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4.2 “Storie della Vergine”: cenni general

4.2.3. Sposalizio della Vergine (o Miracolo della Verga fiorita)

L’episodio del Miracolo della Verga fiorita (Fig. 78), è narrato nella Vita di Gesù

Christo e della Vergine Maria di Manfredo Bonelli, edito a Venezia nel 1499 e

legittima in qualche modo il ruolo di Giuseppe nella vicenda di Salvazione. È un episodio estrapolato dai Vangeli apocrifi, in particolare dal Protovangelo di Giacomo e confluito nella Legenda Aurea213. Lo Sposalizio si svolge all’interno del tempio di Gerusalemme e cristallizza il momento in cui Giuseppe appare quale prescelto da Dio per prendere in moglie Maria, in quanto la verga che egli si accinge a consegnare al Sacerdote è l’unica ad essere fiorita, tra le ire degli altri pretendenti.

Carpaccio formula in questo caso un’impostazione architettonica analoga a quella della Presentazione, nell’interno del tempio ebraico che mostra le suppellettili cerimoniali in bella vista, quali la menorah, il candelabro a sette bracci posto sopra la modanatura marmorea che divide le pareti in due registri. La profusione di marmi policromi, la raffinatezza degli arredi e l’affollamento dei pretendenti in secondo piano distoglie l’attenzione da quelli che dovrebbero essere i protagonisti. Maria in atteggiamento sommesso, reclina il capo ad occhi chiusi, mentre il futuro consorte mostra umilmente il rametto fiorito al Sacerdote, distratto però dall’arrivo dell’angioletto evanescente, vestito di rosso. Mentre la postura di Giuseppe può ricordare la Sacra Conversazione del Museè du Petit

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Palais di Avignone, tuttavia ne differisce per l’età visibilmente più avanzata, oltre che per l’abbigliamento.

Il Sacerdote ed il suo abito in particolare, unitamente alla menorah fanno supporre una ripresa da parte di Carpaccio di alcune incisioni del Liber Chronicarum di Hartman Schedel, edito a Norimberga nel 1493, che si trovano in due Bibbie veneziane di fine secolo214.

Nel drappello di pretendenti illusi sullo sfondo, intenti a spezzare le proprie inutili verghe, spicca un personaggio più anziano, dalla barba bianca ed abbigliato come un dignitario bizantino, che punta il dito verso i bastoni fatti cadere a terra. Indossa un tipo di copricapo molto particolare, usato dalla dinastia imperiale dei Paleologo (Fig. 79a), come dimostra il confronto con la medaglia disegnata da Pisanello nel 1438, effigiante l’Imperatore Giovanni VIII Paleologo (Fig. 79c), divenuto il modello del sovrano orientale impiegato da molti artisti. Lo stesso Vittore ripropose quasi la medesima figura nel ciclo di Santo Stefano, precisamente nell’episodio della Consacrazione di Stefano e degli altri Diaconi, in cui appare con lo stesso cappello e la tunica rossa215

(Fig. 79b).

In aggiunta alla ricchezza dei marmi policromi, torna il motivo del tappeto a decorare i gradini della scalinata, di colore rosso e con ricami orientaleggianti come quelli esposti sulle balaustre degli edifici che fanno da sfondo alla

Visitazione. Analogamente, nel ciclo di Sant’Orsola svolgono una funzione

ornamentale, in episodi quale la Partenza dei Fidanzati, ma la loro presenza nel ciclo per la Scuola degli Albanesi non è soltanto questione estetica. I legami dei confratelli con l’industria tessile veneziana sono assodati e molti di essi erano impiegati nell’arte della lana e della seta sia a livello produttivo, sia commerciale. In particolare i tappeti venivano ritenuti beni pregiati, tanto da essere lasciati molto di frequente in eredità ai familiari oppure direttamente alla Scuola quando

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L. BOREAN, 2000, p. 172.

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Si ricordi che l’Imperatore passò per Venezia mentre si dirigeva a Ferrara per il concilio nel 1438 e si impegnò per la riconciliazione tra Chiesa Cattolica ed Ortodossa.

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particolarmente preziosi. Il topos del tappeto non costituì, pertanto, un decoro casuale, bensì un’intenzionale celebrazione delle attività degli albanesi, che avevano permesso loro di accumulare ricchezza e conferire dignità all’Istituzione anche attraverso le pitture. La loro resa virtuosistica, i dettagli dei gradini e dell’ambientazione ne fanno un dipinto di un certo rilievo, tra i migliori del ciclo per la critica216

.

4.2.4. Annunciazione (Fig. 80)

Il dipinto con l’Annunciazione è l’unico a presentare dei dati documentari utili alla collocazione temporale del ciclo e viene considerato, pertanto, il più importante della serie. La Vergine è qui raffigurata inginocchiata entro un ambiente porticato, intenta a leggere il suo breviario, dal quale la distoglie l'arrivo improvviso dell'Arcangelo, apparso nel giardino a sinistra. Nell'angolo in alto a sinistra il Padre Eterno invia lo Spirito Santo tramite un fascio di luce e la caratteristica colomba, mentre molteplici spunti simbolici rimandano alle virtù mariane.

Anche in questo caso gli elementi architettonici risultano fondamentali per l’impostazione della scena, divisa in due da un elegante pilastro decorato, non solo frequente attributo mariano, ma anche utile limite fisico tra l’esterno e l’interno217

. L’equilibrio tra la presenza architettonica e quella naturale fu raggiunto attraverso l’annessione dell’Hortus conclusus merlato, che richiama il

Cantico dei Cantici e controbilancia l'architettura adiacente, oltre a fungere da

simbolo peculiare della castità di Maria, sin dalla tradizione medievale. Sebbene il

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G. PEROCCO, 1967, pp. 103-104.

217Una strutturazione simile si trova in opere del centro Italia, ad esempio nella raffinata

Annunciazione di Volterra di Signorelli, datata 1491, ma riscontrabile anche in opere di molto

precedenti, come quella del Beato Angelico oggi al Prado, risalente agli anni Trenta del Quattrocento.

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raffinato ritmo compositivo si avvicini ancora al gusto gotico, l’elegante portico che accoglie la Vergine e le policromie marmoree riprendono nuovamente i motivi del Lombardo e del Codussi, in un interno che rievoca le case veneziane, ricreando un ambiente familiare al fine di avvicinare anche gli spettatori più “comuni” al fatto sacro.

Carpaccio reimpiegò l’espediente dello sfondato prospettico incorniciato da una bifora, al fine di dilatare lo spazio interno ed inserì un portale che immette in un’altra stanza, da cui si scorge il Thalamus Virginis intonso, simbolo del concepimento virgineo. Nonostante l'adozione di tale espediente prospettico, esso non diede l’effetto desiderato, soprattutto nella resa della terza dimensione dello spazio in primo piano in cui la Vergine non sembra avere spazio per muoversi. Questo genere di imperfezioni contribuirono, nel corso del tempo, ad alimentare le affermazioni della critica sulla partecipazione parziale o totale di qualche collaboratore.

Se il letto sullo sfondo richiama la verginità di Maria, un significato non dissimile si lega agli elementi vegetali del dipinto. Il vaso di garofani sullo stipo è un ricorrente simbolo della Vergine, a volte usato in qualità di metafora del matrimonio celeste e dell’amore divino, ma al contempo presagio della passione di Cristo, secondo la leggenda medievale che narra come la Vergine abbia pianto di dolore alla morte del figlio e le sue lacrime una volta cadute a terra si siano trasformate in garofani. Come di consueto, l’Arcangelo Gabriele porta il giglio a Maria, ricorrente emblema della sua purezza e castità, citato dal Cantico dei

Cantici. La posizione del corpo dell'emissario divino, può essere ricondotta a

quella dell'angelo di sinistra nella pala udinese del Sangue del Redentore del 1496, sebbene qui egli sollevi solo una mano e la posizione della testa sia stata leggermente aggiustata (Fig. 81).

La simbologia animale contenuta nel quadro risulta altrettanto importante, derivata dal Carpaccio dai Bestiari, ma presente anche nelle Sacre Scritture e

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rintracciabile nelle fonti classiche. In particolare nei quadri del veneziano risulta frequente l’introduzione di volatili, quasi sempre rappresentanti delle virtù218

. Il pavone (Fig. 82b) si annovera tra i simboli di lunga durata, i quali giunsero ad essere legati a molteplici significati, a volte in contrapposizione tra loro. Noto simbolo cristologico dell’incorruttibilità della carne di Cristo è anche particolarmente connesso alla Resurrezione e qui fu collocato alle spalle dell’angelo, accanto al quale si trova anche un cardellino, collegato invece alla Passione. Anche le colombe furono spesso associate a Maria, sia nei Vangeli, sia soprattutto nel Cantico dei Cantici e frequentemente raffigurate in scene di

Natività di Cristo o Adorazione dei pastori in quanto simbolo di offerta sacrificale

nel momento della Presentazione al Tempio di Cristo, pertanto calzanti anche nel caso dell’Annunciazione, dove furono collocate sopra la Vergine (Fig. 82a). Completano la struttura allegorica le rondini, simbolo di Resurrezione per eccellenza, in quanto portatrici della nuova stagione, che evoca l’avvento della nuova era cristiana attraverso il medium mariano. La colomba inviata da Dio entro il fascio di luce (Fig. 82c), invece, simboleggia il concepimento virginale, avvenuto secondo il vangelo di Luca attraverso l'orecchio.

In linea generale, nonostante le raffinatezze poetiche riscontrabili nel dipinto, esso resta di impianto sostanzialmente tradizionale e recupera la necessità di mostrare l’intervento divino in modo tangibile, ricorrendo all’inserimento della colomba molto materiale entro il fascio luminoso che parte dal Padre Celeste. Tuttavia, “la primaverile interpretazione di Carpaccio”219

può rievocare l’osservazione contenuta nella Legenda Aurea, secondo cui il nome Nazareth

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in generale i Veneziani tendono molto spesso ad inserire simboli animali nei propri repertori di iconografia religiosa, spesso scambiati per “motivi di genere”, ma utilizzati al contrario per rafforzare determinati concetti. In particolare Carpaccio ne fece largo uso, ma senza sconfinare in bestie leggendarie od esotiche (fatta eccezione per il drago), bensì dipingendo la fauna che vedeva quotidianamente, scegliendo dalla tradizionale simbologia quello che si poteva adattare ad uno scenario locale realistico. S. COHEN, 2008, pp. 100 e segg.

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significa “fiore” e l’interpretazione di San Bernardo, che recita “il fiore volle nascere da fiore, nel fiore, e nella stagione dei fiori”.

4.2.5. Visitazione (Fig. 83)

L’Arcangelo Gabriele, oltre a portare a Maria la lieta novella, annunciò anche il miracolo della gravidanza della sua anziana cugina Elisabetta e secondo il Vangelo di Luca la Vergine si sarebbe messa subito in viaggio per recarsi a trovarla. La donna era al sesto mese di gravidanza e stando al testo sacro Giovanni Battista si sarebbe mosso nel ventre della madre al momento dell’incontro tra le due. L’ambientazione è esterna e di ampio respiro, con una molteplicità di personaggi abbigliati in modo esotico distribuiti in un desertico scenario, chiuso dagli abituali esemplari di grandiosa architettura commista presenti nei suoi cicli. Le figurette così sparpagliate forniscono una scansione dei piani ed accentuano la visione prospettica della scena. Maria ed Elisabetta sono colte nell’atto di abbracciarsi, in una probabile ripresa del motivo düreriano dell’Incontro tra Gioacchino ed Anna

alla Porta Aurea, (Fig. 84) xilografia appartenente alla serie della Vita della Vergine. Tale incisione funse da ispirazione anche per la pala d’altare del 1515

conservata alle Gallerie dell’Accademia, l’Incontro tra Gioacchino ed Anna, con

San Luigi IX e Santa Libera, che costituì tuttavia un’applicazione più riuscita del

modello. Nel dipinto della Visitazione le due protagoniste si stagliano al centro della scena, in pesanti panneggi classicheggianti che le discostano dalle comparse esotiche in secondo piano, in una piazza orientale che sembra più adatta ad accogliere una grande processione celebrativa, più che “due donne che qui non sanno abbracciarsi”220

.

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L’uso dei cosiddetti simili nell’opera di Carpaccio risulta particolarmente visibile in questo dipinto, con la presenza delle due donne in secondo piano, tra cui una abbigliata all’orientale, studiate in un disegno attribuito al Carpaccio e oggi a Princeton. Esse risultano essere state fedelmente riprese da un’incisione di Reuwich (Fig. 85a) e variamente riproposte in molteplici opere carpaccesche, come la Consacrazione dei Diaconi (Fig. 85b) per il ciclo dei tajapiera ed il Trionfo

di san Giorgio (Fig. 85c) per gli Schiavoni. Anche l’anziano seduto a sinistra

rispetto al gruppo centrale si può ricondurre al San Giuseppe dell’Adorazione di Lisbona (Fig. 86), di cui rispecchia in particolare la posa e forse anch’esso costituisce una citazione della xilografia del Reuwich riportata nel disegno di Princeton. Se si identifica tale personaggio della Visitazione con lo sposo di Maria, si può addurre che il vecchio con la barba lunga appoggiato a quello che sembra un pilastro di pietra sia Zaccaria e pertanto la composizione si avvicinerebbe, per la disposizione dei personaggi, a quella musiva con il medesimo episodio collocata nella cappella Mascoli a San Marco.

Le architetture sembrano essere state tratte dal Libro di Disegni del Bellini di Londra, con i loggiati e le decorazioni a fasce marmoree. La presenza di citazioni dal repertorio carpaccesco e da altri artisti può indicare una paternità spuria di questo dipinto, ritenuto assieme alla Morte della Vergine il più debole del ciclo, o far pensare direttamente ad un’esecuzione interamente di bottega, nonostante i tentativi della Borean nel senso di una rivalutazione del ciclo221.

La simbologia animale venne dispiegata in modo accentuato nella Visitazione, dove si incontrano nuovamente i conigli bianchi, simbolo di castità, di fecondità virginale, nonché di maternità e pertanto particolarmente adatti alle due donne. Tra i volatili, molto importante nell'iconografia mariana fu il pappagallo (Fig. 87a), in questo caso rosso, emblema dell’Incarnazione di Cristo, oltre che in grado di imitare la voce umana ed annunciare Maria quale Nuova Eva dicendo “kairè”, in

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latino “ave”. Esso è simbolo ricorrente anche dell’Immacolata Concezione222

. Anche il cervo venne riproposto in questo dipinto, quale simbolo del desiderio di Dio (Fig. 87b).