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Sviluppo e identità femminile: una prospettiva MENA

PARTE III Genere e Sviluppo in Medio Oriente e Nord Africa: un quadro

11. Sviluppo e identità femminile: una prospettiva MENA

dell’identità femminile e definizione delle politiche per l’empowerment costituisce un lavoro complesso, che deve essere condotto tenendo conto di un’ampia quantità di fattori di carattere storico, culturale e politico. La

costante interazione e reinterpretazione di identità richiede una comprensione chiara dei vari strati che sono all’opera all’interno delle società. Per questa ragione, lo studio della definizione di un’identità femminile in Palestina non può essere avviata senza una comprensione preliminare delle ragioni che si trovano alla base del processo di costruzione politica di un senso di identità e di differenza, un processo di “definizione dei confini”. In questo senso, è importante tenere conto di come ogni identità, che si tratti di identità statale, di un gruppo sociale o di un’entità, si auto-definisce sempre “in relazione a una serie di differenze che vengono socialmente riconosciute in quanto tali” e che sono “essenziali al suo essere” (Connolly, 1991).

In maniera tale da comprendere le pressioni e le spinte che hanno condotto alla formazione di tali identità, noi dovremo adottare un duplice approccio: da un lato dovremo studiare le azioni politiche condotte dalle élite regionali nel corso della storia dell’Autorità Palestinese, per cercare di utilizzare un’idea di identità femminile in Palestina per condurre la propria battaglia per l’indipendenza, collocandola all’interno della più ampia rivendicazione di un’identità nazionale; dall’altro dovremo comprendere il processo interno teso alla definizione interna di tale identità femminile, tesa alla rivendicazione di un maggior ruolo della donna all’interno della guerra per l’indipendenza. Simili processi non potranno ovviamente essere studiati e compresi separatamente: sarà invece importante e necessario indagarne le interazioni, la loro sovrapposizione su vari livelli per comprendere la loro rilevanza su un piano più generale.

Come riportato da Janet Powers, il “Medio Oriente ha conosciuto una storia di associazioni e alleanze tra donne ebree, musulmane e cristiane, inclusa la Lega per l’Amicizia Arabo-ebraica, fondata nel 1921” (2006,1).

Nel Medio Oriente, uno degli sforzi più importanti per costruire le basi per un dialogo che cercasse di incrementare la partecipazione delle donne in società è stato rivestito dalla Conferenza delle Donne dell’Oriente per la Difesa della Palestina, tenutasi a Cairo nel 1938. Questa conferenza, che

aveva l’intenzione di creare una piattaforma femminile per la discussione della questione palestinese, ha rappresentato un momento fondamentale per la definizione del femminismo panarabo. La conferenza venne quindi seguita da un nuovo incontro internazionale al Cairo (1944), teso a proporre un luogo di incontro e dialogo basato sul genere tra le donne del Medio Oriente. La seconda conferenza, conclusasi con l’approvazione di 51 risoluzioni tese a supportare i diritti delle donne in quanto cittadine, ha ribadito il profondo impegno delle donne arabe nel supportare la “costruzione e ricostruzione delle loro comunità di fronte alla guerra, ai disastri ambientali e alle migrazioni” (Powers, 2006). Questo lavoro di costruzione ha portato le donne della regione a interrogarsi su come offrire alle loro società le conoscenze e le esperienze da proporre per garantire la risoluzione di problemi che gli uomini al governo non erano in grado di garantire, ponendole al servizio “non solo della sopravvivenza umana, ma anche dello sviluppo umano”92.

11.1 “Cento proposte” delle donne musulmane a Pechino

In occasione della Conferenza di Pechino, il 3 settembre a Huairou si è tenuta anche la tavola rotonda intitolata "Il parlamento delle donne dei paesi dell'Islam". La tavola rotonda era stata organizzata dal Collettivo '95 Maghreb Egalité, dalla Fondazione Friedrich Ebert e dall'UNESCO per presentare al pubblico le "Cento misure e disposizioni per un Codice Maghrebino egualitario, sullo stato personale e sulle relazioni familiari". Il documento si compone di una dichiarazione di principio, una relazione e vari articoli giuridici concernenti i diritti delle persone nel matrimonio, in caso di divorzio e di successione era stato redatto dal Collettivo '95 Maghreb Egalité, una ONG che raggruppa le varie associazioni di donne maghrebine. Sulla base di inchieste, incontri, dibattiti e riflessioni tra i suoi

92 Elise Boulding, Cultures of Peace: The Hidden Side of History (Syracuse, NY: Syracuse University Press, 2000), pp 108, 119

membri, il Collettivo ha realizzato un libro bianco sulla ratifica e l'applicazione delle convenzioni e dei trattati internazionali concernenti le donne nei paesi del Maghreb e l'altro sulla condizione della donna in Tunisia, Algeria e Marocco.

Le proposte formulate sono state dibattute in una sorta di Parlamento, composto da rappresentanti attiviste nelle lotte per l'eguaglianza dei diritti tra uomini e donne nei paesi dell'Islam. Le persone scelte condividevano gli stessi obiettivi ma rappresentavano correnti di opinione diverse per quanto concerne le strategie per realizzarli. Sessanta donne provenienti dalla Malesia, dal Bangladesh, dal Pakistan, dall'India, dall'Iran, dall'Afghanistan, dal Mali, dall'Algeria, dalla Tunisia, dal Libano, dalla Siria, dalla Giordania, dall'Egitto e dalla Palestina componevano il Parlamento, che era presieduto da Asmaa Khadr, giurista e presidente dell'Unione delle Donne Giordane. Il dibattito che ha fatto seguito alla presentazione delle "Cento misure" si è concentrato sui tre approcci principali che rappresentano le diverse correnti di pensiero delle femministe che operano nelle aree culturali marcate dall'Islam. Questi tre approcci sono stati schematicamente così identificati.

Primo approccio: Valorizzare il Corano per la sua portata egalitaria e

innovativa, distinguendolo dalle interpretazioni e applicazioni dell’islam che vengono elaborate in società patriarcali. Contestualizzate nel periodo storico, le disposizioni coraniche possono essere considerate un avanzamento per lo status delle donne e la religione musulmana può esser stata la prima a riconoscere i diritti delle donne. È un abuso oggi rifarsi all'Islam per giustificare il rifiuto del riconoscimento dell'eguaglianza tra gli uomini e le donne nelle società musulmane. È quindi necessaria una rilettura della dell’islam e un ritorno al pensiero del Profeta Maometto.

Secondo approccio: l’Islam prevede l'Ijtihad come strumento di apertura e

capacità di adeguamento alla vita sociale e alle esigenze del presente, davanti alle crisi e ai cambiamenti sociali. Attraverso il concetto di Ijtihad, si può compiere lo sforzo necessario per rivedere i dogmi elaborati nei secoli passati dalle diverse scuole di diritto musulmano al fine di adattarli

al presente. Esempio di questo approccio è la Tunisia, che ha situato la sua evoluzione nel quadro della Ijtihad, vale a dire lo sforzo di adattarsi al presente nel rispetto delle tradizioni religiose.

Terzo approccio: separare la religione dalla gestione delle società è

necessario per risolvere i conflitti tra identità e di cittadinanza. Gli stati partecipanti alla Conferenza devono adempiere agli impegni presi nell'aderire al sistema delle Nazioni Unite e adottare il principio di eguaglianza tra i sessi, che resta indivisibile del principio generale dei diritti umani. Devono pertanto ratificare la Convenzione delle Nazioni Unite del 1979 per l'eliminazione tutte le discriminazioni contro le donne o togliere le riserve che hanno formulato.

In questo dibattito, ricco e appassionato, si sono potuti confrontare i diversi approcci al principio di eguaglianza, ciascuno marcato dalle condizioni politiche dei paesi dai quali erano originarie le parlamentari. Sebbene alla posizione dell'Algeria, risolutamente favorevole alla separazione della religione dallo Stato, si contrapponevano altri Paesi, tuttavia l'obiettivo comune dell'eguaglianza e della libertà delle donne nei paesi di cultura islamica è stato unanimemente riconosciuto come principio di base dell'avvenire delle società musulmane e un'esigenza etica93.