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C’è differenza tra amare moltissimo una cosa, e studiar- la. Chi ama gli animali è uno zoofilo, chi li studia è uno zoologo. Gli zoofili sanno moltissimo degli animali ogget- to delle loro attenzioni e hanno un coinvolgimento emoti- vo con loro. I veri zoofili sono come gli indù, che non uc- cidono alcun animale, o come San Francesco, che stava at- tento a non calpestare le formiche. In certi periodi storici può anche andar bene, ma in India i ratti mangiano o dete- riorano enormi derrate alimentari e sono lasciati indistur- bati. Non uccidere alcuni animali può significare far mori- re di fame i bambini. Dovendo scegliere, con consapevo- lezza, dovrebbe essere logico preferire i bambini ai ratti, ma a volte le religioni non hanno molto a che vedere con la razionalità.

Non posso non raccontare una storia che risale a quasi trent’anni fa. Una delle più importanti associazioni per la protezione della natura organizzò a Lecce una mostra sui cetacei. La mostra fu presentata dal vicepresidente dell’as- sociazione. Mi interesso di biodiversità marina, e i cetacei ne fanno parte, e quindi andai a sentire la conferenza. Il vi- cepresidente si presentò dicendo di essere architetto, ma, come credenziale, ci tenne a rimarcare che, sin da bambino, ogni volta che avvistava un cetaceo dalla barca di suo padre (e si capiva che non era un gozzetto) il suo cuore batteva forte forte. Una volta cresciuto e diventato un architetto, lo stesso batticuore accompagnava ogni avvistamento dalla sua barca. E questo trasporto emotivo, secondo lui, era sufficiente perché si potesse autodefinire un cetologo (cioè uno studioso di cetacei). Nessuno trovò da ridire a questa

sua affermazione. Come farne capire l’assurdità? Ebbi tut- to il tempo della sua relazione, stracolma di frasi estatiche, per pensarci.

Voglio fare una parentesi, ora. Nel pubblico di ogni conferenza c’è sempre qualcuno che pensa di essere più ti- tolato del conferenziere a trattare l’argomento della dotta relazione. Al momento delle domande, il presunto esperto non fa domande, ma esprime considerazioni tese a dimo- strare la cosa che più gli sta a cuore: avrebbero dovuto in- vitare lui, e non il conferenziere, a tenere quella relazione! Odio queste persone e, in quel momento, mi toccò gioca- re quel ruolo. Veramente io non mi sognerei di fare una conferenza sui cetacei, perché non sono oggetto diretto dei miei studi, e quindi quella volta non cercai di dimostrare che avrebbero dovuto invitare me, provai solo a spiegare perché non avrebbero dovuto invitare lui! Non lo potevo spiegare con dotte argomentazioni. La gente stacca la spi- na dopo un minuto. Dovevo fulminarlo con una battuta.

Al momento della discussione, quindi, chiesi: se avere un grande trasporto per qualcosa coincide con l’esserne specialista (e un architetto si può definire cetologo perché si emoziona molto alla vita di un cetaceo), allora Casanova era un ginecologo!

Colpito e affondato. Tutti risero a quell’affermazione e il poveretto non riuscì a trovare argomenti per ribattere in modo altrettanto efficace.

Volendo trovare la parola che lo definisca, lui era un ce- tofilo (un amante dei cetacei) e non un cetologo (uno stu- dioso di cetacei). Casanova era un ginecofilo (un amante delle interazioni con l’apparato sessuale femminile) e non un ginecologo (uno studioso dell’apparato genitale femmi- nile). Ora, tutti concordano nell’assurdità di affidare un re-

parto di ginecologia a un playboy. Ma non è assurdo, per i più, affidare la gestione e la protezione della fauna a zoofi- li-animalisti, e non a zoologi.

Gli amanti dei cani sono cinofili (da non confondere con i cinefili, che amano andare al cinema) ma non è detto che un cinofilo sia altamente competente in fatto di cani.

La prima differenza, la più grande, è il coinvolgimento emotivo. Chi studia qualcosa non può lasciarsi trasportare dalle emozioni, deve restare freddo.

I medici hanno sempre a che fare con persone malate (a meno che siano medici dello sport) e fa parte del gioco che i loro pazienti muoiano. Se i medici vivessero ogni morte e ogni sofferenza dei loro pazienti con lo stesso coinvolgi- mento emotivo che ci lega ai nostri cari, vivrebbero in un costante stato di abbattimento, di frustrazione, e sarebbe- ro perennemente in lutto emotivo. Se così fosse, non po- trebbero fare efficacemente il proprio lavoro, e le morti e le sofferenze sarebbero maggiori di quanto non siano. I me- dici devono avere a cuore il benessere degli esseri umani, ma non si possono disperare per il malessere dei singoli umani che cercano di curare: il loro distacco emotivo è quindi necessario, non rappresenta indifferenza.

Non posso negare, però, di avere un forte trasporto per gli animali che studio: le meduse. Sono animali bellissimi e il guardarli, soprattutto da vivi, mi procura emozioni. An- che se questo sentire non è condiviso dai più. Tutti gli zoo- logi amano gli animali che studiano, persino i parassitolo- gi. Per loro, studiare una bella massa di vermi che si stan- no mangiando l’ospite dall’interno è “bellissimo”. Si emo- zionano.

Gli animalisti sono la forma estrema degli zoofili, e in alcuni casi il loro zelo rasenta il fanatismo. Ma un motivo

evolutivo di questo trasporto emotivo verso gli animali forse c’è. Siamo troppi, e non possiamo pensare di essere tutti carnivori. Anche gli animalisti vegani hanno un loro perché.

Odio ammetterlo, ma hanno pienamente ragione. Non possiamo continuare a nutrirci di animali.