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V. Azienda Moda: Quo Vadis?

6.3 Thanks, Brand!

Utile, al fine della nostra riflessione, dedicarsi ad un breve digressione sul peso specifico detenuto dal branding, in generale per le aziende operanti nel campo della moda e, nello specifico, per il nostro caso aziendale di riferimento. Questo fenomeno va senza dubbio ricondotto al fatto che la sensibilità al brand sia molto forte nel consumatore di moda. Branding, tuttavia, non significa semplicisticamente detenere un nome distintivo, ma è la risultante di una strategia di fashion marketing e di tutta una serie di azioni che avvengono nel contesto produttivo e commerciale (eccellente produzione, validi prodotti, buon rapporto prezzo/qualità, buona distribuzione, mirata comunicazione, efficace promozione, puntuale servizio, ecc.).

Un brand per essere valido, ora e nel tempo, dovrà assolvere, nei confronti del

trade e del consumatore finale, ad alcune fondamentali funzioni:

 Funzione d’identificazione (identificare prodotto e collezione, nonché tutti gli attributi che li caratterizzano);

 Funzione d’orientamento (orientare il consumatore nei confronti dell’offerta );  Funzione di garanzia (svolgere un ruolo di rassicurazione sulla qualità del

prodotto);

 Funzione di differenziazione e personalizzazione (permettere al consumatore di esprimere una scelta differenziata e personalizzata, nell’espressione della propria identità);

 Funzione di praticità (ricordare in maniera immediata una serie di caratteristiche, in modo da permettere al consumatore di differenziare un

brand da tutti gli altri);

 Funzione di fidelizzazione (legare il marchio ad una serie di caratteristic he scontate, supportando ed incrementando il necessario costante rapporto di fidelizzazione del consumatore).

Per tutte queste ragioni, il brand costituisce un valore aggiunto al prodotto. Le caratteristiche tecnico-funzionali di un prodotto non sono di per sé sufficienti ad

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attirare l’attenzione dei consumatori, spesso impreparati ad apprezzarle e valutarle. Soprattutto per i prodotti moda, ormai omogenei, si richiede qualcosa di più: un contenuto simbolico ed evocativo che differenzi il prodotto di un’imp resa da quello delle altre: questo plus è la marca.

Secondo quanto previsto da Naomi Klein nel 2011: «I prodotti che si svilupperanno in futuro saranno quelli presentati non come merci ma come concetti. Il marchio come esperienza, stile di vita» [Klein, 2001].

Ed il brand differential è proprio il “premium price” che il consumatore finale è disposto a pagare pur di ottenere un prodotto di marca (branded) rispetto ad uno non di marca (unbranded) [Romanazzi, 2005]. La marca svolge nella moda l’importante ruolo di contatto tra impresa e mercato e rappresenta un valore fortemente economico per l’azienda, un patrimonio immateriale da conservare ed alimentare nel tempo a sostegno delle strategie di sviluppo di lungo periodo dell’azienda. Pertanto la marca è un forte asset aziendale che consente la differenziazione dei prodotti e sostiene il vantaggio competitivo delle aziende [Romanazzi, 2005].

A tratti generali, possiamo dire che la marca evolve nella vita dell’azienda da una fase iniziale in cui si identifica nel prodotto (marca-prodotto) ad una fase finale in cui identifica un mondo di riferimento e di valori immateriali indipendenti dal prodotto (marca-mondo), passando per una fase intermedia nella quale rappresenta garanzia di qualità del prodotto (marca-garanzia) [Saviolo e Testa, 2000].

L’identità di marca, o brand identity, verte pertanto su diverse leve strategiche, tra cui primariamente: lo stile, l’immagine, la distribuzione. Risulta fondamenta le, nella creazione di una forte identità di marca, che tali leve strategiche siano coerenti tra loro e rispecchino un preciso disegno strategico da parte dell’imp resa [Romanazzi, 2005].

Vi sono poi varie strategie che possono essere adottate al fine di incrementare il valore percepito di un marchio: potenziando le competenze distintive core in modo flessibile, sviluppando le potenzialità globali della marca o, infine, incrementandole senza snaturarne l’identità, attraverso una brand extension orizzontale, con il ricorso a linee merceologiche nuove. L’estensione può rendere

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necessario un cambiamento di metodi e procedure industriali, nonché dei sistemi distributivi, che varia a seconda della distanza della nuova categoria merceologica rispetto a quelle originarie. Sono svariati i vantaggi legati ad una politica riuscita di brand extension: creazione di barriere per i competitors su nuove tipologie di prodotti; possibilità di fornire alle nuove categorie merceologiche alcune o tutte le caratteristiche di un marchio già noto e affermato sul mercato; creazione di un “mondo di riferimento”, di uno “stile di vita” riconducibile al marchio. Ma ai vantaggi menzionati fanno da controcanto importanti criticità, tra cui il brand

stretching: il rischio di diluire il valore del brand dedicandosi ad estensioni che

non rientrano in un preciso disegno strategico coerente con il mondo di riferime nto del marchio. Bisogna sempre tenere conto, in ogni caso, di quello che dovrebbe auspicabilmente essere il risultato di un processo di estensione di marca ben condotto: rafforzare il core business originario che ha motivato l’estensio ne [Romanazzi, 2005].

Disposizioni legislative

Dir. 89/104/CEE del 21 dicembre 1988 (Pubblicata nella G.U.C.E. 11 febbraio 1989, n. 40. Entrata in vigore il 27 dicembre 1988) - Prima direttiva del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (Termine di recepimento: 29 dicembre 1991. Direttiva recepita con D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480)

Articolo 2

Segni suscettibili di costituire un marchio di impresa

Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizio ne che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese.

Articolo 5

Diritti conferiti dal marchio di impresa

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Per analizzare la relazione psicologica intrattenuta dal consumatore con la marca, Russel Belk [Belk, 1988] ha proposto la nozione di “sé esteso” (extended self), composto dal proprio sé (me) e dall’insieme di oggetti posseduti (mine), suggerendo come le persone tendano inconsciamente a vedere i propri oggetti come un riflesso ed allo stesso tempo una parte di loro stesse. Sono queste proiezioni ideali di noi stessi che vanno a dare forma al «self-concept», un costrutto che tendiamo a rafforzare ed a rendere coerente proprio attraverso l’uso di una determinata marca. Gran parte delle marche che scegliamo ha difatti l’obiettivo di migliorare la nostra immagine, assolvendo ad una funzione di «self-

enhancement» (costruzione di un “sé aumentato”). Le marche rappresentano

un’opportunità per esprimere quello che desideriamo essere o come desideriamo apparire, rafforzando il senso di appartenenza a gruppi di riferimento reali o aspirazionali.

Passiamo adesso alla strategia, sottostante alla costruzione di un brand. Spesso e volentieri, particolare attenzione viene rivolta all’area semantica, cui si ricorre per richiamare determinati universi valoriali e merceologici, che possono riguardare tanto il proprio sistema moda (proprio in prospettiva “Paese”), quanto altri sistemi moda: è il caso del «foreign branding» [Ironico, 2014]. Nell’ottica della scelta di una strategia di foreign branding, l’uso della lingua francese va ad esempio interpretato come finalizzato a restituire alla marca un’immagine sofisticata, che si appropria delle connotazioni di eleganza, esclusività e raffinate zza universalmente riconosciute alle marche Made in France, giocando sulle associazioni che scaturiscono dal semplice utilizzo di questa lingua: pensiamo a CafèNoir, così come a brand quali Blumarine, Haute, Les Copains, Etro, Caractère.