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3. Ricerca-azione sulla riorganizzazione di un Dipartimento Chirurgico

3.4 Ricerca-azione per il cambiamento organizzativo

3.4.2 Specificità delle diverse pratiche di ricerca-azione

Gli studiosi nel tempo hanno descritto, teorizzato e praticato la ricerca-azione in diversi modi:

a) la ricerca-azione classica sperimentale di Kurt Lewin (1946); b) l’Action Science di Argyris e Schön (1989);

c) le diverse pratiche di ricerca-azione partecipativa di cui si riportano alcuni esempi: la Co-operative Inquiry di Heron (1996) e Reason, Bradbury (2001, 2008), la PAR – Participatory Action Research di Whyte (1991), l’Action

Inquiry di Torbert (1973).

a) La ricerca-azione classica sperimentale di Lewin

E’ il ricercatore che testa empiricamente le sue ipotesi causali dedotte da una teoria a priori, che detta la direzione del cambiamento auspicato e promuove il coinvolgimento attivo degli attori, favorendo la loro massima partecipazione per facilitare il processo di implementazione del cambiamento desiderato.

Il paradigma della ricerca azione di Lewin si caratterizza, come sostiene Cunningham (1976), più che come una metodologia di ricerca lineare, come un processo ciclico che procede attraverso una spirale di provvedimenti, ciascuno dei quali si compone di tre momenti: pianificazione, esecuzione e valutazione dei risultati dell'azione. Il momento della pianificazione parte o da un'idea generale di cambiamento, o da un bisogno latente o manifesto; dal momento che spesso non sono chiari né gli scopi che sottendono all'obiettivo di cambiamento, né le risorse disponibili, sempre nella pianificazione ci si sofferma su questi elementi, rintracciando metodi e strumenti adeguati allo scopo più chiaramente delineato.

Se questo primo momento riesce, si giunge all'elaborazione di un piano globale per il conseguimento dell'obiettivo e viene fissata la prima azione.

Di solito l'idea originale ne risulta modificata (Trombetta & Rosiello, 2000). Il secondo momento è invece rappresentato dall'osservazione della prima, o delle prime azioni fissate dal piano globale. E subito si passa alle inchieste per verificare i risultati di tali azioni.

Secondo Trombetta e Rosiello (2000) tali inchieste assolvono quattro funzioni: • valutano l'azione, stabilendo se quanto è stato eseguito corrisponde o no alle

aspettative;

• offrono agli ideatori del piano la possibilità di apprendere la validità o l'inefficacia di determinate tecniche di azione;

• forniscono le basi per il passo successivo;

• consentono, infine di far fronte alla necessità per l'eventuale modificazione del piano globale.

Da questa descrizione si può evincere come l'azione di verifica caratterizzi fin dall'inizio questo percorso metodologico, andando a modificare in itinere il piano globale inizialmente tracciato, attraverso successivi cicli di pianificazione, esecuzione e valutazione. L'ottica partecipativa caratterizza profondamente e concretamente la ricerca-azione Lewiniana.

Coerentemente con quanto rilevato dalle ricerche sperimentali sui gruppi, Lewin ritiene indispensabile la condivisione delle finalità e delle procedure

sperimentali della ricerca in questione, da parte di tutti i soggetti coinvolti, al fine di

ottenere la cooperazione continua degli individui e delle organizzazioni. Questo alto livello di condivisione di scopi e procedure genera la necessità che i partecipanti familiarizzino, ognuno secondo le proprie capacità e attitudini, con gli aspetti scientifici del problema. Un elevato livello di preparazione è, pertanto, un requisito essenziale per l'attività di ricerca in un'organizzazione (Lewin, 1951, trad. it. 1972).

Come fanno rilevare ancora Trombetta e Rosiello (2000) il ricercatore non si isola quindi dal contesto ma opera nel campo sociale in questione coinvolgendo nella ricerca tutti i soggetti interessati, assumendo anche i ruoli di formatore e di agente di

Lewin giunge così a considerare "l'azione, la ricerca, l'addestramento come un

triangolo che è indispensabile mantenere tale nell'interesse di ciascuno dei suoi vertici" (Lewin, 1951, trad. it. 1972).

La conseguenza peculiare di questa impostazione è una gestione del potere da parte del ricercatore con, e non sui, membri del gruppo sociale coinvolto nella ricerca: pur nel rispetto dei ruoli si tendono a valorizzare le risorse personali e professionali presenti nel gruppo, prevedendo anche un'eventuale azione di trasferimento delle competenze utili per la gestione dei problemi indagati.

b) L’Action Science di Argyris e Schön (1989)

E’ opposta alla logica sperimentale e ha come obiettivo di accedere induttivamente alla cultura dei partecipanti alla ricerca operando all’interno del loro contesto naturale. Il processo conoscitivo e interpretativo prevede l’utilizzo di una metodologia qualitativa di raccolta dei dati, ricorrendo soprattutto all’etnografia e all’osservazione partecipante. Il ricercatore riserva per sé il ruolo di esperto, intervenendo a livello dei processi nel corso del cambiamento che consegue quale risultato del momento interpretativo e diagnostico. In questa forma di ricerca-azione l’enfasi positivista sulla ricerca condotta per le persone compie una svolta a favore della ricerca realizzata con le persone: in questo modo, sarà possibile avere accesso alle loro realtà culturali e quindi migliorare l’efficacia organizzativa e le relazioni interpersonali.

La riflessione è relativa allo sviluppo e alla valutazione oggettiva delle personali inferenze del ricercatore, facendo appello a ciò che è direttamente osservabile, cui si ha accesso attraverso la partecipazione alla vita organizzativa, in modo che ogni resoconto e spiegazione avranno una corrispondenza con la soggettività condizionata culturalmente dei membri dell’organizzazione.

c) Le pratiche di ricerca-azione partecipativa

La Co-operative Inquiry. E’ un tipo di ricerca-azione che valuta soprattutto l’idea che le persone decidono in maniera autonoma e perciò non possono essere indagate senza la loro piena partecipazione.

L’attenzione alla dimensione trasformativa all’interno del gruppo dei pari rende la Co-operative Inquiry interessante nell’ambito della psicologia di comunità. Si caratterizza per:

• la trasformazione della persona attraverso l’impegno negli scopi e nelle procedure della ricerca;

• la presentazione dei propri insight sul tema della ricerca attraverso ogni forma espressiva;

• la redazione di rapporti progettuali, concernenti il focus della ricerca, che forniscono commenti e spiegazioni su quanto descritto e sulle prospettive della ricerca, descrivendone altresì il metodo;

• le competenze operative negli ambiti oggetto di ricerca e inerenti forme partecipative e collaborative sviluppate nel corso della stessa (Heron, 1996). La PAR – Participatory Action Research. La ricerca-azione partecipata si colloca nella prospettiva del domani, porta cambiamento, ed è rivolta al futuro. Il suo compito non è descrivere il mondo come si presenta, ma riuscire a delineare come potrebbe essere. Il ricercatore ha la funzione di catalizzatore e attivatore delle esperienze; la sua è una funzione politica in quanto “la partecipazione è anche politica: conferma il diritto delle persone e la loro competenza nell’esprimere la propria voce nelle decisioni che li concernono, rivendicando il diritto a produrre conoscenze su loro stesse. Oltre a produrre conoscenze e azioni direttamente fruibili dalle persone, ad un secondo e più profondo livello, può accrescerne le competenze nel costruire le proprie conoscenze e nel farne uso” (Reason & Bradbury, 2008). Il ricercatore lavora a diretto contatto con coloro che sono portatori di un bisogno per identificare insieme i problemi e i processi di generazione di conoscenza. In questo modo egli si mette in discussione e sottopone se stesso al giudizio altrui. È pienamente presente sul campo senza nascondersi dietro il ruolo di “esperto” e le persone possono riconoscergli le sue reali competenze (Reason & Bradbury, 2008). È quasi assiomatico che il ricercatore appartenga al contesto che la ricerca studia (Marshall & Reason, 2007), ma in ogni caso è bene che esplori le forme e i modi in cui egli stesso è coinvolto nella ricerca, per quanto concerne sia l’approccio metodologico sia l’argomento.

L’Action Inquiry. Torbert (1976) definisce l’action inquiry un approccio olistico di una procedura, che allo stesso tempo, cerca di agire e di indagare, coinvolgendo il ricercatore, la relazione in cui è attivo e l’istituzione di cui è osservatore partecipante.

Il feedback continuo dei comportamenti e delle strategie è la filosofia alla base dell’action inquiry: è ciò che consente il miglior raggiungimento di risultati. Il suo scopo è di arrivare al cambiamento dei comportamenti attraverso un processo continuo di monitoraggio di ciò che accade in quattro territori dell’esperienza: il mondo esterno, le sensazioni e le azioni del soggetto, i suoi pensieri e il suo modo di vedere/intendere/guardare.

Non si tratta di categorie analitiche, ma di territori fenomenologici dell’esperienza, che esistono simultaneamente e in continuità e che possono portare, nello stesso tempo, ad adattamenti congruenti (consonance) o dissonanti. È un processo che consente di analizzare come un tutto, l’esperienza del soggetto e il campo in cui è inserito, e in tal modo permette continui aggiustamenti che rendono più positiva l’esperienza complessiva (Reason & Bradbury, 2008).