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Titolo V della Costituzione: impatto della riforma e controriforma sul porto

CAPITOLO II: Autorità portuale tra tradizione e novità

2.3 Titolo V della Costituzione: impatto della riforma e controriforma sul porto

Pur avendo riordinato la materia portuale il D. Lgs. 169/16 non ha estirpato i problemi legati al rapporto tra il Titolo V della Costituzione Italiana e la figura dell’Autorità di Sistema Portuale.

L’Art. 117 Cost. colloca le materie di “porti e aeroporti civili” e le “grandi reti di trasporto e navigazione” tra le materie concorrenti. Il contrasto sorge per la collocazione delle Autorità di Sistema Portuale, poiché esse sono riservate alla competenza esclusiva dello stato.

La Corte Costituzionale ha giustificato questo contrasto ribadendo la potestà dello stato a riconoscere a taluni porti rilevanza economica internazionale o interesse nazionale. Ciò giustifica, secondo la Corte, la competenza dello Stato su alcuni porti.14 In ogni caso la partecipazione della Regione coinvolta è necessaria.15

Nel corso degli anni la Costituzione Italiana è stata oggetto di tentativi di modifica, attraverso l’applicazione del procedimento di revisione, disciplinato nell’Art 138 Cost:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

La Costituzione Italiana, essendo rigida, prevede un procedimento differente per l’approvazione di leggi costituzionali rispetto alle modifiche inerenti alle Leggi ordinarie. La ratio discende dalla volontà di poter modificare la Costituzione solo in presenza di una larga maggioranza in Parlamento.

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v. sentenze: 7 ottobre 2005. n. 378; 6 marzo 2006, n. 89; 6 luglio 2007, n.255 e 10 ottobre 2007, n. 344

15

Partiti di ogni corrente politica hanno provato a revisionare la nostra Costituzione, riuscendo nell’intento rare volte.

Un primo tentativo risale agli Anni ’80: furono create commissioni parlamentari ma non si riuscì a raggiungere l’accordo. Nei primi anni ’90 venne approvato un testo di riforma che riguardava 22 articoli ma anche questo tentativo si spense a causa della prematura fine della legislatura.

Un ulteriore tentativo ebbe luogo nel 1997: Nel Gennaio 1998 la camera iniziò a discutere ma a causa delle forti divergenze presenti fra le correnti politiche i lavori vennero sospesi.

Pur non riuscendo a modificare la Carta costituzionale attraverso un accordo trasversale, la Costituzione è stata oggetto di modifiche. Seppur non corpose come sarebbero potute essere le leggi create attraverso un lavoro bicamerale, le leggi costituzionali emanate dal 1948 al 1998 vennero realizzate dai governi che si susseguirono in quegli anni.

Un esempio fu la modifica del Titolo V della Costituzione avvenuta attraverso la legge costituzionale n°3 del 2001 che fu sottoposta a referendum confermativo. La riforma fu approvata sul finire della XIII Legislatura da una maggioranza non ampia ma sufficiente affinché la riforma potesse essere accolta. Seppure il Referendum fu nettamente favorevole, l’affluenza alle urne non fu elevata. La riforma fu il frutto di un lungo lavoro parlamentare: prova ne è la divisione del testo in due Leggi16. Furono infatti accolti alcuni suggerimenti provenienti dalle Regioni, come soppressione della clausola generale, prevista nel testo della Bicamerale, che avrebbe permesso allo Stato di intervenire, con proprie leggi, anche riguardo materie regionali. Ciò evidenzia il carattere pattizio che tale riforma ha avuto sin dalle origini.

La Legge di Riforma andò a modificare la struttura originaria della divisione di competenze tra Stato e Regioni.

La riforma parte dal presupposto che le Regioni e gli Enti Locali, essendo più vicini ai cittadini, siano nella condizione migliore per rappresentarli. Appare opportuno tuttavia sottolineare la situazione de facto esistente sul Territorio Nazionale, in quanto se da un lato appare evidente il forte legame tra cittadini 16

e Regioni, rispetto al rapporto più distante esistente con lo Stato, dall’altra parte è necessario mettere in luce le diversità esistenti (es. servizi ) tra le varie Regioni. Questa situazione si potrebbe in netto contrasto con i principi solidaristici presentati nella prima parte della Carta Costituzionale. La soluzione al momento migliore sembra essere quella che prevede un bilanciamento quasi perfetto tra richiesta di autonomia territoriale e rispetto delle norme costituzionali.

Varie sono state le modifiche apportate al testo Costituzionale, tra cui il recupero del principio di sussidiarietà verticale. Attraverso questa modifica viene sovvertito il criterio previgente facendo si che le Regioni aumentino le loro competenze e che lo Stato abbia libertà d’azione solamente nelle materie che non possono essere svolte dalle Regioni o Enti Locali. Ciò ha permesso un’inversione riservando allo Stato solamente ciò che non può essere lasciato alla competenza delle Regioni.

Bisogna sottolineare però che è stata la Legge n°1/99 a concedere la piena autonomia statutaria alle Regioni.

Il primo obiettivo che andava raggiunto era la parificazione normativa tra Leggi Regionali e Statali. L’Art 117, I comma Cost ha formalmente svolto questa funzione. Tuttavia la contemporanea esistenza di enti concorrenti in alcune materie è stato risolto attraverso l’Art 127 Costituzione. La disciplina pone nuovamente Stato e Regioni sullo stesso piano, permettendo ad entrambe di richiedere l’intervento della Corte Costituzionale in materia di legittimità. Fondamentale è il quarto comma dell’Art 117 Cost, attraverso cui si prevede che «spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato».

Leggendo il testo della norma si può notare che la potestà esclusiva delle Regioni non viene citata. Da ciò desumiamo una differenza tra potestà legislativa concorrente di cui al III comma Art 117 Cost e potestà legislativa IV comma Art 117 Cost. Nel primo caso vi è un limite inerente alle materie concorrenti, in quanto incontrano il vincolo di competenza statale, nel secondo caso si può assistere ad una potestà legislativa pura.

Tali considerazioni possono essere sostenute anche dalla lettura dell’Art 120 Cost. Pur essendo stata eliminata dall’Art 127 Cost la procedura che prevedeva il rinvio al Parlamento delle leggi assunte in contrasto con gli interessi Statali o di altre Regioni, l’Art 120 Cost infatti consente al Governo di esercitare

potere sostitutivo nei confronti delle Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane “quando lo richiedano la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica”. Per comprendere al meglio la libertà di azione lasciata allo Stato è necessario leggere il penultimo e l’ultimo comma dell’Art 120 Cost: Pur essendo stata lasciato il potere alle Regioni, il Governo si è riservato la possibilità d’intervento in caso di “mancato rispetto di norme, trattati internazionali, normativa comunitaria oppure il pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o unità economica…”

Occorre aggiungere alcune precisazioni. Lo Stato Italiano è nato come stato unitario ed accentrato ed ha subito modifiche in senso federale( senza mai raggiungerlo, evitando quindi una modifica costituzionale in tal senso) a differenza degli stati federali che solitamente sorgono( ad esempio Gli Stati Uniti d’America) a seguito di volontà d’unione di stati autonomi.

Questa tendenza, all’esaltazione delle Autonomie locali più che al federalismo, è palese e altrettanto palesi sono i dubbi che potrebbero sorgere in merito al rispetto delle norme costituzionali in caso di ulteriori modifiche improntate in direzione federalista.

In ogni caso un problema sorge analizzando le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione: Le materie oggetto di competenza concorrente in alcuni casi sono difficoltose in quanto il legislatore ha preferito rimanere ambiguo, attraverso la citazione di funzioni trasversali (tutela dell’ambiente, diritti sociali)o causare sovrapposizioni( norme sull’istruzione sono di competenza esclusiva dello stato ma tra le materie concorrenti vi è l’istruzione).

Questione spinosa è il rapporto tra materie concorrenti e statali in ambito portuale. Tra le materie concorrenti sono presenti porti e gli aeroporti civili, nonché le grandi reti di trasporto e di navigazione, mentre la materia della navigazione non risulta tra quelle che rientrano nella potestà esclusiva dello Stato. Una giustificazione può essere desunta dalla considerazione che in origine si aveva dei porti. Il porto era visto come una macchina autonoma, legata in maniera residuale alla città in cui era sorto. Questa opinione è andata sgretolandosi nel corso del tempo grazie al lavoro delle amministrazioni locali

che hanno fatto riscoprire il legame tra porto e città, anche ricordando l’enorme privilegio che in passato era poter avere un porto nella propria città: lavoro, commercio, scambi culturali, anello di congiunzione con il mondo. Queste sono solo alcuni dei benefici che questa realtà può donare alla città che lo ospita.

La riforma del Titolo V Costituzione sembra rafforzare il ruolo delle autonomie locali in materia portuale, pur mantenendo un forte controllo attraverso la figura del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale.

Le Regioni oggi hanno gli strumenti per agire, riuscendo a spingere il legislatore ad alleggerire la gestione statale sui porti.17

Proprio le autonomie locali stanno lavorando per creare un legame indissolubile tra il porto ed il suo water front ed il principio di sussidiarietà spingerebbe proprio in questa direzione. La tendenza europea che vede il porto come strumento della città in cui si trova si sta sviluppando anche sul territorio Italiano. Il porto è infatti passato da zona autonoma, legata alla città da mera appartenenza territoriale ad anello di congiunzione che consente legami con zone chiave sia nazionali che estere.

Questa nuova visione permette di ampliare il porto, trasformandolo in collegamento con nodi logistici non solo portuali ma anche autostrade e reti ferroviarie. Il porto continuerà a crescere mutando continuamente a favore delle visioni commerciali verso cui i nuovi venti della tecnologia e del progresso lo stanno indirizzando.

Il contrasto tra stato centrale e stato federale sembrerebbe, almeno in ambito portuale, risolto attraverso l’equa distribuzione di potere tra stato e autonomie locali che si può vedere all’interno della gestione del porto: Da un lato vi è una forte influenza locale controbilanciata dalla figura del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale.

Eppure, la divisione tra materie concorrenti e materie riservate esclusivamente alla potestà dello Stato non appare così definita.

Esempio ne è il tentativo di riforma avvenuto attraverso la c.d. Riforma Renzi- Boschi.

La Legge Costituzionale è stata approvata dal Parlamento Italiano il 12 Aprile 2016 ma è stata bocciata dal Referendum confermativo, richiesto da alcuni 17

G. VERMIGLIO, Porti e reti di trasporto e di navigazione tra Stato e Regioni (dopo la modifica del Titolo V della Costituzione), in Diritto dei trasporti, n. 2, 2003.

parlamentari nel rispetto del Art 138 Cost, avuto luogo il 4 Dicembre dello stesso anno.

Merita di essere citata poiché, tra le varie novità, prevedeva una nuova modifica al Titolo V Costituzione.

Nel dettaglio è importante sottolineare che, in materia portuale, sarebbero state abrogate le materie di potestà concorrente. Ciò avrebbe permesso una redistribuzione tra competenza esclusiva statale e competenza regionale, aumentando esponenzialmente le materie di competenza statale. Sempre all'articolo 117 sarebbe stata introdotta la cosiddetta "clausola di supremazia" che prevedeva (anche per le materie non di competenza statale) l'intervento del Governo qualora lo avesse richiesto «la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale».

Le disposizioni contenute nel testo di riforma avrebbero meglio chiarito il rapporto tra poteri e competenze Stato-Regione. Le modifiche che sarebbero state apportate avrebbero avallato le disposizioni contenute nella Legge 84/94, portando ad una separazione chiara in abito portuale tra le materie di competenza Statale e quelle affidate invece alle Regioni. Questa “separazione verticale”18non si è realizzata ma, pur non essendo questa la sede opportuna per analizzare in modo critico la Riforma ed il successivo Referendum, era opportuno fare un cenno a come sarebbe potuto essere il rapporto tra Stato e Regioni e soprattutto la gestione dei porti.

Al di là della parentesi riformista sopracitata è opportuno ricordare che l’Art 117, III comma Cost affida alle Regioni l’incarico di gestire la materia inerente ai “porti civili”. La gestione della normativa in materia portuale non risulta essere così chiara. Ad esempio, la stesura del Piano Regolatore di Sistema Portuale è stata modificata dalla legge 84/94. Attualmente l’Art 5 prevede che “l’ambito e l’assetto complessivo dei porti costituenti il sistema, ivi comprese le aree destinate alla produzione industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie, sono delimitati e disegnati dal piano regolatore di sistema portuale, che individua, altresì, le caratteristiche e la destinazione funzionale delle aree interessate.”

18

Il sopracitato piano verrà quindi approvato d’intesa con i Comuni coinvolti. Successivamente sarà analizzato ed approvato dalla Regione, previa intesa con il Ministro delle Infrastrutture dei Trasporti, attraverso la procedura VAS.

Caso particolare si può trovare volgendo lo sguardo all’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale. In questo caso la ADSP comprende due porti siti in due Regioni differenti. Come intende procedere il Legislatore?

L’Articolo ha considerato il caso descritto al comma III-Ter. In casi di coivolgimento di più Regioni il Piano è approvato con atto della Regione sede dell’autorità di Sistema Portuale, previa intesa con le Regioni nel cui territorio sono ricompresi i porti amministrati dalla stessa Autorità di Sistema Portuale e di concerto con il Ministro delle Infrastrutture e Trasporti.

Per concludere, sia nella fase affidata alle Autorità Portuali che in quella successiva, che ha visto la nascita delle Autorità di Sistema Portuali, il rapporto tra Stato e Regioni in abito portuale è sempre stato controverso.

Anche se formalmente le materie concorrenti e quelle riservate alla potestà dello Stato sono sempre state ricomprese in modo dettagliato all’interno della Costituzione, ciò non ha evitato la creazione di dubbi in materia. Ad oggi, pur basandoci su norme costituzionalmente garantite la gestione portuale porta con sé possibili scontri interpretativi che non vedono, almeno nel breve periodo, soluzioni pacifiche.

CAPITOLO III: Autorità di sistema portuale