Il problema del riconoscimento visto dagli immigrati e da chi difende i loro diritt
4.2. Il problema del riconoscimento attraverso le storie delle persone immigrate 1 La storia di Emanuel
4.2.2. La storia di Tbebu
Tbebu ha 28 anni, è eritreo, e la sua storia, il suo percorso scolastico, sono profondamente legati alla storia politica del suo Paese d’origine.
Quando i coloni italiani sono costretti ad abbandonare l’Eritrea nel 1947, il destino di quei territori non è chiaro: nel 1952, le Nazioni unite, a cui è rimessa la questione, rendono l’Eritrea una componente federata all’Impero di Etiopia, garantendone comunque l’autonomia. Ma quando il governo di Addis Abeba smantella il sistema federale e cambia l’assetto dello Stato fino a trasformare l’Eritrea in una semplice provincia amministrativa, un radicato movimento indipendentista inizia una guerra civile che si protrae fino al 1991 quando il Fronte di Liberazione scaccia l’esercito etiope fuori dai confini. L’Eritrea è formalmente libera e indipendente ma le speranze democratiche svaniscono in fretta: il leader del Fronte di Liberazione Eritreo, Isaias Afewerki, diventa Primo Presidente provvisorio dell’Eritrea ma di provvisorio ha ben poco: da allora non ci sono mai più state elezioni e quella di Afewerki si è trasformata a tutti gli effetti in una dittatura militare.
“I miei genitori hanno combattuto tutta la loro vita per la liberazione del mio Paese, per questo non hanno potuto studiare e mi ripetevano sempre che io dovevo andare all’Università e fare tutto quello che non sono riusciti a fare loro”
In tutta l’Eritrea c’è una sola Università, si trova nella capitale ed entrarvi è difficilissimo. Per questo motivo l’esito dell’esame di maturità diventa “una questione
di vita o di morte”: pochissimi alunni eccellenti sono ammessi all’Università, gli altri, la
maggioranza, sono costretti alla leva obbligatoria.
Nel 2001, in risposta ad una protesta studentesca, l’Università viene chiusa e sostituita da Collegi decentrati, più lontani dai centri abitati, e per questo più lontani dall’opinione pubblica nell’ipotesi di nuove rivolte. Inoltre viene aggiunto un quinto anno al ciclo superiore, che però deve essere svolto all’interno di una caserma militare, alternando studio e addestramento.
106 “Quando siamo arrivati ci hanno dato la divisa, le cinture, i fucili e ci hanno detto: ora siete militari! Abbiamo fatto quattro mesi di addestramento e poi quattro mesi di scuola, ma non eravamo studenti normali: dovevamo sempre mantenere la riga e ci controllavano dei militari armati. Di circa 10.000 studenti solo il 4% riesce a superare l’esame di maturità. Io fortunatamente sono stato tra questi.”
Dopo il successo all’esame di maturità Tbebu viene ammesso al Collegio dove spera di abbandonare l’incubo della scuola-caserma ma i suoi sogni si infrangono velocemente: anche nel collegio la situazione non cambia: “Loro vogliono militari, non studenti. Io per
quattro anni non potevo vivere così”. L’alternativa però, per chi non è ammesso a
proseguire gli studi o per chi decide di abbandonarli, è il servizio militare illimitato. Per Tbebu non c’è via d’uscita: le alternative sono o una vita da studente-militare o una da militare a tutti gli effetti. Finchè un giorno gli ordinano di trasferirsi per qualche mese nei pressi di una diga per lavorare alla sua costruzione. È qui che Tbebu capisce che deve approfittare della situazione e scappare: si organizza con un paio di amici fidati, aspettano una notte di pioggia e scappano, corrono fino all’alba, senza scarpe e con le guardie armate che sparano alle loro spalle. Incredibilmente ce la fanno.
Poi per Tbebu comincia il viaggio, il deserto, il carcere in Libia e per ultima la traversata del Mediterraneo. Arriva a Caltanissetta dove viene “rinchiuso in una prigione” che per lo stato italiano si chiama CIE e da cui esce dopo qualche mese con in mano un permesso di soggiorno per motivi umanitari e nient’altro, se non una vita da dover riscrivere.
Tbebu prende il treno e si dirige verso Nord, prima a Bologna, poi in Svizzera, poi di nuovo a Bologna dove decide di ricominciare a studiare. Si rivolge all’International Desk dell’Università di Bologna per richiedere il riconoscimento del diploma di maturità eritreo in modo da potersi iscrivere direttamente alla triennale. Per il riconoscimento gli viene richiesto il diploma di maturità tradotto e firmato dall’ambasciata ma il regime non rilascia nessun diploma cartaceo “non si sa mai che
poi qualcuno lo usi sul serio” e per questo Tbebu è costretto a recarsi al consolato
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arrivato in Italia e alla risposta “da clandestino” gli urlano di essere un traditore, di essere scappato dalla sua terra, e si rifiutano di rilasciargli alcun documento.
Tbebu torna a Bologna, scoraggiato, e si iscrive alle scuole serali per ottenere il diploma di maturità come perito meccanico.
“Io ero terrorizzato di studiare con gli italiani, con i bianchi, pensavo fossero tutti dei geni. Poi c’è stata la prima verifica di matematica e ho visto che il mio voto era come quello degli altri: ero migliore di alcuni italiani e peggiore di altri. In quel momento ho capito veramente che siamo tutti uguali. Posso dire che quella verifica ha cambiato totalmente la mia visione delle cose”
Destreggiandosi tra diversi lavoretti e, soprattutto, caricato di un impegno politico che lo prende quasi totalmente nel tentativo di portare all’opinione pubblica la causa eritrea, Tbebu riesce a prendere prima il diploma e poi si iscrive alla Facoltà di Agraria a Bologna. Tbebu ha perso tre anni a causa dei documenti che gli mancavano per farsi riconoscere il diploma ma, nonostante continui a ripetere che “è stata una lotta!”, sta per concludere il percorso universitario e finalmente potrà esaudire quello che è sempre stato il suo sogno e quello dei suoi genitori: laurearsi.