La questione della giurisdizione
6. La tesi italiana sulla vicenda
Come è noto l'incidente della Enrica Lexie ha avuto luogo nel febbraio 2012; i tre governi italiani che si sono succeduti da allora (Monti, Letta e Renzi), e in particolare i loro Ministri degli Affari Esteri (rispettivamente: Terzi, Bonino e Mogherini) hanno lamentato il difetto di giurisdizione indiana sul caso, rivendicandola sulla base di una serie di elementi che di seguito si vedranno nel dettaglio. La posizione italiana è stata espressa nei suddetti ricorsi presentati dinanzi alle Corte indiane.
Si è già detto come uno dei punti centrali della tesi italiana in merito alla vicenda della Enrica Lexie sia l'applicazione al caso di specie degli articoli 92 e 97 della Convenzione di Montego Bay, oltre che l'immunità funzionale dei due militari impegnati in un'azione 104 Cfr. Sent. A.D.M. Jabalpur v. Shivakant Shukla, S.C.R. 172, del 28 aprile 1976, Sent. Jolly George
Verghese v. The Bank of Cochin, S.C.R.(2) 913, del 4 febbraio1980 e Sent. M. V. Elisabeth & Others v. Harwan Investment and Trading Pvt. Ltd, S.C.R. (1) 1003, del 26 febbraio 1992.
di contrasto alla pirateria. Poiché l'articolo 97, come è noto, attribuisce la giurisdizione giudiziaria in materia di incidenti di navigazione esclusivamente allo Stato di bandiera del natante o a quello di nazionalità dei sospettati, l'Italia ha escluso la giurisdizione indiana attraverso l'applicazione ratione materiae ai fatti in causa.
Come si è già chiarito, non sembra agevole ricomprendere nell'espressione «incidente di navigazione» l'uccisione di due persone in seguito a colpi di arma da fuoco sparati da un'imbarcazione all'altra; secondo la tesi italiana tuttavia, se si dovesse escludere l'applicazione dell'articolo 97, rileverebbe in ogni caso l'articolo 92, la cui applicazione ha portata generale e non fa riferimento a specifici eventi106.
Inoltre parte della dottrina italiana ha sostenuto l'applicazione ratione loci dell'articolo 97, in forza del paragrafo 2 dell'articolo 58 della Convenzione, il quale afferma che gli articoli da 88 a 115 (ovvero la Parte VII della Convenzione, che detta il regime vigente in alto mare) si applicano nella ZEE, purché non siano incompatibili con la Parte V, che disciplina appunto il regime della zona economica esclusiva.
Alla tesi dell'India che rivendica la giurisdizione sull'evento dannoso in ragione del fatto che esso ha avuto luogo nella sua zona contigua, quella italiana contrappone l'applicazione dell'articolo 86 UNCLOS, secondo cui le disposizioni del regime riguardante l'alto mare, come disciplinato dalla Parte VII (di cui l'articolo 97 fa parte) si applicano a tutte le zone non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale e nelle acque interne di uno Stato. È evidente dunque un contrasto tra gli articoli 58 e 86107 circa l'applicazione nella ZEE delle disposizioni contenute nella Parte
VII108.
Come è noto, molti Stati radicano l'applicazione della loro legge penale sulla base del criterio della territorialità, che dispone determinati obblighi in capo a tutti gli individui che si trovano sul territorio di uno Stato, siano essi cittadini o stranieri. Oltre a questo principio-base, esposto nell'articolo 6 del Codice penale italiano, esistono altresì altri principi applicabili, rappresentati dai criteri di collegamento di cui si è detto sopra.
106 P. Busco e F. Fontanelli, op. cit., p. 22.
107 Cfr. i testi dei due articoli in parola. Art. 58 par. 2: «Gli articoli da 88 a 115 e le altre norme pertinenti di diritto internazionale si applicano alla zona economica esclusiva purché non siano incompatibili con la presente parte»; art. 86: «Le disposizioni della presente parte si applicano a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago. Il presente articolo non limita in alcun modo la libertà di cui tutti gli Stati godono nella zona economica esclusiva, conformemente all'articolo 58». 108 A. Maneggia, op. cit.
La tesi italiana poggia sul fatto che la petroliera Enrica Lexie batte bandiera italiana e, in forza dell'articolo 4 del nostro Codice Penale, le navi italiane sono considerate territorio dello Stato, ovunque si trovino, fatto salvo il caso in cui siano sottoposte, ai sensi del diritto internazionale, alla legge territoriale di uno Stato terzo. Essendosi il fatto svolto non nel mare territoriale dell'India, bensì nella sua zona economica esclusiva, dunque la giurisdizione indiana sarebbe esclusa.
Al riguardo si richiama però la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha affermato che nel caso in cui le conseguenze della fattispecie criminosa svoltasi sull'imbarcazione italiana abbiano ripercussioni all'esterno, incidendo su interessi primari della comunità costiera, la giurisdizione non appartiene alle corti italiane, bensì a quelle dello Stato rivierasco. In proposito, si considera che un reato ha effetti rilevanti per lo Stato costiero se determina una situazione turbativa della sicurezza e dell'ordine locali, tale da alterare il normale andamento della vita sociale109.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione depone in tal senso anche nel caso in cui si verifichi la situazione inversa, ovvero che un reato si consumi su una nave straniera ma abbia effetti anche sulla comunità italiana: in quel caso si determina la giurisdizione delle corti italiane. Perché si radichi la giurisdizione italiana è necessario che sia applicabile il criterio del disturbo effettivo o quello del c. d. «disturbo morale», ovvero che il reato abbia natura anche solo potenzialmente idonea a turbare l'ordine pubblico e la sicurezza della Nazione110.
Sulla base di quanto detto e in considerazione dell'allarme sociale e del turbamento emotivo provocati dal caso di specie sulla comunità costiera indiana, la validità della tesi italiana basata sull'applicazione della legge della bandiera e la conseguente esclusione della giurisdizione dell'India appaiono dubbie111.
La tesi italiana poggia inoltre sul fatto che al momento dell'incidente il peschereccio St. Anthony non esponeva la bandiera indiana e non era iscritto al registro navale indiano; la difesa italiana ha pertanto sostenuto dinanzi alla Corte Suprema Indiana che, poiché il proprietario del peschereccio era in possesso esclusivamente della licenza di pesca e il natante non era registrato presso i registri indiani, esso non poteva essere considerato di 109 Cfr. Sent. Cass., sez. III, n. 1923 del 30 dicembre 1969.
110 Con la Sent. n. 44306 del 28 novembre 2007, la Corte di Cassazione ha disposto che un tentato omicidio, avvenuto su una nave straniera, era perseguibile secondo le leggi italiane in ragione dell'allarme sociale che aveva causato nella comunità costiera, allarme palesatosi con l'attivazione a riva dell'apparato sanitario e di polizia.
nazionalità indiana. Questo è stato considerato dalle autorità indiane come un falso problema: innanzitutto è fuori dubbio il genuine link necessario tra lo Stato e l'imbarcazione perché il primo accordi alla seconda la propria nazionalità, coerentemente con quanto disposto dall'articolo 91 UNCLOS. Il legame è infatti pacifico nel caso di specie in ragione della nazionalità delle vittime e del proprietario e del possesso, da parte di quest'ultimo, della licenza di pesca ai sensi del diritto indiano. Inoltre lo stesso articolo 91 dispone che ogni Stato stabilisce le condizioni per concedere alle navi la sua nazionalità, l'immatricolazione nel suo territorio e il diritto di battere la sua bandiera. A questo punto occorre sottolineare che il Merchant Shipping Act indiano del 1958 esclude espressamente la sua applicabilità alle imbarcazioni da pesca (fishing vessels), stabilendo parimenti che soltanto i natanti registrati presso i registri nazionali sono autorizzati a battere la bandiera indiana112. Proprio in ragione di
tale norma la tesi italiana afferma che il St. Anthony, rientrando nella categoria di imbarcazioni a cui l'India nega il riconoscimento della cittadinanza, non può essere considerato di nazionalità indiana113.
In ragione di tali considerazioni, la tesi italiana ha dunque sostenuto che verrebbe meno l'applicazione della legge della bandiera in favore dell'India. Anche la Corte Suprema, nella sua Sentenza del 18 gennaio 2013, ha riconosciuto che al momento del fatto il St. Anthony non batteva bandiera indiana, aggiungendo che tale evenienza non era comunque rilevante al momento, ma avrebbe potuto determinare una qualche conseguenza nel caso in cui le parti avessero invocato le disposizioni richiamate nell'articolo 100 UNCLOS114.
L'Italia ha poi contestato la competenza giurisdizionale indiana basata sulla nazionalità delle due vittime del fatto, in quanto l'ordinamento indiano non contiene una norma analoga a quella espressa dall'articolo 10 del Codice Penale italiano, che radica la giurisdizione per i reati commessi all'estero ai danni dei cittadini. La competenza giurisdizionale sarebbe dunque italiana, a meno che l'India non invocasse la norma consuetudinaria della nazionalità passiva; tuttavia l'esistenza di tale norma
112 Cfr. il testo dell'art. 22 del Merchant Shipping Act del 1958: «22. Obligation to register. (1) Every
Indian ship, unless it is a ship which does not exceed fifteen tons net and is employed solely in navigation on the coasts of India, shall be registered under this Act. (2) No ship required by sub- section (1) to be registered shall be recognized as an indian ship unless she has been registered under thi Act.».
113 F. Licata, op. cit., p. 4.
consuetudinaria non risulta unanimamente riconosciuta ed essa è stata applicata di rado115.
Il governo italiano ha inoltre risarcito i familiari dei due pescatori rimasti uccisi con venti milioni di rupie (circa trecentomila euro), chiarendo che non si trattava di un atto legalmente dovuto, bensì concesso ex gratia, a titolo di donazione. Tuttavia tale mossa ha suscitato le critiche dell'opinione pubblica indiana, che l'ha ritenuta un espediente per mettere a tacere i congiunti delle vittime116. Questi accordi, a seguito dei quali le
famiglie dei due pescatori rimasti uccisi hanno ritirato le accuse di omicidio, sono stati contestati dalla Corte Suprema.
Sin dall'inizio della vicenda l'Italia ha aperto un procedimento per omicidio volontario a carico di Latorre e Girone; nell'agosto 2014 il procedimento per omicidio aperto presso la Procura di Roma è stato archiviato in quanto, a detta dei Magistrati italiani, le autorità indiane hanno sempre rifiutato di fornire la versione ufficiale indiana sui fatti del 15 febbraio 2012 e i capi d'imputazione contestati ai due imputati. Chiuso il procedimento ordinario, ad ogni modo, rimane aperto quello militare117; la prosecuzione parallela dei
due procedimenti penali (uno in India e uno in Italia) potrebbe porre questioni legate alla mancanza di cooperazione giudiziaria tra i due Paesi e creare problemi nel rispetto dei diritti fondamentali dei due militari (allo stato delle cose indagati in Italia e imputati i India), i quali potrebbero teoricamente ricevere due condanne (le quali potrebbero tra l'altro essere in contrasto l'una con l'altra) per lo stesso fatto. La questione è ulteriormente complicata dall'assenza, nel diritto internazionale consuetudinario (al contrario di quanto avviene nel diritto interno della maggior parte degli Stati della comunità internazionale) di una norma che stabilisca il ne bis in idem internazionale, cioè che vieti che un individuo possa essere giudicato dalle Corti di due o più Stati per il medesimo fatto118. Il suddetto principio è richiamato nel Protocollo addizionale n. 7 alla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 1950119.
115 F. Licata, op. cit., p. 20.
116 N. Ronzitti, Focus on piracy – The Enrica Lexie incident: law of the sea and immunity of State
officials issues, op. cit., p. 6.
117 D. Rosengarten, Magistrati indiani reticenti: l'inchiesta marò verso larchiviazione, articolo del 5 agosto 2014, pubblicato in www.qelsi.it.
118 F. Licata, op. cit., p. 21.
119 «Ne bis in idem. Nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è stato già assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato». (Art. 4, Protocollo addizionale n. 7 CEDU, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984).
L'Italia ha inoltre richiesto, conformemente tra l'altro all'articolo 59 della Convenzione di Montego Bay120, che identifica nell'equità il criterio da seguire per risolvere eventuali
conflitti di interessi tra Stati nella zona economica esclusiva, l'attivazione di una controversia internazionale riguardo all'interpretazione della Convenzione e il ricorso alla procedura di conciliazione prevista dell'articolo 284 della stessa121.