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Qui la faccenda si fa complessa. E non vi voglio annoia- re con le distinzioni tra le specie. Diciamo che alcune tarta- rughe sono di terra, e spesso le chiamiamo testuggini. Sono autoctone, cioè vivono da sempre nel nostro territorio, so- no lente come da proverbio, e molto longeve. Vanno in le- targo. Di solito è bene tenerle in giardino. Anche se sareb- be bene non tenerle proprio: devono vivere libere. Altro di- scorso per le tartarughe acquatiche. Non sto parlando delle tartarughe marine, ma delle tartarughine d’acqua dolce. So- no colorate e sono facili da tenere. Si vendono a poco prez- zo e sono piccole. Poi crescono. E alcune possono essere anche aggressive. Una stima (non so quanto attendibile) di- ce che in Italia circa novecentomila tartarughe acquatiche siano state liberate dai loro padroni o siano il risultato di ri- produzione di tartarughe liberate.

È la stessa storia del cuccioletto. Si prende la tartarughi- na, poi l’animaletto cresce, richiede troppo impegno, ma- gari diventa aggressivo, e quindi si abbandona. La parola giusta è proprio “abbandona”: una tartaruga che ha vissu- to in cattività e che poi diventa ingombrante non viene “li- berata”, viene abbandonata! Proprio come i cani. Il signo- re che apre la porta dell’auto e mette fuori Fido, magari sull’autostrada, non lo sta liberando, lo sta abbandonando. Condannandolo a una vita grama e a morte quasi certa.

Non è così per le tartarughe. Proprio come i pappagalli, anche loro si ambientano a climi sempre più temperati e formano popolazioni di dimensioni ragguardevoli, con in- dividui che possono raggiungere anche i 35 centimetri di lunghezza ed essere abbastanza aggressivi. Non saranno

come i piraña, ma anch’esse possono far danni, se liberate in un ambiente che non è il loro, perché competono con la fauna locale e possono portare malattie.

Le tartarughe non ci fanno paura: non sono pericolose di solito. Gli altri rettili, però, non hanno ottima reputa- zione. Persino i gechi che, in alcuni dialetti, sono chiamati tarantole e hanno quindi lo stesso nome di ragni velenosi. I gechi sono molto comuni in Italia. Non entrano nelle ca- se, camminano sui muri e mangiano insetti. Sono animali puliti e utili. Non vale la pena di averli in cattività, lasciate- li liberi e non uccideteli, per favore.

Lo stesso dicasi per lucertole e ramarri.

Le iguane non vivono da noi, e neppure i camaleonti (anche se qualche camaleonte ora si trova in Italia allo sta- to selvatico, probabilmente fuggito da qualche casa). Non credo sia un’ottima idea tenere questi animali in casa. Non sono fatti per vivere in appartamenti o in terrari.

I serpenti non sono ben visti, di solito. Ma ci sono uma- ni che li amano: li tengono in casa. Pitoni e boa, per esem- pio. Non sono velenosi, però diventano grandi e, a un cer- to punto, possono diventare difficili da gestire e, proprio come i cani, vengono abbandonati nell’ambiente. Qualche squilibrato ama persino tenere serpenti velenosi. Ma qui siamo quasi nel patologico.

La paura del serpente è atavica. Già nel Giardino del- l’Eden il serpente è visto come il simbolo del male. Striscia, ha la lingua biforcuta, e denti che iniettano veleno. Non ci può essere niente di peggio. E quindi i serpenti vanno uc- cisi, no? No! State attenti, educate i bambini a riconoscer- li e a rispettarli, a non disturbarli e a far caso alla loro pre- senza. Hanno importanti ruoli ecologici, e non è bene che scompaiano. Lasciateli stare.

Artropodi

Non teniamo insetti come animali da compagnia. Però li alleviamo. Le api, per esempio: Apis mellifera. Ci danno il miele e la cera. E poi favoriscono l’impollinazione delle piante: sono insetti “utili”. Dovremmo dire insetti utili per soddisfare alcuni nostri bisogni. Gli apicoltori sanno come trattare questi pungenti amici, anche se di solito si proteg- gono con indumenti speciali per maneggiarli. Non sono certo animali da compagnia. Ci sono tantissime specie di formiche, ogni tanto hanno un po’ di popolarità e ci sono terrari speciali che permettono di vedere all’interno dei lo- ro nidi: il formicaio brulicante di attività può essere bello da guardare. Tutti i gusti sono gusti.

I bachi da seta (Bombyx mori) sono stati allevati per molto tempo, anche in Italia. Venivano nutriti con le foglie di gelso. L’uso di filati sintetici, come il nylon, ha ridotto di molto la bachicoltura, anche se pare che ci siano progetti per farla ripartire.

La farfalle sono molto popolari, sono belle e colorate. Sono oggetto di collezione. Si catturano con una rete da farfalle, e poi si impalano con un bello spillone e si metto- no in mostra in apposite scatole. Da bambino ho fatto an- che io la collezione di farfalle. Poi sono arrivati gli insetti- cidi. Prima le farfalle si trovavano anche in città, ma oramai ci sono solo alcune specie, come le cavolaie (Pieris rapae), bianche con qualche macchia nera. Non sono molto attra- enti per loro fortuna, e quindi quasi più nessuno fa la col- lezione di farfalle.

In compenso ci sono molte mosche e zanzare e mosce- rini. Tafani e altri animaletti non molto affascinanti, tipo gli

scarafaggi. Le blatte camminano veloci, sono nere e due so- no quelle comuni: la blatta (Blatta orientalis) e la blattella (Blattella germanica). Non pensate a riconoscerle, schiac- ciatele. Le periplanete (Periplaneta americana), invece, so- no rossastre, e volano. Di solito sono considerate un’unica cosa: lo scarafaggio. Gli esemplari femminili della nostra specie sono spesso terrorizzati da queste bestiole. Anche se non sono aggressive, non mordono, non fanno proprio niente. A parte la cacca dove non dovrebbero, per esempio nei cibi, e trasmetterci qualche malattia non molto grade- vole. Si trovano spesso nelle case, e non conosco nessun animalista disposto ad accoglierle a braccia aperte.

Altri insetti che potrebbero diventare “familiari” sono le termiti, in Italia rappresentate da due specie: Kalotermes

flavicollis e Reticulitermes lucifugus. Le ho avute in casa. Si

sono mangiate una scala di legno e anche diversi libri. Han- no anche mangiato il pavimento di legno di un museo di cui sono stato per un po’ responsabile. Sbarazzarsene non è facilissimo, ci vogliono dei professionisti. In casa possia- mo avere anche tarme (Tineola bisselliana, Tineola pellio-

nella, Trichophaga tapetzella) e tarli (Anobium puncta- tum), che si mangiano i vestiti e i mobili. E poi chi non ha

visto correre sul pavimento i pesciolini d’argento (Lepisma

saccharina)? Sono piccoli insetti che escono la notte. Ti al-

zi per andare in bagno, accendi la luce, e magari ce n’è uno al centro del pavimento, colto sul fatto. Per un attimo è ac- cecato. Poi cerchi di schiacciarlo e lui scappa veloce. Non sono difficili da prendere. E non fanno molti danni. Am- mazzateli con la fisica (intendo dire: schiacciateli) e non con la chimica. Gli insetticidi avvelenano anche noi.

Anche le formiche entrano in casa. Attirate dal cibo. Ar- rivano in fila e fanno spedizioni per rifornirsi. Se tenete pu-

lita la cucina, magari ne arriva qualcuna in esplorazione, ma se non trova niente non chiama il resto della squadra. Altrimenti vengono, e ve la puliscono loro.

Poi ci sono i ragni, e sono di tantissime specie. Fanno le ragnatele, di solito in cantina. I ragni dovrebbero essere la- sciati in pace. Anzi, li dovremmo allevare. Con le ragnate- le prendono le mosche (Musca domestica) e le zanzare (Cu-

lex pipiens), e se le mangiano. Sono uccisori di insetti. So-

no anche loro artropodi, ma non hanno sei zampe, come gli insetti, ne hanno otto. Producono la seta, con cui fanno le ragnatele, e hanno appendici con cui iniettano il veleno: i cheliceri. Alcuni, quelli più grandi, come le migali (Tera-

phosa blondi), non fanno ragnatele. Girano e vanno a cac-

cia. Possono uccidere anche dei piccoli vertebrati. Alcuni sono velenosi anche per noi. In Salento è famosa la taran- ta. In effetti si tratta di due specie. Una fa ragnatele (Latro-

dectus tredecimguttatus), l’altra vive nel terreno, all’interno

di gallerie (Lycosa tarantula). Quando passa una preda la licosa salta fuori e la uccide col veleno. I contadini e le con- tadine andavano al lavoro senza scarpe. Se salivano sulla ta- na di uno di questi ragni, questo usciva e mordeva. Il che faceva “ballare” chi veniva punto dal veleno. Da qui la ta- rantella.

I millepiedi non ci fanno paura, si appallottolano se di- sturbati. E puzzano un pochino. Fa parte dei loro sistemi di difesa. Vanno lenti e si capisce subito che sono inoffen- sivi. I centopiedi invece sono veloci, e non si appallottola- no. Sono predatori (i millepiedi mangiano detriti) e hanno ghiandole del veleno. Centopiedi e millepiedi sono miria- podi, proprio perché hanno “tanti piedi”. I centopiedi li chiamiamo anche scolopendre. Alcune possono fare male. Di solito non entrano nelle case, ma se si vive in campagna,

a pian terreno, a volte vengono a farci visita. I millepiedi possono essere allontanati con tutta tranquillità. Mentre i centopiedi è meglio farli fuori. Le specie sono tante, e i lo- ro nomi in latino non vi direbbero proprio niente.

Poi ci sono gli scorpioni. Con il veleno nella coda. Mol- ti sono inoffensivi, ma voi lasciateli stare. Se vi entrano in casa, anche se non mi fa piacere consigliarvi questo, uccide- teli. Se avete le scarpe ai piedi non correte alcun rischio. Ma se ve le togliete, lo posate sul pavimento, magari vicino al letto, e poi andate a dormire, qualche animaletto velenoso potrebbe entrare nelle vostre calzature. La mattina vi sve- gliate, e vi mettete le scarpe. Poi qualcuno vi trova ancora sorridenti e stecchiti. Pare che cose del genere siano capita- te negli Stati Uniti, con i ragni vedova nera (Latrodectus

mactans). Da noi no. Ma è meglio liberarsi degli animali ve-

lenosi. I ragni che stanno sul soffitto, nelle loro ragnatele, non fanno queste cose. Lasciateli stare se ci riuscite.

Poi ci sono i crostacei. Di solito non entrano in casa, ma si trovano facilmente in giardino. Li chiamiamo porcellini di terra (Armadillium vulgare). Sono quegli animaletti che si appallottolano se disturbati, di solito se ne stanno sotto le pietre, ma escono quando c’è molta umidità. Anche lo- ro, come i millepiedi, emettono odori sgradevoli per di- fendersi dagli aggressori. Sono isopodi. Parenti dei gran- chi e delle aragoste: crostacei. Non si mangiano. Lasciate- li stare. Se li trovate in casa, metteteli fuori. Sono entrati per sbaglio.

Meduse

Se volete complicarvi la vita, allestite un acquario con le meduse. Sono animali bellissimi, eleganti, direi leggiadri. Non sono obiettivo, però, perché ho passato una buona parte della mia vita ad allevarle, per ricostruire i loro cicli biologici. Allevare una medusa che alla nascita è sì e no mezzo millimetro e farla arrivare ad uno stadio adulto di dieci centimetri richiede molta dedizione. L’ho fatto in Ca- lifornia, con una medusa che si chiama Aequorea victoria. Lo studio della luminescenza di questa specie ha portato persino a un premio Nobel per la chimica! Le meduse ri- chiedono acquari speciali e a volte hanno diete molto par- ticolari. Con alcune specie non ho avuto problemi, mentre altre non sono proprio riuscito a vederle crescere. Ora che gli acquari meglio attrezzati mostrano le meduse in vasche speciali, si sta sviluppando la passione per questi animali anche in chi non le alleva per mestiere. Non posso dire che non ne valga la pena: se avete tantissimo tempo e volete de- dicarvi anima e cuore ai vostri animaletti… fate pure.

Per studiare la distribuzione delle meduse nelle nostre acque ho lanciato una campagna di scienza dei cittadini. Ho chiesto ai frequentatori del mare di mandarmi le segna- lazioni dei loro avvistamenti di meduse. Mi ha aiutato una rivista di divulgazione scientifica (“Focus”) che ha pubbli- cato il mio appello alla collaborazione dei cittadini, assie- me a un magnifico poster realizzato da un artista (Alberto Gennari) e da un grafico (Fabio Tresca). Negli anni ho ri- cevuto migliaia di segnalazioni, spesso corredate da foto- grafie. Grazie agli scienziati cittadini abbiamo trovato spe- cie prima sconosciute, come Pelagia benovici, o abbiamo

potuto registrare specie tropicali che sono arrivate in Me- diterraneo attraverso il Canale di Suez, o per altre vie. Ho ricevuto centinaia di messaggi da parte di bambini entusia- sti che mostravano grande competenza. Mia madre è stata punta da una Olindias, mi ha scritto una volta un ragazzi- no di nove anni, spedendomi la foto della gamba della mamma. Una madre una volta mi ha telefonato disperata perché suo figlio voleva assolutamente allestire un acqua- rio con le meduse. Animali prima ritenuti repellenti a cau- sa del loro potere urticante hanno iniziato a diventare at- traenti. Anche perché ci sono specie che pungono relativa- mente poco, come Cotylorhiza tuberculata. Vederle in ma- re, magari con un piccolo sciame di pesciolini che le se- guono, è uno spettacolo meraviglioso, come testimoniato da foto di bambini che nuotano attorno a una medusa, te- nendosi a opportuna distanza. Il massimo per me è stato quando un ragazzo di tredici anni, Jacopo, mi ha scritto dicendo che lui e il suo amico Filippo si arrabbiano quan- do vedono che i bagnanti prendono le meduse e le porta- no a riva, a fare un’orrenda fine sulla spiaggia. “Io e Filip- po le prendiamo e le rimettiamo in mare. Anche loro han- no diritto di vivere!”

Sono molto fiero di questi risultati, per me importantis- simi. Riuscire ad apprezzare gli animali nel loro ambiente e non fermarsi ai soliti vertebrati è un enorme passo avan- ti verso la consapevolezza dell’importanza della natura. Tutti gli animali meritano rispetto, alcuni proprio non li possiamo sopportare ma stiamo cambiando opinione su molti. Dopo aver riabilitato squali e balene, ora tocca an- che alle meduse!