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STRATEGIEN DAS LEBEN DIE ZEIT WIRD KNAPP (STRATEGIE LA VITA IL TEMPO SCARSEGGIA)

Nel documento 50° Festival dei Popoli (pagine 91-93)

lo sPazio del temPo e il territorio del cinema

6. STRATEGIEN DAS LEBEN DIE ZEIT WIRD KNAPP (STRATEGIE LA VITA IL TEMPO SCARSEGGIA)

Nell’arco di tempo che dal 2005 si estende al 2009 Thomas Heise realizza alcuni dei suoi film più personali e dolenti. Esemplare il caso di Mein Bruder – We’ll Meet Again nel quale rag- giunge il fratello che vive nei Pirenei in compagnia della sua ex moglie, che a sua volta si è stabilita con il suo amico di sempre Micha che al tempo della RDT, con il nome di copertura Marcel Black, informava la Stasi dei movimenti dei fratelli Heise. Rispetto a Barluschke, il precedente tentativo del regista di comprendere le forme del controllo poliziesco della ex RDT, Heise non può fare a meno di calarsi nella materia filmata. Il film, infatti, è anche il racconto di un processo di riavvicinamento tra due fratelli che si erano persi di vista. Da qualche parte alberga ancora il dolore per il tradimento subito, ma la determinazione del fratello di mettersi tutto alle spalle, di vivere ciò che gli resta da vivere, dopo che gli hanno impiantato ben cinque bypass, sembra come voler passare un colpo di spugna sul passato. Ma non è così. Le cose sono accadute e sappiamo già che non passano. Come si nota in Der Ausländer: “Ich hatte einen Traum. Es war ein Alptraum. Ich wachte auf und alles war in Ordnung”. (Ho fatto un sogno. Era un incubo. Mi sono svegliato e tutto era a posto). Heise non cerca colpevoli. Piutto- sto è interessato al loro continuare a vivere. Quando Micha fatica a trovare le parole Thomas,

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che Straguth è coesistente con il resto delle cose e del mondo anche se non sembra farne parte. Ed è proprio questa ineludibile passione del continuare a restare ancorati al mondo che Heise esprime con un grande scatto di visionarietà quando osserva Volker e i suoi tre figli addobbare l’albero di Na- tale mentre in sottofondo scorrono le note metalliche della «Sehnsucht» dei Rammstein. E questo dettaglio permette di puntualizzare come la scelta dei materiali denotativi di una data situazione nel cinema di Heise non avvenga mai in maniera gratuita o per allentare la tensione. Sussiste sempre una motivazione narrativa profonda che si colloca immediatamente nel perimetro dell’inquadratura completandola e trascendendola ma mai eccedendola. Si resta sempre nel terreno dell’osservazione oggettiva, diremmo materialista, l’unica prospettiva che permetta al materiale osservato di divenire altro. Frammento di un mondo, scheggia di un tempo, barlume di una percezione che tenta di rico- struirsi come racconto e mondo. Straguth sembra un luogo fuori dal mondo. Una stella che muore. Invece si trova nel cuore dell’Europa. E quelli che osserviamo bere e dialogare nella birreria di Otto Natho sono tedeschi. Tedeschi «mai visti».

Il lavoro successivo di Heise ritorna in un luogo chiuso. Questa volta si tratta dello spazio di una rap- presentazione teatrale. Der Ausländer, cui abbiamo già accennato brevemente, rievoca le rappre- sentazioni di Der Lohndrücker che si svolsero nella cornice del Deutsches Theater di Berlino Est a cavallo tra il 1987-88. Nella notte tra il 3 e il 4 gennaio del 1988, Heiner Müller s’incontra con Michael Gwisdek e Hermann Beyer per discutere del lavoro da apportare al testo la cui stesura, come abbia- mo evidenziato più sopra, risale al 1956. Thomas Heise, presente alle discussioni, rielabora il mate- riale registrato nel 1999 con il musicista Robert Henke (la cosiddetta «imbalance computer music») e crea il dramma radiofonico (Hörstück) 03.01.1988 Ein Nachtgespräch (03.01.1988 Conversazione notturna) la cui prima si svolge undici anni dopo le registrazioni avvenute nel Brecht-Zentrum di Berlino. Per la realizzazione del film, Heise rimette mano al materiale registrato su VHS. In questo modo il regista riattualizza un procedimento cui fu costretto molti anni prima, nel 1983, dopo che che il suo film Erfinder – 82 fu distrutto dalle autorità della RDT. Il dramma radiofonico Vorname Jonas avrebbe infatti dovuto essere un film che intendeva registrare il reinserimento di un giovane che aveva appena scontato una pena detentiva. Il film fu bloccato in fase di découpage ma Heise, rinunciando alle immagini e conservando solo le registrazioni sonore crea un nuovo genere di lavoro che, con elegante ironia esercitata nei confronti delle sue difficoltà produttive e politiche, definisce “Dokumentarfilme ohne Bild” (Documentari senza immagini). Der Ausländer, invece, restituisce le immagini alle conversazioni notturne, rivelando in questo modo il nesso inscindibile, eppure alla bi- sogna strategicamente («e disperatamente») trascurabile, che la parola intrattiene con le immagini. Il film, per quanto breve, è tra i più complessi della produzione di Heise. Fitto di rimandi al lavoro di Müller, gremito di riflessioni e paradossi, intervallato dalle prove del dramma, rivela l’attenzione costante di Heise per il lavoro dell’amico e la sua percezione e lettura degli eventi di quegli anni cruciali. Un lavoro filmico altro rispetto alla parola di cui il drammaturgo, tra l’altro, è perfettamente consapevole. Non a caso Müller si rivolge a Heise che filma fuori campo come se fosse stato colto in flagrante fingendo di rimproverarlo: “Du nimmst das erbarmungslos auf jetzt. Nee, ist ja völlig in Ordnung”. (E tu ora riprendi tutto senza pietà. Nah, è tutto a posto). Müller chiama quindi in causa Heise riconoscendogli di fatto la compartecipazione alla conversazione notturna cui il regista non partecipa con la parola ma registrandola. Ossia Müller etero-dirige il lavoro di Heise, ben sapendo che questi poi lo decostruirà ulteriormente. L’immagine di questa affettuosa complicità vive lungo folgorazioni intellettuali di grande problematicità: le riflessioni che coinvolgono il pensiero di Rosa Luxemburg, le resistenze di Brecht, le colpe di Lenin, la conseguenza Stalin. Müller, ovviamente,

riguarda la ex RDT e la seconda incentrata sui problemi della riunificazione). Eppure non è solo questo. Il film riassembla e, soprattutto «smonta», ancora una volta con procedimento che ci sembra schiettamente godardiano, ciò che è stato. Il nuovo materiale filmico ci pone soprattutto una domanda: «cosa» è stato visto effettivamente. E «come» è stato visto. Rive- dere è dunque strategia operativa. Riprocessare e riportare alla luce. Raro esempio di film fatto con i pezzi dei film precedentemente realizzati, permette di osservare ciò che risulta da questo nuovo assemblaggio alla stregua di un ipertesto di ciò che è stato. Non banale gioco di metatestualità, ma di reinvenzione delle possibilità del dire. Un approccio compiutamente «polidimensionale» alla storia che è in se stessa una delle proposte più radicalmente inno- vative portate nei confronti del cinema contemporaneo e alle modalità di (ri)mettere in scena il nostro passato remoto e prossimo pensandolo piuttosto come un problematico eterno presente in perenne movimento lungo le coordinate e le ascisse del tempo. Perché “tödlich dem Menschen ist das Unkenntliche” (Mortale è all’uomo l’ignoto).

NOTE

1. Poiché le parole devono restare pure. Perché una spada può essere infranta e anche un uomo può essere infranto, ma le parole ricadono irraggiungibili negli ingranaggi del mondo rendendo le cose note o ignote. Mortale è all’uomo l’ignoto.

tentando di andargli incontro, gli spiega che non è tenuto a giustificarsi per le sue azioni del passato. Micha ha uno scatto: “tu non devi giustificarti!” replica al regista. Ancora una volta sembra echeggiare la domanda: “perché un film su questa gente?” Perché è esattamente questo il luogo in cui si manifesta quella storia, che si ammucchia invece che dipanarsi oriz- zontalmente, che forma il nucleo nevralgico del cinema di Thomas Heise. La periferia della storia dove la storia stessa è più viva che mai come resto non consumato.

Con Im Glück (Neger) Heise porta ancora una volta la scena teatrale nel suo cinema. Il film si ri- ferisce alla sua esperienza del 1990 quando mise in scena con un gruppo di ragazzi il dramma di Heiner Müller Anatomie Titus Fall of Rome. Sven Behrendt è uno dei giovani attori che il regista continua a seguire nell’arco di tempo tra il 1999 e il 2005. La parola «Neger» del titolo si riferi- sce invece all’affermazione provocatoria di Heiner Müller “Ich bin ein Neger” (Io sono un negro) pronunciata quando gli fu conferito il premio Georg Büchner nel 1985 e che nelle intenzioni del drammaturgo indicava la marginalità dell’intellettuale e dell’artista. Heise non solo ne accoglie la portata polemica volutamente sopra le righe riferendola alla propria condizione, ma la estende ai suoi protagonisti che si ritrovano a vivere in un paesaggio economico e sociale in mutazione costante. Nel film vengono citati I canti di Maldoror di Lautreamont e il poema Exkurs über den Schlaf der Metropolen. Nachdichtung von Carl Weber. I fantasmi non riposano in pace. La let- tera che Sven legge in macchina filmandosi (diventato probabilmente uno skin stando al cranio rasato), augurandosi che il suo amico regista Thomas non sfrutti la loro amicizia per guadagna- re prestigio, minacciando persino di fargliela eventualmente pagare se così fosse, quasi senza rendersi conto (o non preoccupandosene affatto) delle numerose incertezze di dizione, conta tra i momenti più alti di tutta la filmografia di Heise (cosa che indica la sua straordinaria sensibilità e intelligenza nel trattare i materiali altri).

Con Kinder. Wie die Zeit vergeht il regista ritorna a Halle-Neustadt. Jeannette Gleffe ormai ha una figlia, Annabelle. Lavora come autista di autobus. Suo figlio Tommy le crea problemi. Paul invece è diligente e ottiene ottimi voti a scuola. Chris, l’amico di Tommy, ha dovuto ri- nunciare a frequentare i suoi amici skinhead dopo una violenta lite con il padre. Si è calmato. Riesce a tenere a bada l’odio. Ma la fiamma gli arde ancora dentro al cuore. Eppure a sentirlo parlare non si direbbe nemmeno che possa essere un razzista. Nemmeno quando dichiara di odiare i turchi. Kinder. Wie die Zeit vergeht tematizza sin dal titolo lo scorrere del tempo e tutto ciò che in esso non cambia mentre forse tutto si trasforma per l’ennesima volta. E forse non è un caso che dopo questo film Heise abbia ripreso in mano tutta la sua filmogra- fia alla ricerca proprio di quel «Rest der nicht aufgeht». Material si compone di frammenti, riprese, immagini scartate o che non sono riuscite a diventare «film». Un’opera titanica e profondamente intima che chiama in causa tutta la storia della RDT e non solo. Un’opera possente che celebra la resistenza del «resto» offrendo al tempo stesso la possibilità di ri- vedere ancora una volta ciò che è stato. Material è davvero il «Numero Deux» di Heise. Unico film di Heise a superare la durata dei 100 minuti, è esemplare delle modalità di riorganizzare la cosa vista da parte del regista. Lungi dalla tentazione di voler chiudere o essere esausti- vo, Material in realtà moltiplica i punti di fuga. Le prospettive nuove e possibili. Riguardare non significa rivedere, ma vedere come per la prima volta. Come se non si fosse mai visto nulla. Certo, c’è anche il valore strettamente narrativo di scrutare tra le pieghe più rimosse e recondite della RDT e anche solo per questo Material si potrebbe già considerare uno dei capolavori più importanti del cinema contemporaneo (con la divisione tra la prima parte che

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tion takes over. This seems to break open the observer’s point of view towards a hypothetical extreme long and almost bottomless shot. This vertigo, of course, is not the facile effect of recognition. On the contrary, it is produced by a working mode according to which you get as near as you can to your subject, avoiding ab- jection and jumping over the line that are only possible for the man with the movie camera «but are never allowed», and you actually expose the fundamental remoteness of those that are being filmed. Heise’s gaze up close can create reliable images of the distance of difference and, obviously, of the «difference of distance». This too seems a powerful characteristic of Heise’s cinema: only distance allows you to see and observe, and tell, what is close to you. To understand how necessary distance works is to understand cinema itself. Distance is neither a sepa- ration nor a declaration of non-involvement, but is an instrument for listening, a mode of working, a positioning on the field, and a declaration of poetics. Moreover, it is the outcome of a process in constant progress that needs be verified continuously over time. It is not a coincidence that Heise periodically returns and films people already appeared in his previous works, as if he wanted to verify what and how much remains of the previous experience. By the way, it would be interesting to know whether he has ever been influenced by the work of Volker Koepp. Therefore, this is a necessary distance, some room offered to the other to be mani- fested, the stage of a possible epiphany (and how many epipha- nies are to be found in Heise’s works) where you can be admitted in the capacity as bearers of an «other» gaze. As he declared in Material (id., 2009), the gaze is the second time of the thing seen. What remains is always an image.

In this sense, the cinema of Heise is a cinema that collects sen- sitive information. A cinema of possibility. A cinema that collects the debris of history; that begins to listen when the wheels of history are apparently already rolling in a different direction. As Heise himself noted in Eisenzeit (The Iron Age, 1991), possibly his key text, “immer bleibt etwas uebrig. Ein Rest der nicht auf- geht” (Something always remains. A remnant that is left over). In a Parthenopaean writer’s words, “the remains of nothing” (Enzo Striano, Il resto di niente). When it comes in contact with these remains of nothing, this remnant that officially does not exist, or shouldn’t, the cinema of Thomas Heise is likely to find its own reason for being. Its own initial motive. Such a swerve is both political and poetical. A differential tension is created that is im- mediately a declaration of cinema. It means that you begin to watch. Above all, when you begin to watch, you must immediately

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