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GLI STUCCHI DEL PALAZZO ALBRIZZI A VENEZIA

Nel documento IT A L IA N A (pagine 25-28)

— T av. I 4, I5 e I 6. F i g . 20, 2 I e 22.

L

’arte barocca ha in V enezia un’ impronta originale e stupenda. N elle sue origini essa è come signo­

reggiata da un poderoso ingegno, che, pur lasciando nella decorazione libero ogni freno alla ricca fantasia, ebbe pieno ed efficace il senso del reale. L ’azione esercitata da Alessandro V ittoria sui decoratori e sugli statuari veneti durò lunga pezza e l’arte, fra le lagune, continuò per molto tempo a modellarsi sull’esempio di quel grande, degenerando poscia e corrompendosi sempre più. Il V ittoria era m aggior decoratore e scultore che architetto. N egli edifizi dovuti alle seste dell’ artefice trentino, non si scorge la gagliard a fantasia, con cui sono trattati gli stucchi del soffitto nella

Questo periodo, che m anca nella prim a edizione (1 5 8 1 ) del Sansovino e fu aggiunto dallo Stringa nella seconda edi­

zione, c ’ induce a fissare il tempo della costruzione del Palazzo Bonomo, verso la fine del secolo X V I.

I Bonomo, di fam iglia non patrizia, m a fra le più ricche del secondo ordine dei gentiluom ini, che diceasi dei citta­

dini originari, cedettero poi il palazzo agli A lbrizzi, una m età (forse il piano nobile) nel 1648, l ’ altra nel 1692. I relativi contratti devono esistere nell’A rchivio di casa A lbrizzi.

M olto prim a che fossero inscritti nel L ibro d ’ Oro a V enezia, gli A lbrizzi o A lbricci o A lberici erano conosciuti come antica fam iglia di gentiluom ini nei municipi di B

er-Fig. 20. Soprapporta nelpalazzo Albrizzi a Venezia.

L ib reria del Sansovino, nè la forte eleganza con cui sono modellati alcuni busti, come quello m eraviglioso del procu­

ratore M arc’Antonio Grimani in chiesa di San Sebastiano.

Alcune opere architettoniche miseram ente scorrette, come il palazzo Balbi in v o lta d i c a n a l e, sono attribuite ad Alessandro V ittoria, ma è lecito credere siano invece di qualche suo discepolo o im itatore. Certo non sono opere del V itto ria le m isere facciate del palazzo A lbrizzi a san- t ’A pollinare, ripiene di frontoni spezzati e di sgarbate men­

sole. L eggesi nelle aggiunte alla V enetia C itta n o b ilissim a del Sansovino : F r a i p i ù n o ta n d i p a la z z i ch e so n o f r a te r r a, d e v e e s s e r p o s to q u ello d eM u ti a S. C a ssia n o f a b ­ b r ica to n e g l i u ltim i a n n i d e l s e c o lo p a s s a to , d i b e llis s im a c o str u ttu r a, orn a to d i m a rm i, co m e è a n co q u ello d e i B u o - n om o situ a to s u l m ed esim o r io in co n tr à, d i S. A p o llin a re.

Fig. 21. Soprapporta nel palazzo Albrizzi a Venezia.

gamo e di Como. L a più verde, la più pittoresca fra le vallate bergam asche, quella di Scalve, fu la culla di due stirpi illustri, forse di sangue longobardo : i Capitani di Scalve e gli A lbrizzi. Lassù, in quella parte del B ergam asco, la terra è più ridente che ricca e ciò non ostante il p re­

cetto c r e s c ite e t m u lt ip lic a m in i è sempre assai rispettato. Il castello avito, la casa borghese, il casolare del contadino molto di frequente trovansi troppo ristretti pei numerosi ram polli e troppo m agra la terra pei bisogni di tutti. Di qui nacque l ’ industria, per cui la provincia prosperò, di qui l ’ em igrazione di tanti cadetti di antiche stirpi, che fonda­

rono altrove fam iglie, ben più potenti e note delle fam iglie originarie. Come i Capitani di Scalve furono celebri a Milano e a Bergam o, così gli A lbrizzi furono, in diversi tempi, illustri a Bergam o e a Como, a V enezia e a N apoli.

Tre rami degli Albrizzi scesero in diversi tempi alla patrizia, proprietaria del palazzo a Sant’A- pollinare. Quegli acuti mercanti, dopo aver vedute moltiplicate le proprie sostanze, sen­

tivano la dignità del nuovo stato, in cui erano stati posti dalla fortuna, provavano il desiderio dei godimenti, ambivano le raffi­

natezze della civiltà e il lusso delle arti.

Il vecchio palazzo dei Bonomo, acqui­

stato dagli Albrizzi, nuovi ricchi, fu nel- l’ interno compiutamente e magnificamente trasformato. Del vecchio edificio rimane ancora una stanza a sinistra, verso il campo, la quale conserva l'elegante e severo stile del cinquecento. Le decorazioni delle altre stanze del piano nobile, meravigliose per ardimento, accennano agli ultimi decenni del secolo XVII. Le insegne degli Albrizzi, nel l’iscrizione della famiglia Albrizzi nel Libro d’ Oro di Venezia (1667). Se in esse non si può riconoscere, come taluni vorrebbero, un’ opera del Vittoria (+ 1608), se appar­

tengono più risolutamente al barocchismo,

alla decadenza dell’arte, è forza peraltro ammirare una de­ stuccatore secentista diede prova di grande abilità orna­

mentale nel saper valersi delle classiche modanature, ta­

gliate nella pietra d’Istria dagli scalpellini del secolo XVI, a fine di avere un punto di partenza pei fogliami, le volute ghiribizzose, i geni, i putti, i fiori, le fronde modellate con mano ardita. L a distribuzione sapiente delle masse, del co­

lore, delle dorature, le grandi difficoltà geometriche vinte od evitate, la scienza accompagnata all’ audacia danno un alto concetto del valoroso artefice rimasto ignoto. In fatto di decorazione è quanto di più ricco e leggiadro si possa immaginare, e quell’ appartamento dovea essere un fondo adatto alle figure di donne eleganti, vestite di raso e di fogliami, di ornamenti lussureggianti. Il mi- stilineo delle masse rientranti e sporgenti è combinato con insuperabile magistero. Sulle soprapporte e su pel soffitto staccano in belle movenze putti e figure d’ alto rilievo, che sostengono ampie cornici. Le tele incassate nelle pareti e nel soffitto non sono gran secentista sbizzarrì l’ingegno fantasioso con intemperanza leggiadra.

Un sesto salone quadrato è di una in­

venzione così lussureggiante da sembrare una fantasia, un sogno di poeta. Il soffitto rappresenta, con novità ingegnosa, un grande velario, il quale, partendo da un ottagono ornamentale, lo ricopre tutto, sostenuto agli angoli da otto figure colossali e nel centro da ventiquattro bellissimi putti, modellati con fare largo e spedito, che in varie movenze s’ aggirano, volano, danzano, folleggiano, si nascondono sotto le pieghe ingegnosamente e sapientemente panneggiate.

Questa festosa ridda è forse la più briosa idea che sia mai passata per la fantasia di un decoratore. Lo stile e la modellatura annunziano la fine del secolo XVII.

Artefici del settecento operarono invece nel salotto ele­

gantissimo di stile Luigi XVI, che segue alla meravigliosa sala dei putti. Gli specchi, le stoffe, gli ornamenti formano un insieme di gusto squisito. Sulle pareti campeggiano fregi d’oro, che ebbero qua e là dei ritocchi e risentono la ma­

niera dei primi anni del nostro secolo. A ll'ornamento, forse

D E C O R A T I V A E D I N D U S T R I A L E 23

un po’ trito e spezzato, m a sem pre pittoresco, sono co llegate figure gran d i al vero, nelle quali lo statuario riv ela fran­

chezza e leg g iad ria di linee.

Q ua e la, in mezzo a ll’elegan za m oderna un po’ pettegola, attrae l’attenzione qualche vecchio m obile, qualche quadro pregevole. I gran d i ritra tti dei procuratori di casa B arb arigo e quelli di casa A lbrizzi arieggian o il fare largo e spigliato di A lessandro L o n gh i. S em bra invece di P ietro L o n gh i un quadro che rap presenta la fam iglia A lbrizzi.

U na facciata bruna e severa del palazzo A lbrizzi pro­

spetta sovra un canale angusto e tortuoso, sul quale un ponticello aereo, da cui pende in lunghe chiome la ver- zura, conduce dalle m agnifiche stanze al giardino. S ull’ area di questo giardino sorgeva uno dei celebri te atri di San Cassiano e proprio quello dove suonò il violino il C asa­

nova, e dove ebbe occasione di conoscere il suo primo protettore, il Senatore B ragadin.

Po m p e o Mo l m e n t i.

X I I I .

C A S T E L L O DI T O R R E C H I A R A

C A PPE LLA DI S. NICOMEDE

— T a v . I3. D e tta g lio 9. F i g . 2 3, 24 e 25. —

e quattro torri del rettangolo di Torrechiara hanno ognuna il loro nome: torre della Camera d’ Oro, torre del Leone, torre del Giglio, e torre di S. Ni- comede. Alla prima dava nome la sala, da noi già descritta;

alle altre due, forse i segni araldici che sotto qualche antefissa dovevano brillare dorati e colorati; all’ultima, la cappella interna del castello. Nella Camera d’ Oro è conser­

vato il monumento e mancano i mobili ; nella Cappella di S. Nicomede sono conservati i mobili e manca il m o­

numento.

Questo però si potrebbe ricostruire con poca spesa e in poco tempo, demolendo la divisoria orizzontale gettata a mezzo per levare, nell’altezza delle vòlte, una commoda stanza. Tale piano è sostenuto da quattro pilastri che suddividono la cappella come in tre navate, così basse ed umili da farla parere una cripta. Levato quel piano, il monumento riapparirebbe, con le sue alte vele ed in tutta la sua vastità, una specie del Cappellone degli Spa- gnuoli in S. Maria Novella a Firenze. Al centro della vòlta, nel concorso dei costoloni, si vede ancora un disco con l’agnello dalla croce. Non traccia di pittura sui muri, che pure un giorno ne dovevano essere adorni.

* **

Sull’ altare è una bella ancona a cinque archetti tri­

lobati sorretti da colonnette a spirale addossate a pilastri che si prolungano sino alla cornice superiore. Nel mezzo è dipinta la Madonna seduta in trono, col bambino disteso

sulle ginocchia. T utt’ intorno è una gloria d’ angeli in adorazione : due in basso, seduti sul gradino del trono, suonano un liuto e una mandola. A destra della Madonna è S. Nicomede con la palma in mano, poi S. Antonio Abate ; a sinistra, S. Caterina con la ruota sotto i piedi e S. Pietro Martire dal coltello fitto in mezzo al capo.

Nella base, divisa in dodici quadretti, sono dipinti gli Apostoli.

La pittura è segnata col nome dell’ artista che così accuratamente lavorò nella Camera d’ Oro e che pure non ha lasciato traccia autentica di sè, se non nella rócca di Torrechiara. Benedetto Bembo è ignoto alla storia del­

l’arte: solo nel turrito propugnacolo di Pier Maria Rossi si è finora trovato il suo nome : ‘Benedictus ‘Bembus edidit M C C C C LX II mensis Maij.

Invece, meriterebbe una lode per tutta la soave poesia diffusa nelle sue composizioni, per la ricca accuratezza d’ ogni particolare. Egli è uno di quei benedetti artisti del Rinascimento che trovavano la leggiadria in ogni cosa e che, quantunque talora alcun poco grami nelle forme,

erano sempre eleganti ed armonici nell insieme. P er loro, la figura umana messa sopra un fondo di fini rabeschi,

Fig. 23. Cappella nel Castello di Torrechiara.

Fig 24. Nicchiettapressolaltarenella Cappella del Castellodi Torrechiara.

doveva concorrere ad un complesso ornamentale che finiva sempre per coprire le deficienze.

Guardando la vòlta della Camera d’ Oro e l’ancona di S. Nicomede, non si sa se l’artista abbia fatto gli ornati per le figure o le figure per gli ornati. Tutto ha impor­

tanza uguale, tutto converge ad un effetto unico.

Nel volto della Madonna si scorgono i tratti fisiono­

mici di Bianca Pellegrini. Il suo aspetto doveva apparire in tutto e lampeggiare anche dalle pale dorate. Pel valo­

roso amante ella sola era Dea del luogo. Tutto era stato fatto per lei: cortine, torri, camera d’ oro, e la chiesetta;

ancora la chiesetta, dove separati dal pubblico e dentro una splendida tribuna s’ inginocchiavano vicini, felici del loro forte e colpevole amore, anche in cospetto dei Santi e della Vergine.

E la tribuna è ancora nella cappella, divisa in tanti quadrati adorni di stemmi, di rose ornamentali, e dei motti che già si sono ammirati nella sala descritta, tutta intagliata in legno, e nelle fascie e nella ottagona pira­

mide superiore intarsiata. Più che sulle terrecotte della Camera, è qui rimasta l’originale policromia. Da un lato è la porticina, dall’altro la finestra, cui si affacciavano gli amanti per assistere alle funzioni sacre. Ma non una sola parola di preghiera vi è scolpita sopra : anche qui i due motti D igne et in eternum nelle fascie delle tre corone mar-chionali disposte in giro e Nunc et semper nel parapetto

dell’ inginocchiatoio. Anche la fede serviva all’ amore: anzi tutto serviva alla fede d’ amore ; e chi sa quante volte dentro la mirabile edicola i due amanti avevano sostituito i baci alla preghiera. — Che cosa faceva Sigismondo Ma- latesta con Isotta ?

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Nella chiesa, oltre i due splendidi oggetti ora descritti, si trova una cassapanca del tempo con fascie ornate di semplici rosette a traforo, che forse serviva a contenere le pianete e gli arredi sacri della cappella di S. Nicomede.

E d’antico si conservano anche la nicchietta per le am­

polle e la porta dove ogni chiodo ha segnate sopra la capocchia “ P M , , iniziali del nome del Rossi “ P ier M aria, „ e col catenaccio antico adorno di lievi roselline o stelle stampatevi sopra durante il lavoro a fuoco.

Tutto è adunque mirabilmente ricamato in questa bella sede d’ amore. Nel pavimento della cappella il grosso marmo cela il sepolcro dove furono calati i due corpi dei fedeli amanti ; il castello d’ intorno è deserto e silen­

zioso; eppure non si prova la mestizia che stringe l’anima nelle altre ròcche. Il fascino dell’arte è qui di sollievo e diletto : essa sopravvive a tutto, sempre lieta e sempre consolatrice.

Co r r a d o Ri c c i.

Fig. 25. Cassapanca nella Cappella del Castello di Torrechiara.

X IV .

Nel documento IT A L IA N A (pagine 25-28)