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Capitolo 1 Introduzione

1.10 Stato dell’arte

1.10.5 Tecniche di misura delle deformazioni

La misura delle deformazioni subite dal campione osseo ha molti punti critici dovuti principalmente alla geometria, alla rugosità superficiale, all’umidità e alla rigidezza della macchina di prova, il cui contributo di deformazione si va a sommare a quello proprio del campione osseo. Esistono varie tecniche per la misura delle deformazioni andando dalle misure discrete degli estensometri a ricostruzioni nel campo del continuo effettuate grazie a metodi ottici. L’utilizzo degli Strain Gauges (SG) è una delle tecniche più utilizzate per l’elevata risposta in frequenza e accuratezza: sono costituiti da un sensore (la griglia resistiva), un supporto sul quale viene posizionata la griglia (generalmente in materiale

53 plastico) ed i reofori, necessari per il collegamento al circuito di misura (Figura 1.25).

Figura 1.25 - Schematizzazione di uno strain gauge.

Invece, l'estensimetro (Figura 1.26) viene normalmente applicato alla superficie di una struttura, ad esempio l’osso e se questa viene sollecitata, le sue deformazioni superficiali vengono trasmesse alla griglia dell'estensimetro il quale cambierà il suo valore di resistenza elettrica. L’applicazione degli estensimetri sulla superficie del componente permette di misurare, tramite le deformazioni subite, le sollecitazioni meccaniche che agiscono sul campione. L’estensimetro è un trasduttore dotato di due bracci mobili collegati ad una componente deformabile su cui sono montati degli estensimetri.

Figura 1.26 - Estensimetro MTS collegato alla superficie del provino mediante due bracci mobili.

In ambito biomeccanico gli SG sono stati ampiamente utilizzati per la misura di deformazioni su campioni di osso
compatto19. Per la loro semplicità di utilizzo gli SG rappresentano il gold standard per le misure di deformazione, tuttavia non sono esenti da

54 limitazioni: rilevano, infatti, misure discrete e registrano la deformazione media dell’area sulla quale lo strumento è incollato; inoltre, il numero di SG utilizzabili dipende dalle dimensioni del campione e spesso nelle applicazioni biomeccaniche si rilevano problemi di tenuta dell’incollaggio dello strumento alla superficie del materiale.

Le due tecniche esposte sono tecniche di misura a contatto in quanto necessitano di strumenti direttamente posti sulla superficie del campione osseo, i quali potrebbero influenzare i risultati delle prove meccaniche. Inoltre, le misure che si ottengono sono misure puntali che spesso possono non essere sufficienti per descrivere in modo completo la prova meccanica20. Per tale motivo negli ultimi anni è stata posta sempre più attenzione alle tecniche d’indagine ottica. La Digital Image Correlation (DIC) è stata sviluppata intorno al 1980 ed è una tecnica ottica di misura degli spostamenti e delle deformazioni superficiali, ampiamente utilizzata nell’ambito della meccanica sperimentale, soprattutto nel campo della misura di grandi deformazioni. La DIC si basa sul confronto di una serie di immagini che riprendono l’oggetto a partire da una condizione di riferimento iniziale e ne seguono l’evoluzione negli stati deformati successivi. Preparando opportunamente la superficie del provino, cioè rivestendolo con una distribuzione stocastica di punti ad elevato contrasto (pattern), è possibile identificare ogni zona della superficie del provino in maniera univoca. Il sistema acquisisce una serie di immagini del provino in diverse condizioni di deformazione calcolando gli spostamenti che compie ciascuna zona del provino, permettendo di risalire al campo di spostamenti e di deformazioni della superficie osservabile dalle telecamere del sistema21. La DIC può essere realizzata sia con una modalità di rilevamento bidimensionale (Figura 1.27) in cui viene utilizzata una singola fotocamera, sia con modalità tridimensionale 3D-DIC in cui il numero di fotocamere utilizzato è almeno pari a due.

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Figura 1.27 - Schematizzazione del sistema di acquisizione 2D-DIC.

Il principio di funzionamento della tecnica consiste nel suddividere l’immagine ripresa in sottodomini di pixel, detti facet, solitamente quadrati e di dimensione NxN, dove N è detta

facet size (Gom, 2009). Ogni facet rappresenta un punto di calcolo per gli spostamenti;

aumentando il numero di facet cresce anche il peso computazionale ed il tempo necessario per l’esecuzione. Un aspetto importante per l’applicazione di questa tecnica è la preparazione della superficie del campione biologico in esame: questa infatti deve possedere un pattern stocastico ad elevato contrasto che si deformi con la superficie del campione (Figura 1.28). Per garantire l’accuratezza e la precisione della misura di spostamenti e deformazioni, la macchiatura deve rispettare alcuni requisiti21. In generale la distribuzione di grigio deve essere non strutturata e la dimensione dei puntini deve essere proporzionale all’estensione della finestra di misura: un pattern ad alto contrasto consente all’algoritmo di correlazione d’immagini di lavorare nella maniera più efficiente. Inoltre, il rapporto bianco/nero deve essere 50:50 per evitare la presenza di regioni che non possono essere adeguatamente riconosciute e la dimensione ideale dei puntini del pattern, che varia a seconda del tipo di applicazione, è di 3-5 pixel. Le tecniche per la preparazione del pattern consistono nell’utilizzo di uno spray ad alto contrasto che viene spruzzato con un aerografo oppure di una polvere di toner/grafite soffiata sul campione; entrambe consentono di ottenere il livello di contrasto ottimale20.

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Figura 1.28 - Esempio di pattern su cornea bovina (Boyce et al., 2008).

I principali vantaggi di questa tecnica sono la possibilità di ottenere una descrizione completa della mappa di spostamenti superficiali, la possibilità di prendere in considerazione i provini indipendentemente dalle loro dimensioni e dal materiale, la non invasività della tecnica e la possibilità di utilizzarla per indagini in vivo. Nonostante i vantaggi sopra elencati, la tecnica DIC è stata scarsamente utilizzata in esperimenti ex vivo e poche sono le applicazioni in ambito biomeccanico. Ciò è principalmente dovuto alla scarsità di lavori metodologici ed alle difficoltà introdotte nel testare campioni di tessuto osseo (superficie non planare, ruvida e umida). Occorre, pertanto, prestare massima attenzione alla realizzazione del pattern superficiale in quanto un eccessivo sbilanciamento verso lo scuro rende impossibile la misura tramite DIC.

Per superare i limiti della 2D-DIC è stata proposta la digital volume correlation (DVC) che fornisce le deformazioni interne di interi oggetti (non solo con superfici piane ma anche curve) monitorando il movimento di unità di volume dell’immagine digitale. La 2D-DIC, infatti, lavora con una sola CCD camera, mentre la DVC ne necessita due.

Dalla combinazione della tecnica 2D-DIC con microscopi ad alta risoluzione spaziale è semplice ottenere le misure di deformazione alla micro- e nanoscala21. La superficie del campione deve essere piana e rimanere nello stesso piano parallelo al sensore CCD target durante il carico.

Per calcolare le deformazioni del punto P viene scelto un subset di riferimento quadrato di (2M + 1) x (2M + 1) pixel centrato nel punto P (x0, y0) dell’immagine di riferimento

(Figura 1.29); viene scelto un subset quadrato invece di un pixel individuale per poter misurare una variazione di livelli di grigio più ampia.

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Figura 1.29 – Schematizzazione di un subset quadrato di riferimento prima della deformazione e di un subset target deformato.

La 2D-DIC trova applicazione per la quantificazione del campo di deformazioni e la caratterizzazione del meccanismo di deformazione di vari materiali (metalli, compositi, polimeri, materiali biologici) soggetti, ad esempio, a sollecitazioni meccaniche o termiche. Inoltre, a partire da campi di spostamenti e deformazioni è possibile determinare vari parametri meccanici dei materiali quali il modulo elastico, il modulo di Poisson, il fattore di intensificazione degli sforzi ed il coefficiente di espansione termica. Infine, il campo di deformazioni individuato con la tecnica DIC può essere utilizzato per validare le analisi FEM, riducendo quindi il gap tra ambito sperimentale, teorico e computazionale.

1.10.6 Validazione di un modello agli elementi finiti (FEM) tramite