA = Analysis of Variance

ARE = Antioxidant Responsive Element AST = Aspartato Aminostransferasi cDNA = DNA complementare CLR = C-type Lectin Receptor

CTGF = Connective Tissue Growth Factor DTNB = Acido 2,2-dinitro-5,5-ditiodibenzoico FDA = Food and Drag Administration

FAS = Fatty Acid Synthase FFA = Free Fatty Acid GSH = glutiatione ridotto HCV = Hepatitis C virus

HDL = High Density Lipoprotein HNE = Idrossinoneale

HO-1 Heme oxygenase-1 IBD =Inflammator Bowel Diseas IL = Interleuchina

INOS = inducibile Nitric Oxide Synthase IKK = IKB Kinase

IRS = Insulin Receptor Substrate

Keap 1 = Kelch-like ECH associanting protein LDS = Low Density Lipoprotein

LPS = lipopolisaccaride

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MDA = malondialdeide mRNA = RNA messaggero NKT = Natural Killer T

NQOI = NAD(P)H:chione ossidoreduttasi NAFLD = Non Alcoholic Fatty Liver Disease NASH = Non Alcoholic Steato Hepatitis NFKB = nuclear factor kappa B

Nfr2 = Nuclear factor erythroid 2-related factor 2 PCR = Polimerase Chain Reaction

PPAR-α = Peroxsome Proliferator-Activated Receptor- α PPARy = Peroxisome Proliferator-Activated Receptor-y RE = Reticolo Endoplasmatico

RNA = Acido ribonucleico

ROS = Reactive Oxygen Substances RT-PCR = Reverse Transcription PCR SAM = S-adenosilmetionina

SCFA = Short Chain Fatty Acid

SREBP =Sterol regulatory element-binding proteins STZ = streptozoticina

T1DM = Type 1 Diabetes Mellitus T2DM = Type 2 Diabetes Mellitus TGF-β= Transforming Growth Factor-β TLR = Toll-Like Receptor

TNF- α = Tumor Necrosis Factor- α WAT = White Adipose Tissue WT = Wild Tipe

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Riassunto

La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) rappresenta una patologia epatica in aumento nei paesi sviluppati. La NAFLD è una delle cause più frequenti di alterazione delle funzioni del fegato ed è caratterizzata dall’infiltrazione di trigliceridi negli epatociti. Queste patologie si possono manifestare come semplice steatosi (con accumulo di lipidi negli epatociti) o steatoepatite non alcolica (NASH), caratterizzata da un aumento di infiammazione, fibrosi, stress ossidativo e un marcato danno epatico. L’accumulo di lipidi nel fegato e lo sviluppo di NAFLD sembra essere correlato allo stile di vita, all’alimentazione, all’obesità, ma anche alla presenza di alcune malattie metaboliche come il diabete.

Gli studi che correlano l’assunzione di alimenti di origine vegetale e lo stato di salute degli individui hanno assunto sempre maggior importanza negli ultimi anni. Oggetto di alcune di queste ricerche sono le piante appartenenti alla famiglia delle Brassicaceae. Nella presente tesi sono stati valutati i possibili effetti protettivi e anti-steatotici del Kavolì®, una Brassica oleracea var. acephala prodotta grazie a particolari tecniche agronomiche e raccolta ad uno stadio giovane, in ratti con steatosi non alcolica (NAFLD). Sono stati valutati inoltre alcuni parametri di stress ossidativo nell’encefalo e nel colon poiché, secondo recenti studi, la dieta potrebbe influenzare non solo l’asse intestino fegato, ma anche il sistema nervoso centrale.

Al fine di sviluppare un modello di steatosi umana, in presenza di diabete, nei ratti, è stato messo a punto un protocollo che combina una dieta iperlipidica, che causa insulino resistenza, con streptozotocina, che inibisce la funzione delle cellule β del pancreas favorendo l’iperglicemia.

Venti ratti maschi Wistar sono stati divisi in due gruppi: uno di controllo (CTR, n=5) alimentato con dieta standard (11% di energia derivante da grassi) e un altro alimentato con dieta iperlipidica (55% di energia derivante da grassi, 2% colesterolo). Quest’ultimo gruppo è stato trattato con una dose di streptozotocina (40 mg/kg p.v.), che induce apoptosi delle cellule β del pancreas e conseguente sviluppo del diabete, dopo un mese di dieta iperlipidica. I ratti che hanno sviluppato iperglicemia (>250 mg/dl) sono stati ulteriormente suddivisi in due gruppi: uno che ha continuato a ricevere esclusivamente dieta iperlipidica (DIPL, n=8) e l’altro al quale sono stati somministrati

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contemporaneamente dieta iperlipidica e un estratto acquoso di Kavolì® (1g/kg p.v.) (DIPL+KAV, n=7) per 6 settimane. Al termine dell’esperimento gli animali sono stati sacrificati prelevando campioni di sangue, fegato, encefalo e intestino (colon).

Sono stati quindi analizzati i diversi effetti attraverso la misurazione dei parametri ematici, la determinazione di alcune attività degli enzimi del drug-metabolism e la quantificazione del contenuto lipidico epatico. Per quanto riguarda i parametri ematici, le concentrazioni di colesterolo totale, glicemia, trigliceridi, bilirubina, ALT e AST sono significativamente aumentati nei ratti alimentati con dieta iperlipidica rispetto ai ratti di controllo, inoltre negli animali trattati con Kavolì® i valori delle ALT sono significativamente diminuiti. I livelli di insulina sono significativamente diminuiti nel gruppo dei DIPL rispetto al controllo così come nel gruppo dei ratti sottoposti a trattamento con Kavolì®. La presenza di steatosi è stata verificata attraverso la quantificazione dei lipidi nel tessuto epatico, che è risultata marcatamente aumentata nei ratti trattati con dieta iperlipidica e significativamente ridotta nei ratti trattati con Kavolì®.

Sono state determinate le attività marcatrici del CYP2E1 (anilina idrossilasi e p-nitrofenolo idrossilasi) le quali sono aumentate significativamente nel gruppo DIPL rispetto al controllo; non c’è stato però un ripristino dei valori nel gruppo DIPL+KAV. È stata determinata anche l’attività dell’ECOD, marcatrice del citocromo totale, la quale risulta indotta nel gruppo DIPL e DIPL+KAV.

Il dosaggio del glutatione nel fegato, encefalo e colon non mostra differenze significative.

La quantità di proteine carbonilate nel fegato ed encefalo è risultata significativamente maggiore nel gruppo dei ratti trattati con dieta iperlipidica e significativamente ridotta nel gruppo DIPL+KAV rispetto al gruppo DIPL e lo stesso andamento è mostrato per i valori di MDA in entrambi gli organi.

È stata effettuata l’analisi istologica, mediante la colorazione ematossilina-eosina, sui campioni di fegato, la quale ha confermato la presenza di steatosi ed ha evidenziato inoltre la presenza di infiltrato infiammatorio nel gruppo DIPL. Nel gruppo DIPL+KAV sembra esserci un miglioramento soprattutto riguardo alla presenza di infiammazione. Mediante real time PCR è stata analizzata l’espressione genica di TNF-α e IL-6. Queste citochine pro-infiammatorie mostrano livelli di mRNA maggiori nel gruppo DIPL e i valori

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si riducono nel gruppo trattato con l’estratto di Kavolì® (in modo significativo solo per TNF-α). Inoltre è stata analizzata l’espressio ne dei geni dell’eme ossigenasi 1 e DT-diaforasi. I livelli di espressione genica dell’eme ossigenasi 1 mostrano un aumento nel gruppo DIPL e una diminuizione nel gruppo DIPL+KAV. L’espressione genica della DT-diaforasi non mostra differenze significative tra vari gruppi. Per questi ultimi due enzimi è stata valutata anche l’attività che mostra un andamento simile all’espressione genica. L’eme ossigenasi 1 risulta indotta in modo significativo nei DIPL e la sua attività si riduce significativamente nel gruppo DIPL+KAV. I valori dell’attività della DT-diaforasi non mostrano variazioni significative.

La somministrazione del Kavolì® (1g/kg p.v.) ha diminuito il contenuto lipidico epatico, migliorado la steatosi. Inoltre, ha mostrato un effetto antiossidante ed antinfiammatorio a livello del fegato, migliorando i livelli di stress ossidativo, e diminuendo la presenza di infiltrato infiammatorio e l’espressione genica delle citochine infiammatorie. Infine anche a livello encefalico l’estratto acquoso di Kavolì® ha dimostrato migliorare i livelli di stress ossidativo.

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Abstract

Nonalcoholic fatty liver disease (NAFLD) is one of the most common chronic liver disorders worldwide. NAFLD is mainly characterized by an accumulation of lipids in the liver.

This pathology covers a wide range of changes in the liver, ranging from simple steatosis to non-alcoholic steatohepatitis (NASH), liver cirrhosis, and hepatocellular carcinoma. Metabolic disorders, such as lipid accumulation, insulin resistance, and inflammation, have been implicated in the pathogenesis of NAFLD, but the underlying mechanisms, including those that drive the progression of the disease, are not fully understood. The lipid accumulation in the liver seems to be related to lifestyle, nutrition, obesity but also to the presence of other metabolic diseases such as diabetes.

The aim of this study was to discusse the antisteatotic and protective effect of Kavolì®, a Brassica oleracea var. Acephala, in rats with fatty liver disease.

In order to model the development and metabolic characteristics of human steatosis in the presence of diabetes in rats, a protocol was developed which combines a high fat diet (HFD) with a low dose of streptozotocin (40 mg/kg b.w.) that causes diabetes inducing a partial β-cells apoptosis.

Some parameters of oxidative stress in the brain and colon was also evaluated because, according to recent studies, the diet may affect not only the gut-liver axis but also the encephalic system.

Twenty Wistar rats were treated for 10 weeks. During the first four weeks the rats were divided into two groups: the control group (CTR, n=5) fed with standard diet (11% of energy from fats) and the high fat group fed with high fat diet (55% of energy from fat, 2% of cholesterol). After one month the second group was injected with a low dose of streptozotocin (40 mg/kg b.w.). The rats with hyperglycemia (glucose concentration >250 mg/dl) were divided into two groups: one treated with only high fat diet (DIPL, n=8) and the other fed with high fat diet and an aqueous extract of Kavolì® (1g/kg b.w.) by gavage (DIPL+KAV, n=7).

ALT, AST, cholesterol, glucose, triglycerides, were measured on blood samples and resulted increased in DIPL and DIPL+KAV group. Only the ALT values were decreased in

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DIPL+KAV group. The level of blood insulin was also evaluated and was resulted decreased in DIPL and DIPL+KAV group.

Hepatic lipid quantification showed the presence of steatosis in DIPL group and this lipid content significantly decreased in DIPL+KAV. Histological analyses (hematoxylin-eosin stain) were performed in liver samples showing the presence of steatosis and inflammation in DIPL group. The presence of inflammation seems decrease in the DIPL+KAV group. Expression of genes involved in inflammatory response (TNF-α and IL-6) were analyzed in liver samples by real-time PCR. The values of TNF-α increased in DIPL group and decreased significantly in DIPL+KAV group.

A significant rise in ECOD activity and in markers of CYP2E1 was observed in DIPL group. The aqueous extract of Kavolì® did not seem to have any effect on these activities. Glutathione content, lipid peroxidation and protein carbonilation were measured in liver, encephalus and colon samples. Glutathione content did not show significant variations. Lipid peroxidation and protein carbonilation showed a rise in DIPL group and a significantly reduction in DIPL+KAV group, in both brain and liver. Oxidative stress parameters did not show significant variations in colon samples.

Heme oxygenase-1 activity and antioxidant activity of DT-diaphorase were measured on liver samples. Heme oxygenase-1 activity resulted significantly increased in DIPL group and decresed in DIPL+KAV. DT-diaphorase activity did not show significant variations. In conclusion, the aqueous extract of Kavolì® improved the hepatic steatosis and showed an antioxidant and anti-inflammatory activity in the liver and brain.

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1.Introduzione

1.1 Steatosi epatica e steatoepatite non alcolica (NAFLD e

NASH)

1.1.1 Generalità della patologia

La steatosi epatica è la più comune forma di malattia epatica cronica ed è una patologia sempre più diffusa e in aumento nei paesi occidentali. Stime attuali provenienti da diverse fonti indicano che il 30% della popolazione generale risulta affetta da steatosi epatica non alcolica (Non Alcoholic Fatty Liver Disease, NAFLD) con una percentuale che arriva al 5-10% nei bambini e adolescenti negli Stati Uniti e al 75% nella popolazione obesa (Trauner M. et al., 2010).

Questa patologia si può manifestare, in una fase iniziale, come semplice steatosi (NAFLD) contraddistinta da un accumulo di lipidi negli epatociti e successivamente come steatoepatite (Non Alcoholic Steato Hepatitis, NASH), caratterizzata da un aumento di infiammazione, fibrosi, stress ossidativo con un marcato danno epatico. La NASH può poi aggravarsi ulteriormente fino a cirrosi e/o epatocarcinoma.

La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) è una condizione benigna dalla quale è possibile un recupero eliminando la causa iniziale, ad esempio un’alimentazione scorretta (Vornoli A. et al., 2014). L’accumulo di lipidi nel fegato, infatti, sembra essere correlato alla dieta o allo stile di vita in generale. Ad esempio l’eccessivo consumo di alcol è associato a steatosi epatica e, in questo caso, c’è la possibilità di regressione della patologia, se ne viene interrotta l’assunzione. L’obesità è un altro importante fattore di rischio (il 90% dei soggetti fortemente obesi presenta steatosi epatica), generalmente anche qui dopo la perdita di peso si ha un miglioramento della patologia. Altre malattie metaboliche, ad esempio come il diabete mellito di tipo due, le dislepidemie, la galattosemia, e le malattie metaboliche ereditarie, sono correlate con lo sviluppo di steatosi. La NAFLD ha una forte associazione infatti con il diabete di tipo due (la steatosi risulta presente nel 70% degli individui con questo tipo di diabete). Altre cause specifiche di steatosi che devono essere considerate comprendono, ad esempio disturbi metabolici, lipodistrofia e abetalipoproteinemia, cause nutrizionali come la rapida

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perdita di peso, il bypass digiuno-ileale e l’utilizzo di farmaci come metotraxato, amidodarone, tamoxifene e glucocorticoidi (Burt A. D. et al., 1998; Dowman J. K. et al., 2010;). Lo sviluppo della NAFLD può essere influenzato sia da fattori ambientali, sia da fattori genetici ad esempio mutazioni che contribuiscono ad un aumento nella sintesi e nell’assorbimento dei lipidi o decremento dell’esportazione. Difetti della lipasi ATGL (adipose triglyceride lipase) e della lipoproteina a bassa densità LDL (low density

lipoprotein) sono stati dimostrati essere causa di steatosi in alcuni studi (Hassan K. et al.,

2014).

Possiamo distinguere due tipi di steatosi: la steatosi epatica FLD (fatty liver disease) dovuta ad un eccessivo consumo di alcol AFLD (alcoholic fatty liver disease) o la steatosi non alcolica NAFLD (non-alcoholic fatty liver disease) dovuta ad altre cause. È difficile distinguere tra AFLD e NAFLD basandosi sulle caratteristiche morfologiche; infatti lo spettro indistinguibile delle caratteristiche istologiche sia in AFLD e NAFLD suggerisce una possibile convergenza dei meccanismi patogenetici almeno nel momento critico che consente la progressione della steatoepatite verso la cirrosi e cancro del fegato. A partire da una prospettiva patogenetica, FLD può essere considerata una singola malattia con più eziologie.

Quando l’apporto calorico supera molto il fabbisogno energetico dell’organismo, l'energia eccedente, non consumata viene conservata sotto forma di trigliceridi (TG) nel tessuto adiposo predisponendo il paziente a rischio di obesità (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

Nella grande maggioranza dei pazienti, la NAFLD si sviluppa in associazione con caratteristiche di insulino resistenza (IR) e con la sindrome metabolica (Dowman J. K. et al., 2010). Secondo alcuni studi inoltre la resistenza all'insulina associata all’obesità sembra fungere da evento patogeno responsabile della sindrome metabolica, la quale è una condizione clinica comprendente un insieme di fattori predisponenti che, uniti insieme, portano ad un maggior rischio per malattie come il diabete mellito di tipo due, la dislipidemia, l’aterosclerosi, l’ipertensione, e la steatosi epatica (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

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Ruolo del fegato nell’omeostasi energetica

Il fegato gioca un ruolo centrale nel regolare l’omeostasi energica del corpo avendo la capacità di metabolizzare glucosio e acidi grassi. Quando l'apporto energetico è abbondante, i mammiferi preferenzialmente bruciano carboidrati per generare ATP e un eccesso di glucosio, il quale viene trasformato in glicogeno e viene convertito in acidi grassi (lipogenesi) per l'uso nella sintesi e stoccaggio di lipidi (TG) in tessuto adiposo bianco. Oltre al tessuto adiposo (serbatoio illimitato per accumulare TG), anche il fegato è in grado di immagazzinare notevoli quantità di lipidi. Negli stati a digiuno, quando i livelli di disponibilità glucosio e insulina sono bassi, c'è un impoverimento delle riserve di glicogeno epatico e una riduzione della produzione di acidi grassi. In queste condizioni, i trigliceridi immagazzinati nel tessuto adiposo vengono idrolizzati ad acidi grassi liberi e mobilitati in plasma per raggiungere il fegato. Nel fegato sono convertiti in corpi chetonici da utilizzare come combustibile per tessuti extraepatici.

L’aumentato contenuto di lipidi nella steatosi epatica può essere dovuto:

1) una dieta ricca di grassi (TG) che raggiungono il fegato come particelle chilomicroni dal livello intestinale;

2) aumento della sintesi TG nel fegato da acidi grassi formati dalla de novo lipogenesi; 3) eccessivo afflusso di acidi grassi nel fegato dalla lipolisi del tessuto adiposo in stati obesi e insulino-resistenza e successiva conversione in TG;

4) diminuita esportazione dei lipidi dal fegato in lipoproteine a bassa densità; 5) ridotta ossidazione degli acidi grassi.

Livelli alti di insulina sopprimono la produzione e aumentano l'assorbimento del glucosio epatico migliorando la lipogenesi nel fegato. In sostanza, le perturbazioni che hanno effetto sull’afflusso di acidi grassi nel fegato, sulla loro sintesi de novo, e sulla conversione di TG e/o ossidazione per generare ATP, contribuisce a disturbi epatici dell’omeostasi lipidica (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

Patogenesi della NAFLD

La patogenesi della NAFLD è multifattoriale e comprende una serie di eventi che si sovrappongono. L'accumulo di grasso negli epatociti (steatosi) e l'inizio della steatoepatite possono riflettere fasi successive alla FLD (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

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La storia naturale della NAFLD non è stata del tutto chiarita. La steatosi epatica rappresenta un eccessivo accumulo di grassi (trigliceridi) nelle cellule parenchimali epatiche (epatociti), e si verifica in condizioni eziologicamente diverse.

Esistono fattori non genetici che predispongono all’insorgenza di NAFLD: le abitudini alimentari, lo stress cronico, l’inattività e lo stile di vita.

La diffusione della steatosi inoltre correla fortemente con l’incremento dei casi di obesità e diabete, nei paesi occidentali si stima un’incidenza del 30% che raggiunge 90% negli individui con obesità grave. È stata evidenziata anche una forte correlazione della NAFLD con il diabete di tipo due (il 70% dei pazienti diabetici, esaminati con ultrasuoni, presenta steatosi) (Nobili V. et al., 2015).

La progressione dalla semplice steatosi a stadi avanzati della malattia sembra essere lenta nella maggior parte dei pazienti e richiede spesso anni. Non è chiaro se tutti i pazienti con semplice steatosi sono a rischio di steatoepatite e fibrosi avanzata. A differenza dei pazienti con semplice steatosi, quelli con NASH hanno un più alto rischio di morte per malattie cardiovascolari ed epatiche.

La NAFLD generalmente inizia come steatosi epatica in una forma blanda, e come già accennato, se ciò che l’ha causata persiste, questa progredisce invariabilmente a steatoepatite, e successivamente può arrivare a cirrosi e cancro del fegato.

Il ruolo dei diversi fattori nell’evoluzione della steatosi epatica in steatoepatite sono difficili da stimare, ma sembra che le gocce lipidiche all’interno degli epatociti provochino progressivamente la rottura e la morte di queste cellule. Gli epatociti rotti o apoptotici rilasciano TG, che, insieme agli acidi grassi a catena molto lunga non metabolizzati, contribuiscono ad aumentare il danno epatico (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006). Un fattore responsabile della deposizione di grasso può anche derivare dal fatto che la capacità epatica di ossidare (ruolo svolto dal recettore dei perossisomi,

peroxisome proliferator-activated receptor-α, PPAR-α), immagazzinare ed esportare

acidi grassi come TG, è sopraffatta dall’eccessivo flusso degli acidi grassi dalla periferia (principalmente dal tessuto adiposo bianco, White Adipose Tissue, WAT) o dalla de novo lipogenesi epatica. Un’alterata espressione di proteine per il trasporto (fatty acid

transport protein, FATP) e per il legame (fatty acid binding proteins, FABP) di acidi grassi

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dei perossisomi PPAR-α e PPAR-ϒ (Peroxisome Proliferator-Activated Receptor-y) e la stimolazione di SREBP-1 (Sterol regulatory element-binding proteins-1) (molecole che controllano, rispettivamente, i geni che codificano per gli enzimi responsabili per l'ossidazione e per la sintesi degli acidi grassi) sembrano contribuire al carico lipidico complessivo nel fegato.

Nella steatosi epatica la resistenza all'insulina sembra avere un ruolo centrale nello sviluppo e nella progressione della patologia. Pazienti con NAFLD presentano una ridotta sensibilità all’insulina in tutto il corpo: a livello del muscolo, nel tessuto adiposo bianco (White Adipose Tissue, WAT) e nel fegato. Sembra che un’alterata attività dell’insulina periferica porti ad attivazione della lipolisi nel tessuto adiposo bianco (il quale è incapace di captare il segnale inibitorio dell’insulina) risultando in un aumento nell’efflusso di acidi grassi verso il fegato; inoltre aumenta la de novo lipogenesi epatica per compesare l’iperinsulinemia. Questi due fattori contribuiscono all’accumulo di trigliceridi nel fegato. Studi che utilizzano isotopi per etichettare acidi grassi provenienti dal WAT indicano che sono almeno il 60% i trigliceridi epatici derivati da FA provenienti dal tessuto adiposo bianco in pazienti con NAFLD, mentre la de novo lipogenesi epatica contribuisce per un 25% alla presenza di acidi grassi nel fegato (Trauner M. et al., 2010). Nella lipolisi dal tessuto adiposo, il glucagone e l’epinefrina influenzano l’attività di alcune lipasi come la lipasi ormone sensibile HSL (hormone-sensitive lipase) e la lipasi ATGL (adipose triglyceride lipase). L’idrolisi dei trigliceridi da parte di queste lipasi crea acidi grassi liberi (free fatty acids, FFA) nel fegato che possono avere destini diversi: possono andare incontro a β-ossidazione, ad esterificazione per formare trigliceridi e portare ad un accumulo di energia all’interno degli epatociti o possono essere incorporati in lipoproteine (VLDL) ed esportati come colesterolo (Hassan K. et al., 2014). Il WAT, in quanto organo endocrino, secerne un gran numero di proteine chiamate adipochine o adipocitochine che possono influenzare la sensibilità all’insulina. Differenti studi suggeriscono che il WAT viscerale è il maggior contribuente per l’accumulo di FA nel fegato (Trauner M. et al., 2010).

La de novo lipogenesi nel fegato è regolata principalmente da due noti fattori di trascrizione: SREBP-1c (Sterol regulatory element-binding proteins-1), ChREBP (Carbohydrate-responsive element-binding protein) che controllano i geni chiave della lipogenesi garantendo la conversione dell’acetil-CoA in acidi grassi. Le concentrazioni di

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insulina e glucosio influenzano la sintesi degli acidi grassi. L'attivazione di geni responsabili per la lipogenesi nel fegato avviene attraverso l’insulina ed è trascrizionalmente mediata da SREBP-1c. È stato dimostrato che la sovraespressione di SREBP-1c in topi transgenici porta ad una steatosi causata da un aumento lipogenesi (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

Il fattore di trascrizione per gli steroli (SREBP-1c, isoforma esclusiva del fegato) è regolato sia dall’insulina che dal recettore nucleare dei lipidi (LXRα) che è attiva to dai suoi ligandi ovvero gli ossisteroli (Hassan K. et al., 2014)

Il 15% dei TG epatici derivano dalla dieta (oltre che dal tessuto adiposo e dalla de novo lipogenesi, come già detto). I lipidi derivati dalla dieta sono trasportati attraverso particelle lipoproteiche, i chilomicroni, nel sistema linfatico e circolatorio e condotti al tessuto adiposo ed epatico (Hassan K. et al., 2014; Mota M. et al., 2016).

In modelli animali ad esempio è stato dimostrato che una dieta ricca di carboidrati (spesso anche carboidrati semplici come fruttosio) e grassi stimola la de novo lipogenesi e diminuisce l’ossidazione di lipidi; Conseguentemente questo può promuovere la sintesi di FFA e la formazione di trigliceridi (Trauner M. et al., 2010; Hassan K. et al., 2014).

1.1.2 Asse intestino-fegato

L’insieme dei microrganismi che vivono in pacifica coesistenza con il loro ospite umano viene definito “microbiota”. Il microbiota umano consiste di una biomassa costituita da non meno di 1014cellule batteriche e rappresenta un ecosistema batterico formato da

molte nicchie ecologiche che ospitano numerosissime specie e una notevole quantità di ceppi.

Il microbiota partecipa alla formazione della barriera intestinale, la quale è importante nel conferire resistenza contro patogeni esterni, inoltre è coinvolto nella fermentazione del cibo non digerito ed altre sostanze endogene, come il muco per produrre acidi grassi a catena corta (SCFAs) che svolgono nell’uomo numerose funzioni fisiologiche a livello di diversi organi come muscoli, cuore, cervello e fegato (Resta S. C., 2009).

Di recente interesse è il ruolo potenziale di nutraceutici/alimenti funzionali utilizzati nel mitigare problemi di salute specialmente del tratto gastro-intestinale. Il tratto

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gastrointestinale è sterile alla nascita; la microflora intestinale si sviluppa dopo la nascita, con il tasso di colonizzazione che varia a seconda di fattori quali la modalità di nascita, genotipo dell’ospite, nutrizione infantile, l'uso di antibiotici, dieta e l'età. La salute intestinale determina la salute generale di un individuo, infatti l’intestino umano, attraverso il microbiota, svolge numerose funzioni tra le quali:

a) contribuisce alla digestione rendendo disponibili i nutrienti derivati dagli alimenti b) facilita l'assorbimento delle sostanze nutritive nel sangue attraverso le pareti intestinali

c) protegge dall’entrata di molecole estranee e tossiche nel flusso sanguigno modulando l’immunità.

Il malfunzionamento dell’intestino, di conseguenza, ha un impatto negativo diretto sulla salute umana (Cencic A. et al., 2010).

Molti studi suggeriscono una forte interazione tra flora intestinale e fegato. Per la sua posizione anatomica, il fegato infatti riceve il 70% del sangue dall'intestino attraverso la vena porta, quindi rappresenta la prima linea di difesa contro gli antigeni derivanti dall’intestino ed è uno degli organi più esposti ai fattori tossici derivanti dallo stesso, come batteri o prodotti batterici (Wisnewsky J. A. et al., 2013).

Evidenze attuali suggeriscono che il microbiota intestinale svolga un ruolo chiave nello sviluppo del fegato grasso, fibrosi e sviluppo di necroinfiammazione, e diventa così un fattore endogeno che favorisce lo sviluppo di NAFLD. Il collegamento tra l'asse fegato-intestino e la NAFLD è associata con proliferazione batterica nel piccolo fegato-intestino e aumento della permeabilità intestinale. L'intestino possiede una serie complessa di specie di microrganismi, la cui concentrazione e tipo è principalmente influenzata dal genotipo dell’ospite, dalla dieta, dallo stile di vita e dall’uso di antibiotici (Rodas M. C. H. et al., 2015).

Il microbiota può contribuire allo sviluppo e progressione di NAFLD attraverso diversi meccanismi: modulazione della permeabilità intestinale che promuove endotossiemia (il lipopolisaccaride LPS) e altri prodotti microbici che portano ad infiammazione sistemica ed epatica, modulazione del metabolismo della colina (richiesta per la sintesi delle lipoproteine VLDL e per l’esportazione dei lipidi dal fegato), generazione di etanolo endogeno, ammoniaca, acetaldeide (che dovranno essere metabolizzati dal fegato),

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modulazione dell’omeostasi degli acidi biliari (Kirpich I. A. et al., 2015; Machado M. V. et al., 2016)

Questi fattori possono compromettere la funzionalità della barriera intestinale causando danno alle cellule epiteliali intestinali stesse (Enomoto E. et al., 2000).

Il collegamento tra l'asse fegato-intestino e NAFLD è associata sia alla proliferazione batterica nel piccolo intestino che all’aumento della permeabilità intestinale. Quest’ultima porta alla traslocazione dei prodotti batterici (come etanolo e LPS) dall’intestino nella circolazione sistemica e attraverso il collegamento funzionale e anatomico, il sistema della vena porta, arrivano al fegato. L’esposizione di quest’organo a prodotti batterici di derivazione intestinale aumenta e questi promuovono l’infiammazione epatica.

Il contributo della microflora quindi nella progressione di NAFLD è dato principalmente dall’aumento di stress ossidativo epatico come risultato di un aumento della produzione di etanolo e LPS nel lume intestinale. Questo lipopolisaccaride (LPS) è un componenete della parete dei batteri Gram negativi che lega uno specifico recettore toll like

receptor-4 (TLR-receptor-4). I Toll-Like Receptors sono deputati al riconoscimento di una grande varietà di

molecole, riconoscono molecole come le PAMPs (pathogen associated molecular

patterns), componeneti unici dei microorganismi non prodotti dall’ospite come LPS, e le

DAMPS (damage associated molecular patterns), molecole prodotte dall’ospite durante l’infiammazione come ad esempio le HSP (heat shock protein).

TLR-4 è un recettore che si ritrova in molti tipi di cellule come le cellule di Kupffer, gli epatociti e HSC (Hepatic Stellate Cell), è specifico per alcune endotossine batteriche come LPS e può promuovere infiammazione epatica e sistemica attraverso il successivo rilascio di citochine infiammatorie (TNF-α) e interleuchine (IL-6, IL-8, IL-12) grazie all’attivazione di NF-kB nel fegato (Alisi A. et al., 2012; Machado M. V. et al., 2016; Wisnewsky J. A. et al., 2013). Elevate concentrazioni di citochine possono ulteriormente aumentare la permeabilità intestinale mediante l’interruzione delle giunzioni strette intercellulari, con conseguente aumento di infiammazione e successivo sviluppo di fibrosi nel fegato.

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1.1.3 Progressione del danno epatico (da NAFLD a NASH)

La steatosi epatica inizialmente si basa su un accumulo di lipidi nel fegato ed è considerata una forma blanda, reversibile, e in larga misura non progredisce se c'è cessazione o rimozione della causa sottostante. La progressione a steatoepatite (NASH) è influenzato dalla persistenza e dalla gravità della causa scatenante (Chen G. et al., 2016).

La NASH rappresenta una steatosi macrovescicolare con associazione di caratteristiche di necroinfiammazione quali epatociti a mongolfiera, cellule apoptotiche, presenza di corpi ialini del Mallory e infiltrazione di cellule infiammatorie e macrofagi (Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

Nello sviluppo di questa forma maggiormente aggressiva di steatosi sembrano contribuire sia fattori genetici che ambientali poiché non tutti i pazienti con NAFLD sviluppano NASH nello stesso modo. Alcuni possono progredire da NAFLD a NASH in poco tempo, altri possono metterci anni o non sviluppare mai steatoepatite.

Inizialmente le teorie per la patogenesi di NASH erano basate sull’ “ipotesi dei due colpi”. Un primo colpo prevedeva l’accumulo di trigliceridi epatici e questo avrebbe reso il fegato più suscettibile allo sviluppo di un maggior danno cellulare. Successivamente, infatti, un secondo colpo (attraverso, per esempio, farmaci o tossine) provoca l’attivazione di citochine infiammatorie, disfunzione mitocondriale, stress ossidativo che porta ad una progressione della steatosi e sviluppo di NASH. Tuttavia, c’è un crescente riconoscimento del ruolo che gli acidi grassi liberi (FFA) svolgono nel promuovere direttamente il danno epatico, che ha portato alla modifica di questa teoria. Nel caso di obesità e di IR vi è un aumentato afflusso di FFA al fegato. Questi FFA sono sottoposti a β-ossidazione o sono esterificati con glicerolo per formare i trigliceridi, con conseguente accumulo di grasso epatico. Gli acidi grassi liberi possono causare direttamente tossicità aumentando lo stress ossidativo (le specie reattive dell’ossigeno a danno delle cellule epatiche) e l’attivazione delle vie infiammatorie. L’accumulo di trigliceridi epatici, di conseguenza, può essere visto come un meccanismo di protezione che previene gli effetti tossici degli acidi grassi liberi. Inoltre, un ulteriore componente, o “terzo colpo” è stato aggiunto per riflettere sull’inadeguata proliferazione degli epatociti (Dowman J.K. et al., 2010). Nel fegato sano, infatti la morte cellulare stimola la replicazione degli

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epatociti maturi che sostituiscono le cellule morte per ricostituire la normale funzione del tessuto. Tuttavia lo stress ossidativo, un elemento centrale nella patogenesi di NAFLD, inibisce la replicazione di epatociti maturi e provoca l'espansione delle cellule progenitrici epatiche (oval cell). Queste cellule possono differenziarsi in epatociti intermedi (hepatocyte-like cells), il cui numero insieme alle cellule ovali è strettamente correlato con la presenza di fibrosi. Questo suggerisce che la perdita cumulativa degli epatociti promuove sia l’accumulo di cellule progenitrici che la loro differenziazione. Queste cellule sono state anche correlate alla carcinogenesi epatocellulare. Nel danno epatico cronico, lo sviluppo di fibrosi e cirrosi dipende dall'efficacia della rigenerazione degli epatociti, e quindi la morte delle cellule con l’alterata proliferazione dei progenitori epatici rappresenta la proposta di “terzo colpo” nella patogenesi della NAFLD (Day C. P. e James O. F., 1998; Dowman J. K. et al., 2010)

L’ipotesi sopracitata, riguardante la funzione protettiva della conversione degli acidi grassi liberi in TG, è confermata da uno studio dove è stato dimostrato che l’inibizione del gene diacilglicerolo aciltransferasi 2 (DAGT2), enzima responsabile della reazione finale per la sintesi dei TG, migliora la steatosi in topi obesi e diabetici, ma aggrava il danno epatico e fibrosi. Il danno a livello degli epatociti infatti è dovuto principalmente alla produzione di ROS (specie reattive dell’ossigeno) dal metabolismo degli acidi grassi che causa morte cellulare (necrosi o apoptosi) e innesca infiammazione e fibrogenesi attraverso l’attivazione delle HSC (Trauner M. et al., 2010).

Un ruolo fondamentale, nella progressione da NAFLD a NASH, è svolto dalle cellule

Kupffer e dalle cellule stellate epatiche (HSC, hepatic stellate cells). L’attivazione delle

cellule di Kupffer porta al reclutamento di macrofagi che guidano la fagocitosi delle cellule necrotiche morenti; queste cellule inoltre inducono la formazione di TGF-β, fattore di trascrizione con funzioni fibrogeniche. Monociti e macrofagi che esprimono recettori per le chemochine, tra cui CCR2 e CCR5, si pensa essere coinvolti nella attivazione e la migrazione di cellule staminali emopoietiche attraverso TGF-β per promuovere la fibrosi epatica (Chen G. et all 2016). Delle varie isoforme di β, TGF-β1 è quella predominante in un fegato infiammato ed è stato suggerito che questa induca la trasformazione delle HSCs in miofibroblasti (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014). Le cellule stellate epatiche HSC (che normalmente hanno la funzione di accumulo di

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epatico e differenziare in miofibroblasti (HSC-attivate). Quest’ultime sono la maggior fonte di collagene e di altre proteine della matrice cellulare e sono causa della formazione di tessuto cicatriziale e abbondanti cellule necrotiche.

Stress ossidativo

Lo stress ossidativo, definito come uno sbilanciamento tra le specie chimiche ossidanti e quelle antiossidanti, rappresenta un meccanismo fondamentale e responsabile del passaggio da NAFLD a NASH.

L’aumento di specie reattive dell’ossigeno può derivare da sorgenti esogene o endogene. Tra quest’ultime si annoverano i vari organelli cellulari come i mitocondri, i perossisomi e il reticolo endoplasmatico (Phaniendra A. et al., 2015)

Un ruolo fondamentale in NAFLD e NASH è rivestito dai prodotti aldeidici di perossidazione lipidica: 4 idrossinonenale (HNE) e malondialdeide (MDA). La formazione di ROS in un mezzo ricco di grassi infatti induce danno alle membrane, agli organelli intracellulari e produce prodotti di perossidazione lipidica (Hruszkewycz A. M., 1988). I prodotti aldeidici di perossidazione lipidica possono legarsi covalentemente alle proteine epatiche formando addotti in grado di innescare una risposta immunitaria potenzialmente dannosa (Albano E. et al., 2005). L’MDA e l’HNE sono in grado di attivare le cellule stellate epatiche (la principale fonte responsabile della produzione di collagene all'interno del fegato) favoriscono la formazione dei corpi di Mallory, e stimolano la chemiotassi dei neutrofili (Zamara E. et al.,2004).

La monossigenasi microsomiale CYP2E1 è implicata nel danno agli epatociti e nella progressione a NASH promuovendo stress ossidativo, infiammazione, modifica di proteine e insulino-resistenza. Una quantità significativa di CYP2E1 è stata ritrovata nei mitocondri in pazienti NASH. Questo enzima idrolizza varie piccole molecole come FA ed etanolo in sottoprodotti tossici (anione superossido) che alterano la catena respiratoria e danneggiano i costituenti mitocondriali (Mota M. et al., 2016).

Le specie reattive dell’ossigeno rappresentano una delle principali cause di disfunzione mitocondriale. Alcuni studi suggeriscono che la disfunzione mitocondriale sia rilevante nella progressione da steatosi epatica a NASH (Trauner M. et al., 2010).

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Adipochine

L’omeostasi energetica è mantenuta dall’integrazione di diverse funzioni metaboliche come la lipogenesi, la lipolisi e l’ossidazione degli acidi grassi o è mediata attraverso il tessuto adiposo. Esistono due tipi di tessuto adiposo: quello bruno (BAT) e quello adiposo bianco (WAT). Quest’ultimo, essendo un organo endocrino, partecipa al bilancio energetico e secerne diversi fattori come le adipochine per comunicare attivamente con il fegato, il muscolo, e l'ipotalamo. A livello di questi organi le adipochine possono provocare il rilascio di citochine pro-infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale TNF-α, interleuchina IL -6 e la proteina chemiotattica dei monociti MCP-1 e questo aumenta lo stato infiammatorio e sopprime le adipochine anti-infiammatorie.

Sebbene il tessuto adiposo secerna la maggior parte delle adipochine, bisogna tenere in considerazione che queste vengono prodotte anche da altri organi, come accade per esempio nel tratto gastrointestinale.

Le adipochine rappresentano un gruppo eterogeneo di mediatori e sono principalmente adiponectina, leptina, ma anche resistina, visfatina, la grelina, e RBP4.

Nel 1999 è stata isolata un tipo di proteina della matrice chiamata adiponectina. L’adiponectina è un proteina (ormone), che si può ritrovare in forma globulare, trimerica e ad alto peso molecolare (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014; Stojsavljević S. et al., 2014). I livelli sierici di adiponectina sono stati trovati ridotti nei soggetti obesi, con diabete tipo 2 e IR. Studi in vitro e in vivo suggeriscono che i complessi oligomerici di adiponectina possono modulare le azioni biologiche di diversi fattori di crescita controllando la loro biodisponibilità a livello pre-recettoriale e che questo effetto potrebbe in parte spiegarne le funzioni anti-angiogeniche e anti–proliferative (Stojsavljević S. et al., 2014). L'adiponectina stimola la sensibilità all'insulina, diminuisce la produzione epatica di glucosio, aumenta l'utilizzo del glucosio e l'ossidazione di acidi grassi nel muscolo, fegato e tessuti periferici, quindi down-regola la secrezione di citochine pro-infiammatorie IL-6, IL-8 e MCP-1 (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014). Recenti studi hanno scoperto che il livello di adiponectina nel siero è molto più bassa nei pazienti con NAFLD rispetto ai non affetti. Questo suggerisce che l'adiponectina, come antagonista del fattore di necrosi tumorale-α (TNF-tumorale-α), ha effetti anti-lipogenici e anti-infiammatori in grado di proteggere il fegato dai danni, mantenendo l'equilibrio tra citochine pro-infiammatorie ed

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anti-L’altro principale ormone peptidico sintetizzato dagli adipociti (in quantità minori lo troviamo prodotto anche dal fegato e nel muscolo scheletrico) è la leptina. La sua espressione genica (codificata dal gene Lep/Ob) è regolata dall’assunzione di cibo, dagli ormoni e dallo stato infiammatorio generale. I segnali della leptina sono mediati attraverso uno specifico recettore di membrana (OB-R) e alcune vie di segnalazione che coinvolgono la PI3K (fosfatidil-inositolo-3 chinasi), AMPK (chinasi AMP-dipendente) e l’attivazione delle proteine JAK (Janus chinasi). La leptina agisce inoltre a livello dell’ipotalamo per ridurre l'appetito (Denver R. J. et al., 2011). Da alcuni studi in vitro sembra che la leptina potrebbe essere responsabile per l’aumento di ROS nel fegato inducendo le cellule di Kupffer a produrre TNF-α ed altre citochine (Dowman J. K. et al., 2010; Giby V. G. e Ajith T. A., 2014).

Alcuni stimoli infiammatori e infettivi, quali IL-1, lipopolisaccaridi (LPS) possono anche aumentare i livelli di leptina, che correlano con il livello di infiammazione. I livelli di leptina sono aumentati da citochine pro-infiammatorie e contribuiscono a perpetuare un ciclo di infiammazione cronica negli individui obesi. La leptina sembra partecipare ad entrambi i colpi nello sviluppo di NASH contribuendo anche a IR e regola inoltre le HSCs nel promuovere la fibrosi. In vari studi i livelli di leptina sono risultati alti in NASH infatti correlano con la presenza di steatosi e obesità (Stojsavljević S. et al., 2014).

In generale l’adiponectina ha effetti anti-fibrogenici e anti-steatotici nel fegato mentre la leptina ha effetti opposti ed è coinvolta infatti nella fibrogenesi (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014).

Citochine pro-infiammatorie

Le citochine pro-infiammatorie è un termine generale per indicare quelle citochine immunoregolatorie che favoriscono l'infiammazione. Esse rappresentano un gruppo eterogeneo di molecole secrete da vari tipi cellulari con numerosi effetti biologici. Agiscono infatti come pirogeni endogeni, up-regolano la sintesi di mediatori secondari e di altre citochine pro-infiammatorie. Le principali citochine pro-infiammatorie che sono state studiate nella patogenesi di NAFLD includono TNF-α α e IL-6.

TNF-α è la citochina pro -infiammatoria che agisce a vari livelli biologici: metabolico, infiammatorio, proliferativo ma anche necrotico, con una maggiore espressione nel fegato e nel tessuto adiposo rendendolo così un agente eziologico ottimale per NAFLD.

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Viene secreta dai macrofagi infiltrati nel tessuto adiposo di individui o animali obesi, dagli epatociti, dalle cellule di Kupffer, e altri tipi di cellule, come risposta all’attività infiammatoria cronica (Stojsavljević S. et al., 2014). TNF-α inoltre promuove l’insulino-resistenza legandosi al recettore dell’insulina. A conferma di questa azione è dimostrato in alcuni studi che l’inibizione del segnale di TNF-α migliori l’IR e i parametri istologici di NASH (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014). TNF-α stimola SREBP-1c e quindi la sintesi degli acidi grassi ed aumenta i TG ematici. Alti livelli di TNF-α sono correlati con la gravità della fibrosi epatica, infatti l’inibizione di tale citochina ha migliorato il quadro infiammatorio e fibrotico generale (Dowman J. K. et al., 2010; Hassan K. et al., 2014).

IL-6 è una citochina pleiotropica proinfiammatoria prodotta da adipociti, epatociti, cellule immunitarie e endoteliali (Stojsavljević S. et al., 2014).

L'interleuchina-6 (IL-6), è stato anche dimostrato essere presente ad alti livelli in NAFLD. Livelli alti di IL-6 sono stati correlati allo sviluppo di insulino-resistenza, diabete e steatosi sia negli animali che nell'uomo. Inoltre, come TNF, l’espressione di IL-6 è stata correlata con la gravità della malattia nei pazienti affetti da NASH (Hassan K. et al., 2014).

Istopatologia

La steatosi è caratterizzata da un contenuto di lipidi che supera il 5-10% rispetto al peso del fegato. Morfologicamente, la steatosi epatica si manifesta come accumulo di goccioline di grasso di grandi (macrovescicolare) o piccole (microvescicolare) dimensioni nel citoplasma delle cellule parenchimali del fegato, quindi si possono distinguere due tipi di steatosi.

La steatosi macrovescicolare è la più comune, la ritroviamo in epatiti alcoliche, negli obesi e diabetici così come in certi stati di malnutrizione. A livello istologico è caratterizzata da gocce lipidiche che si fondono tra loro ingrandendosi e formando un unico grande vacuolo di grasso, che riempie il citoplasma e sposta il nucleo alla periferia. Nella steatosi microvescicolare, gli epatociti sono occupati da numerose piccole goccioline lipidiche che non spostano il nucleo verso la periferia ma si distribuiscono intorno ad esso, il quale rimane posizionato centralmente.

La steatosi microvescicolare è dovuta ad anomalie genetiche o anomalie indotte da tossine e queste influenzano la β-ossidazione a livello mitocondriale o a livello dei

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progressiva e più grave. La steatosi macrovescicolare è quella maggiormente benigna e determinata da più fattori, caratterizzata da piccoli vacuoli lipidici che possono fondersi per diventare una grande goccia. In pazienti con AFLD e NAFLD di lunga data, la steatosi epatica è generalmente macrovescicolare e, in alcuni casi, si possono ritrovare insieme a macrovescicole anche alcune goccioline microvescicolari (Burt A. D. et al., 1998; Reddy J. K. e Rao M. S., 2006).

Infiammazione

L’alterazione delle funzioni mitocondriali in pazienti con NAFLD, dovute ad accumulo di lipidi e acidi grassi liberi, causa la formazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Questi ultimi causano stress ossidativo, perossidazione lipidica e innescano la produzione di citochine, causando infiammazione e successivamente possono portare a fibrogenesi (Chen G. et al., 2016).

JNK-AP1 è uno dei principali pathway di infiammazione. Il pathway che coinvolge JNK (chinasi N-terminale Jun) è stimolato dalla presenza di citochine, ma anche dalla comparsa di stress nel ER. Questa via di segnalazione contribuisce allo sviluppo di un’infiammazione cronica di basso grado e avvia la trascrizione di citochine pro-infiammatorie attraverso AP-1. JNK si ritrova attivato in modelli animali obesi con NAFLD. Topi knockout per le isoforme di JNK (JNK1 o JNK2) mostrano un miglioramento nella sensibilità all’insulina e nell’infiammazione epatica. JNK1 sembra essere coinvolto nel metabolismo lipidico poiché i knockout dell’isoforma JNK1 epatica portano ad un aumento dei livelli di TG nella circolazione sanguigna.

Un altro pathway di infiammazione è quello di NF-kB (Nuclear factor-kb), il quale risulta attivato in animali modello con NAFLD. NF-kB è un fattore di trascrizione che regola la risposta infiammatoria ed è attivato da IKK2 durante l’infiammazione acuta. La persistenza di attivazione di NF-kB negli epatociti dovuta all’over-espressione di IKK2 contribuisce alla sviluppo di un’infiammazione cronica con lo sviluppo di IR soprattutto a livello epatico e moderatamente anche a livello sistemico. Topi knockout per IKK2 a livello epatico mantengono la sensibilità all’insulina nel fegato, ma sviluppano IR a livello periferico nel muscolo e nel tessuto adiposo in risposta a dieta iperlipidica (Trauner M. et al., 2010)

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Il sistema immunitario è coinvolto nella progressione di NAFLD. L’attivazione degli isoenzimi del citocromo P450, in associazione con TNF-α promuove l’ossidazione degli acidi grassi liberi. Questo causa stress ossidativo ed aumento di ROS, i quali influenzano la risposta immunitaria in pazienti con NAFLD. Linfociti T (T cells), Cellule T Natural Killer (NKT), macrofagi hanno un impatto nella progressione da NAFLD a NASH. NKT risultano in numero ridotto in topi con danno epatico indotto da obesità suggerendo un ruolo delle cellule NKT nell’infiammazione stimolata da una dieta grassa. Le cellule di Kupffer (macrofagi residenti nel fegato) e i monociti sono associati con l’infiammazione e il rinnovo del tessuto attraverso la liberazione delle cellule necrotiche e apoptotiche, l’attivazione di miofibroblasti e la regolazione di citochine anti-infiammatorie e fattori di crescita come TGF-β (Chen G. et al., 2016).

Fibrogenesi

La fibrosi epatica consiste nella deposizione di proteine della matrice ad alta densità (collagene, proteoglicani, glicoproteine e glicosaminoglicani), prodotte principalmente dalle HSC (cellule stellate epatiche). Le HSC non attivate sono cellule con la funzione di accumulare vitamina A e si trovano nello spazio del Disse tra epatociti e endotelio sinuosoidale. L’attivazione delle HSC è considerata un fenomeno cruciale per la risposta fibrogenica e rende queste cellule capaci di proliferazione e di aumentare i prodotti della matrice. L’attivazione delle HSC coinvolge una cascata di eventi che include la stimolazione paracrina da cellule vicine principalmente dalle cellule di Kupffer attraverso l’azione di citochine e, soprattutto, del fattore di crescita TGF-β-1 (Trauner M. et al., 2010). Le HSC così attivate perdono la tipica forma a stella ed acquisiscono la capacità di produrre ECM (Extracellular Matrix) ed enzimi degradanti della matrice (come le metalloproteinasi MMP e inibitori tissutali di metallo proteinasi TIMP) (Lee S. J. et al., 2014).

Fegati con un'ampia steatosi rivelano la presenza di epatociti balloniformi sparsi che potrebbero rompersi e provocare fuoriuscita di materiale. La morte degli epatociti e le risposte infiammatorie portano all'attivazione di cellule stellate, che svolgono un ruolo fondamentale nella fibrosi epatica (Reddy J.K. e Rao M.S., 2006).

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suggerendo che queste cellule possano essere implicate nella fibrogenesi. La leptina può aumentare il livello di specie reattive dell'ossigeno (ROS) nel fegato, provocando l’attivazione delle cellule di Kupffer che producono TNF-α e altre citochine. Aumenta così la produzione di collagene e la progressione nello sviluppo di fibrosi (Giby V. G. e Ajith T. A., 2014).

La fibrosi presenta alcune somiglianze con la rigenerazione tissutale per la sostituzione di cellule danneggiate. Nel caso di fibrosi però il parenchima viene sostituito da tessuto connettivo. I miofibroblasti epatici, che sintetizzano fibre di collagene, derivano da cellule staminali del midollo osseo o dal processo di transizione epitelio-mesenchimale (TEM). In seguito a danno epatico, le cellule staminali del midollo osseo, che sono migrate nel fegato, formano miofibroblasti i quali possono differenziare in diversi tipi cellulari. In questo stadio la maggior parte degli epatociti va incontro ad apoptosi o necrosi lasciando posto a cellule proliferanti (Lee S. J. et al., 2014).

Stress del reticolo endoplasmatico

La progressione della steatosi a NASH è caratterizzata da stress a livello del reticolo endoplasmatico (ER). L’ER supporta molti processi cellulari: sintesi, maturazione, folding e trasporto delle proteine, sintesi di lipidi e regolazione dell’omeostasi del calcio. Un disturbo su qualcuno di questi processi porterà a stress del ER (Mota M. et al., 2016). Le perturbazioni dell’omeostasi del ER hanno effetti sull’assemblaggio di proteine nel lume del ER e determinano l’accumulo di proteine non ripiegate correttamente. Questo evoca la risposta fisiologica di UPR (Unfolded Protein Response) che consiste nell’attivazione di una cascata di segnali che portano ad un aumento di chaperoni nel ER (diretti ad aumentare il folding di proteine nel ER) e una diminuzione nella sintesi delle proteine (Trauner M. et al., 2010).

In condizioni stressanti indotte dall’accumulo di proteine non ripiegate o ripiegate non correttamente diminuiscono i livelli di calcio e aumentano i livelli di colesterolo nel lume del ER, questo porta all’attivazione (attraverso il rilascio del chaperone Bip/GRP78 da UPR) di tre fattori: dell’enzima IRE1, del fattore di trascrizione ATF6 e della chinasi PERK. Queste attivazioni portano ad una diminuzione della traduzione delle proteine, e all’attivazione di chaperoni coinvolti nel ripiegamento e nella degradazione di proteine mal ripiegate. Questi pathway regolano l’espressione di geni per l’apoptosi attraverso

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IRE1 che recluta TRAF2 e attiva JNK (Mota M. et al., 2016; Trauner M. et al., 2010). I fattori di trascrizione attivati portano inoltre ad un aumento di sintesi lipidica attraverso la via di SREBP oltre quindi a risposte di apoptosi e insulino-resistenza indotta da JNK. Lo stress del ER è stato ritrovato sia come meccanismo coinvolto in malattie epatiche indotte da alcool sia in soggetti obesi con IR e diabete (Ozcan U. et al., 2004)

1.1.4 Modello Sperimentale di NAFLD

Esistono diversi possibili modelli nutrizionali di induzione di NAFLD/NASH nel ratto che vengono classificati a seconda di quale sia il meccanismo coinvolto nell’ indurre steatosi. Diete con un maggior apporto di fruttosio o saccarosio e diete con un maggior apporto di grassi (High-Fat Diet, HFD) causano una maggiore sintesi di lipidi nel fegato. Diete carenti di metionina e colina portano ad una riduzione delle esportazioni dei lipidi poiché non vengono formati composti come la sfingomielina o la fosfatidilcolina. In particolare quest’ultima è un componente essenziale nella formazione delle VLDL lipoproteine coinvolte nell’esportazione dei lipidi dal fegato. Esistono anche modelli genetici o trasgenici i quali presentano per esempio la sovraespressione di SREBP-1a, isoforma coinvolta nella lipogenesi, che induce l’accumulo di trigliceridi epatici. Considerando che i pazienti con NAFLD che mostrano difetti nel genoma sono una minoranza e che la realizzazione di questi modelli è molto costosa, il modello di ratto più comunemente utilizzato è quello che utilizza diete ad alto contenuto di grassi (Kucera O. et al., 2014) Le diete standard di ratto contengono circa il 10% di energia derivante dal grasso, mentre le diete ad alta percentuale di grassi contengono dal 30% -50% circa di energia derivante dai grassi. Ci possono essere comunque variazioni nella composizione della dieta e nel disegno sperimentale e da questo ne consegue che i risultati non siano sempre omogenei nei diversi studi.

La scelta di una popolazione omogenea di animali secondo particolari parametri può rappresentare un limite per l’interpretazione dei dati sperimentali poiché non rispecchia del tutto la popolazione umana più eterogenea ed influenzata da molti fattori come l’uso farmaci, l’alimentazione, l’attività fisica e più in generale lo stile di vita.

Tra le HFD, molto utilizzate per creare modelli di NAFLD sono le HFD con il supplemento di colesterolo. È stato dimostrato che diete contenenti colesterolo in combinazione con

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diete ricche di grassi (derivati per esempio dall’ olio di oliva, dall’olio di mais o dal lardo) e, a volte anche, con l’aggiunta di acido colico, inducono l’accumulo di grasso nel fegato. La presenza di colesterolo nella dieta rappresenta infatti un fattore di rischio per la progressione da steatosi semplice a NASH.

Le HFD non sono utilizzate solo per l'induzione di accumulo di lipidi nel fegato, ma sono anche impiegate come modelli per la sindrome metabolica poiché inducono anche dislipidemia, obesità e insulino-resistenza. La resistenza all'insulina è uno dei più importanti fattori in NAFLD, e alimentando i ratti con HFD si crea un modello che rispecchia maggiormente la patogenesi di NAFLD umana rispetto ai modelli genetici e diete carenti di nutrienti.

Questi modelli inducono anche aspetti istopatologici di NAFLD o NASH umana (a seconda della percentuale di grassi nella dieta e della presenza di colesterolo) e le principali perturbazioni metaboliche della sindrome metabolica. Il quadro istologico mostra steatosi epatica, infiltrati infiammatori lobulari, necrosi e apoptosi degli epatociti, epatociti gonfiati e fibrosi.

Queste diete HFD infatti up-regolano geni chiave nella sintesi dei lipidi. Al contrario, i principali enzimi per l’ossidazione degli acidi grassi sono down-regolati. Le proprietà caratteristiche che ritroviamo nella NAFLD e che le HFD hanno lo scopo di imitare sono ad esempio: l’aumentata espressione di SREBP-1c e di TNF-α, l'induzione del citocromo P450 2E1, alti livelli delle ALT nel siero e bassa espressione di adiponectina e del recettore PPAR-α (il principale regolatore di ossidazione degli acidi grassi). Inoltre è presente un aumento dei marcatori per lo stress ossidativo e perossidazione lipidica. Esistono poi metodi chimici in combinazione sempre con una dieta ricca di grassi. Una sostanza chimica tra le più utilizzate è la streptozotocina (STZ). L’effetto tossico della STZ è esplicato dalla distruzione selettiva a livello delle cellule β del pancreas. Questo metodo viene utilizzato per creare modelli animali di diabete mellito dipendente da insulina o non dipendente attraverso variazioni nella dose, più o meno elevata che induce totale o parziale morte delle cellule β del pancreas (Szkudelski T., 2001). Se somministriamo a ratti trattati con HFD una bassa dose di STZ avremo un riduzione dei livelli sierici di insulina per parziale distruzione delle cellule β pancreatiche, e i ratti presenteranno diabete di tipo due senza richiedere la somministrazione di insulina (Reed M.J. et al., 2000). I modelli diabetici che utilizzano un’alta dose di STZ (>50 mg/kg)

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sono caratterizzati da iperglicemia che deriva dalla mancanza di insulina dovuta alla distruzione totale delle cellule beta del pancreas (Szkudelski T., 2001).

Ratti nutriti con HFD non sono iperglicemici e presentano uno stato prediabetico caratterizzato da resistenza all’insulina, in presenza di diabete invece si ha iperglicemia. La transizione dallo stato prediabetico a diabete è associata al declino della capacità secretoria delle cellulle β del pancreas (Reed M. J. et al., 2000).

Esiste una correlazione ormai riconosciuta tra il diabete mellito di tipo due e la NAFLD. Pazienti con NAFLD sviluppano insulina resistenza, quindi uno stato prediabetico e hanno un più elevato rischio di sviluppare diabete. Il 70% di pazienti obesi con diabete di tipo due presentano NAFLD. Queste due patologie si influenzano a vicenda, ma rimane da chiarire quale sia quella che insorga per prima (Cusi K. et al., 2016; Larter C. Z. et al., 2010).

L’obiettivo di questi studi è sviluppare un modello di ratto diabetico che mimi la naturale progressione della patologia, dall’IR (stato prediabetico) all’iperglicemia e diabete (per distruzione cellule β del pancreas) (Szkudelski T., 2001).

Quest’ultimo modello (con l’utilizzo di HFD associato alla somministrazione di STZ) è stato quello utilizzato in questo studio, descritto in dettaglio nella parte di materiali e metodi.

1.1.5 Drug metabolism

Xenobiotici

Gli xenobiotici sono sostanze naturali o di sintesi che normalmente non vengono prodotte dal nostro organismo.

Possono essere xenobiotici, per esempio, contaminanti ambientali, inquinanti, sostanze che si possono trovare nelle acque e nell'atmosfera, con le quali veniamo a contatto accidentalmente, oppure molecole che possono essere introdotte nell'organismo attraverso l'alimentazione.

Sono xenobiotici i pesticidi, le tossine, i metaboliti di origine vegetale, gli additivi alimentari e i farmaci, con cui l’uomo viene a contatto (per via orale respiratoria o cutanea). Queste molecole potenzialmente dannose, generalmente lipofile e prive di

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carica elettrica, vengono convertite in prodotti maggiormente polari e idrosolubili, con il fine di essere eliminate in modo efficiente e veloce dall’organismo (attraverso urine e feci, ma anche attraverso la bile, la respirazione o il sudore). Questo avviene attraverso reazioni di biotrasformazione per il metabolismo degli xenobiotici (drug metabolism) e sono di fase I, di fase II, o di fase III. Generalmente gli enzimi che appartengono al metabolismo della fase I di biotrasformazione sono degli enzimi che modificano gli xenobiotici per renderli più idrosolubili, mentre gli enzimi che appartengono alla fase II coniugano gli xenobiotici con qualche altra molecola per renderla ancora più idrosolubile e infine gli enzimi di fase III sono enzimi di deconiugazione e trasporto (Orellana M. e Guajardo V., 2004).

Questi sistemi enzimatici del drug metabolism sono essenziali per la detossificazione o eliminazione di sostanze potenzialmente pericolose e la loro sede principale si trova nella membrana del reticolo endoplasmatico e nella frazione citosolica del fegato. Quest’ultimo infatti è l’organo dove confluisce la maggior parte della circolazione sanguigna che deriva dal tratto gastroentestinale, principale punto di ingresso per sostanze esogene. Altri tessuti come mucosa nasale, polmoni, tratto gastrointestinale, cute, reni, milza, pancreas, cuore e cervello possono essere coinvolti nel metabolismo degli xenobiotici anche se in misura minore (Raunio H. et al., 2015).

Le fasi di biotrasformazione

Le fasi di biotrasformazione coinvolgono, come già accennato, tre tipi di reazioni:

-Reazioni di fase I o anche definite di funzionalizzazione:

Hanno come scopo quello di introdurre o evidenziare gruppi funzionali come il gruppo ossidrilico –OH, carbossilico -COOH, amminico -NH2, in modo da rendere la molecola maggiormente polare. Le principali reazioni di fase I sono: ossidazione, riduzione, idrolisi, dealogenazione e monossigenazione (Orellana M. e Guajardo V., 2004).

-Reazioni di fase II o reazioni di coniugazione:

I metaboliti formati dalle reazioni di fase I possono essere direttamente escreti se sufficientemente polari, altrimenti vanno incontro alla fase di biotrasformazione II, le quali permettono alla molecola di diventare maggiormente idrosolubile e polare così che possa essere facilmente eliminata attraverso l’accoppiamento di una sostanza endogena con lo xenobiotico. Le reazioni di coniugazione sono state definite come le

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vere “rezioni di detossificazione” poichè interrompevano l’azione tossica di sostanze estranee all’interno dell’organismo. Le reazioni di fase due possono avvenire indipendente mente dalle reazioni di fase I (Paolini M. e Nestle M., 2003; Raunio H. et al., 2015). Le reazioni di coniugazione avvengono con l’aggiunta allo xenobiotico di: acido glucoronico (glucoronazione), solfato (solfonazione), gruppi metilici (metilazione), gruppi acilici (acetilazione) e attraverso la coniugazione con il glutatione ed amminoacidi.

-Reazioni di fase III

Sono reazioni meno note e comprendono trasporti extracellulari e reazioni citoplasmatiche in grado di sovvertire processi di fase I e fase II. Il trasporto extracellulare avviene attraverso proteine trans- menbrana (dette proteine di efflusso o ATP binding cassette (ABC) transporter) come la glicoproteina-P (P-gp), la proteina associata alla farmaco resistenza multipla (MRP), e il polipeptide 2 trasportatore degli anioni organici (OATP2). Queste controllano l’ingresso degli xenobiotici nella cellula, svolgono funzioni fondamentali nell’assorbimento, distribuzione ed escrezione delle sostanze. La P-gp, la MRP e il OATP2 (trasportatori dotati di bassa specificità di substrato) legano molecole lipofile con una struttura molto diversi tra loro (Mizuno N. et al., 2003). Fase I

Citocromo P450

Uno dei sistemi che maggiormente contribuisce alle reazioni di fase I è il sistema monossigenasico del citocromo P450 (Guengerich F.P., 2006).

Le monossigenasi sono gli enzimi che intervengono nelle reazioni di ossidazione. Sono in grado di trasferire un atomo di ossigeno nel substrato e di ridurre l’altro atomo di ossigeno ad acqua, in presenza di ossigeno molecolare e della forma ridotta del coenzima NADPH (nicotinammide adenina dinucleotide fosfato). Le reazioni di ossidoriduzione catalizzate dalle monoossigenasi coinvolgono un sistema ossidativo rappresentato da due enzimi accoppiati: la flavoproteina NADPH citocromo P450 reduttasi e il citocromo P450 (CYP450) (Ahn T. et al., 2007).

Il CYP450, presenta una ferroprotoporfirina IX come gruppo prostetico, inserita in una tasca idrofobica o in una depressione sulla superficie dell’apoproteina. Il citocromo, che

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