Luanda, l’avvicinamento alla ricerca etnografica
4. Con Suor Rita nella Ilha de Luanda
Insieme a Suor Rita, nei giorni seguenti all’arrivo, mi sono mossa tra i due mondi della
Ilha di Luanda. L’ho accompagnata nei suoi giri di questua e nei corridoi del potere, dove
conduceva le sue dispute con la burocrazia urbana. E l’ho seguita nei congestionati
24 “Esiste un certo consenso tra gli analisti sul fatto che le politiche angolane di ricostruzione e sviluppo dopo la fine della guerra manchino di uno specifico focus antipovertà. [...] La seconda fase delle politiche di ricostruzione si avvia intorno al 2005, in coincidenza con l’inizio della crescita accelerata di PIL ed entrate statali dovute al petrolio, quando diventa chiara la riluttanza dei donatori internazionali a finanziare la ricostruzione di un’Angola il cui governo mostra una sostanziale indifferenza ai problemi sociali della popolazione ed è segnato da estesi fenomeni di corruzione. E’ quindi in una condizione di relativo isolamento dalle pressioni delle istituzioni internazionali e dei donatori che il regime di Luanda implementa una politica di ricostruzione e sviluppo che si alimenta [...] sui flussi non tradizionali di finanziamento dall’estero, come quelli che comincia a garantire massicciamente la Cina. [...] Un’analisi disaggregata della spesa statale, su dati del ministero delle Finanze, mostra la continuazione di un basso investimento nei settori sociali, specie in sanità e istruzione, con invece [...] il mantenimento di un’elevata allocazione per il settore della difesa e sicurezza interna, nonostante la fine della guerra.” In M.C. Ercolessi, L’Angola
indipendente, Carocci, Roma, 2011, p.122-124.
25 Chatam House, Angola. Drivers of Change. Final Report, Royal Institute of International Affairs, London, 2008, p 44-49, citato da M.C. Ercolessi, L’Angola indipendente, Carocci, Roma, 2011, p.125
insediamenti di pescatori, a cui andava a riferire del suo operato di intermediazione per lo più
infruttuosa con il governo, e da cui raccoglieva rimostranze e nuovi spunti per continuare a
lottare (Fig.7). Le risorse economiche che le suore hanno a disposizione venivano impiegate
soprattutto per l’acquisto di rimesse per l’orfanotrofio di Sanza Pombo, nel Nord, per la
scuola di Mulenvos e per l’ospedale di Esalagem. Per i dislocati 26 del centro urbano non era
previsto alcun fondo, ma ungere le ruote piccole e grandi della burocrazia è molto costoso, e
Suor Rita, rendendosi conto che il suo operato travalicava le finalità missionarie della
congregazione, si prodigava autonomamente per procurare i fondi necessari.
Seguirla nei percorsi del suo operato non significava dunque cogliere in prima mano
meccanismi di resistenza in cui i cittadini organizzano comitati residenziali per discutere le
problematiche degli sgomberi, non si partecipava ad alcun movimento di coesione civica,
impensabile del resto, per via di quel controllo serrato delle forze dell’ordine sulla
popolazione, che solo sottovoce riesce ad esternare le proprie rimostranze. Cercare di porre un
freno agli sfratti e alle dislocazioni coatte significava concretamente girare carte su carte e
passare buste sottobanco per procurare documenti e attestazioni, per avviare o sbloccare
pratiche.
I miei primi giorni a Luanda sono trascorsi così, affogati nella burocrazia di uffici
sempre troppo freddi, in cui la potenza dell’aria condizionata sembrava direttamente
proporzionale all’importanza del burocrate. C’erano poi, con la scusa dell’aiuto alle bambine
26 I termini dislocazioni e dislocati, ricorrono spesso quando ci si confronta con il particolare trascorso bellico dell’Angola, e con le attuali pratiche di rimozione coatta attuate dalle autorità governative ai danni della popolazione. Sono queste, a mio avviso, infelici (anche se le sole possibili) traduzioni dei termini inglesi displacement e displaced-persons. Infatti, se la parola dislocazione richiama l’idea di uno spostamento puramente meccanico, il termine displacement, evoca in me l’immagine di un allontanamento forzato da un luogo percepito come casa, ed assume un’accezione particolare che nel mio personale sentire si avvicina all’idea di esilio, una cesura alla radice dei propri legami affettivi con le persone e con i luoghi d’appartenenza.
orfane di Sanza Pombo, le richieste dirette di offerte in denaro ai gestori dei locali del litorale,
spesso stranieri ben disposti a dare una mano, inconsapevoli però di finanziare con tali
elargizioni, quel substrato sociale di individui “non graditi” a chi, come loro, voleva fare della
Ilha la scintillante reclame del nuovo lusso angolano.
Anche la figlia del presidente Josè Eduardo Dos Santos aveva di recente aperto un
nuovo ristorante. Barbecue di carne fatta arrivare direttamente dall’Argentina e servita in riva
all’Oceano, un paradosso che trova la propria giustificazione nel fatto che in questa lingua di
terra ormai traboccante di locali, è necessario specializzare l’offerta per richiamare nuovi
clienti. Ci siamo andate, abbiamo parcheggiato nello spiazzo retrostante la cucina, dove gli
inservienti stavano appoggiando sacchi di rifiuti davanti a due imponenti cassonetti. Non li
gettavano dentro, forse per renderli accessibili a quei ragazzini appostati nelle vicinanze, che
di lì a poco infatti sono andati a setacciarne il contenuto per cercare di recuperare qualcosa da
mangiare. Suor Rita cercava il manager di sala, sperando che anche lui le accordasse un
obolo, ma la proprietaria aveva dato precise disposizioni in merito, e l’elemosina era
assolutamente vietata in qualunque forma. E del resto, come aveva detto l’uomo a
giustificazione del suo rifiuto, permettere alla gente di accedere agli scarti di cucina, era già
una trasgressione alle direttive ricevute. Questa affermazione, forse più che il vedersi
rifiutare un contributo, proprio da chi Suor Rita riteneva direttamente responsabile
dell’impoverimento dell’Angola, ha dato la stura ad una sua invettiva contro l’elìte
presidenziale tutta, e i suoi strali sono proseguiti anche quando abbiamo ripreso la macchina,
dirette verso gli uffici della municipalità.
Lungo la strada, Suor Rita mi indicava i manifesti su cui campeggiavano gli slogan del
da Ilha”, “Angola va ser a Paìs Novo”, “Luanda podes ser mais linda, ajude-nos!”(Fig.8).
Stavano lavorando per rendere la città più bella, ma più bella per chi? E quell’ajude-nos,
come doveva essere inteso? Aiutateci a renderla un posto migliore andandovene di qui?
Pensieri a voce alta che sottendevano l’impegno di una vita per tentare di opporsi a quelle che
riteneva ingiuste ed insensate logiche di esclusione.
Vogliono togliere il brutto, la miseria da sotto gli occhi di quelli che arrivano qui per divertirsi alla sera nei locali. [...] Significa mandare via persone che abitano questi luoghi da decenni, per fare posto a questi bar, ristoranti e club esclusivi dove tutta questa gente non potrà mai mettere piede. [...] E’ vero, i posti dove stanno i pescatori, i poveri, non sono belli, ma sono l’unico spazio che queste persone possono permettersi di abitare. [...] E poi “bello” cosa vuol dire? Che non ci si può vivere? No, per me bello vuol dire che la gente lo può apprezzare, questo sì. Tutta la gente, non solo, come succede sempre in questo Paese disgraziato, sempre e soltanto i soliti. Sì, questo è il suo significato adesso, via i poveri e avanti, venite signori padroni.27
Suor Rita è una donna che si spende, che non centellina le parole per paura e che, anzi,
a volte dice più di quel che il suo essere donna di Chiesa le consentirebbe di esternare. E non
solo con me, ma anche con chi al potere è legato a doppio filo. Negli uffici, tante volte, di
fronte all’espressione contrariata di qualche funzionario turbato dal suo essere così diretta,
così poco diplomatica nell’esprimere le proprie richieste, l’ho vista interrompersi, sorridere
beffarda tra sè e sè e poi, con una scrollata di spalle, autoassolversi e passare oltre. La critica
27 Riporto le parole di Suor Rita, registrate il giorno 17.05.2012. Trascrizione del parlato: “Eles querem remover o que é feio, a miséria na frente dos olhos daqueles que vêm aqui para desfrutar a noite no local. [...] Isso significa mandar embora as pessoas que habitam esses lugares há décadas, para dar espaço para esses bares, restaurantes e clubes exclusivos, onde todas essas pessoas nunca pôs os pés. [...] É verdade, os lugares onde estão os pescadores, os pobres... eles não são bonitos, mas são o único lugar que essas pessoas podem dar ao luxo de viver isso. Significa que as pessoas boas podem apreciá-lo, mesmo isso! Todas as pessoas, e não só, como é sempre o caso neste país infeliz, sempre e apenas o habitual. Sim, este é o seu significado agora. Vai embora os pobres e vem os senhores mestres”.
manifesta, la stizza nei confronti di un “capo”, in quegli uffici sembrava essere apostasia, un
atteggiamento fortemente stigmatizzato. Ma almeno, come diceva lei, a guerra conclusa non
si veniva più incarcerati per aver espresso tra i denti la propria opinione.
Suor Rita mi portava con sè tutte le volte che usciva per i giri nella Ilha e negli uffici,
sembrava volesse che io vedessi attraverso di lei la sua città e comprendessi così il significato
della sua lotta. Suor Rita si trova ad essere “a cavallo” tra due mondi, inserita in un contesto
di cui rivendica la pertinenza e contemporaneamente posta al di fuori di esso dalla sua
condizione di religiosa. Con il suo impegno per la gente della Ilha portava avanti le istanze
della propria appartenenza ad un luogo, più che ad un “credo”, come sarebbe stato logico
aspettarsi. E questo suo atteggiamento era spiazzante, complicava i rapporti con l’istituzione
Chiesa e con quella governativa, e la rendeva personaggio controverso e scomodo. Ma questa
sua “necessità di parola”, che orientava il focus del mio interesse verso una realtà che senza il
suo apporto mi sarebbe stata preclusa, era per me, in quei primi giorni, un’importante
opportunità per tentare di illuminare ulteriori dinamiche del mondo complesso e multifocale
di quel contesto urbano. Un contesto nel quale mi trovavo a muovermi senza averlo previsto,
ma è pur vero che nella ricerca etnografica vi è sempre un certo margine di aleatorietà,
derivato dalle differenti possibilità di incontro e di avvicinamento alla realtà di campo. Come
la scelta degli interlocutori è spesso casuale, a volte il frutto di affinità personali, curiosità
reciproca o, semplicemente, mediata da un interlocutore privilegiato, così lasciarsi guidare
dalla ricerca, e aprirsi ad esperienze che non erano state inizialmente preventivate, permette di
comprendere che non soltanto è possibile scoprire qualcosa di imprevisto mentre si sta
cercando qualcos’altro, ma che il luogo stesso della ricerca si configura come un punto di
Geertz, si può cominciare in qualsiasi punto nel repertorio di opzioni plausibili di una ricerca
etnografica e terminare in qualsiasi altro punto.28
Ci stavamo dirigendo verso il centro città, verso quegli uffici governativi riconoscibili
da lontano, per il loro rosa acceso, che li faceva spiccare nel paesaggio urbano (Fig.9 e 10). I
primi ad essere stati risistemati dopo la guerra. Intorno a noi, la solita confusione di
automezzi e di venditori vocianti che zigzagavano tra le auto incolonnate, allungando i propri
prodotti verso i finestrini aperti per scongiurare la calura. Bibite in lattina, scatolame vario,
biscotti, vecchi stereo a batteria e contenitori ricolmi di generi alimentari fluttuavano sulle
teste delle donne e dei ragazzini insinuati pericolosamente nel traffico cittadino. Ed era tutto
un incrociare di mani, chi dava e chi prendeva, banconote consunte infilate velocemente nelle
tasche, per poi liberare la carreggiata e correre via.
Si ripartiva e poi ci si fermava ancora quando gli acciaccati mezzi per il trasporto
collettivo, i candongueiros,29 piccoli autobus bianchi e azzurri, si scostavano dai marciapiedi
per riprendere il passo e, carichi all’inverosimile, si rimettevano in moto tra stridori, cigolii e
sbuffi di fumo nero. Grappoli di persone si tenevano in equilibrio sulle fiancate,
aggrappandosi ai portelloni lasciati aperti per massimizzare la portata e, quindi, il guadagno
dei conducenti. A Luanda, di questi taxivan, in genere Toyota Hiaces, con gli interni riadattati
per aumentarne la capienza, se ne vedevano ovunque, hanno sostituito il sistema del trasporto
pubblico urbano, interrotto negli anni successivi all’indipendenza.
28 C. Geertz, Interpretazione di culture. Il mulino, Bologna, 1998, p.43
29 Utilizzo qui il termine candongueiros anche se nella capitale spesso chi guida questi mezzi e, più in generale i luandesi, si riferiscono ad essi come “taxi”. Candongueiro è la “portoghesizzazione” della parola quimbundu kandongo, termine che in un primo tempo designava tutte le “pratiche economiche illecite”. Successivamente è stato attribuito esclusivamente alle attività del trasporto collettivo. Si veda C. Lopes, “Candongueiros, Kinguilas, Roboteiros and Zungueiros. A Digression in the Informal Economy in Luanda”, in Lusotopie, 13, (1), 2006, pp.163-183.
Quando le strade sono divenute impraticabili a causa della mancata manutenzione, e
l’arrivo di tanti profughi del conflitto in città ha ridefinito spazi e traiettorie, i vecchi autobus
dei portoghesi, ingombranti e ormai obsoleti, non erano più utilizzabili. Il governo angolano
non ha però provveduto al ripristino del servizio pubblico e, a partire dalla metà degli anni
ottanta, molti membri dell’elite al potere, gli unici che potevano sostenere gli spropositati
costi di importazione e sdoganamento, hanno investito nell’acquisto di candonguieros,
cedendoli poi in affitto a privati. I tanti autisti che tutt’oggi affollano le strade cittadine, e che
di quei mezzi non sono proprietari, pagano un canone di noleggio giornaliero piuttosto alto e,
per garantirsi un margine di profitto, devono intensificare le corse e caricarsi il più possibile.30
Mentre un ragazzino le allungava una lattina di aranciata attraverso il finestrino, Suor
Rita mi raccontava di ciò che i luandesi possono fare per mettere insieme qualche soldo,
faticando ad accedere al mercato formale del lavoro.
Vedi tutti questi, loro che cosa possono fare qui? Corrono tra le macchine con le loro cose da vendere, e sai quante volte succede che i guidatori non li vedono, o non si preoccupano di vederli e vanno avanti senza fermarsi. [...] Tanti ne ho visti morire. Allora qualcuno si ferma, li trascina a lato della strada e qualcun altro prende le cose che lui vendeva e inizia a girare tra le macchine. [...] Ogni giorno è così. Ogni giorno. E gli altri, quelli che non lavorano sulla strada fanno sempre negocios, vanno a vendere nei mercati, con le ceste sulla testa o i sacchi sulla schiena, così possono scappare quando arriva la polizia a mandarli via. [...] E guarda, guarda quello... vendono tutti le stesse cose, che uno quando le compra una volta poi non le compra più.31
30C. Lopes, “Candongueiros, Kinguilas, Roboteiros and Zungueiros. A Digression in the Informal Economy in Luanda”, in Lusotopie, 13, (1), 2006, p. 172.
31 Riporto le parole di Suor Rita, registrate il giorno 19.05.2013. Trascrizione del parlato: “Olha todos esses vendedores ambulantes... o que eles podem fazer aqui? Eles correm entre os carros com as suas coisas para vender, e você sabe quantas vezes acontece que os motoristas não os vê, ou não se importam em vê-los e seguem em frente sem parar.[...] Eu tenho visto muitos morrerem. Então, quando alguém passa no lado da estrada e alguém toma as coisas que ele estava vendendo e começa a girar entre os carros. [...] Todos os dias
“Si dedicano aos negocios”, termine che è diventato di uso comune con una precisa
connotazione: la vendita ambulante di piccoli oggetti, lavori di fatica, compravendite tra
amici e conoscenti che aiutano a tirare avanti, a bilanciare la mancanza di una retribuzione
stabile, in una nazione in cui il costo della vita è tra i più elevati del mondo. Un commercio
che si declina tra lo smog delle strade e i banchetti del mercato, espedienti di un’esistenza in
bilico tra aspettative e disillusioni.32
In quell’occasione Suor Rita mi ha raccontato anche di sè, che era una bambina nel
1964, quando Suor Antonia è arrivata a Luanda con una consorella e si è insediata nella
parrocchia della Ilha, facendone la prima missione. Da subito lei aveva iniziato a frequentare
le due suore italiane, e vocazione e consacrazione erano arrivate quasi di conseguenza. In
quell’isola di pescatori in qualche modo separata dal resto della città, c’era molto da fare e le
giornate trascorrevano dense tra la pastorale e l’assistenza domiciliare alle famiglie. Di lì, la
storia burrascosa dell’Angola le era passata sotto gli occhi, ma lei, che alla missione si sentiva
al sicuro, l’aveva vissuta dal suo osservatorio privilegiato.
Con il passare degli anni, a quella prima missione se ne erano aggiunte altre, sparse per
il Paese, dove la guerra si sentiva forte e i combattimenti avvenivano strada per strada, casa
per casa. Ma Suor Rita era rimasta lì, nella sua comunità di pescatori, vicina ai suoi affetti. E
é assim. Todos os dias. E os outros, aqueles que não trabalham na beira da estrada, fazem sempre seus negócios, vão vender nos mercados, com as cestas em suas cabeças ou sacos às costas, para que eles possam fugir da polícia quando chegam para mandá-los embora. [...] E olha, olha aquele...vendem as mesmas coisas, quando um compra uma vez, não compram mais”.
32 “Povertà e carenza di servizi sono accentuate dai modelli di diseguaglianza sociale che si sono andati sviluppando sin dal periodo coloniale. L’Angola ha un indice di distribuzione del reddito tra i più squilibrati al mondo, e il più diseguale tra i grandi produttori di petrolio. Le difficoltà di accesso ai servizi e alle opportunità sociali sono strettamente legate alla diseguaglianza di reddito e appaiono d’altra parte correlate agli squilibri di tipo territoriale tra aree urbane e rurali”. In questo senso, l’economia informale assume crescente importanza “come generatrice di auto-impiego in presenza di elevatissime percentuali di disoccupazione nelle città”. In M.C. Ercolessi, L’Angola indipendente, Carocci, Roma, 2011, p. 120.
tutto sommato, a Luanda, a quel tempo, la guerra sembrava solo un’eco lontana.
SR.RITA: Sapevamo tutti che c’era la guerra, ma a quel tempo ancora non la vedevamo. Stavamo nella Ilha a fare quello che avevamo sempre fatto. [...] Poi però alla sera andavamo tutte nella casa del prete per ascoltare la radio e sentire quello che dicevano. E poi, dopo che avevano dato il bollettino di guerra, mettevano le canzoni e noi andavamo a dormire e dicevamo una preghiera speciale per le nostre sorelle al Nord, che erano in pericolo.33
IRENE: Quindi nella Ilha la guerra non si vedeva, o non è mai arrivata?34
S.R: Si, all’inizio si, tutto continuava come sempre. E la guerra non arrivava, ma ad un certo momento hanno iniziato a venire anche qui i profughi che raccontavano tutte queste storie terribili di morti e di torture. [...] Di case bruciate, di morti, morti, tanti morti. [...] E tutti questi profughi che arrivavano dalla mata avevano bisogno di un posto dove stare, ma qui eravamo già in tanti. E’ stato difficile. Anche noi abbiamo tenuto delle famiglie nella missione, ma era difficile, difficile perchè in quel periodo non si sapeva niente. [...] Non era chiaro quale era la parte giusta e quella sbagliata. Suor Antonia diceva che tutte le persone erano in pericolo e dovevano essere aiutate, ma per me era diverso. Per me era importante capire. Perchè la guerra civile era tra due fronti di noi angolani, e io non avevo capito ancora a quel tempo da che parte stare. [...] Ma ho visto troppa sofferenza nella mia vita per pensare ancora adesso che queste cose siano importanti. Non voglio fare il gioco di chi ci vuole mettere sempre gli uni contro gli altri.35
33 Riporto, qui e nelle due note di seguito, il colloquio con Suor Rita, registrato il giorno 19.05.2013. Trascrizione del parlato: “Todos nós sabíamos que teria uma guerra, mas na época ainda não viamos. Estávamos na Ilha fazer o que sempre tinha feito. [...] Em seguida, à noite, fomos todos a casa do padre para ouvir a rádio e aquilo que estavam dizendo. E então, depois de terem dado o relatório de guerra, colocaram as músicas e fomos dormir e fazer uma oração especial para as nossas irmãs do Norte, que estavam em perigo”.
34 “Assim na ilha a guerra não se viu, ou nunca chegou?”
35“Sim, inicialmente, tudo continuou como de costume. E a guerra não veio, mas em algum momento eles começaram a vir também aqui, os refugiados contava todas essas histórias terríveis de morte e tortura. [...]