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Il diritto delle autorità a percepire denaro o quote di prodotto a seguito dello sfruttamento del suolo e del sottosuolo risale ad epoche lontane. Fin dall’epoca imperiale romana era presente a Carrara, nella località di Vezzala, una dogana dei marmi; da qui comincia la storia della tassa marmi carrarese, che nel corso dei secoli si configurerà con termini e modalità diverse. Già dal XII secolo, il Vescovo di Luni poteva riscuotere un assegno o diritto di uscita sui marmi che venivano esportati. Nel XIII secolo, il Vescovo Enrico, in seguito alle regalie concesse dal Barbarossa, istituì una dogana dei marmi, grazie alla quale ebbe un utile di 50 lire l’anno. Il 7 giugno del 1385 i carraresi, chiedendo di far parte della Signoria Viscontea, sottoposero al Conte Gian Galeazzo Visconti alcuni “capitoli (clausole contrattuali) e convenzioni”, di cui uno dei capitoli riguardava l’istituzione di “un pedaggio su tutte le merci che attraversano il Comune di Carrara e un dazio sui marmi scavati, pedaggio che dovranno servire alla manutenzione delle vie e dei ponti”; da quell’anno si hanno numerose conferme della riscossione della tassa. Anche durante la dominazione fiorentina venne 215

riconosciuta, nel 1430, al Comune di Carrara “una dogana sui blocchi di marmo estratti sulle alpi del territorio comunale”, con l’esclusione dei marmi destinati a Firenze, che non pagano “pedaggio o gabella”. Il Comune continuò a riscuotere la gabella anche sotto la dominazione lucchese, la quale, di fronte alle lamentele di alcuni artisti genovesi, rispose di non poter fare diversamente, perché queste tasse spettano al Comune di Carrara per una consuetudine datata, già riconosciuta dal Duca di Milano e confermata in seguito dalla Repubblica di Firenze. Durante la dominazione Cybo Malaspina, il Marchese Alberico concordò con quattro rappresentanti dei marmisti un aumento della gabella, che passò dal 10% al 21% del prezzo di costo, forse per ristabilire il doppio canone di epoca romana di un decimo della produzione al fisco e altrettanto al proprietario. Sembra che non venisse pagato alcun canone sull’autorizzazione all’estrazione del marmo, come recita una espressione del 1270, secondo la quale chi aveva ottenuto il permesso di estrarre marmo era “recuperato” all’uscita e pagava in un’unica soluzione, attraverso la gabella, tutti i diritti feudali connessi alle regalie. Il Comune di Carrara ha continuato, di secolo in secolo e di signoria in signoria, a riscuotere le entrate dei diritti di regalia sul marmo. Anche sotto la dominazione estense, nonostante che il Comune fosse stato sollevato dalle spese per il mantenimento delle strade, il commercio continuò ad essere gravato dalla tassa sui marmi, che i duchi esigevano come tassa governativa. L’art. V n. 24 della Notificazione Governatoriale del 14 luglio 1846, relativa alle cave di Massa, ma estesa anche a Carrara con Notificazione Governatoriale del 3 dicembre 1846, conferma l’esistenza della tassa “che si paga a Carrara per la Carriona”, ma dispone anche che la costruzione ed il mantenimento delle “strade principali o comuni a tutte le cave o alle cave di una intera vallata” competono all’Amministrazione dello Stato, la quale “se ne indennizza con una tassa che vi impone proporzionata al trasporto dei marmi”. Con il rescritto sovrano del 23 agosto 1853 le strade esclusivamente destinate al trasporto dei marmi vennero cedute dallo Stato al Comune, il quale, per il mantenimento di dette strade, percepiva la così detta tassa dei carratori o del bestiame, mentre con il rescritto sovrano del 1857 viene

respinta la richiesta del Comune di Massa che chiedeva di essere esonerato dall’ obbligo di mantenere le strade dei marmi, ed anzi veniva autorizzato ad alzare la tassa che doveva essere un equivalente della spesa che il Comune stesso sosteneva per le strade dei marmi.

Subito dopo l’unità d’Italia i Comuni di Massa e di Carrara decisero di sostituire la tassa estense con un dazio sui marmi in esportazione; solo il comune di Carrara raggiunse l’obbiettivo a seguito dell’emanazione del regio decreto n. 4428 del 19 settembre 1860, il quale approvava “la provvisoria istituzione a favore del Comune di Carrara di un diritto di pedaggio sulla strada Carriona pei marmi che sortono dal Comune”. Il decreto prevedeva le seguenti tariffe:

• £ 5 la tonnellata di 25 palmi cubi o kg. 1125 per i marmi statuarii di prima qualità, tanto in blocchi riquadrati quanto informi, ed anche per gli informi di mediocre qualità;

• £ 2 la tonnellata di chilogrammi 1125 per marmo ordinario, venato, bardiglio e statuario macchiato riquadrato;

• £ 1 per ogni paia di buoi o £ 0,50 per ogni cavallo, per marmi lavorati o segati in tavole, lastre, quadrette, mortai.

I lastroni eccedenti la “spessezza”di mezzo palmo di Genova erano “considerati e sottoposti al Pedaggio come marmi greggi”.

Erano esentati dalla tassa “i marmi destinati al consumo interno del Comune e alla lavorazione negli Studi e negli Edifizi a seghe, ancorché oltrepassanti i limiti doganali”, anche se da uno studio della Camera di Commercio emerge che la tassa veniva corrisposta anche per i marmi che non uscivano dal territorio comunale.

Nel 1911 il Comune aumentò le tariffe della tassa, diversificando le aliquote per i marmi grezzi, per quelli segati e per quelli lavorati, suscitando l’opposizione di alcuni industriali, i quali sostenevano che il Comune riscuoteva una tassa non dovuta, soprattutto per quanto riguarda i lavorati, e che non poteva essere presa alcuna decisione senza aver prima consultato gli interessati. Il 21 giugno del 1911 veniva discussa alla Camera dei Deputati la proposta di legge del deputato

Eugenio Chiesa per consolidare mediante legge la vecchia tassa locale, che avrebbe consentito al Comune, secondo la proposta, “di tener fronte ai maggiori impegni che il continuo aumento della sua popolazione ed in specie dalla massa operaia adibita alla lavorazione del marmo, il moltiplicarsi delle spese di manutenzione stradale, di spedalità e di medicinali ai poveri e di servizio dei mutui contratti e da contrarsi hanno imposto e vanno imponendo ogni anno alle finanze del Comune”, aggiungendo che avrebbe permesso “alla locale classe industriale e commerciale del marmo di mantenere l’impegno già da molti anni assunto in confronto della classe operaia, che ne reclama l’adempimento, di provvedere alla pensione per la vecchiaia dei lavoratori da quella dipendenti”. Il Consiglio comunale aggiungeva che le maggiori entrate avrebbero consentito di “provvedere alla costruzione e all’esercizio dell’auspicato porto alla Marina di Carrara”. In sostanza si trattava di assicurare al Comune le entrate necessarie per la realizzazione dell’infrastruttura portuale, ormai indispensabile di fronte allo sviluppo raggiunto dallo sviluppo dell’industria marmifera, e di adempiere agli impegni minimi assunti nei confronti dei lavoratori in seguito alle lotte sindacali del primo decennio del secolo. L’iter parlamentare della legge terminò l’11 luglio 1911 con l’approvazione da parte del Senato. La legge n. 749 fu emanata il 15 luglio; con tale legge il diritto di pedaggio venne trasformato in una tassa di esportazione, che veniva riscossa all’uscita del marmo dal territorio comunale. La misura della tassa veniva fissata dal Consiglio comunale, tenendo conto di un tetto massimo fissato dalla legge in:

a) £. 8 a tonnellata per i marmi statuari e paonazzi tanto in blocchi riquadrati quanto informi;

b) £. 5 a tonnellata per i marmi greggi ordinari, venati, bardigli; c) £. 2 a tonnellata per i marmi segati in tavole e lastre;

d) £. 1 a tonnellata per i marmi lavorati, quadrette, mortai e granulati.

I lastroni eccedenti lo spessore di 12 centimetri e mezzo erano tassati come i marmi greggi. Una parte del provento era destinata alle spese per la costruzione del porto di Marina di Carrara, l’altra per l’iscrizione degli operai dell’industria

marmifera alla Cassa nazionale di previdenza per gli operai. Con l’entrata in vigore della legge era abrogato il Regio decreto del 19 settembre 1860.

In breve tempo le tariffe fissate si rivelarono inadeguate, e, soprattutto a causa della guerra, nel 1917 fu necessario procedere ad un aumento del 30%. Tuttavia anche questo aumento si rivelò insufficiente, così dal 1920 il Comune e gli industriali concordarono una serie di aumenti convenzionali delle tariffe, anche se nel periodo tra la fine del 1921 e il giugno del 1923 fu necessario applicarvi una riduzione a causa della diminuzione dei prezzi di vendita del marmo. Tutti questi aumenti furono convalidati con il decreto legge n. 1045 del 3 luglio 1930, convertito nella legge n. 85 del 6 gennaio 1931; le tariffe della tassa marmi in vigore sui marmi scavati nel Comune di Carrara erano le seguenti:

a) marmi paonazzi, tanto in blocchi riquadrati quanto informi;

limite massimo per tonnellata £. 63

b) marmi statuari;

limite massimo per tonnellata £. 53

c) marmi greggi ordinari, venati, bardigli;

limite massimo per tonnellata £. 38 d) marmi segati in tavole e lastre;

limite massimo per tonnellata £. 35

e) croste e lastre di marmo, anche di forma rettangolare, la cui lunghezza massima non superi il lato della quadretta di maggiori dimensioni;

limite massimo per tonnellata £. 23

f) marmi lavorati, quadrette, mortai e granulati;

limita massimo per tonnellata £. 13

Il decreto legge consentiva anche al Comune di ripartire il gettito del tributo fra tutti gli enti interessati, che veniva così suddiviso: £. 4 a tonnellata a favore dell’ente autonomo per le case popolari, £. 2,50 a tonnellata a favore della congregazione di carità per la costruzione del nuovo ospedale, £. 0,50 a tonnellata a favore della cassa di soccorso. Il resto andava a favore del bilancio comunale, sul quale gravava l’onere delle pensioni degli operai del marmo.

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, le tariffe furono adeguate al nuovo valore della lira, e fu stabilito di destinare i proventi della tassa per la costruzione del nuovo ospedale, per quella di case popolari, per la casa di soccorso per gli operai del marmo, per la copertura degli aumenti della pensione del marmo, per il funzionamento della scuola del marmo e per la sistemazione della via Carriona; soltanto le somme disponibili dopo l’assolvimento di tutti questi obblighi potevano essere impiegate per altre sistemazioni e rifacimenti di carattere straordinario e di interesse cittadino.

Nuovi aumenti furono apportati nel 1947, nel 1952, nel 1963, nel 1981, nel 1989, e nel 1992, a seguito di accordi, spesso preceduti da lunghe trattative, tra l’associazione degli industriali e il Comune. Le tariffe maggiori sono sempre state applicate, secondo uno schema base, sui prodotti grezzi rispetto a quelli lavorati, per favorire l’occupazione locale e, come si legge in uno studio della Camera di Commercio degli anni 50, per “controbilanciare in parte il peso dei dazi doganali e dei dazi comunali dei paesi di consumo che sono, di regola, più elevati sui prodotti finiti”. Il metodo seguito per le modifiche, accordi con l’associazione industriali e successiva deliberazione comunale, ha incontrato numerosi problemi, dal raggiungimento dell’accordo senza la necessaria tempestività, alle contestazioni giudiziarie delle deliberazioni assunte da parte di singoli industriali o di gruppi di essi.

La legge n. 449 del 27 dicembre 1997 all’art. 55, comma 18, ha eliminato i limiti tariffari, consentendo al Comune di stabilirne l’ammontare in relazione alla spesa inerente il settore marmifero locale. La riforma fu osteggiata dall’associazione degli industriali, la quale decise di sciogliere le aziende associate dagli accordi di volta in volta sottoscritti con il Comune, e sostenne che in presenza del canone concessorio la tassa marmi non aveva più ragione di esistere.

Il 23 marzo del 1999 il Consiglio comunale deliberava la nuova misura delle tariffe, proseguendo, anzi portando ai limiti estremi, la tendenza a tassare in misura maggiore i prodotti grezzi rispetto ai lavorati, che sono esentati se lavorati e segati in loco, dato il valore aggiunto che producono per l’economia del

territorio e la conseguente ricaduta occupazionale; nella delibera viene affrontato per la prima volta il tema dei derivati del marmo. Nella stessa seduta il Consiglio comunale approvava il regolamento per la gestione e la riscossione della tassa, nel quale, all’art. 4, venne prevista l’istituzione di un apposito ufficio di accertamento, situato a valle dei bacini marmiferi e a monte del centro abitato del Comune, per l’esecuzione delle operazioni di pesatura e qualificazione dei marmi e loro derivati, per ricevere le dichiarazioni di destinazione (cioè una dichiarazione con cui il proprietario dei marmi o loro derivati certifica la loro destinazione all’esportazione al di fuori dei confini comunali, con conseguente applicazione della tassa, sulla base dell’art. 5, oppure la loro destinazione al consumo interno, con conseguente esenzione dal tributo, sulla base dell’art. 6), per procedere alla liquidazione, per verificare le destinazioni dichiarate, per l’accertamento e la riscossione del tributo. Il pagamento, in base all’art. 8, deve avvenire prima dell’attraversamento del confine della zona di libera circolazione del marmo e dei suoi derivati, che l’art. 4, comma 2 fissa nell’ufficio medesimo. Il tributo viene applicato secondo la tariffa allegata al regolamento (art. 2), e si applica a partire dal 6 aprile 1999 (art. 15, comma 2):

ALLEGATO

Blocchi £ 9.500 a tonn.

Blocchi informi inferiori a tonn. 13 £ 6.200 a tonn.

Scaglie per polveri e granulati £ 4.500 a tonn.

Scaglie per edilizia, cementerie,

conglomerati e riempimenti £ 1.000 a tonn.

Terre e “tout venant” £ 300 a tonn.

Lavorati e segati nel territorio comunale esenti79

I concessionari, a seguito di queste innovazioni che rafforzavano la posizione del Comune, proprietario degli agri, adottarono varie forme di protesta, che vanno dai ricorsi tributari80 sulla legittimità del tributo e del regolamento, che secondo i 79 Marchetti Fausto, “Il marmo e le entrate del Comune di Carrara – fonti normative”, Carrara, Acrobat

media edizioni, 1999, pag. 9-23, pag. 72-83

80 Per un approfondimento sul tema del ricorso tributario vedi:

ricorrenti sarebbe un dazio di esportazione che viola le norme comunitarie sulla circolazione delle merci, fino all’astensione dal pagamento dei tributi negli anni 2001 e 2002; alcuni ricorsi sono stati trasferiti dalla Commissione tributaria di Massa Carrara alla Corte di Giustizia Europea.81

Con la sentenza del 9 settembre 2004 la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, un tributo commisurato al peso di una merce, riscosso soltanto in un Comune di uno degli Stati membri, gravante su una categoria di merci a causa del loro trasporto al di fuori dei confini comunali, costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione, ai sensi dell’art. 23 del Trattato CE, nonostante che la tassa gravi anche sulle merci la cui destinazione finale si trova all’interno dello stesso Stato. Nel giungere a questa decisione finale, il giudice comunitario ha, in primo luogo, respinto le motivazioni in base alle quali il Governo italiano ed il Comune di Carrara sostenevano che la tassa fosse compatibile con le norme del trattato, cioè che essa non è una tassa ad effetto equivalente ad un dazio, perché non è un diritto riscosso unilateralmente da un Paese che colpisce esclusivamente le merci destinate ad essere cedute presso altri Stati membri per effetto dell’attraversamento di una frontiera, dato che colpisce anche le merci (marmi) commercializzati all’interno dello Stato. Sul punto la Corte ha sempre ribadito che il fatto di riscuotere un tributo per effetto dell’ attraversamento di una linea di confine, anche interna allo Stato membro, pregiudica comunque l’unicità del territorio doganale e costituisce un ostacolo alla realizzazione del principio della libera circolazione delle merci. Inoltre, è bene ricordare che la tassa viene riscossa su tutti i marmi di Carrara che escono dal territorio comunale, andando a colpire allo stesso modo sia i marmi destinati al mercato interno che quelli destinati ad essere ceduti al di fuori dell’Italia, dando ad un aggravio degli oneri che devono essere sostenuti per l’acquisto del prodotto dall’estero, recando un pregiudizio al commercio tra gli Stati membri.82 81 Merusi Fabio e Giomi Valentina, “La disciplina degli agri marmiferi fra diritto e storia”, Torino, G.

Giappichelli editore, 2007, pag. 212, pag. 216

82 Venturini Flavia, “Tassa sui marmi di Carrara (C. Giust. CE 9/9/2004)” in Rivista della scuola

CAPITOLO IV