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Storia del movimento:

Nel documento Football Hooliganism: un profilo storico (pagine 155-186)

Inizieremo questa nostra breve analisi del mondo ultras italiano, utile per fare un raffronto col caso inglese, dalla nascita ufficiale del movimento stesso, senza però dimenticarci che episodi di violenza legati al calcio sono presenti sin dai primi anni del XX secolo.281 Il primo gruppo ufficiale ultras a formarsi fu la “Fossa dei leoni”, storica formazione del

155 tifo milanista nel 1968. L’anno seguente anche i supporter dell’Inter organizzarono il loro gruppo ultras che prese il nome di Boys”, divenuto successivamente “Boys SAN “ (Squadre armate nerazzurre). Nel medesimo anno anche in altre regioni del nord presero forma nuovi gruppi ultras. In Emilia Romagna comparve a Bologna, e prese il nome di “Commandos rossoblù”, in Piemonte, a Torino, furono fondati gli “Ultras Granata” e in Liguria a Genova vennero creati gli UTCS (Ultras Tito Cucchiaroni282 Sampdoria). 283 La prima apparizione di uno striscione in un stadio italiano con la scritta Ultras si ebbe nel 1971, ad opera dei UTCS. Occorre però specificare che in Italia il primo caso assoluto di tifo organizzati ebbe, prima degli ultras, con la creazione degli Inter Club su idea dell’allora allenatore neroazzurro Helenio Herrera:

Egli propose a Moratti di importare il modello già sperimentato in Spagna, di una rete di associazioni, ben strutturate, di aficionados per creare un massiccio seguito alla squadra in trasferta. A differenza del Milan, che aveva disputato la finale della Coppa dei Campioni senza un seguito di tifosi organizzati, l’Internazionale conquistò a Vienna, il 27 maggio del 1964, il maggiore trofeo europeo in un clima quasi di casa. Gli spalti del Prater, teatro della finale con il Real Madrid, furono riempiti da 30.000 sostenitori interisti, che raggiunsero la capitale austriaca grazie alla diffusa ed efficiente rete degli Inter Club, colorando l’imponente stadio austriaco di sciarpe e di stendardi neroazzurri.284

282 Ernesto Bernardo Cucchiaroni è sta un’ala sinistra della Sampdoria tra il 1958-1963, nato in Argentina

nel 1927, morì sempre in Argentina a 43 anni a causa di un’incidente stradale.

283 Cfr Antonio Roversi, Calcio, tifo e violenza. Il teppismo calcistico in Italia, Società Editrice Il Mulino,

Bologna, 1992, p.37 e Andrea Ferreri, Ultras i ribelli del calcio. Quarant’anni di antagonismo e passione., Bepress Edizioni, Lecce, 2008 p. 15

284 Antonio Papa e Guido Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Società Editrice Il Mulino, Bologna,

156 Questi gruppi però erano ben diversi dai gruppi ultras che, come abbiamo visto, si stavano per formare.

Si apre un nuovo capitolo nella storia del calcio italiano: quello del tifo organizzato. Il complesso rapporto che unisce le squadre di calcio ai loro sostenitori comincia a trasformarsi. A fianco di questi gruppi ufficiali, composti da «veri» tifosi, faranno tra poco la loro comparsa altri gruppi, formati da «teppisti che nulla hanno a che vedere con lo sport». Gli anni settanta stanno per iniziare.285

Gli anni settanta furono uno dei decenni più complessi, violenti e pieni di trasformazione nella storia della giovane repubblica italiana caratterizzati non solo da derive estremiste, con relative stragi, ma anche da crisi economiche, trasformazioni sociali e conquista di importanti diritti civili.

La strage di piazza fontana annuncia gli anni settanta, un decennio in cui esplodono le tensioni della storia precedente e la violenza politica conosce asprezze senza paragone con altri paesi europei. Sono centinaia le persone che perdono la vita in seguito a stragi, atti di terrorismo, violenza di piazza e migliaia i feriti: vittime nei primi anni soprattutto dello stragismo e dello squadrismo neofascista, e poi del terrorismo di sinistra degli «anni di piombo».[…]eppure negli stessi anni e negli stessi mesi avanzano in modo prepotente le istanze di rinnovamento cresciute negli anni sessanta.[…] con la realizzazione di importanti conquiste: dall’introduzione del servizio sociale all’abbassamento a 18 anni del diritto di voto; dalla legge sul divorzio a quella sul diritto di famiglia e a una regolamentazione dell’aborto che pone fine alle pratiche clandestine; dalla riforma sanitaria a quelle delle carceri e degli ospedali psichiatrici. 286

285 Antonio Roversi, Calcio e violenza in Italia, in Antonio Roversi (a cura di), Calcio e violenza in Europa,

Inghilterra, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Danimarca, Società Editrice Il Mulino, Bologna, 1990, p. 92

286 Guido Crainz, Storia della Repubblica. L’Italia dalla liberazione ad oggi., Donzelli Editore, Roma, 2016,

157 Il blocco petrolifero organizzato dai membri dell’OPEC nel 1973, non fece altro che acuire la crisi economica nella quale l’Italia si stava già trovando, una volta esaurita la spinta del miracolo economico. Crisi che andò a colpire principalmente i giovani che già dagli anni sessanta, specialmente verso la fine, portando molti di essi su posizioni estremiste.

La vera e propria «onda» sessantottesca si esaurirà nel 1970-71, partorendo una serie di nuove organizzazioni politiche giovanili, orientate prevalentemente a sinistra (Avanguardia Operaia, Potere Operaio, Lotta Continua, ecc.). Anche a destra si staccano dal Msi, almeno ufficialmente, una serie di gruppuscoli estremisti destinati a segnare con il sangue delle stragi la storia italiana: Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale, Lotta di Popolo, a cui si aggiungono, almeno a livello di scontri di strada, le rivitalizzante [così scritto nel testo] organizzazioni giovanili del partito come la Giovane Italia-che diverrà in seguito Fronte della Gioventù- e il Fuan.287

Infatti i giovani che formeranno i primi gruppi ultras erano uniti, oltre che da legami di amicizia, da simpatie politiche comuni, in maggioranza di sinistra in questo primo momento e dall’ammirazione e voglia di imitare il modello inglese. È proprio questa connotazione e struttura politica che differenzia sin da subito il movimento ultras italiano da quello hooligans inglese.

[…] molti giovani che durante la settimana difendono il proprio territorio dalle incursioni dei gruppi nemici, che battagliano con le forze dell'ordine e contestano radicalmente il sistema, la domenica portano in curva il proprio carico di conflittualità politica e impolitica. Sono proprio questi ragazzi a portare nel

158 tifo quelle forme organizzative, tipicamente politiche, che distingueranno il modello ultrà italiano da quello inglese. Una differenza che si appunta non tanto sulla predisposizione all'atto violento ma in un insieme di attività più complesse, sia nello stadio che fuori. Più che i simboli o i nomi di matrice politica, [...] sono le attività collaterali al rito domenicale a rivelare l'influenza sul movimento ultrà delle esperienze organizzative maturate nei gruppi extraparlamentari e più in generale, nella sfera della politica.288

Con l’avvento degli ultras non solo cambiò il modo di vivere la partita di calcio allo stadio, specialmente in curva, ma cambiò anche la “fisionomia” della curva stessa. Cominciarono ad apparire striscioni, che diventavano sempre più grandi, sciarpe, bandiere, coreografie, tamburi per incitare giocatori e lanciarazzi. Anche lo stile di vestirsi di chi va nelle curve cominciò a cambiare e assumere una fisionomia tutta sua. Il look iniziale degli ultras faceva ancora riferimento ai loro valori politici e cinematografici (eskimi, cappelli, jeans, etc.), solo successivamente cominciarono ad apparire abbigliamenti più specifici che contraddistinguono ancora oggi la realtà ultras:

Nei primi anni Settanta i controlli agli ingressi degli stadi sono praticamente inesistenti. Nelle curve, in tutta Italia, molti ultras entrano persino indossando i caschi integrali da motociclisti, altri compaiono nelle foto ingiallite con il passamontagna o il volto coperto da berretti e foulard. Arrivano sugli spalti persino riproduzioni delle bare, casse da morto e croci con i colori degli odiati rivali.289

288 Ferreri, Ultras i ribelli del calcio, cit., p.12

289 Pierluigi Spagnolo, I ribelli degli stadi, una storia del movimento ultras italiano, Casa editrice Odoya

159 Anche i cori subirono un cambiamento dovuto a questo nuovo modo di vivere lo stadio, diventando spesso alibi per offendere i tifosi avversari, per esaltare la propria forza o per rivendicare la fede politica del gruppo ultras.

Oh granata topo di fogna di Torino sei la vergogna la vostra massima aspirazione festeggiare la promozione noi in Europa giochiam lontano voi al massimo ad Orbassano da troppi anni cercate gloria solo Superga vi ha fatto storia quando torni dal purgatorio sogni sempre acquisti d'oro ma alla fine la storia vera

che Turin al'è bianca e neira! (ultras Juve)

Il viola è il colore che odio è quello che odio di più

160 gli sterilizziamo le donne

così non ne nascono più Firenze è una patria di infami la odio da sempre perché i viola non sono italiani

ma sono una massa di ebrei. (Ultras Juve)

Noi odiamo neri, froci, zingari ed ebrei, Terzo Reich, Terzo Reich

Viva l'apartheid... (Ultras Hellas Verona).

Tutto quanto finora analizzato ci aiuta a comprendere quanto la partita allo stadio fosse diventato per una parte consistente di tifosi solo un pretesto per esibire la propria forza s a parole e a fatti, dato che non mancarono occasioni di scontro sia tra gruppi ultras opposti sia tra ultras e forze dell’ordine.290 Domenica 28 ottobre 1979, durante il derby tra Roma

e Lazio, un razzo sparato dalla curva romanista uccise Vincenzo Paparelli, meccanico di 33 anni, che stava assistendo alla partita nella curva opposto insieme alla moglie Vanda. Il razzo gli si conficcò nell’occhio. Nel referto autoptico si leggerà che il razzo sparato

290 Giuseppe Plaitano, fu la prima vittima degli scontri tra ultras e polizia. Morto per infarto secondo la

versione ufficiale, colpito da un proiettile sparato dalla pistola di un poliziotto secondo gli ultras. Cfr Diego Mariottini, Tutti morti tranne uno, morire di tifo in Italia: dalle origini a Gabriele Sandri, Bradipolibri Editore s.r.l.., Torino, 2009, pp. 11-27

161 dagli ultras della Roma aveva perforato l’occhio sinistro e sfondato la zona parietale, tranciando i vasi sanguigni e ledendo irrimediabilmente il cervello. La partita venne giocata lo stesso, finendo sul punteggio di 1-1. Si scoprirono quasi subito i colpevoli dell’omicidio. Erano due ragazzi giovanissimi, Giovanni Fiorillo di 18 anni, e Enrico Marcioni 17 anni e mezzo. Il primo dei due ragazzi, proveniente dal quartiere Esquilino di Roma, non aveva finito la scuola dell’obbligo ed era un imbianchino disoccupato, morì nel 1993 per overdose. Il secondo, proveniente dallo stesso quartiere, studiava in un istituto tecnico odontotecnici. 291 La morte di Vincenzo Paparelli fu la prima avvenuta

all’interno di uno stadio di calcio in Italia e ciò non lasciò indifferente l’opinione pubblica italiana.

I BARBARI DELLA DOMENICA Ed è così venuta la tragica domenica in cui una famigerata -arma

impropria- uccide un tifoso in uno stadio. È accaduto all'Olimpico romano, ridotto per l'ennesima volta, grazie agli incidenti, ad una sorta di grottesco, sanguinante Colosseo. Riconosciamolo a viso aperto: da almeno sette o otto anni abbiamo temuto questo fattaccio. Negli stadi si entra con ogni sorta di suppellettili, oggetti, bastoni, legni per bandiere che servono quali manganelli, chiavi inglesi, persino estintori rubati nelle stazioni ferroviarie (è capitato a Milano, per il derby). Le pistole lanciarazzi sono ormai normali come l'orologio al polso. I disgraziati, giovanissimi o meno, che si mascherano da guerriglieri, invadono settori via via più grandi. Sono arrivati persino a minacciare chi -tifa freddo-, chi non ulula come uno sciacallo. E cosi: il morto. Lo temevamo, abbiamo speso chilometri di parole sulle colonne dei giornali, in questi anni. Tutto inutile: la vittima c'è, ha un nome, suscita pietà infinita. È andato anche lui allo stadio per godersi novanta minuti di pedate e sperandole degne di festa, il giovane e sfortunato spettatore romano. È stato ucciso e non incolpiamo il destino, non tiriamo in ballo il Fato. Cosi come non si può accusare chi ha la sorveglianza degli stadi, polizia o addetti dei clubs calcistici: come è possibile frugare nelle tasche e sotto gli impermeabili di sessanta, ottantamila persone? In un Paese qual è l'Italia, dove si muore troppo

162 facilmente, oggi uccide anche lo spettacolo sportivo. Dobbiamo sporgerci su questa rovina civile, curarla, non attenuarla con frasi fatte o con speranze leggere. La colpa è in una certa figura di tifoso, che ignora tutto: il rispetto umano, la liceità agonistica, il valore del divertimento domenicale, e si affida solamente ai propri stimoli di violenza bruta, armandola con ogni sorta di strumenti. Non c'è legge, non c'è prevenzione, non c'è consiglio, non c'è predica, non c'è tutela che valgano. Bisogna riuscire, con decisioni rapide e senza guardare in faccia a nessuno, ad estirpare questa gramigna. Tutti gli -ultras di tutte le curve vanno levati di peso dai loro posti. Lo sport è un -bene comune che può e deve essere salvato da chi gli mangia le viscere, da queste frange barbare. O i cancelli resteranno chiusi per sempre. Giovanni Arpino

292

NON SI DICA FATALITÀ Le notizie sulla nuova violenza degli stadi hanno destato un'ondata d'allarme.

C'è da temere che questa attenzione non durerà a lungo, dato il grado di saturazione raggiunto dall'opinione pubblica di fronte agli episodi crescenti di violenza e di terrore. Ma c'è di più. Il rischio che, di fronte a questi fatti, trovi nuovo spazio il pericoloso e grossolano discorso sull'inevitabilità di simili fenomeni nei periodi di pace, con la conclusione che, in fondo, la guerra è un fatto necessario e inevitabile data la particolare qualità della natura umana. Per questo, un momento di riflessione — senza illuderci che possa servire a molto — può essere utile o, almeno, doveroso. Gli episodi di domenica scorsa rivelano un salto qualitativo nelle manifestazioni di violenza, in rapporto a quelle «normali» del passato, in Italia, ma anche in paesi di antica civiltà, come la Gran Bretagna. La ragione sta di certo nel fatto che questi fenomeni specifici del tifo sportivo tradizionale si sono innestati in un filone di violenza diverso, più vasto e più profondo. Che la società italiana sia diventata una delle più fertili matrici di violenza è risaputo, e non ne mancano le analisi dei motivi. La crisi delle strutture tradizionali, della famiglia, del vicinato, delle istituzioni dello Stato preposte all'ordine pubblico, e del sistema di valori, eccetera. E ‘stato detto quasi tutto in proposito. Ma a questi motivi si aggiunge ora una ragione specifica in più: l'emarginazione di larga parte del inondo giovanile. L'assassino di Roma è un ragazzo come la maggior parte dei teppisti milanesi e romani. E non è un caso. È questa un'età nella quale più forti sono le pulsioni vitali, il desiderio di vivere e, inconsapevole spesso, quello di produrre, di rendersi utili, di servire a qualcosa. Quando una

163 situazione, bloccata da solidi interessi corporativi, sbarra il passo a chi si trova in questa condizione, quelle pulsioni rischiano di degenerare. Ciò che deriva infatti dal rifiuto che la società gli ha imposto o pone nei confronti di chi non lo ha, è una frustrazione intensa, che si converte, per meccanismi psichici ben noti, in aggressività contro gli altri, ma anche contro di sé. Come nel caso della droga. Quanta parte abbiano simili meccanismi nel provocare il manifestarsi della violenza, non solo negli stadi, ma nella vita quotidiana e nella sfera politica, non è facile misurare, ma è legittimo supporre che essa sia grande. In questo campo si crea una circolarità perversa di effetti negativi. Più vasta è l'ondata della violenza, più difficile ne appare il controllo e la repressione, e maggiore è Io spazio lasciato all'impunità. Fra tutte, la violenza terroristica è certo quella più suggestiva e contagiosa sotto questo profilo, per il mito che si crea sulla inafferrabilità degli assassini e la crudeltà dei loro delitti, e per la copertura ideologica die essi ricevono da parte dei settori più irresponsabili della vita nazionale che Dio sa quanto irresponsabili essi siano, nonostante la parvenza intellettuale di cui si rivestono. Tutto questo fa dilagare il fenomeno. Come arrestarlo e invertire la tendenza? Mutando radicalmente politica, e associando la rimozione delle cause strutturali, che richiede tempo e idee chiare — non sempre presenti alla classe politica abbacinata dall'immediato 'presente quotidiano —, a un'opera di fermo controllo delle situazioni pericolose e di energica punizione dei delitti accertati. Si uccide negli stadi? Bene. Si cominci col provare a chiuderli, almeno per un po' di tempo. E se i responsabili politici hanno paura di perdere dei voti per questo, non deprechino dopo le conseguenze della loro interessata pavidità. Le responsabilità saranno comunque chiare. Carlo Tullio Altan293

Questo articolo ci permette di fare alcuni richiami al lavoro che in quegli anni stava svolgendo l’autore, il famoso antropologo Carlo Tullio-Altan, sulle motivazioni storiche, quindi strutturali, dell’arretratezza socio-culturale del nostro paese.294 In particolare

all’interno della sua vasta ricostruzione del processo storico di formazione di quella che lui chiama “la sindrome dell’arretratezza socio-culturale” sono anche inseriti in un

293 Archivio La Stampa on-line, 30 ottobre 1979

294 Cfr Carlo Tullio-Altan, La nostra Italia. Arretratezza socioculturale clientelismo, trasformismo e

164 paragrafo “due anni di cronaca dalle pagine dei giornali(agosto 1983- agosto 1985)” in cui sono presenti dirette testimonianze di cronaca riguardanti:

La mafia siciliana, la ‘ndrangheta e la camorra calabrese e campana, la diffusione della malavita, le società segrete, la pratica delle tangenti, la corruzione nella vita pubblica e amministrativa, lo sperpero del pubblico denaro e la piaga della droga.295

Queste indicazioni ci fanno capire bene in quale quadro politico storico più ampio si collochi la problematica della violenza negli stadi e ci indica anche alcune delle possibili cause della mancanza della loro risoluzione.

Gli anni ‘80 rappresentarono gli anni del definitivo boom degli ultras e di una loro ulteriore trasformazione rispetto alle origini. Questa capacità di mutazione rimane una caratteristica tutt’ora valida del fenomeno in questione. Oramai in tutti gli stadi d’Italia le squadre erano sostenute dai loro gruppi ultras durante le partite. Gli scontri aumentarono in maniera esponenziale ma si spostarono: infatti in maggioranza avvennero fuori dagli impianti sportivi296, con anche un “miglioramento” qualitativo negli scontri da parte dei tifosi, infatti

Negli anni ’80 si inasprisce anche il modo di fronteggiarsi tra gruppi ultras rivali. Si arriva presto allo scontro aperto, alla rissa, e spesso in queste battaglie cominciano a comparire coltelli, spranghe, petardi, bottiglie incendiarie e razzi. A differenza del primo periodo in cui il confronto era perlopiù a mani nude, in questi anni il fenomeno ultras si attrezza con un vero e proprio armamentario paramilitare. Di conseguenza le forze dell’ordine iniziano ad organizzarsi per arginare gli episodi di violenza sempre più allarmanti. Compaiono intorno agli stadi mezzi blindati e reparti celere in assetto antisommossa. Gli agenti

295 Tullio-Altan, La nostra Italia, cit., p. 195 296 Roversi, Calcio e violenza in Italia, cit., p. 99

165 vengono equipaggiati per situazioni di guerriglia urbana: giubbe ignifughe, anfibi, caschi, manganelli, scudi in plexiglas e lacrimogeni (dal 1991 i lacrimogeni CS).297

La militarizzazione degli scontri fu solo la diretta conseguenza della trasformazione che il movimento ultras stava prendendo, ovvero il divenire un fenomeno organizzato e ben strutturato, su modello militare, e non più legato solamente ad amicizie o leader carismatici. In questo clima di “standardizzazione” del movimento nascono anche le prime alleanze tra gruppi di tifoserie diverse chiamate “gemellaggi”. Queste amicizie fanno tutt’ora parte del mondo ultras, superando anche i confini nazionali. Molti gruppi sono infatti gemellati con tifoserie di altri campionati, in particolare con quelle olandesi e tedesche.298 Il fenomeno era sempre più in espansione e questo portava a due conseguenze: un importante incremento nel numero degli “aderenti” e la nascita all’interno delle stesse curve di nuovi gruppi, spesso in competizione con quelli tradizionali. Queste rivalità si basavano molto anche sulla capacità di attrarre nuove leve e di imporsi come nuovi gruppi dominanti. In questo periodo, ovvero anni ’80, era principalmente una questione di prestigio e “virilità”, col passare del tempo e a causa di un’ulteriore trasformazione del mondo ultras queste rivalità saranno basate principalmente sul piano economico in quanto il controllo della curva e l’aver un importante numero di “fedelissimi” avrebbe avuto un suo importante tornaconto economico. Questa voglia e necessità da parte di questa frangia di “tifosi” di scontri e di

Nel documento Football Hooliganism: un profilo storico (pagine 155-186)

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