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Il sostegno dei legni pontifici alla Serenissima durante guerra di Candia: la

III. LA MARINA PONTIFICIA TRA TIRRENO E ADRIATICO: ASIENTOS

3.4. Il sostegno dei legni pontifici alla Serenissima durante guerra di Candia: la

Il lungo tentativo di difendere Creta dall’attacco ottomano rappresentò il più importante impegno militare di Venezia dai tempi di Cipro e Lepanto. Lo scontro con il sultano, iniziato nel giugno 1645 e terminato solo nel settembre 1669, registrò diverse fasi nelle quali le operazioni navali si affiancarono o si alternarono a quelle terrestri, quest’ultime focalizzate soprattutto alla difesa del principale centro dell’isola, Candia. Sotto il profilo navale il conflitto può essere suddiviso in due parti. Nella prima, protrattasi fino al 1659, la Repubblica cercò di sfruttare la superiorità acquisita fin dai primissimi anni del conflitto per attuare il blocco dei Dardanelli, allo scopo di isolare sia le forze ottomane a Creta, sia Istanbul dalle loro principali fonti di rifornimento. Accanto al blocco principale dei Dardanelli, vennero effettuate operazioni di blocco contro scali più piccoli, come Negroponte, Malvasia e Canea. Nella seconda fase la strategia del blocco venne abbandonata e la flotta venne impiegata per intercettare direttamente nelle acque cretesi il traffico ottomano diretto verso l’isola; si cercò inoltre di attaccare nel Mediterraneo orientale il traffico che dall’Egitto e dalla Siria si dirigeva verso la Porta. Gli ultimi anni del conflitto, culminati nel 1667-69 nell’assedio finale di Candia, videro la componente navale ridotta sostanzialmente a una forza ausiliaria dell’esercito, con molte unità smobilitate e i loro equipaggi impiegati a terra nella difesa del principale centro dell’isola77.

75 Ivi, f. 29.

76 Ivi, f. 41.

77 G. CANDIANI, Dalla galea alla nave di linea. Le trasformazioni della marina veneziana (1572-1699), Novi

176 Nel settembre 1644 una squadra maltese attaccò un convoglio ottomano che trasportava alti dignitari dell’Impero e il sultano sembrò volersi vendicare non solo dei maltesi, ma anche dei veneziani, accusati di essere loro complici. Lo scoppio del conflitto trovò la Serenissima già in parte mobilitata a causa della precedente guerra di Castro e il primo avamposto chiamato a offrire il proprio contributo fu Creta. Entro la fine del marzo 1645 le galee stagionali dell’isola vennero portate a venti78. La flotta veneziana poteva considerarsi complessivamente superiore a quella ottomana, che grazie all’effetto sorpreso aveva però potuto sbarcare indisturbata i suoi uomini a Creta il 23 giugno e impossessarsi del porto di Canea. Le prime mosse veneziane furono dettate dall’improvvisazione e solo nel novembre 1645 venne decisa la nomina di un Capitano Generale da Mar. Il fatto che il prescelto fosse individuato nel vecchio Doge Francesco Erizzo, che sarebbe morto poco dopo, servì di fatto a perdere solo altro tempo. La mancanza di un autorevole comandante contribuì a vanificare anche gli aiuti ricevuti dalle forze ausiliarie maltesi (6 galere), toscane (5 galere), ispano-napoletane (5 galere) e pontificie (5 galere). La presenza al fianco dei veneziani delle forze navali italiane e spagnole, che nei decenni precedenti avevano rappresentato importanti avversari per la flotta della Serenissima, sanciva in qualche modo la fine della fase anti-asburgica della politica veneziana. Da quel momento e almeno fino al termine della seconda guerra di Morea (1714-1718), gli Asburgo avrebbero sostenuto le imprese militari di Venezia, ridando fiato all’esaltazione dell’idea di crociata, che l’esito della guerra di Cipro aveva in qualche modo affossato.79

Come appena ricordato anche la flotta pontificia diede il suo appoggio alle operazioni navali veneziane. Papa Innocenzo X Pamphilj (1644-1655), che già nel marzo 1645 aveva mandato a Malta e in Dalmazia munizioni e truppe di soccorso, pensò in un primo momento di fondare una lega italiana, ma questa iniziativa naufragò contro la diffidenza di Venezia, che dietro i propositi del papa sospettava altri scopi. Il pontefice decise così di armare cinque galere con duemila uomini a bordo. Inoltre, Innocenzo X avanzò la proposta che l’intera flotta ausiliaria veleggiasse sotto la bandiera della Santa Sede80.

78 Ibidem.

79 Ivi, pp. 78-79. Sul tema della crociata rimando a: G. POUMARÈDE, Pour en finir avec la Croisade. Mythes

et réalités de la lutte contre les Turcs aux XVIe et XVIIe siècles, Paris, Presses Universitaires de France, 2004,

pp. 343-345.

80 L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto

pontificio e di molti altri Archivi. Volume XIV. Storia dei Papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700), Tomo I, Roma, Desclée & C. Editori Pontifici,

177 A comandante in capo della flotta di cinque galere il pontefice nominò il 4 maggio 1645 il principe di Piombino, Niccolò Ludovisi. Mostro qui in basso alcune personalità di spicco dell’aristocrazia che ricoprivano ruoli importanti a bordo dei legni pontifici:

Galere pontificie nell’anno 1645

Capitano generale don Niccolò Ludovisi di Roma, principe di Piombino Luogotenente generale – Cavalier Alessandro Zambeccari, di Bologna

Aiutanti – Cavalier Guido Panciroli, di Roma; Cavalier Guido Vitelli, di Castello

Galera Capitana – Franc. Benenati Piccolomini, di Siena; Cavalier Aless. Pucci, di Firenze Galera Padrona – Cavalier Annibale Pasio, di Bologna; Francesco M.a Beni di Gubbio Galera S. Lucia – Capitan Alessandro Sala, di Roma; Venanzio Mazzitelli, di Camerino Galera S. Bastiano – Marco Guidonio, di Orvieto; Ludovico Morentilli, di Macerata Galera S. Pietro – Alessandro Montecastri, di Todi; Francesco Terenzi, di Ancona81.

Le galere del papa furono armate secondo i tempi stabiliti, ma non fu così per quelle dei Cavalieri di Malta. L’inquisitore dell’Ordine, che rivestiva nello stesso tempo la carica di nunzio apostolico, Gian Battista Gori Pannellini, riuscì a stento ad impedire che la partecipazione dei maltesi venisse ulteriormente posticipata. Ai primi di agosto Pannellini ottenne finalmente l’invio di sei galere, che il 21 agosto si unirono a quelle del papa, di Toscana e di Napoli, e il 29 si congiunsero tutte presso Corfù con la grande flotta veneziana. Intanto però giunse da Candia la notizia che il 22 dello stesso mese, dopo una strenua ed eroica resistenza, cadeva la fortezza della Canea. Il pontefice ricevette la notizia a metà settembre, dopo aver concesso ai veneziani un sussidio di 100 mila scudi di beni ecclesiastici ed aver inviato materiale da guerra a Ragusa. L’ambasciatore veneziano, Alvise Contarini, propose allora, dopo la caduta della Canea, la costituzione di una lega di tutti i principi cattolici contro il Turco82.

Il 28 settembre 1645 le sei galere maltesi attaccarono una piccola flottiglia turca, composta da un galeone, due vascelli e sette caicchi. Sul galeone viaggiava anche l’anziano eunuco Sünbüllü, il capo del serraglio, che stava andando alla Mecca con il suo tesoro. Dopo la Mecca intendeva ritirarsi in Egitto, rifugio dei capi del serraglio. A bordo era anche presente Mehmed Effendi di Brusa, il giudice – kadi – del Cairo e molti pellegrini che si recavano verso il luogo di preghiera. Gli Ospitalieri attaccarono il convoglio turco e nello scontro rimasero uccisi sia Sünbüllü sia il comandante turco Ibrahim Chelebi. I Cavalieri di Malta si impossessarono del tesoro dell’eunuco, rapirono trenta donne, 350 schiavi, il

81 A. GUGLIELMOTTI, Storia della marina pontificia. Volume ottavo: la squadra ausiliaria, 1644-1699,

Roma, Tipografia Vaticana, 1893, p. 13.

82 L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto

pontificio e di molti altri Archivi. Volume XIV. Storia dei Papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700), Tomo I, op. cit., pp. 265-266.

178 giudice del Cairo, e un ragazzo la cui madre era la favorita del sultano Ibrahim. Il kadi venne liberato dietro un cospicuo riscatto e continuò la sua ascesa sociale, mentre il ragazzo fu cresciuto come un cristiano, entrò nell’Ordine Domenicano e prese il nome di Padre Ottomano83.

Il 30 ottobre 1645 la flotta pontificia, insieme a quella napoletana, rientrò in patria. Benché non fosse stato raggiunto alcun obiettivo importante, papa Innocenzo X era disposto a mandare nuovamente in mare i suoi legni. Già a dicembre permise un arruolamento, fino a ottomila uomini, per correre in soccorso di Venezia. Il 24 febbraio 1646 giunse a Roma Pier Foscarini in veste di ambasciatore straordinario per chiedere, insieme all’ambasciatore Alvise Contarini, un aumento delle galere pontificie e dei soldati e una congrua somma di denaro da girare al re di Polonia per arruolare delle truppe cosacche. Innocenzo X accordò 30 mila scudi per il re di Polonia e provvide che alla fine dell’aprile 1646 i suoi legni fossero pronti a Civitavecchia per prendere il largo. Subentrò però un ritardo perché il comandante Ludovisi si ammalò e dovette esser sostituito da Alessandro Zambeccari. Alla fine di maggio le galere del papa e quelle maltesi ai unirono alla flotta veneziana. Mancavano invece i legni toscani e di Napoli, poiché impegnati a confrontarsi con la minaccia francese e di Mazzarino sulla penisola84.

Anche nel 1646 le operazioni belliche contro i turchi ebbero un corso sfavorevole, poiché il nuovo capitano generale veneziano, il settantenne Giovanni Capello, si mostrò debole e indeciso. Il 23 ottobre inoltre Alessandro Zambeccari tornò a Civitavecchia dove morì il 21 dicembre dello stesso anno. Nel frattempo, già nel corso dell’estate, l’ambasciatore Contarini, continuò a pressare il papa per convincerlo a correre in aiuto della Serenissima e il 19 settembre permise a Venezia d’imporre una decima sino all’importo di 400 mila scudi. Innocenzo X fece inoltre notare quanto dovesse spendere per la paga dei soldati e che aveva inviato 1000 uomini a proteggere la Dalmazia, cosicché ne rimanevano solo 5 o 6 mila per sorvegliare le coste dello Stato pontificio85.

Le galere del papa presero il mare alla fine di maggio e si unirono a quelle maltesi e all’armata veneziana, capitanata da Battista Grimani che bloccò per tre mesi la flotta turca, alla cui testa c’era Fasli-pascià, nel porto di Chio. L’arrivo della brutta stagione rese

83 K. M. SETTON, Venice, Austria, and the Turks in the Seventeenth Century, Philadelphia, The American

Philosophical Society, 1991, pp. 110-111.

84 L. VON PASTOR, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo. Compilata col sussidio dell’Archivio segreto

pontificio e di molti altri Archivi. Volume XIV. Storia dei Papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700), Tomo I, Roma, op. cit., pp. 268-270.

179 impossibile la permanenza della flotta turca in quelle acque tempestose e così Fascli-pascià riuscì a lasciare Chio con 87 galere e giungere a Creta. Il Grimani non riuscì ad impedire lo sbarco e si limitò a stazionare presso l’isola di Standia, dalla quale dominava il porto di Candia e poteva proteggere dal mare l’approvvigionamento della fortezza86.

Venezia intanto chiedeva al pontefice sempre maggior denaro, cosa che acuì la tensione tra i due Stati. Ad aggravare ulteriormente la situazione contribuì la circostanza che le galere pontificie, necessarie a proteggere i pellegrini nell’anno giubilare, e impegnate nella guerra di Castro, non poterono recarsi in Levante nel biennio 1649-1650. Di contro Innocenzo X nel luglio 1649 concesse comunque ai veneziani un nuovo contributo delle rendite ecclesiastiche pari a 100 mila scudi87.

In questo scenario giocava un ruolo non di secondo piano anche Malta, bastione della cristianità nel mezzo del Mediterraneo. Negli anni ’50-’60 le galere dell’Ordine, oltre a partecipare alla guerra di Candia, si dedicarono con particolare solerzia alla corsa; sull’isola c’era carenza, così come testimoniano i numerosi ordini che il Gran Maestro dava ai suoi cavalieri, di denaro e di schiavi. Questi ultimi rappresentavano il bene più remunerativo e nel 1660 la consegna data alla squadra di galere era quella di catturare il piu gran numero di schiavi infedeli per rimpinguare le ciurme dell’Ordine; l’obiettivo principale erano le galere del sultano e qualunque legno commerciale che volesse raggiungere la Porta88.

All’interno di questo quadro si inserì probabilmente il provvedimento di papa Innocenzo X Pamphilj di donare 531 condannati al remo alla Religione negli anni 1651-5489. I documenti

riportano i nomi di tutti gli uomini concessi dalla Santa Sede e anche la durata della pena, che variava da 5 anni sino all’ergastolo90.

A metà giugno del 1657 Lazzaro Mocenigo venne raggiunto dalla squadra pontificia agli ordini di Giovanni Bichi91, nipote di papa Alessandro VII Chigi (1655-1667), e da quella di Malta agli ordini di Gregorio Carafa. Il Bichi e il Carafa si incontrarono a Messina il 18

86 Ibidem.

87 Ivi, p. 272.

88 A. BROGINI, Malte, frontière de Chrétienté (1530-1670), Rome, École française de Rome, 2006, p. 545. 89 ASR, Fondo Soldatesche e Galere, Busta 649, Nota delli forzati dati e concessi da Innocentio X alla Sacra

Religione Ierosolimitana (1651-1654). Vedere appendice documentaria.

90 Ibidem.

91 A proposito del Bichi il Guglielmotti riporta ciò che è inciso sulla lapide funeraria a Malta: «Al cavaliere

gerosolimitano Giovanni Bichi, priore di Capua, per soavità dei costumi, prudenza, e cortesia caro ed accetto al sommo pontefice Alessandro VII suo zio, e ai due granduchi di Toscana Ferdinando e Cosimo de’ Medici. Nella guerra di Candia capitan generale della squadra pontificia, in Roma ambasciatore di Toscana, e nel suo ordine le maggiori dignità con somma lode sostenne. Quando a più degni servigi verso la sua Religione intendeva, morissi di peste». Cfr. A. GUGLIELMOTTI, Storia della marina pontificia. Volume ottavo: la

180 maggio e fecero insieme vela verso est, ma incapparono subito nella difficoltà di decidere chi dei due fosse di rango superiore. Giovanni Bichi era il luogotenente generale della squadra pontificia, squadra che era ufficialmente agli ordini di Mario Chigi generale di Santa Chiesa e fratello del papa. Il fatto che Bichi non fosse un generale fa pensare che fosse lui ad essere di grado inferiore rispetto al Carafa92.

La flotta turca giunse nei Dardanelli nei primi di luglio del 1657 con 30 galere, 18 navi a vela, più un certo numero di caicchi. Benché Mehmed Köprülü stesse affrontando gravi problemi nel Bosforo, era comunque determinato a rompere il blocco veneziano e raggiungere le isole di Tenedos e Lemnos. Lazzaro Mocenigo, capitano generale della flotta veneziana, aveva pianificato di incontrare la squadra del sultano nei Dardanelli, con a sostegno il Carafa alla sua destra e il Bichi alla sua sinistra. Ma quest’ultimo non voleva dare la precedenza all’ala destra della flotta del Carafa e, inoltre, dichiarò che lo stesso Alessandro VII gli aveva ordinato di prendere il comando in qualsiasi incontro e scontro con i turchi. Alla fine sia il Mocenigo sia il Carafa accettarono: lasciarono al Bichi la posizione di battaglia, ossia quella centrale, mentre il veneziano si collocò all’ala destra e Carafa all’ala sinistra. L’armata cristiana si dimostrò comunque non preparata ad incontrare la flotta del sultano quando giunse all’imbocco dei Dardanelli il 17 luglio. I venti da est stavano infatti costringendo la maggior parte delle galere cristiane verso la costa europea e dunque verso l’uscita dello stretto. Nel momento in cui i turchi si mossero verso sud e verso ovest, sostenuti dai venti, si trovarono di fronte non più di sette galeazze cristiane, quattro galere e venti navi a vela93.

La quarta battaglia dei Dardanelli (17-19 luglio 1657) si svolse in una serie di feroci scontri. Il cannone turchesco ebbe effetti dirompenti sulle navi cristiane. I venti e le correnti spinsero le due flotte verso il nord dell’Egeo. I cristiani riuscirono a rifugiarsi a Tenedos, mentre i turchi, dopo aver perso molte navi e sei galeazze, fecero vela verso Mytilene. Le perdite umane ottomane superavano quelle dei cristiani, ma l’agha dei giannizzeri affermò di avere tra le mani 80 mila combattenti da impiegare per il recupero di Tenedos. Quando le condizioni metereologiche migliorarono, il combattimento riprese. Nel pomeriggio del 19 luglio, quando Lazzaro Mocenigo entrò in azione con la sua solita intrepidezza, una palla di cannone colpì la sua nave ammiraglia, facendo incendiare la polvere da sparo e le munizioni che erano a bordo. Buona parte del ponte saltò per aria e Mocenigo rimase ucciso. La sua morte convinse i veneziani che la fortuna avesse loro voltato le spalle, così recuperarono il

92 K. M. SETTON, Venice, Austria, and the Turks in the Seventeenth Century, op. cit., p. 186. 93 Ibidem.

181 corpo, la bandiera della Repubblica, la lanterna dell’ammiraglia, e la bandiera del leone alato di S. Marco94.

Barbaro Badoer, provveditore dell’armata veneziana, assunse l’alto comando con il compito di portare scompiglio nella flotta turca, ma i suoi alleati Giovanni Bichi e Gregorio Carafa il 23 luglio cominciarono il viaggio di ritorno a casa. Sulla sua rotta il Bichi, tra Parga e l’isola di Paxos (appena a sud di Corfù), incontrò una squadra turca impedendole di entrare nell’Adriatico. I veneziani criticarono aspramente la frettolosa partenza del Bichi, cosa che avrebbe condotto alla perdita di Tenedos e Lemnos95.

Esiste una Relazione del viaggio delle Galere Pontificie in Levante l’anno 1657 sotto il comando del loro Generale Balì Giovanni Bichi Priore di Capua96. Come sottolinea il Cugnoni, Venezia aveva bisogno di rinforzi per affrontare il Turco e Alessandro VII spedì in Dalmazia soldati per presidiare le frontiere. Armò dunque una squadra di galere dandone il comando a Giovanni Bichi senese, suo nipote dal lato materno, cavaliere gerosolimitano, commendatore di S. Maddalena in Orvieto e appunto Priore di Capua97. Il pontefice, per questa impresa spese le seguenti somme:

Scudi 193.000 per la soldatesca di Dalamzia Scudi 257.000 per le galere in Levante Scudi 27.405 per i vascelli

Scudi 500.000 dalla soppressione dei beni della Religione di Santo Spirito soppressa a Venezia Totale scudi 977.40598

La relazione ha inizio con la partenza delle galere pontificie da Civitavecchia:

Fù per tanto la nostra partenza da Civitavecchia alli 14 d’Aprile, perché il dubio, che l’uscita fuori dell’Armata Ottomanna non prevenisse il nostro arrivo colà, stimulò il zelo vivissimo di N. Signore ad ordinare al Prior Bichi (che non meno ardentemente il desiderava, per segnalarsi in alcun’attione degna di lui) di anticipare oltre all’usato anch’egli l’uscita da quel Porto, ma l’avversità de’ tempi ne costrinse far così lunghe, e spesse dimore, hora in uno, hora in un altro luogo; che non prima delli 14 di Giugno fù permesso à noi l’unirci all’Armata della Repubblica; e perché dalla stagione non erano fuggiti ancora que’ rigori, che sogliono difficoltare la navigatione, specialmente alle Galere, si passò più d’un giorno fra i timori di naufragare, ò correndo il mare trabalzati dalle burrasche, ò dalle medesime intrante su qualche spiaggia; per il comercio interdetto, che ne contendeva anche l’ingresso nei Porti. Bastivi pensare che la prima statione fù di ventisette giorni, e di più nel faro di Messina, cioè a dire fra Scilla, e Cariddi, esposti talmente al furore del

94 Ivi, pp. 186-187.

95 Ibidem.

96 La relazione è pubblicata da: G. CUGNONI, Relazione del viaggio delle galere pontificie in levante l’anno

1657 sotto il comando del loro Generale Balì Giovanni Bichi Priore di Capua, in “Bullettino senese di storia

patria”, IV, 1897, pp. 345-389. Il Cugnoni riporta come segnatura del manoscritto chigiano, conservato presumibilmente presso l’ASV, O. VII. 57. Cugnoni identifica l’autore della relazione nella figura di Marco Miniconi da Perugia, cavaliere dell’ordine ospitaliero dal 27 maggio 1632. Cfr. Ivi, pp. 354-355. Non è stato finora possibile rintracciare il manoscritto originale.

97 Ivi, p. 347. 98 Ivi, p. 347n.

182

mare, e dei venti, che per assicurarne dalla rabbia, con che si sforzavano spingerne in terra, non vi fù canape, né ancora, che non si ponesse in uso99.

In questa prima parte l’autore del manoscritto sottolinea la fretta con la quale il Bichi si apprestò a partire da Civitavecchia e ai successivi problemi di navigazione dovuta alla cattiva stagione primaverile e alle avverse condizioni marittime contro le quali la squadra navale dovette confrontarsi.

Per non dilungarmi in cose, che possano anzi scemarvi diletto, ch’accrescervi curiosità, me ne passo all’Armata, alla quale, come vi dissi, pervenimmo li 14 di Giugno, ritrovata nell’acque di Scio, à vista di cui si stava nel modo, quasi, che rozzamente la vedete descritta (Tav. I), dove alcuni giorni prima havea combattuto certi vascelli Corsari di Barbaria, fatto acquisto d’alcuni legni, che carichi di merci se ne passavano d’Egitto à Costantinopoli, e presa in oltre la fortezza detta Suagih (che fù poi demolita dai medesimi vincitori) posta su le rive dell’Asia minore, 50 miglia dalla medesima Scio100.

I veneziani e le galere pontificie, mentre facevano l’acquata, vennero colte di sorpresa dal Turco:

Sovragiunto per tanto il bisogno, si passò a procurarla con le Galere, e Galeazze da un rio, che scorre