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AR T E

IT A L IA N A

D E C O R A T IV A

E

I N D U S T R I A L E

P E R IO D IC O M EN SILE

P U B B L I C A T O S O T T O IL P A T R O C I N I O

D E L M I N I S T E R O DI A G R I C O L T U R A , I N D U S T R I A E C O M M E R C I O

E D IR E T T O D A

C A M IL L O B O IT O

M D C C C X C I V

U L R I C O H O E P L I

E D I T O R E L I B R A I O D E L L A R E A L C A S A

MILANO

I S T I T U T O I T A L I A N O

D’ A R T I G R A F I C H E

BERGAMO C O E D I T O R I

(6)

A N N O T E R Z O

18 9 4

(7)

An n o III. GENNAIO 1894 N.° 1

A R T E IT A L IA N A

D E C O R A T IV A E IN D U ST R IA L E

E riserva ta la prop rietà artistica e lettera ria secondo le l e g g i e i tr a tta ti internazionali.

I.

L ’INSEGNAMENTO ARTISTICO-INDUSTRIALE IN EUROPA

I.

IN G H IL T E R R A

— T av. 4 e 5 . F i g . da I a 5 —

Fig. 1. Fianco di uno scanno nel Museo di Kensington opera italiana del Sec. X V I.

legasi intimamente colla diffusione della cultura artistica. Quindi quanto più generale è il senso del bello, quanto più intimamente diffondesi nelle varie classi sociali, tanto più esso predomina nei prodotti della manifattura, di modo che anche gli oggetti comuni e del più grande consumo acquistano maggior prezzo nel mer­

cato, quanto maggiori in essi appajono gentilezza di forma o armonia di colori.

Tali risultati non si possono altrimenti ottenere che genera­

lizzando l’insegnamento del disegno: “ troppo a lungo, osservava nel 1878 Viollet-le-Duc, il disegno è stato considerato come un complemento di educazione per le classi agiate, o come il primo elemento per lo studio delle arti belle. Esso va ammesso ormai come la base fondamentale di qualunque carriera industriale, come mezzo altrettanto utile quanto lo scrivere, per esprimere delle idee e comunicarle altrui in una forma comprensibile... È que­

stione di prosperità pubblica, di ricchezza nazionale in un paese eminentemente produttore; l’insegnamento del disegno è la base di questa prosperità „.

Ma prima assai che il più grande architetto della Francia contemporanea bandisse fra i suoi connazionali questo verbo, un altro popolo aveva mostrato all’Europa quali progressi si possono raggiungere nella industria, mercè i precetti dell’arte e lo studio paziente degli esemplari de’ maestri antichi.

Nel 1851, come è noto a tutti, fu tenuta a Londra la prima esposizione mondiale. Gl’inglesi colpiti dalla grande superiorità della Francia nei prodotti dell’arte applicata all’industria, si pro­

posero di emulare i loro vicini, e sotto la intelligente direzione del Principe Alberto, fondarono un Museo di industrie artistiche, il quale dal luogo in cui ebbe sede definitiva assunse il nome di South K en sin gton Museum.

Giammai si vide una iniziativa raggiungere risultati così rapidi ed efficaci. Contemporaneamente furono in moltissimi luoghi istituite associazioni per lo svolgimento delle arti, scuole di disegno, biblioteche d’arte, esposizioni temporanee di industrie artistiche. Il Museo di Londra fu dotato con una larghezza proporzionata al grande scopo che intende- vasi conseguire. Nei primi anni si spesero fino a 4 e 5 mi­

lioni all’anno, per acquisto di oggetti —; così, o poco meno, nei successivi. L ’azione del Museo si estese in breve alle provincie colle sezioni ambulanti (circulating M useum) che sono collezioni di modelli e libri, fatti circolare nelle diverse località, dove dominano determinate industrie, e colle ri- produzioni in fotografia, in gesso, in galvano-plastica degli oggetti d’arte più notevoli, esistenti nel Museo e nelle col­

lezioni pubbliche e private di Europa. Intanto il Departement o f S cien ce and Art ebbe nuovo ordinamento, fu istituita la N ational T ra in in g S chool f o r Art, che fu il grande vivajo di maestri e di maestre, donde si irradiò l’educazione arti­

stica in tutto il regno. Nei singoli dipartimenti la istituzione delle scuole di disegno fu lasciata alle amministrazioni locali (L oca i Unions f o r tea ch in g d ra w in g), riservandone l’ alta direzione al dipartimento delle scienze ed arti, che fornisce loro il personale insegnante, eseguisce ispezioni periodiche, tiene L

’arte è divenuta in questi ultimi anni elemento prepon­

derante nella industria. È in grazia di questo fatto e del giusto apprezzamento di esso, che in tutti i paesi civili è invalsa la convinzione che il progresso della industria col-

Fig. 2 . Fianco di uno scanno nel Museo di Kensington opera italiana del Sec. X V I.

sessioni di esami e apre concorsi annuali agli alunni di tutte le scuole del regno (Lu een 's p r ise s); in breve si coprì l’Inghilterra di una fitta rete di scuole. Gli effetti di una organizzazione così

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potente, imaginata senza miserie nè piccinerie, non si fecero at­

tendere lungo tempo. Prospero Merimée li segnalava ai suoi concittadini fino dalla esposizione del 1S62, esclamando, allar­

mato : “ L 'in d u strie en g la ise tr ës-a rr ier ée au p o in t de v ue de l'a rt, lors de l'exposition de I8 5 I, a f a i t depu is dix ans des p r o g r é s p r o d ig ieu x , et s i e lle continue a m a rch er du mém e pa s, nous p o u rrio n s étre bientot depassés „.

Per avere idea chiara e completa dell'ammirabile organizzazione dell'insegna­

mento, annesso al Museo di Kensington, occorre portare uno studio accurato e pa­

ziente sopra il regolamento delle sue scuole, il quale consta di oltre 100 articoli e disciplina la materia con metodi rigorosissimi e forse poco confacenti all' indole della nostra razza latina.

Una osservazione preli­

minare: l'insegnamento ar­

tistico non è gratuito in In­

ghilterra: ma alla istruzione a pagamento conviene con­

traporre i sussidi che lo Stato elargisce agli studiosi più meritevoli e ai maestri che formano migliori allievi.

Non abbiamo sott'occhio gli ultimi specchietti di que­

ste sovvenzioni, ma pren­

dendo ad esempio quello per l'anno scolastico 1887-88. ri­

levasi che le competenze pa­

gate all’erario dagli studenti d'arte raggiungono la co­

spicua somma di Ls. 47,211 (L. it. 1,180,725) mentre i sussidi accordati a maestri ed alunni di scuole d'arte, unicamente sulla base dei risultati degli esami scola­

stici, salirono a Ls. 72,148 (L. it. 1,800,700).

Questi sussidi che ser­

vono ad acuire l ’ingegno dell'alunno e a mantener desta l’operosità del maestro, hanno per iscopo (art. 3 del Reg.) di “ promuovere l'istruzione nel disegno, nella pittura e nella modellazione, e nel disegno per l’architettura, per le manifatture, per la decorazione, specialmente fra le classi in­

dustriali „. — “ Per raggiungere tale scopo „ la Sezione (art. 4) presta il suo aiuto per l’insegnamento elementare nelle scuole elementari diurne e nei collegi di applicazione; per l’insegna­

mento del disegno nelle classi d’arte; per l ’insegnamento del disegno nelle scuole d’arte; per la formazione dei maestri d’arte. „

In Inghilterra si ha dunque, ripetiamolo:

Insegnam ento d i d isegn o elem en tare n elle scu ole elem en ta ri diurne e n ei c o lle g i d i a p p lica z ion e;

Insegnam ento d e l d isegn o n elle cla ssi d 'a rte;

Istruzione a rtistica n elle scu ole d ’a r te ;

Form azione o educazione d i m a estri d ’a rte nella scuola nazio­

nale d’arte.

In una memoranda lettera che il ministro Salvatore Majorana Calatabiano indirizzava nell’aprile 1879 al principe Ruspoli sin­

daco di Roma, lettera nella quale si gittavano le basi di un museo italiano d’arte industriale, da istituirsi dallo Stato a Roma, parlasi lungamente dell’ordinamento delle scuole nel Museo di Kensington — e dell’azione benefica che esso irradia in tutte le provincie del regno. Esso provvede anzitutto alla moltiplicazione delle scuole di disegno, accorda sovvenzioni agli alunni e ai

maestri, fornisce alle scuole, a prezzi moderati, modelli necessari all’insegnamento, accorda sovvenzioni ai comitati locali, in ragione dell'area in cui la scuola ha sede.

Nelle scuole per gli adulti diurne e serali, il Kensington in­

terviene, oltrechè col fornire modelli a prezzi ridotti, “ conferendo premi di 10 scellini ciascuno agli allievi che ottengono la men­

zione onorevole negli esercizi di disegno, di prospettiva, di geometria e di meccanica; di 15 scellini a quelli che la ottengono nelle applicazioni del disegno e della modellazione alle industrie.

Il conferimento di questi premi ha luogo in seguito agli esami che gli allievi subiscono in occasione della ispezione annuale delle scuole, fatta dal Comitato „.

Le scuole del regno hanno obbligo di seguire nell'insegnamento il programma stabilito dal South Kensington. “ Secondo questo programma l ’insegnamento è distribuito in 6 corsi, ciascuno dei quali, mentre è coordinato all’altro, può stare anche separatamente e dà diritto, dopo l'esame, ad un certificato speciale che addita e raccomanda l'allievo ai fabbricanti, presso i quali le sue co­

gnizioni possono trovare impiego „.

Per disposizioni statutarie e regolamentari i lavori degli alunni nelle scuole locali d’arte nel Regno Unito, debbono ogni anno essere inviate al grande Museo centrale di Londra. Quivi, dopo rigorosa selezione, sono ammessi al concorso nazionale; e medaglie d'oro ed altri premi non in denaro sono conferiti agli autori de’

più meritevoli lavori.

Gli studenti di scuole d’arte possono concorrere a borse nazionali di studio, del valore di una e due Ls. la settimana nel South Kensington, per uno, due e tre anni.

Sempre gli studenti di scuole d’arte, i quali si pro­

pongono di diventare inse­

gnanti o che abbiano già ottenuto un certificato di idoneità, possono concor­

rere alla scuola normale del South Kensington, con una allocazione di mantenimento di 15 scellini per settimana, ai quali possono essere ag­

giunti pagamenti personali di altri 5 scellini ebdoma­

dari.

È così che siamo giunti a parlare della importantis­

sima istituzione, T he n a­

tion a l a rt tra in in g school, destinata a formare g l’inse­

gnanti; imperocchè allo spi­

rito p o sitiv o degl’inglesi parve stoltizia diffondere nel regno scuole speciali, senza creare un istituto in cui fos­

sero educati i maestri per esse.

Una specie di scuola normale per i maestri d’arte, era stata fondata fino dal 1837 a Somerset House col nome di scuola d i d isegn o e scuola cen tra le d ’a r te; tra­

sferita nel 1853 a Marlbo- rough House, essa nel 1865 ebbe sed e definitiva nel Kensington.

Ben presto la scuola vide aumentare prodigiosamente il numero de’ suoi frequentanti, allettati da ricche borse di studio e da numerosi vantaggi; però fu solamente nel 1871 che il Consiglio di educazione, nell’intento di porre la scuola in grado di rag­

giungere il suo precipuo obbiettivo, quello di creare insegnanti per le scuole artistico-industriali, ne corresse e modificò i rego­

lamenti, determinando i vari gradi o sta di d’istruzione, annettendo

Fig. 3. Fianco dellarmadio-stipo, opera italiana del Sec. X V I nel Museo di Kensington. Vedi Tav. 4.

Fig. 4. Soffietto, opera italiana del Sec. X V I nel Museo di Kensington.

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D E C O R A T I V A E I N D U S T R I A L E 5

inoltre una scuola normale per l’istruzione degli studenti, la quale servisse alla prima di scuola d’applicazione.

Il corso d’istruzione si impartisce in 23 classi, le quali si dividono in 6 gruppi. Diplomi di competenza ad insegnare le materie comprese in ciascun gruppo, sono rilasciati a candidati

che superino i necessari esami.

Ci occorre qui ritornare alla lettera dell’onor. M ajo­

rana Calatabiano, che ci­

tammo poc’anzi — per e- sporre, colla guida di essa, come un certo numero di alunni della scuola normale nazionale d’arte, il quale abbia con onore superato il primo esame, ottiene l’am­

missione gratuita alle le­

zioni, e di mano in mano che ciascuno di questi alunni fa progresso negli studi riceve un sussidio annuo che varia dai 600 agli 800 franchi.

Quando un alunno della scuola normale ha regolar­

mente ottenuto la sua pa­

tente di maestro, viene dal Comitato di educazione rac­

comandato alle istituzioni locali, perchè riesca ad ot­

tenere un onesto colloca­

mento. E quando lo ha ot­

tenuto, non viene meno ad esso l ’ appoggio e l’assi­

stenza della istituzione cen­

trale, poichè in ogni ispe­

zione annuale, si valutano l ’abilità, l’ efficacia, lo zelo da lui spiegati nell’insegna­

mento, e secondo i risultati di questo giudizio, esso ha

diritto a speciali rimunerazioni, in ragione di un tanto per ogni alunno premiato, tenuto conto del grado del premio, oltre un compenso straordinario che va dalle 20 alle 50 Lire sterline.

Inoltre sono concesse indennità per viaggi di studio a favore di quei maestri, l’insegnamento dei quali è giudicato meritevole di speciale considerazione.

Eguale benevolenza mostra il Comitato verso le scuole che più si distinguono, e quelle le quali nel concorso annuale del Museo di Kensington, hanno degli alunni premiati, ricevono in ragione d’ogni premiato, tanti doni consistenti in opere d’arte o di letteratura, di un valore non inferiore a 10 Ls.

La divisione di arte ornamentale nel Museo di Kensington

Fig. 5. Scranna, opera italiana nel Museo di Kensington. Sec. X V I.

costituisce una delle più importanti collezioni di oggetti antichi, medioevali, del rinascimento e moderni d’arte industriale di tutti i paesi — ceramica; vetri; intagli in marmo, in avorio, in legno;

stoffe, merletti, velluti, ricami; lavori in metalli diversi, musaici, smalti, etc., acquistati mercè compre, scambi o doni.

Il Museo ha inoltre una quantità di pubblicazioni proprie, intese ad illustrare le raccolte sue, le quali costituiscono la se­

rie, ormai famosa, dei cata­

loghi del Kensington Mu- seum. Preziosissima è pure la biblioteca di opere d’arte annessa al Museo, arricchita da un numero considerevole di incisioni a stampa e di fotografie.

Per quanto le Muse non arridano b e n ig n e egual­

mente a tutti i popoli, è però certo che le arti come le scienze sono patrimonio di tutta l’umanità ; — quindi è che lo spettacolo profon­

damente istruttivo delle sale del Museo di Kensington, i modelli unici che vi sono riuniti, la contemplazione abituale alla classe colta di tante meraviglie e capola­

vori, lo studio del disegno, g l’incorraggiamenti morali e pecuniari dello Stato ad alunni ed a maestri, la viva voce di dotti conferenzieri che animano il Museo, ope­

rarono nelle industrie ar­

tistiche inglesi una rivolu­

zione, della quale si ebbero le prove nelle esposizioni mondiali posteriori al 1851 e in tutte le produzioni del regno, come argenterie, ceramiche, cuoi, stoffe, vetri, mobili e in ogni altro prodotto, nel quale l’utile e il bello, figli dello stesso pensiero, trasformano la materia bruta e la elevano ad opera d’arte.

I grandi risultati prodotti dalla iniziativa del Principe Alberto provocarono ben presto la creazione di istituzioni congeneri nella rimanente Europa — a Vienna, come a Berlino, in Francia come nel Belgio, a Monaco come a Pietroburgo; ma degli ordinamenti scolastici adottati presso le altre nazioni, faremo argomento di prossimi articoli.

R . Er c u l e i

D irettore del M useo artistico-industriale in R om a

II.

UNA CORNICE DEL SECOLO XVII

E L A PICCOLA GALLERIA DELLA CITTÀ DI PORDENONE

— Tav. 5 . —

C

ome ogni lembo di questa nostra Italia prediletta dalla natura per ingegni forti e fecondi, anche la piccola citta di Pordenone vanta le proprie glorie. L a ­ sciando indietro il beato Odorico M atiuzzi predecessore a M arco Polo in una parte dei v iaggi d’A sia, il quale fu soggetto di studi importantissimi e di pubblicazioni anche nei recenti Congressi geografici ; tralasciando di ricordare i nomi di am basciatori, condottieri e prelati insigni, apparte­

nenti alla nobiltà pordenonese e delle vicine contee, basterà m ettere innanzi la vigorosa figura di Gian Antonio detto il P o r d e n o n e, di cui le opere rim arranno sempre a far fede d’un ingegno poderoso ed originale.

Senonchè lo scopo vero pel quale prendo la penna è quello d’occuparm i della S ala comunale, dove stanno di­

sposte a mo’ di pinacoteca parecchie opere d ’arte, varie delle quali di pregio indiscutibile.

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L a sala, che serve tanto alle sedate del Consiglio quanto a i matrimoni, non ha nessuna delle qualità, proprie agli am ­ bienti creati per accogliere oggetti d'arte. Difatti la luce en tra m alam ente dalle varie trifore archiacute, talchè bi­

sogna contorcersi davanti ad ogni lavoro per poterlo di­

scretam ente vedere ne' suoi v a ri particolari.

Em ergono, per quantità, studi bellissimi in disegno, bozzetti, ritratti e quadri incom pleti del pordenonese M i­

chelangelo G rigoletti, per oltre trent'anni direttore e pro­

fessore em erito di pittura n ell’A ccadem ia di V enezia, morto un quarto di secolo fa. N egli stessi anni visse e lavorò un altro pordenonese, A ntonio M arsure, scultore di belle prom esse, m orto giovanissimo, del quale si am m irano un G ia son e grande al n aturale, opera canoviana m a di note­

vole fattura, e alcuni studi dal nudo.

U n bel busto del P o r d e n o n e ed una E b e, sono opere dello scultore B earzi, nato anch'esso nella piccola e geniale citta del F riuli.

Studi, riproduzioni, busti, disegni, prospettive, paesaggi ed altro, completano le pareti della sala ; m a l'attenzione dell'osservatore artista s'arresta sopra tre dipinti in grandi proporzioni, i quali appartengono alla più bella epoca del­

l ’arte.

Fissato in una parete, sta un affresco lungo circa sei m etri, alto 1. 20 , raffigurante un ballo cam pestre. Se in questo lavoro em ergono difetti nel disegno delle figure, tale è la spontaneità della composizione, tale il movimento g e ­ nerale di quel centinaio di figure m eta del vero, e la bel­

lezza del variato paesaggio cosparso di colline, castelli, boschi e vigne, che l'osservatore intelligente è obbligato ad arrestarsi.

Q uest’opera è ritenuta la prim a che eseguisse ii P o r­

d en on e., quella colla quale rivelò l'attitudine sua prodigiosa per la pittura e più specialm ente per l'affresco.

Il B a llo c a m p e s tr e fu portato nella sala m unicipale al principio del secolo, sottraendolo a sicuro malanno col to ­ glierlo dalla casa, ora dem olita, del gran pittore.

A ltro dipinto del P o r d en o n e sta sopra la sedia riservata al capo del Consiglio ; ed è una pala d’altare rappresen­

tan te i santi G ottardo, Rocco e Sebastiano, con due bei p utti intenti a trar accordi dal liuto. A ppartenne alla de­

m olita chiesa dei C apuccini; e fu eseguita dal P o rd en o n e

quando non possedeva ancora la spigliatezza e audacia negli scorci pei quali si rese tanto celebrato.

Splendidam ente bello è il grande dipinto che al S a n G otta rd o sta in faccia, forse la più bella opera del V aro - tari detto il P a d o v a n in o , che l’eseguì per ordinazione del Comune l'anno 1626. Potente per grandiosità di composi­

zione, per disegno e per colorito. L a V ergin e tiene il B am ­ bino, che s’ appresta ad accogliere un fiore offertogli da una gio v an e donna raffigurante la Giustizia, m entre l ’ ev an ge­

lista S. M arco, seduto, m edita sulla sacra scrittura.

S i può quasi afferm are che il dipinto racchiuda in sè, m eravigliosam ente fuse, alcune fra le spiccate prerogative di T iziano, di P alm a il vecchio e del veronese Paolo, talchè l'osservatore davanti ad esso si trattiene am m irato.

M a è tempo di dire qualcosa sulle due belle cornici, una delle quali ha l ’onore di com parir riprodotta nella m età superiore della T av . 5 (1). Stanno appese sopra due porte nella sala di cui ci occupiam o, appartengono alla prim a m età del 1600, misurano metri 1 .7 0 per 1. 10, e m eritano di es­

sere studiate per esattezza di stile e facilità d’ intaglio. B e­

nissimo conservate, quel certo loro offuscamento nelle dora­

ture dà ad esse un tono simpatico e pittoresco.

R icordano le celebri cornici colle quali A lessandro V it­

toria contornava nel grandioso soffitto della sala del M a g ­ gior Consiglio e di altre nel Palazzo dei Dogi le splendide allegorie, che g li artefici veneti di m aggior grido in quel­

l'epoca fortunata impressero sulla tela. P are che fin d all’o­

rigine fossero proprietà del Duomo : nessuna nota però che le riguardi si rinvenne negli archivi parrocchiali; solo è fam a che dopo la sanguinosa guerra del 1812, di cui i cittadini di Pordenone furono allibbiti spettatori, il generale L ecchi di M ilano, appartenente alla grande arm ata, s’invaghi d ’uno degli infelici dipinti chiusi nelle belle cornici, e, ritenendolo del P o r d en o n e, l'acquistò per trenta L u ig i d'oro. Il dipinto p a rtì; m a, scoperto l ’ inganno, fece ritorno nel Duomo e stette vicino al proprio com pagno, finchè nel 1874 cornici e dipinti vennero portati a decorar la sala comunale.

Gi g i d e Pa o l i.

(1) L a cornice inferiore, che som iglia all’ altra per lo stile e per le form e, si conserva, in mezzo a molte e splendide opere italiane, fra le straricch e col­

lezioni del M useo di K ensington.

Fig. 6 e 7. Battitoi da porta già nei palazzi Flangini a S. Gerem ia e Gabriel ai Ss. Giovanni e Paoloin Venezia.

(11)

D E C O R A T I V A E I N D U S T R I A L E 7

III.

C A S T E L L O DI T O R R E C H IA R A

L A S A L A D ’ ORO

— T av. I . D e tt a g li I e 2. F i g . 8 e 9. —

oche gite sono più commode e artisticam ente più belle di quella alla ròcca di T orrechiara. Si monta a P arm a nel tram via a vapore, che risale il torrente P arm a ed ha suo term ine a Langhirano, e dopo aver percorsi circa 16 chilometri (appena un’ora di viaggio ) si discende proprio nel piazzale del paesetto di Torrechiara.

La ròcca sorge sopra un gibbo isolato, non più alto, sulla valle del torrente, d ’un centinaio di m etri. P er la sua felice postura sembra però sollevarsi al cielo molto più di altre ròcche costrutte nel cuore dell’Apennino, ma ingol­

fate sinistramente fra selve e rupi.

L e due cinte di mura (la terza, inferiore, è pres­

sochè scom parsa), le cor­

tine, piantate sopra un esatto rettan g o lo , e le quattro torri disegnano in­

sieme come una piram ide ciclopica gratissim a all’oc­

chio ed, in fatto, elegan­

tissima. Nè crediamo di sbagliare asserendo che dal piano dell’antico ca­

stello (si distingua bene il c a s te llo o borgo, dalla r ò c c a od a rce) ossia dal

piano della seconda cinta antica alla sommità delle torri ci dev’essere uguale altezza come dalla valle al c a s te llo . E per l ’effetto artistico o s c e n o g r a fic o, che dir si voglia, ciò ha grandissimo valore, poichè T o r rech ia r a non si presenta come una delle tante ròcche disseminate pei m onti; ma forma col suo colle tutto un complesso monumentale, come se lo stesso contrafforte su cui posa fosse stato artificialm ente costrutto. Di qui l’ aspetto suo grandioso ed imponente.

Anche la famosa ròcca di Canossa doveva presentarsi artisticam ente fusa al suo scoglio, o, meglio, come scolpita nel vivo masso ; m a quanta differenza fra l'asprezza di quel paesaggio, forte e rude come la sua storia di conflitti, e l ’ incantevole verdeggiante colle di T orrechiara, soave e dilettoso come la sua storia d’amore !

M.

In v o c a t o i l n o m e d e l a R e d e m p t r i c e

DI CUI PRENOME PORTO IO P ETRO ROSSO FONDAY STA ROCCA ALTIERA ET FELICE DE MAGIO QUARANTAOCTO ERA IL CORSO ET CUM DIVINO AIUTO FU PERFECTA AVANTI CHEL SEXANTA FUSSE SCORSO.

CCCC.

Fig. 8. Veduta del castello di Torrechiara.

* **

Poche parole su chi edificò la ròcca e sul tempo in che fu costrutta. A d altro studio i particolari sui perso­

naggi e sulle vicende delle torri e delle cortine m erlate.

A noi basta per ora sapere quanto dice l ’iscrizione, m urata sul bastione donde pendeva il secondo ponte levatoio, ossia che la ròcca com inciata nel m aggio del 1448 da Pier M aria Rossi fu compiuta solamente nel 1460, in dodici anni quindi di lavoro.

Due parole su P ier M aria Rossi. Noi riconosciamo in lui uno dei tanti m aravigliosi uomini del Rinascim ento, pieni d ’energia, di buon gusto, di colpe, di pietà, di ver­

satilità insomma nel cuore e nella m ente. Feroci in guerra, sentimentali in amore, deponevano la spada per riprendere

la penna e scrivere so­

netti o ballate petrarche­

sche. Soprastavano ai la ­ vori d’ arte, suggerivano gli argom enti per le de­

corazioni dei loro castelli

o delle loro case e talora

disegnavano le piante delle loro ròcche. E la storia ci fa fede per l ’appunto che P ier M aria, reduce d’ aver combattuto v a ­ lorosamente negli eserciti viscontei, si ritirava in uno de’ suoi nidi d’ aquila e forniva i modelli d’ altri propugnacoli e i soggetti delle p it­

ture che dovevano ornarli, e le iscrizioni verseggiate e i motti che si dovevano incidere nei fregi e sulle porte.

A lla morte di Filippo M aria V isconti lo troviam o pronto a ricuperare molte terre tolte già alla sua casa dai duchi di M ilano ed al comune di P arm a, il quale riebbe ciò che era stato suo. Poi il R ossi si legò al carro di Francesco Sforza cui fu singolarm ente fedele. L a sua fortuna, come quella di Cicco Sim onetta, cadde a ll’usurpazione di Lodo- vico il Moro che l ’invitò a recarsi a Milano. A llo ra Pier M aria si diede anim a e corpo ai V eneziani. A ssediato in fine nel suo castello di S. Secondo s’ammalò ; trovò modo nullameno di farsi trasportare a T orrech iara dove morì di ottant’anni il primo giorno di settembre del 1482.

F u calato in un sepolcro della chiesetta di S. N icom ede, in una delle torri della sua ròcca, presso la salm a di B ianca Pellegrini da Como, m oglie non sua, m a di M elchiorre d’A rluno m ilanese ! E ra la donna ch’egli aveva profonda­

mente am ata (in torto della propria sposa A ntonia T orelli) e per la quale av ev a costruite ròcche, dipinte storie, fuse m edaglie.

Sigismondo Pandolfo M alatesta non era dunque più l ’unico a celebrare pel mezzo potente dell’ arte i suoi col­

pevoli am ori con Isotta ! Solo è da notare che P ier M aria ostentava la sua passione per Bianca in un castello, mentre il Signore di R im ini l’ imponeva ad una chiesa.

(12)

*

* *

Sem bra che fosse un uso abbastanza frequente quello di consacrare o dedicare una stanza a ll’ oggetto am ato, decorandola con la m assim a splendidezza. E ra tale cam era v o t iv a un vero monumento e r o tico . Poche però o ggi ne restano e sono tanto più preziose per la storia del sim bo­

lism o. per la ricchezza e per la curiosità delle rappresen­

tazioni. L a c a m e r a d ’ o ro di T o rrech iara è forse il più splendido saggio che rim an ga in Italia.

P ier M aria R ossi ne av ev a fatta una anche nella sua ròcca di Felino forse per le sue nozze con A ntonia T o ­ relli. È rico rd ata in alcuni docum enti, m a nessun poeta l ’am m irò in versi e nessun istorico in prosa. — P er B ian ­ china, dunque, dovè fare assai di più, se la c a m e r a a u r e a di T orrech iara svegliò subito l'estro delle M use. A Felino non si tro v a più nulla, come nella rò cca di F o rlì non r i­

m ane tra ccia della “ cam era nobile et dipinta bella „ che C aterina Sforza fece fare “ a presso alla sua cam era ,, per l ’am ico suo G iovanni dei M edici.

G erardo R u stici in una sua cantilena in lode di P ier M aria, così can tav a sin dal 1 4 6 3 :

V ersi preziosi questi per noi che studiam o il m onu­

mento in parte trasform ato, m entre poi il monumento ci fa com prendere i versi stessi con facilità.

II P ezzana chiam a la c a m e r a d ’o ro di T o rrech iara “ ca­

m era m is te r io s a ,, -— M is te r io s a perchè ? Seguendo certo la leggenda, anzi sovrapponendo la leggen d a alla sem plice re altà espressa nelle p itture, può crearsi della confusione e quindi del m istero ; m a stando al puro argom ento nulla v ’ è di m is te r io s o e di strano.

Il M olossi nel suo buon V ocab olario t o p o g r a fi c o d e i d u c a t i d i P a r m a , P ia cen z a e G u a sta lla racco glie che Pier M aria, riparato durante lotte funeste n e’ suoi feudi, fosse occultam ente visitato da ll'a m a ta B ian ca “ sotto le vesti di P ellegrin a e tinta il volto siccom e m ora. ,,

L a leggen da è relativam ente m oderna ; risale certo al non rem oto tem po in cui la p ittura com inciò a spelarsi e i colori lievem ente rosei del volto di P ellegrin a caddero dalla ca ttiv a sottoposta preparazione di tinta cupa. U n po’

d ’esam e ac ce rta : la stessa tinta cupa di preparazione è ap­

parsa in m olte altre p arti dell’affresco ed anche in alcuni dei ritra tti di P ie r M aria. In altre teste invece la ruina è parziale, e sono m acchiate di bruno e di bianco-roseo.

Dunque la leggen d a del: travestim ento da pellegrin a m ora

è tutto uno sproposito fuor dalla storia e fuor dalla poesia e dalla n o vellistica antica.

P erch è poi B ian ca app aia nelle quattro vele della v ôlta vestita sem pre da p ellegrin a, è cosa facile a capirsi per due ragio ni. Con tale abbigliam ento si voleva alludere al cognom e suo di P e l l e g r i n i, quasi si seguisse il simbolismo araldico degli stem m i p arlan ti, ed alludere anche alla sua visita per tu tti g l’ infiniti castelli e possessi dell’am ante. E tale è veram ente il significato della pittura che adorna la vòlta, nella chiave della quale è la nota sigla di Gesù YHS cinta di rag g i d ’oro. I costoloni poi sono distinti in diversi m otivi che rivedrem o nel rivestim ento inferiore della sala, ossia lo stem m a di P ier M aria, i due cuori riuniti e le iniziali in trecciate P M B ( P i e r M a r ia e B ia n c h in a ) . N ei quattro angoli superiori delle vele sono quattro sem ipalle sporgenti in origine dorate ad im agin e di soli splendenti da cui piove in tutti i sensi un' infinità di ra g g i d’ oro.

N ella vela a levan te, B ian ca, v estita di uno splendido broc­

cato d’oro con m antellina scura e una cuffietta in testa, tiene nella destra il bordone da cui pende un cappello bianco a largh e tese, m entre con la sinistra fa un atto di m arav iglia guardando il castello di C orniglio. A ’ suoi piedi scorrono il P arm a e il rivo B rad ica. A destra sorgono altri castelli. N ella vela opposta (di ponente) si vede B ian ­ china nello stesso costum e, m a di profilo; sostiene il bor­

done e la pendula borsetta con ambo le mani sem pre in­

g u an tate di bianco, e il cappello chiaro le scende dietro le spalle.

È questa la figura in cui si è conservato m eglio il volto, il quale corrisponde perfettam ente al ritratto che troviam o nelle m edaglie, dove non è possibile alterazione. B ianchina è qui in atto d ’ av er lasciato B ardone e di m uovere alla vo lta di C o rniglian o e di R o c ca P rebalza. N ella vela di m ezzogiorno, B ianchina ha la solita cuffietta in capo e, in­

vece del cappello, il nuovo p artico lare d ’ una fascia sven­

tolante le g a ta al bordone. È vestita e calzata d ’una stoffa a larg h i fogliam i verd i su fondo d ’ oro che è un incanto.

T iene il bordone con la sinistra app oggiato alla spalla, e lascia il castello di Bosco volgendo il passo a quello di B erceto. F inalm ente n ell'ultim a cam pata B ianchina, in a t­

teggiam ento di m uovere più sollecita tiene il bordone a b i­

lancino e porta la fascia, prim a le g ata al bordone stesso, a tracolla. P arte da C astel S. A n d rea per R ip a lta e Castro Grande. — E queste sono le “ quattro P elegrine poste al tecto ,, rico rd ate nei versi citati.

È dunque in questa v ôlta rappresentato un v iag g io di B ian ca P ellegrin i a traverso i possessi immensi che P ier M aria come dono am oroso le m ette innanzi insiem e a l suo cuore. Nessun accenno a ll’ incontro a storie di passaggio fra g li accam pam enti e di rivestim enti e tingim enti di volto.

M oltissim i altri i nomi di terre, castelli, ròcche, fiumi, bo­

schi, cam pi a r a t i e d a lb e r a t i, di celle, chiese e abazie che appaiono tutto d ’intorno come fondo alla quadruplice figu ­ razione di lei. D ietro ai monti v erd eg g ian ti si scorge il giro delle A lp i nevose ( l’alto A pennino). D ai pennacchi finalm ente sorgono alb erelli elegantissim i a foglie verdi e d ’ oro.

*

*

Passiam o alle quattro lunette, dove B ian ca non è più sola, m a sem pre in com pagnia di P ier M aria. L e descri­

L a cam era tanto adorna chi sem pre duce flam a quest’ ostel dove ogni suo castel

gh ’ è posto in auro con il fin colore.

In più loci ritrato il bel signore a cui è fa m ig liare la dam isella chi seco or favella

or verd e par gli pona la corona.

P o i la cop erta dil lecto degno di drapo di argento v a g a e rica, e non so quel mi dica

di le quatro P elegrin e poste al tecto Chi doppo se risg u ard a quil aspecto con il bordone e sue borsete brune, e credo niune

potirebe im aginar quel ch ’ è costo.

P o i, drecto il lecto, é ' l studio posto in cui è pente quil gran Plato n e, ecc.

(13)

D E C O R A T I V A E I N D U S T R I A L E 9

veremo brevemente cominciando da quella che sta a le­

vante e muovendo a destra. In mezzo rileva un alto bal­

dacchino a stucchi, sui quali restano traccie di doratura, di­

stinto in tre scompartimenti. In mezzo sopra una colonnetta è un Cupido bendato, con l ’ arco teso, in atto di ferire B ianca, mentre il Rossi dalla parte opposta si m ostra già ferito da un dardo al cuore. Nel fondo si riveggono nuovi monti ed altri castelli e diversi puttini che o suonano o lottano o scherzano con scimmie e pavoni. In questa lu­

netta sono riprodotti il castello di Beseganola e quello me­

desimo di T orrechiara con tutti i particolari che possono servire ad una logica ricostruzione.

N ella lunetta seguente è ripetuto il baldacchino m a ad un vano solo. N ei due pilastrelli dei lati in quattro rettangoli sono dipinte, per parte, altret­

tante piccole figure. Gii archetti trilobati reggono un fregio a nicchie con entro statuette di stucco.

Pier M aria sta inginoc­

chiato innanzi a Bianchina che gli consegna la spada perchè vada alla guerra e faccia onore a sè ed a lei. A ll’ intorno altri gem etti ed altre ròcche.

Nuovo ciborio o bal­

dacchino di forma diversa, a timpano, con due la­

terali, ove si veggono fi­

nestre con ferriate, rileva

nel terzo scompartimento. P ier M aria è di nuovo inginoc­

chiato d’ innanzi a B ianca che l’incorona d’alloro. ,, E verde par gli pona la corona ,, dice il poeta. E gli è certo tornato vittorioso dalle battaglie e raccoglie l’ambito serto dalle mani della persona che più adora. Nel paesaggio sorgono i castelli di Segalaza e di Noceto.

Finalm ente nell’ultima lunetta, a settentrione, s’am m ira come l ’ apoteosi finale, o meglio come il trionfo di Pier M aria vestito della fulgida corazza e Bianchina in abito splendidamente solenne, ognuno a parte in una nicchietta ad arco trilobato. Dal lato di lui sorge il castello di San Secondo, il più vasto, più ricco e più famoso dei Rossi, dalla parte di Bianca la ròcca ch’egli ha costrutto per lei e che da lei ha voluto nominare R o cca b ia n ca .

Ecco nelle lunette le pitture cui il poeta accenna :

sui lembi di coloritura, che restano in quasi ogni quadrello, ridestato il motivo policromico nella tavola che questo pe­

riodico offre oggi agli artisti. E la riproduzione ci dispensa con molto vantaggio nostro e degli studiosi, da una lunga descrizione. I quadrelli recano cinque diversi disegni, l’uno ornamentale che raccoglie in una specie di rete gli altri quadrelli su cui si veggono lettere, stemmi, simboli e m otti:

riunite, cioè, in un gotico a c c o r c ia to le solite iniziali PM B legate da una fascietta nella quale è inciso N u n c e t s e m p e r promessa di fede im m ortale, e riuniti anche i cuori fra un serto fatto di tre corone m archionali disposte in giro. In fine, negli altri due quadrelli si veggono: lo stemma dei

Rossi ed una ròcca, chiusa e col ponte levatoio sol­

levato, illum inata dal sole, con ai lati i soliti bordoni dalle borsette p e n d u le . T ale ròcca è ripetuta an­

che sulle m edaglie e si rivede scolpita in una la ­ stra di marmo costretta al muro nella chiesa del Santo Sepolcro in P arm a.

Q uale la spiegazione del simbolo? Forse che i due am anti erano lieti di vi­

vere chiusi nei loro c a ­ stelli, lontani dai centri popolosi, lontani da tutti, come in un nido di fe­

licita ?

Sul fregio di questo rivestimento parietale so­

no costantemente ripetuti : il motto D ig n e e t in e te r n u m e i due cuori riuniti e raggianti.

* **

Vedrem o in un altro fascicolo il bel mobile che resta nella cappellina di San Nicom ede. P er ora dovremo lam en­

tare che non rim anga più alcun frammento del letto che Gerardo R ustici vide coperto di drappo d ’argento. R esta però l ’ orma della libreria in una nicchietta, presso una parte di muro rivestito, non più di cotti, ma di legno in­

tarsiato. Il poeta ci dice che in essa si vedevano dipinti molti antichi scrittori classici e personaggi m itologici. In ­ fatti restano tuttora, a chiaroscuro verde, le figure di E r­

cole, di V irgilio, di Terenzio e di Sansone; mentre fino a pochi anni fa vi si vedeva un’ imposta con la figura di Dante.

M a chiederà da ultimo il lettore: a quale artista ap ­ partengono tutte le pitture della C a m era d ’o ro ?

N ella chiesetta è un’ancona — di cui parleremo — con sopra dipinti moltissimi santi. Sotto ai piedi della V ergine si legge il nome del pittore cremonese B e n e d e tto B em b o e la data “ 1 4 6 2. ,, A lui, senza alcun dubbio, è dovuta la decorazione della famosa e splendida sala descritta.

Co r r a d o Ri c c i. Fig. 9. La Sala doro nel Castello di Torrechiara.

In più loci ritratto il bel signore, a cui è fam iliare la damisella, che seco or favella,

or verde par gli pona la corona.

L e pareti dalla base delle lunette al pavim ento sono tutte rivestite di magnifiche terrecotte a stampo in origine dipinte e dorate. L ’amico V irginio Muzio ha per l ’appunto

(14)

I V .

O R N A M E N TI DI G U A N C IA L I

NEI MONUMENTI DI LODOVICO IL MORO E DI GIAN GALEAZZO VISCONTI N E LLA CERTO SA DI PAV IA.

— D e tta g lio 3

L

e vetrine dei Musei, gli armadii delle vecchie sa­

crestie, i cassoni delle antiche famiglie, i cassetti dei raccoglitori e degli antiquarii ci conservano preziosi avanzi di stoffe, ricami, trine del rinascimento e del cinquecento, ma per lo più sono pezzi isolati e molte volte frammenti in cui occorre l’occhio sagace dell’ in­

telligente per ricostituire l' assieme e per immaginare la loro destinazione e il loro uso. I monumenti del—

l’ epoca, le sculture, se non ci danno che in casi ra­

rissimi il colore delle antiche stoffe, dei ricami ecc., però ce li presentano di sovente completi, interi, per cosi dire collocati in opera, coll’ effetto dell’ assieme, riuniti all'ar­

gomento scultorio principale; ce li danno sovente ben conservati, ci permettono mercè il lavoro dello scalpello di riconoscere la stoffa, la materia, l’artifizio del ricamo.

Così per i sontuosi cuscini od origlieri ricamati, noi abbiamo tre splendidi campioni di epoche diverse nei monumenti sepolcrali :

di Lodovico il Moro, nella Certosa di Pavia, opera di Cristoforo Solari, che risale al biennio I 4 9 7 -I 499 ;

di Gastone di Foix, opera di Agostino Busti detto il Bambaja, che appartiene al periodo fra il I 5 I 5 ed il I 525 ;

di Galeazzo Visconti, opera di Gian Cristoforo Romano, che vi aveva lavorato dal I 492 al I 497, ma in uno stile per nulla lombardo.

Il primo ed il terzo di questi monumenti si trovano nella Certosa di Pavia, e dei cuscini che vi si ammirano oggi dirò brevemente, riservandomi di discorrere in altro fascicolo del cuscino sul quale posa il capo la figura marmo­

rea di Gastone di Foix nel Museo archeologico di Brera.

*

Lodovico il Moro aveva ordinato a Cristoforo Solari il proprio monumento funerario e quello della sua con­

sorte Beatrice d’ Este, dopo la morte di questa. Pare che non sia stato condotto a termine, ma lo furono bensì le due statue giacenti, che si collocarono nel loro luogo di destinazione, la Chiesa di S. M. delle Grazie, donde vennero trasportate alla Certosa l’ anno I 564. Siamo a- dunque in pieno rinascimento lombardo ed abbiamo un’o­

pera di uno dei più valenti scultori milanesi.

Il cuscino posto dal Solari sotto la testa di Beatrice d’ Este è semplicissimo, ornato di quattro fiocchi, e diviso nella sua faccia anteriore, destinata a servir di riposo al capo, da due rettangoli un dentro l’ altro, e nella zona intermedia, ai quattro lati, da circoli e triangoli mistilinei.

Tanta semplicità, l’assoluta mancanza di ornamentazione negli spazi o zone di questi rettangoli e circoli ed in tutta la larga parte esterna del cuscino, lasciano in dubbio se l’artista abbia avuto tempo di terminare il lavorìo par­

ticolareggiato del guanciale (mentre tale lavoro è spinto all’ estrema ricchezza nella capigliatura e nell’abito della

Duchessa) oppure abbia voluto lasciare un distintivo di maggior sovranità ed omaggio pel Duca.

Il cuscino di questi è difatti tutto adorno (V. Detta­

glio 3), oltre che dei fiocchi estremi, di un delicato ricamo che corre in ispazi la cui configurazione lineare corri­

sponde a quella del guanciale della Duchessa. Abbiamo anche qui due rettangoli un dentro l’altro e quattro circoli, ma, come dicevo, tutti gli spazi esterni ed interni vanno occupati dalla decorazione.

Nella zona rettangolare maggiore ed estrema corre un ornato molto elegante di semicerchi continui in due linee, gli uni opposti agli altri, e riuniti, quelli della stessa linea, da una specie di fiordalisi. La seconda zona, interna a quella ora ricordata, comprende ai quattro capi il circolo o cartello rotondo o medaglia che dir si voglia, ognuna delle quali medaglie contiene un’impresa od uno stemma sfor­

zesco: la pennellessa, il leone rampante, la mano armata di accetta, due draghi avvinghiati ad un dardo. Tutta questa fascia tra una medaglia e l’altra è occupata da putti alati che corrono, aggruppati a due a due, l’un di fronte all’altro, ma divisi da un tridente dal largo piede a fogliami, attorno al qual tridente si avviticchiano due ser­

penti, di cui la testa viene a tuffarsi in una coppa tenuta da ciascuno dei putti, i quali coll’altra mano sostengono un’asta con face accesa. Nei due lati maggiori, tra un gruppo e l’altro di cotesti genietti, pende da nastri che ne toccano le ali una testa di medusa. Infine nella più interna delle fascie o zone quadrangolari, ai due capi estremi, l’artista ha scolpito le iniziali L D (Ludovicus Dux). Ora se l’artista avesse voluto lasciare appositamente meno ricco il cuscino della Duchessa, non vi avrebbe egli per lo meno scolpito le iniziali B D (Beatrix Ducissa) ? Qui adunque o l’artista dimenticò o non ebbe più tempo di ultimare, fatto frequente in arte.

La decorazione del cuscino del Duca Lodovico è con­

dotta con lavoro bellissimo dello scalpello, che dà chia­

ramente il carattere del ricamo in oro su fondo di broc­

cato. Questo fondo di broccato non è lavorato liscio come la parte esterna laterale del cuscino, ma bensì a grana come quella che si ottiene nella carta albumi/nata battuta colla spazzola e che anni sono ricercavamo per i passe­

partout dei ritratti e degli acquerelli. Questo fondo a grana col tempo si è colmato di polvere, che ha fatto aderenza col marmo e gli ha dato una leggiera tinta avana, la quale fa risaltare tutti gli ornati, rabeschi, imprese sfor­

zesche, putti ed iniziali.

I putti o genietti hanno una movenza molto animata, la muscolatura assai accentuata, la testa quadra, pesante:

sono ispirati, mi pare, a medaglie romane del periodo di Traiano e, come medaglie, trattati con rara valentìa a bas­

sissimo rilievo.

Nella decorazione di questo cuscino del Duca Lodo- vico il Moro, che ora ho brevemente descritta, ognuno

(15)

D E C O R A T I V A E I N D U S T R I A L E 11

avrà rilevato eleganza e ricchezza senza sovrabbondanza, una ben intesa, chiara distribuzione decorativa, il vero rinascimento classico, che non si vale più dei motivi del primiero rinascimento (cosi ad esempio le medaglie colle imprese sono in tondi, non più in targhe a testa di cavallo) ma non copia ancora materialmente senza lavoro di trasfor­

mazione dagli elementi dell’antichità.

La trascrizione pura e semplice del motivo classico la troviamo invece nel cuscino sul quale riposa il capo di Gian Galeazzo nel monumento funerario condotto da Gian Cristoforo Romano.

I cuscini sono due, ma, naturalmente, di quello supe­

riore soltanto ci possiamo interessare. Noto però la mag­

gior sottigliezza dei due cuscini, i quali tra tutti e due non riescono a dar lo spes­

sore dell’ unico cuscino della statua di Lodovico il Moro.

Questo origliere superiore nella sua grossezza è arric­

chito di un rabesco elegan­

tissimo, di rami sottili che si ravvolgono a circolo con li­

nee graziosissime. Ai quattro capi un mazzetto di foglie termina coi gambi in un fiocco piccino. Notevole adunque la maestria nell’ unire armonio­

samente i fiocchi alla massa del guanciale. Una cornice rettangolare sottile, sempli­

cissima, corre lungo i quattro lati della parte superiore ed ha per tutta decorazione delle

rosette aperte a cinque petali a lunga distanza l'una dal­

l’altra. Agli angoli interni di cosi fatta cornice un fogliame lineare classico, freddo, senza gusto, scolpito in incavo. Poi nel campo due stemmi coll’aquila e colla biscia inquartate, stemmi che rimangono uno a destra, l’altro a sinistra del capo del Duca.

Il lavoro di scalpello è senza pregi speciali, basso il rilievo; certi particolari sono ottenuti per incavo. Il fondo degli stemmi e del rabesco nella grossezza del cuscino, trattato a grana, come nell’origliere della statua di Lodo- vico il Moro.

Un artista del rinascimento lombardo non avrebbe ripetuto sullo stesso cuscino od altro lavoro due grandi stemmi identici, ma la fantasia sarebbesi presa gusto, anche in quel particolare, di variare e sfuggire la monotonia.

Però tanto nel primo rinascimento quanto nell’ altro gli artisti non avevano preoccupazioni archeologiche. Cosicché,

mentre il monumento del Mo­

ro, che è coevo a lui, ci dà un cuscino del tempo suo, ornati e ricami del tempo suo, in quello del m o n u m e n t o a Gian Galeazzo non abbiamo cuscino, ricami, ornati della sua epoca, cioè dei primi anni del X V secolo, ma bensì del tempo di Gian Cristoforo Romano. E siccome le resti­

tuzioni archeologiche possono soddisfare pel momento, ma poi non resistono alla cri­

tica, ritengo che sia preferi­

bile l’ anacronismo, il quale ci dà opera e carattere sinceri, genuini dell’ età dell’artista.

Gi u l i o Ca r o t t i.

Fig. 10. Croce dargento a sbalzo cesellata nel tempio dell’ Incoronata a Lodi. Primi anni del Sec. X V I.

(16)

V .

UN ARMADIO DEL SEC. XIV

N E LLA CA PPE LLA DEGLI SCROVEGNI IX PADOVA

— T a v. 6. D e tta g lio 4

raro il caso che un mobile antico si trovi anche oggidì al posto di primitiva destinazione. Gli speculatori e gli appassionati, italiani e stranieri, non hanno dimenticato mezzo alcuno per spostare ed anche esportare la vecchia mobilia più interessante : e coll’aiuto di possessori ignoranti od avidi riuscirono per gran parte nel loro intento.

D ’altro canto, nessun antico mobile può dare le ragioni della sua costruzione, della sua forma e dell’effetto deco­

rativo, quanto quello che giace ancora là dove l’artista lo volle situato, specialmente se il costruttore del mobile abbia stretto rapporto con quello dell’ambiente.

Oggi esaminiamo un mobile grazioso ed originale, esistente nella Sagrestia della Chiesetta di S. Maria del­

l’Arena, presso la piazza degli Eremitani in Padova. Pochi ignorano o non hanno ammirato le insigni pitture di questa Cappella, da Giotto eseguite nel I 306, mentre le di lui invenzioni, dicesi, furono suggerite in parte dallo stesso Alighieri. Ma l’artista d’ oggi, che cerca nell'Arte i modelli pratici, ci sarà grato che riproduciamo i disegni del mobile della Sagrestia (fattura contemporanea alla Chiesa) tanto se ne serba fedele ricordo, quanto se per avventura fosse sfuggito alla sua attenzione.

È un armadio di fronte quasi quadrata, cioè m. 2.20 di larghezza per circa m. 2.30 di altezza, colla sporgenza dal muro di m. 0.80. — E che l’armadio, ad uso di custodia per sacri arredi, sia stato costrutto per quel sito, lo dice chiaramente la sua collocazione in un angolo della stanza, addossato a due pareti, ciò che determinava l’autore a seguire il bellissimo partito di far girare la cornice di coronamento anche lungo il fianco aderente al muro.

Il mobile va distinto nel corpo propriamente detto e nello zoccolo sporgente inferiore, il quale non è altro che una cassetta con coperchio a cerniera, destinata a

contenere le cere. Il corpo è diviso in due piani: il su­

periore, scompartito in dodici formelle di forma allungata in senso verticale, ogivali ai due capi e racchiudenti un bastone trilobato; l’ inferiore, a doppio ordine di formelle larghe quanto le superiori, ma più brevi, legate vertical­

mente e contenenti il solito bastone a trilobi. La cornice finale, che abbraccia due lati (come s’è detto), è soste­

nuta da una scorniciatura semplice, la quale va allacciata ad una crociera dello stesso profilo suddividente la fronte in quattro parti su ciascuna delle quali si aprono due sportelli.

Giustamente l’ intaglio predomina nella parte superiore, sopra e sotto alle formelle. È una serie di listelli arcuati fissati da borchie, fra i quali si slanciano dei ramicelli a due branche, mentre sulla sommità dell’archetto s’ attacca una forma di giglio. — Entro ai detti listelli, tra le formelle, vi sono delle foglie a cinque lobi, dentate, scanalate e arieggianti lo stile bizantino.

Nella parte inferiore, fra gli ogivi estremi, stanno delle foglie più semplici, col picciuolo attaccato all’ incornicia­

tura : e fra le unioni delle formelle si vedono delle rose a quattro foglie. — Del resto, tutto ciò è mostrato dalla Tavola di insieme e da quella di dettaglio, nella quale si presentano le parti principali della bella opera antica.

Un motivo piuttosto puerile e di fattura assai rozza e inesatta finisce col dare un assai bello effetto : e per le borchie sparse a profusione, non senza accorgimento, il mobile presenta anche il carattere di robustezza voluto dallo scopo cui serve.

Aderente alla parete di fianco, una tavola intagliata ed in parte guasta (vedi Tav. di insieme) funge da membro di collegamento fra il corpo dell’armadio ed il cassetto delle cere, che serve da gradino. — L ’unico fianco era evidentemente decorato a formelle disposte in tre or­

dini come sul prospetto, ed in numero di quattro file : così esigendo lo sporto del muro, esclusa la incorni­

ciatura. Tutta questa parte è perduta, nè ci sorprende­

rebbe che qualche pezzo figurasse in raccolte di antichità, poiché, dato il buono stato di conservazione della fronte, non sembra verosimile che il fianco abbia dovuto sparire affatto solamente per gli insulti del tempo.

Tutto il mobile è dipinto a tinta cenere-verdognola con linee più chiare entro le formelle, seguenti il loro contorno, e con doppia inquadratura di linee della mede­

sima tinta nella sponda anteriore del cassetto per le cere, affatto sgangherato e privo di serrami.

Su tutti i gusci, a distanza di circa 7 centimetri, sono malamente dipinti in tinta chiara dei circoli, che figurano altre borchie. — Abbiamo dei dubbi intorno alla originalità di questa pittura, anche perchè la mas­

sima parte dei mobili di quell’epoca conserva il colore naturale del legno.

Concludendo : questo armadio, improntato della più spiccata originalità, è fattura del Secolo X IV ed associa alle formelle ogivali ornamenti che sembrano di un’epoca anteriore. È opera di scalpello affatto ingenuo, guidato da ingegno robusto, il quale ha saputo così bene equili­

brare le parti della sua concezione da ottenerne un va­

ghissimo insieme. L ’arte moderna ne può trarre qualche

profitto. B. La v a.

M o n t i c e l l i G i u s e p p e , G e r e n te R e s p o n s a b ile Is t i t u t o It a l i a n o d ' Ar t i Gr a f i c h e - Be r g a m o

Fig. 1 1 . Battitoio di porta già nel palazzo Querini in Cannareggio a Ven ezia.

(17)

An n o III. FEBBRAIO 1894 N.° 2

A R T E IT A L IA N A

D E C O R A T IV A E IN D U STR IA LE

È riserva ta la p ro p rietà artistica e letteraria secondo le le g g i e i tra tta ti internazionali.

V I.

UNA CASA DEL CINQUECENTO E UN BATTITOIO DI PORTA IN FELTRE

— F ig . 12 , 1 3 e 1 4 —

Fig. 12. Fregio nel prospetto di una casain Feltre.

Q

uanta vaghezza, quanta nobiltà dovevano mostra­

re le cittaduzze del Ve­

neto nel Cinquecento e nel Seicento con le facciate di quelle loro case tutte dipinte. In Bassano (si pensa tosto ai Da Ponte), in Castelfranco

(si pensa tosto a Giorgione), in Treviso, in Serravalle, e, andando verso le montagne, in Spilimbergo e via via, quanto brio di colori, anche oggi che il tempo ha quasi tutto annebbiato o scrostato! Feltre ebbe il suo Morto, cui attribuiscono molte di quelle figure, le quali an­

cora s’ indovinano sulle muraglie annerite; ma per il nostro Perio­

dico, più delle storie c’ importano gli ornamenti.

Ecco, per esempio, qui accanto una piccola casa della cittaduzza montana. Presso alla porta l’aper­

tura della bottega; quattro finestre arcuate nel primo piano e quattro nel secondo, ma fra l’uno e l’altro un altissimo fregio, che mette nel prospetto monotono una piacente allegria di colore. Sono medaglioni con teste quasi scomparse, e cor­

nucopie piene di frutti, e ghirlande e viticci, e la Fenice sopra un nodo guardato da due grotteschi profili di demonii (Fig. 1 2). Sotto il fregio una figura religiosa, sopra una figura guerresca, le quali interrompono le linee dei fori, dando una vivace espressione alla facciata stretta.

Questa è l’arte modesta; ma la pittura talvolta dominava sovrana.

Come a Feltre il Morto, così Jacopo Fig. 13. Facciata di una casa in Feltre.

da Ponte dipingeva facciate a Bas­

sano; e minacciano di levare gli affreschi dalle case già dei Michieli per far entrare quei resti di putti allegri, di donne procaci, di animali strani, di Filistei dispersi dalla fa­

mosa mascella e di altre invenzioni sacre e allegoriche nella tomba d’un museo, togliendoli alla luce aperta del sole. Venezia, la dominante, splendeva di tutte le tavolozze e di tutte le bellezze. Giorgione da Castelfranco, suonatore di liuto, adornava a San Silvestro la fac­

ciata della casa, ov’ era andato a abitare, perchè servisse di richiamo ai ricchi dilettanti dell’arte: suona­

tori e poeti su in alto, e nelle spor­

genze esterne dei camini, gruppi di fanciulli, poi, frammezzo alle scher­

zose fantasie, la tragedia di Antonia da Bergamo, quando, tratto all’ im­

provviso il pugnale dal cinturone di Federico primo imperatore, se lo caccia nel seno per serbare la propria virginità. Tragedia e burla, lagrime e sghignazzo s’accordavano insieme nel Cinquecento, riannodati dallo smagliar della forma, sopraf­

facente la finezza e la profondità del sentimento e della natura. De­

corazione, ma decorazione sublime, che accoglieva in sè i pregi più allettevoli dell’arte, e nello stesso tempo rispecchiava la società civile tutta intiera. Perciò ha meritato di restare eterna.

Fatto sta che il richiamo della facciata ebbe il suo buon effetto, procurando a Giorgione g l’incarichi

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