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Per una storia della costruzione di dighe Se la na scente disciplina della storia dell’ingegneria e delle tecniche

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4. le Grandi sTruTTure in calcesTruzzo nella sToria dell’inGeGneria moderna

4.2. Per una storia della costruzione di dighe Se la na scente disciplina della storia dell’ingegneria e delle tecniche

costruttive moderne dedicasse un’attenzione pari a quella rivolta ai ponti od alle coperture di grandi spazi anche alla realizzazione delle dighe, ripercorrerebbe certamente, pur con alcune eccezioni, lo stesso tipo di evoluzione teorica e pratica: a partire dalle strutture in muratura, variamente irrigidita o alleggerita e combinata con primi elementi in calcestruzzo, passando per le dighe ad arco-gravità, fino ad arrivare alle più moderne formulazioni a volta sottile, nelle quali la struttura a cupola è portata ai suoi limiti dimensio- nali e funzionali attraverso il rigore del calcolo e l’arditezza della sperimentazione empirica.

Sorte analoga anche nell’epilogo: la costruzione delle dighe ha un brusco arresto riconducibile al periodo degli anni set- tanta. Le ragioni possono essere le stesse alla base del più generale contrazione della costruzione di grandi strutture

Per una panoramica sui disastri legati agli impianti idraulici si veda G. Tempo- relli, “Da Molare al Vajont”, Erga, 2011.

gativa di alcuni fatti tragici e la saturazione del territorio nazionale con lo sbarramento della maggior parte dei bacini convenientemente sfruttabili per fini energetici od irrigui. Il numero delle dighe in Italia è andato crescendo con ve- locità variabile. Nel 1910 si aggirava intorno ad una decina. Successivamente la crescita è monotona fino al 1920, quan- do si raggiunge il numero di 30; dopo il 1920 l’attività co- struttiva si incrementa fino alle 200 unità prima della guer- ra. Dal 1950 il ritmo riprende e si porta a circa 10 opere/ anno, tanto che nel 1970 il numero delle dighe del Paese è circa raddoppiato. Ma intorno al 1970 si è manifestata una fisiologica frenata: nei successivi 30 anni sono state costru- ite cento opere, con un ritmo pari a circa un terzo del pre- cedente. La citata fonte indica che nel 1996 il numero delle dighe di competenza del Servizio Dighe si sensi della legge 584/94 era di 567.

Se si possono evidenziare analogie, è anche giusto e forse più interessante notare una delle più evidenti differenze, e cioè l’assenza dello stallo durante il ventennio fascista ed anzi un particolare sviluppo delle opere di regolamentazione idrau- lica durante al stagione delle grandi bonifiche in un’ottica di maggior sviluppo dell’agricoltura e quindi la necessità di una certa costanza irrigua, dell’eliminazione delle superfici stagnanti ai fini della lotta antimalarica e dello sviluppo di fonti energetiche alternative a quelle tradizionali attraverso lo sfruttamento del “carbone bianco”.

È singolare, dal punto di vista di questo studio, considerare come la storia moderna della costruzione di dighe in Italia parta dalla Sardegna, sia che si consideri la prima diga co- struita, lo sbarramento in muratura di Corongiu, in comune di Sinnai, del 1866 oggi demolita, sia che si consideri la più antica tra quelle oggi esistenti e cioè la diga a gravità in cal- cestruzzo denominata Bunnari Bassa, in comune di Sassari, risalente al 1879. Fatto non casuale e strettamente legato alla particolare combinazione di fattori fisico-geografici, econo-

mici e sociali che caratterizzano l’isola ed al suo contraddi- torio processo di sviluppo.

Considerando preliminarmente i sistemi costruttivi, lo sche- ma diga parte dall’idea di parete piena che contiene il volu- me idrico retrostante, tale sbarramento viene in prima bat- tuta realizzato in muratura e, come accade nella più generale storia dell’architettura, questo apparato viene sviluppato fino alle potenzialità estreme, passando dalla statica della massa a quella discontinua degli speroni e degli irrigidimenti con archi e volte. Ad emblema della raffinatezza raggiunta nella costruzione delle dighe in muratura, citiamo il caso della Diga di Santa Chiara ad Ula Tirso in Sardegna, nella quale a partire da un primo progetto a firma di Omodeo con struttura massiccia, subentra una seconda versione a fir- ma dell’ing. Kambo che propone una struttura discontinua costituita da alti speroni in muratura e volte a sezione di cono nella parte a monte per contrastare la spinta dell’acqua. Kambo riesce a conciliare le esigenze della committenza di rapidità ed economicità della struttura agendo sulla sottra- zione di materiali attraverso lo svuotamento e integrando le voltine sottili in calcestruzzo per trasmettere e distribuire la spinta idrostatica in un periodo in cui, se la manodopera era una merce a buon mercato, l’estrazione di materiale e la sua movimentazione rappresentava invece una quota parte predominante sull’opera.

In una fase successiva dello sviluppo applicativo, la strut- tura muraria viene integralmente sostituita dal calcestruzzo che, quasi universalmente non armato, lavora inizialmen- te soprattutto a gravità, con elevati spessori e quindi corri- spondente complessità di gestione del cantiere dovute alla necessità di approvvigionamento continuo dei getti.

Un’interessante analogia tra progetto di ponti e di dighe è legata all’evoluzione del cantiere e all’industrializzazione dei sistemi costruttivi. In entrambi i casi si tratta di strutture di grande dimensione che vengono realizzate in luoghi quasi

Jappelli, R. “Dalle storie di dighe ad una storia dell’ingegneria delle dighe in Italia”, in Atti del 3° Convegno di Storia dell’Ingegneria,

totalmente privi di infrastrutturazione primaria e che, solo grazie a queste opere, vengono incisi e definitivamente tra- sformati dalla mano dell’uomo.

In riferimento alla più generale situazione dell’industria di costruzione in Italia che abbiamo detto essere prevalente- mente artigianale, il cantiere della diga in calcestruzzo ne estende a dismisura i margini e quindi le strutture e le esi- genze. È infatti necessario un cantiere estremamente orga- nizzato, nel quale la “catena di montaggio” delle centrali di betonaggio proceda a ciclo continuo giorno e notte e pro- duca volumi di impasto che non hanno eguali nella realizza- zione di nessuna altra struttura civile; per far ciò è indispen- sabile la continuità degli approvvigionamenti di aggregati dalle cave prossime all’impianto ed il loro trasporto attra- verso blondins e derricks, il passaggio attraverso i frantoi ed infine la miscela e il getto del corpo della diga. I sistemi di elevazione della struttura sono diversi e a volte molto so- fisticati, ma tutti basati sul concetto di continuità verticale della massa di calcestruzzo, con casseforme rampanti e tra- slanti che di volta in volta abbandonano i getti appena questi raggiungono una consistenza che ne permetta l’autoportan- za per spostarsi verso la realizzazione del concio successivo secondo schemi in parallelo o a scacchiera.

Le principali imprese specializzate in dighe italiane sono poche e ricorrenti, tra le più note dell’epoca come la Lodi- giani di Milano, la Pietrobon di Belluno, la Ferrocemento di Roma, ect. e utilizzano sistemi costruttivi codificati e seria- lizzati, che solo in caso di particolare criticità trovano il pre- testo per un avanzamento o innovamento del sistema, che mantiene altrimenti una connotazione abbastanza ripetitiva. Ancora una volta troviamo, anche se in forma “gigantesca” ed enfatizzata, il cantiere tradizionale italiano, in cui le gran- di gru sostituiscono il trasporto manuale delle caldarelle e gli strumenti topografici svolgono il ruolo del filo a piombo,

Se la crescente complessità di progetto delle più genera- li strutture in calcestruzzo armato ha portato alla “scom- parsa” della figura dell’ingegnere strutturista quale unico soggetto su cui convergeva la responsabilità dell’ideazione e della costruzione, a tanto maggior ragione l’ancor più spinta multidisciplinarietà del progetto di uno sbarramento idrau- lico (che contempera geologia, geotecnica, statica, idraulica, fisica, meccanica, biologia, economia e scienze sociali per dire delle principali discipline coinvolte) si può dire abbia contribuito, oltre ai già citati effetti della saturazione terri- toriale, alla recente crisi in materia di costruzione di dighe. Forse è dunque nella scomparsa di quella figura di ingegne- re olistico, tipicamente ottocentesca e ancora presenta nella prima metà del XX secolo che va ricercata la crisi regressiva del progetto di dighe e più in generale di grandi strutture.

diga a gravità in muratura di Bussari Bassa, terminata nel 1879 è alta 27.5m

4.3. le principali innovazioni costruttive. Dal punto di

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