Sulla base di una consapevolezza maturata negli ultimi anni di studio, grazie anche al dialogo interdisciplinare coltivato all’interno del Dottorato, l’antropologia non può mai
dimenticarsi della storia. All’interno di questo progetto, proprio il contributo della
storia è risultato determinante nell’aprire lo sguardo antropologico su lavoro & ICT. Sul piano storico, lo studioso Aad Blok cerca proprio di indagare il rapporto fra lavoro e tecnologie dell’informazione, suggerendo - insieme al collega Greg Downey - una prospettiva d’indagine molto costruttiva. Innanzitutto, sembrano tre i nodi problematici da sciogliere con urgenza: il riduzionismo/determinismo tecnologico, le
cesure storiche e il lavoro umano “celato”, in relazione ai progressi economici e
tecnologici (Blok, Downey, 2003).
A fronte di questo, si cerca di incoraggiare un duplice piano interpretativo: il ruolo del lavoro nelle rivoluzioni tecnologiche e le conseguenze delle rivoluzioni stesse sul lavoro. Come è poi possibile intrecciare i due livelli di indagine? Attraverso ricerche su tutto quanto concerne:
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- l’invenzione, la costruzione, lo sviluppo e il mantenimento delle infrastrutture informative;
- i contesti, le strutture, la produzione, l’uso, la trasformazione e la trasmissione delle stesse;
- i cambiamenti indotti (ibidem, 2003).
Come mette in chiara luce Greg Downey, esistono delle “convinzioni normative”, ancora purtroppo molto frequenti, da smantellare:
a) la produttività legata alle tecnologie dell’informazione è sinonimo indiscusso di progresso;
b) i lavoratori vengono visti come “componenti tecnologici”;
c) in relazione all’organizzazione spazio-temporale del lavoro, fenomeni quali il tele-lavoro, la flessibilità e l’e-commerce sono sì presi in considerazione, ma partendo raramente dalla prospettiva dei soggetti (ibidem, 2003).
I lavoratori sono i protagonisti del lavoro e, come tali, devono essere posti in primo piano nel loro essere individui che vivono, creano, scelgono, producono,
consumano e progettano. I lavoratori sono gli attori della scena lavorativa e, insieme ai managers e ai consumatori, sono co-autori del mondo tecnologico-informativo che ci
circonda quotidianamente. Solo “svelando” nei particolari la piccola, ma articolata, realtà che il lavoratore vive e crea ogni giorno è possibile capire cosa e come sono le tecnologie oggi.
Inoltre, parlare di lavoratori in tale contesto non significa solo prendere in considerazione i “geni informatici” o coloro che, più in generale, lavorano agli alti vertici dell’innovazione tecnologica, ma anche - e soprattutto - capire il lavoro prezioso e costante di tutti i “lavoratori medi” del settore: vale a dire, sottolineare l’importanza del ruolo di tecnici, operatori, giovani apprendisti e tutti quanti contribuiscono a
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sostenere l’esistenza del World Wide Web, dell’e-commerce e del mondo dell’informazione/comunicazione. Come sostiene con convinzione Greg Downey, il nuovo mondo virtuale non può sfuggire da un vecchio fattore “fisico”: ci vuole il lavoro umano per far funzionare il web (Downey, 2001). E il lavoro umano è soprattutto quello di chi lavora ogni giorno dietro una scrivania e davanti al computer.
In alcuni contesti, la storia è riuscita a “svelare” affascinanti casi di lavoratori-IT rimasti nascosti dietro la narrazione degli eventi, ma, come dice lo storico Downey, in questo campo ancora troppo spesso la storia tende a privilegiare gli “attori dell’innovazione” e/o gli “attori del consumo”, trascurando i “lavoratori comuni” (Blok, Downey, 2003).
Volgendo uno sguardo agli articoli di Technology and Culture - la rivista forse più importante nell’ambito degli studi di storia della tecnologia - alcuni autori fanno del recupero dei “lavoratori celati” il fulcro delle loro trattazioni. Un esempio fra tutti:
- J. S. Light, “When computers were women”, 1999.
In questo articolo viene posta in evidenza la centralità della donne durante la realizzazione dell’ENIAC, il primo computer elettronico americano costruito durante la seconda guerra mondiale. Il riconoscimento dell’importanza delle lavoratrici, oltre che inserirsi all’interno di una più ampia riflessione sulle questioni di genere, diviene un esempio di quanto sia importante dare voce e spazio a tutti coloro che lavorano quotidianamente alla progettazione di strumenti tecnologici.
L’invisibility che nasconde i lavoratori è come una coltre di nebbia da dissipare: come suggerisce sempre lo storico Greg Downey, a tal proposito è necessario uno “sforzo di visibilità” e il metodo etnografico può essere un valido sostegno a questo “slancio positivo”. Le indagine concrete sul campo danno voce e spazio a persone, luoghi, storie e azioni e, dunque, anche ai lavoratori. Non risulta facile suggerire un
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nuovo metodo per studiare il lavoro legato alle tecnologie, ma l’incontro fra
contestualizzazione storica, interpretazione etnografica e consapevolezza geografica
potrebbe sancire una svolta importante (ibidem, 2003).
Da un punto di vista storico, l’importanza dell’etnografia era già stata sostenuta anche da Philip Scranton, quando parlava dell’indagine empirica come supporto indispensabile per gli studi storici su lavoro e tecnologia (Scranton, 1988).
Due elementi sembrano emergere con forza da quanto fin ad ora presentato da un punto di vista storico:
a) l’importanza dei soggetti-lavoratori (in particolare, i “lavoratori medi”); b) il valore degli studi etnografici.
Sebbene si tratti di un campo di ricerca un po’ diverso da quello qui in analisi, il lavoro di Julian Edgerton Orr, riunendo a suo modo proprio questi due elementi, può essere un valido spunto di riflessione: egli compie un’etnografia innovativa sul lavoro dei tecnici che riparano le fotocopiatrici (Orr, 1996). Il lavoro tecnico viene preso come esempio del “rapporto uomo-macchina” e sviscerato in tutta la sua realtà e importanza, a sostegno della tesi dell’autore che vede nei tecnici figure di determinante importanza all’interno di un processo ormai inesorabile che vuole porre le “macchine” come superiori e migliori rispetto al lavoro umano (ibidem, 1996).
L’etnografia va alla ricerca dei lavoratori, dei loro ruoli e delle loro mansioni, cercando di “umanizzare” e raccontare la complessità dell’innovazione tecnologica. Ecco che entra dunque in campo la disciplina qui centrale, l’antropologia.
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