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L'Autorità di Sistema Portuale: nascita, evoluzione e sviluppo

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Academic year: 2021

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Sommario

INTRODUZIONE...2

CAPITOLO I: I porti tra diritto interno e internazionale...3

1.1 Il quadro europeo...3

1.2 Armonia tra piani nazionali ed europei...9

1.3 Il caso del Porto di Trieste: La nuova Via Della Seta?...16

CAPITOLO II: Autorità portuale tra tradizione e novità...23

2.1 Il Regime previgente la Legge 84/94...23

2.2 La trasformazione da Autorità Portuali in Autorità di Sistema Portuale: D. lgs 169/16 e D. lgs 232/17...29

2.3 Titolo V della Costituzione: impatto della riforma e controriforma sul porto...34

CAPITOLO III: Autorità di sistema portuale...41

3.1 Funzioni...41

3.2 Natura giuridica delle Autorità di Sistema Portuale...45

3.3 Organi presenti all’interno dell’Autorità di Sistema Portuale...49

CAPITOLO IV: Autorità di sistema portuale mar Ligure orientale...54

4.1 Il porto di La Spezia: storia e progresso...54

4.2 Il porto di La Spezia: una finestra sul mondo...63

4.3 Project Financing...70

CONCLUSIONE...79

...79

BIBLIOGRAFIA...81

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INTRODUZIONE

Lo studio da me compiuto ha cercato di analizzare, grattando oltre la superficie, la materia portuale.

Il Primo Capitolo approfondisce la conoscenza del porto in quanto bene primario per una città di mare: il porto come crocevia d’influenze culturali, commercio e scambi lo è sin dai tempi più antichi ed ancora oggi i porti europei ed internazionali sono collegati da un file rouge che consente uno scambio ininterrotto tra i vari continenti, interpretando il mare non come muro ma come ponte tra i vari Paesi. Nello specifico il mio interesse si è soffermato sulla figura dell’Autorità di Sistema Portuale, trattata nel Secondo Capitolo: dalla sua istituzione come Autorità Portuale, attraverso la L. 1994 n° 84, toccando le modifiche che hanno portato alla trasformazione, sino al D. Lgs 2016 n°169 che ha portato alla creazione delle Autorità di Sistema Portuale.

Attraverso il Terzo Capitolo ho cercato di trattare la figura dell’Autorità di Sistema Portuale, grazie ad un accurato studio delle funzioni a lei assegnate, degli organi da cui è composta e mettendo in luce la sua natura giuridica, molto discussa sia a livello nazionale che internazionale, tentando di giungere a comprendere se essa sia o meno un ente pubblico economico.

Lo studio da me condotto ha tentato di non rimanere astratto ma ancorarsi al territorio da cui provengo, attraverso un approfondimento in merito all’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale, a conclusione dell’elaborato.

Proprio La Spezia, mia città natale, è stata per me d’ispirazione nella scelta dell’oggetto del mio elaborato.

Ciò che mi ha spinto ad approfondire la mia conoscenza sull’argomento è stato poter toccare con mano ciò che avevo appreso attraverso gli studi compiuti. Sono cresciuta in una delle città Italiane con uno dei più grandi porti sia per quanto riguarda gli scambi commerciali che il traffico passeggeri, attraverso il sistema croceristico. Avere l’opportunità di comprendere al meglio ciò che mi circonda mi è sembrato il modo migliore per concludere il percorso accademico.

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CAPITOLO I: I porti tra diritto interno e internazionale 1.1 Il quadro europeo

La nascita dei porti è dovuta alla ricerca di sicurezza per le navi da possibili aggressioni1 o da condizioni meteorologiche avverse. Il tempo però ha evoluto tali roccaforti in cuori pulsanti della civiltà, permettendo la creazione di ponti culturali tra i vari popoli. Sicuramente si può affermare che i porti siano stati uno degli elementi caratteristici dell’evoluzione della conoscenza: Si pensi al commercio marittimo sviluppato già in epoca fenicia, alle maestose flotte egizie o romane o ancora alle scoperte di nuove culture avvenute grazie a spedizioni marittime.

Da qualsiasi parte si analizzi il porto non si può che vederlo come un bene prezioso, che ha permesso di creare legami tra i vari stati, sviluppando il commercio e gli scambi culturali. Il porto è sempre stato il luogo in cui il cosmopolitismo faceva da padrone: In qualsiasi epoca coloro che intrattenevano rapporti con il commercio marittimo potevano respirare influssi giunti da paesi lontani, ascoltare lingue nuove e scoprire, pur senza viaggiare, mondi sconosciuti. Esempio è la storica via della seta.

I porti però pur esistendo da secoli non hanno mai visto la creazione di norme portuali unitarie. Ogni porto è stato infatti sempre soggetto alle politiche nazionali, limitando in questo modo le possibilità di snellire i gap normativi che si sono andati a creare nel corso degli anni.

Ad oggi, pur essendo nata da molti anni l’Unione Europea, che ha permesso l’abolizione di dogane, sancita dagli Artt. 28-29 TFUE che consente la libera circolazione delle merci, il tema inerente un’unificazione in materia portuale è ancora lontano.

L’ UE non prevede un’omologazione dei porti al suo interno. Tra i motivi che esplicano il perché di tante difficoltà nella creazione di una politica portuale europea spiccano la doppia anima dei porti e gli aspetti

funzionali, tradizioni giuridiche e culturali 2 variano da paese a paese. 1

Carbone/Munari, i porti italiani e l’Europa, Franco Angeli, 2019 2

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Dal canto suo la commissione europea non ha mantenuto una linea coerente in materia portuale. Inizialmente l’idea di creare una politica portuale unitaria fu totalmente esclusa.( In questo senso si pronunciò il

Port working Group istituito dalla Commissione nel

1981.)Successivamente con il riconoscimento del bisogno di valutare gli aiuti pubblici e le politiche dei porti facenti parte dell’Unione Europea sembrò aprirsi un varco verso una direzione possibilistica ma venne accantonata poiché si ritennero esaustivi i riferimenti al trattato. Il vento sembrò cambiare in una direzione liberistica con due trattati programmatici che non videro però un seguito. Nel 2001 la Direttiva de Palacio parve scuotere nuovamente la situazione ma anche in questo caso non vi fu proseguo poiché fu respinta dal parlamento europeo. Nel corso degli anni si sono susseguite proposte per cercare, almeno parzialmente, di uniformare il diritto portuale. Il successo è arrivato con il regolamento UE 352/17. Una vittoria di Pirro poiché le differenze normative e gestionali continuano ad esistere. Il diritto comunitario, a norma di quanto previsto dall’Art 295 CE, non impone alcun modello portuale lasciando

impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri” (c.d. principio di neutralità).

Vi sono infatti differenze sostanziali sia per ciò che concerne i modelli che per quanto riguarda l’ambito gestionale. Le diverse tipologie di porti si distinguono a seconda del grado di liberalizzazione con cui i singoli stati membri hanno deciso di gestire l’ente portuale.

Per comprendere meglio i singoli modelli i porti vengono distinti in quattro tipologie: Service Ports, Tool ports, landlord ports, full privatized ports.

All’interno dei service ports l'autorità portuale svolge l'intera gamma di servizi connessi al porto, oltre a possedere tutta l'infrastruttura. Sono comunemente un ramo di un ministero del governo e la maggior parte dei loro dipendenti sono dipendenti pubblici. Alcuni servizi accessori possono essere però lasciati a società private.

I tool ports sono simili ai service ports, differisce la gestione privata di alcune operazioni. L’ente portuale rimane proprietario ed i privati si limitano a svolgere servizi che non richiedano l’uso dei beni del proprietario.

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Possono essere visti come forma di transizione tra i service ports e i landlord ports. Questo modello era presente nel nostro ordinamento prima della L. 84/94.

I Landlord ports rappresentano il modello di gestione più comune in cui le infrastrutture sono affittate a società private, anche se l’autorità portuale mantiene la proprietà del terreno. La forma più comune di contratto di locazione è un accordo di concessione in cui a una società privata viene concesso un leasing a lungo termine in cambio di un affitto che è comunemente funzione delle dimensioni della struttura e dell'investimento richiesto per costruire, rinnovare o espandere il terminal . L'operatore privato è anche responsabile della fornitura di apparecchiature terminali in modo da mantenere gli standard operativi.

Questo è il modello più diffuso in Unione Europea ed attualmente adottato in Italia, dove sussiste una separazione evidente tra svolgimento d’attività d’impresa e regolamentazione.

I fully privatized ports prevedono l’affidamento della quasi totalità di funzioni ai privati, proprietari del porto. Quest’ultimo può essere visto come un “impresa” in cui le funzioni di gestione, di manutenzione ed amministrazione saranno affidate completamente ad una società privata che sarà la proprietaria del porto. In questo modo il ruolo dello Stato è indebolito ed il rischio di perdita totale di un ruolo all’interno del porto è molto alto. Ciò comporta la reale e concreta alea di perdita di controllo pubblico su luoghi strategici.

Per l’alto rischio sopracitato è un modello molto raro: Per esempio in Europa è presente solamente in Gran Bretagna.

Questi modelli sono accumunati però dagli stessi criteri minimali di trasparenza autonomia finanziaria che si ritrovano nel regolamento UE 352/17( Capo III). Il sopracitato regolamento descrive gli “enti gestione porto” come “qualsiasi

soggetto pubblico o privato il cui obiettivo è, o al quale è conferito il potere, ai sensi del diritto nazionale o di strumenti nazionali, di provvedere a livello locale, anche insieme allo svolgimento di altre attività, all’amministrazione e alla gestione di infrastrutture portuali e di una o più delle seguenti mansioni in un dato porto, vale a dire il coordinamento del traffico portuale, la gestione del traffico portuale, il coordinamento delle attività degli operatori presenti nel porto in questione ed il controllo delle attività degli operatori presenti nel porto.”

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(capo I, art II comma 5)3 La scelta minimalista4 che si ritrova all’interno del regolamento UE 352/17 è in linea con il TFUE ed evidenzia le sostanziali diversità che sono presenti all’interno dei porti europei. Per converso bisogna ricordare le numerose norme UE in materia portuale. Pur non ritenendo necessario eliminare le differenze all’interno dei porti europei vi sono norme dell’unione in materia portuale: I porti infatti, essendo un “estensione” dei traffici marittimi rientrano di diritto tra le competenze concorrenti Unione Europea e stati membri, secondo quanto emanato dall’ art 4, comma II, lett.e) TFUE.

Il regolamento UE 352/17 può essere analizzato suddividendolo in due parti: da un lato la disciplina di taluni servizi portuali, dall’altro l’individuazione di un

quadro di riferimento sulla trasparenza dei trasferimenti finanziari ai porti.

Importante sottolineare l’applicazione di tale regolamento ai soli porti c.d. “core”, porti centrali facenti parte la rete TEN-T5. Ma la rivoluzione del regolamento si trova nella seconda parte, inerente i rapporti economici tra i vari Stati ed enti gestori dei porti. Prima del citato regolamento entrarono in vigore e vennero adottate dal nostro paese norme di diritto derivato dell’unione europea in materia portuale tra cui, il regolamento CE 275/04 e la direttiva CE 65/05. Quest’ultima chiarisce all’articolo 1 comma I che l’obiettivo principale della presente direttiva è quello di introdurre misure comunitarie volte a migliorare la sicurezza dei porti di fronte al pericolo costituito da incidenti di sicurezza. La presente direttiva garantisce altresì che le misure di sicurezza adottate in applicazione del regolamento (CE) n. 725/2004 beneficino di un rafforzamento della sicurezza nei porti.” Il sopracitato regolamento evidenzia la necessità di creazione di “misure comunitarie per migliorare la sicurezza delle navi adibite al commercio internazionale e traffico nazionale”.

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Regolamento UE 352/17 capo I, Art 2 comma V 4

Carbone/Munari, i porti italiani e l’Europa, Franco Angeli, 2019 5

Le reti TEN-T sono un insieme di infrastrutture lineari (ferroviarie, stradali e fluviali) e puntuali (nodi urbani, porti, interporti e aeroporti) considerate rilevanti a livello comunitario e la Core Network è costituita dai nodi urbani a maggiore densità abitativa, dai nodi intermodali di maggiore rilevanza e dalle relative connessioni.

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Il fine che è stato proposto è quello di aumentare la sicurezza in modo armonico all’interno dei porti europei. La sicurezza infatti è alla base dello sviluppo dei porti e attraverso la Convenzione SOLAS è in continua evoluzione.

Al fine di rispettare l’accesso non discriminatorio ai vari porti europei è di fondamentale importanza il mantenimento e lo sviluppo di livelli di sicurezza. L’accesso non discriminatorio rispecchia l’ideologia dei traffici marittimi a cui già s’ispirava la Convenzione di Ginevra,1923.

La Convenzione ha anticipato ciò che la c.d. globalizzazione ha portato con sé. L’Italia è tra i paesi firmatari della Convenzione. Ciò non stupisce vista la volontà di tutelare la libertà dei porti da parte dell’ordinamento Italiano. L’obiettivo preposto dai trattati europei è quello di, partendo dalla convenzione di Ginevra, tutelare l’accesso agli scali europei tenendo a mente che il fine ultimo è quello di gestire l’accesso all’infrastruttura portuale nel modo più libero possibile.

La volontà sopra appena espressa può essere rafforzata dal riconoscimento del bene porto come res pubblicae.

Gli Stati membri dell’Unione Europea infatti riconoscono il porto come res pubblicae spinti soprattutto dalla forte strategia economica e politica. Di recente tuttavia, la corte dei conti francese6 ha espresso dubbi circa la certezza che il porto, come demanio statale, giovi alle nazioni. Nello specifico tale corte esprime l’idea secondo cui un modello gestionale siffatto, quindi pubblico rischierebbe di diminuire la competitività e la possibilità di sviluppo imprenditoriale degli scali europei rispetto a scali privati. I dati però dimostrano che i maggiori porti per traffico, efficenza e sviluppo di reti mondiali siano i porti cinesi, gestiti da enti riconducibili allo stato.

In Italia, il codice della navigazione ha qualificato e definito la disciplina del porto quale bene appartenente al demanio. In particolare, le norme sottolineano che l’utilizzo dello scalo dovrà perseguire i fini di massimo accesso ed utilizzo da parte degli operatori di trasporto.

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Cour des Comptes, Les ports français face aux mutations du transport maritime: l’urgence de l’action, 2006, Juillet.

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Per rispettare i principi fondamentali su cui si basa la gestione dei porti vi è una differenza sostanziale tra le modalità di gestione degli enti portuali e, per esempio, la gestione dei trasporti aerei o stradali. In questi casi il vettore non può

non identificarsi con il titolare delle relative infrastrutture7e ciò porterebbe ad un annullamento quasi totale del principio di concorrenza.

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1.2 Armonia tra piani nazionali ed europei

Nella speranza di colmare il vuoto normativo in materia portuale che ancor oggi è presente nel Diritto Comunitario la commissione europea, attraverso direttive e regolamenti, ha cercato e continua a cercare un armonia legislativa ancora assente pur essendo stata formalizzata( nel 1997 nel Libro Verde sui Porti Europei.)

Uno dei motivi principali a cui si può collegare tale disarmonica gestione dei sistemi portuali europei è sicuramente la resistenza al cambiamento che incontra ogni istanza di riforma. Altro motivo centrale causa della marcata visione non omogenea è la diversa visione dell’ente portuale tra gli Stati Membri. Una possibile riforma del sistema portuale Italiano deve infatti guardare non solo l’ordinamento Italiano ma anche quello Europeo, muovendosi alla ricerca di norme nazionali che mai contrastino con l’ordinamento europeo.

Il diritto comunitario ad esempio fornisce una definizione di porto: L’Art. 4 della proposta di direttiva sull’accesso al mercato d servizi portuali definisce il porto come “ una zona di terra e di mare appositamente predisposta e dotata di attrezzature che le consentono, in via principale, di accogliere naviglio, effettuare operazioni di carico, scarico, trasbordo e deposito di merci, di presa in consegna e riconsegna di tali merci per il trasporto terrestre, l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri”. 1

Il Nostro Ordinamento invece non prevede una definizione di porto: l’Art. 822 c.1 c.c. non ne fornisce una esauriente definizione ma si limita a sottolineare il carattere demaniale del bene porto. Secondo parte della dottrina è lecito però affermare che perché, si possa applicare la normativa europea in materia portuale, sia sufficiente l’esistenza di apposite attrezzature e la presenza di un organismo di controllo: in Italia per esempio tale compito è affidato alle Autorità di Sistema Portuale.

Pur non esistendo una definizione normativa di porto, si può però accogliere la definizione fornita da Acquarone per cui “si deve quindi intendere per porto quell’insieme organico di elementi (naturali, materiali ed artificiali) compreso 1

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nell’alveo del demanio marittimo e destinato al soddisfacimento degli interessi connessi con l’uso pubblico del mare, secondo la loro progressiva evoluzione”. 2In ogni caso è giusto sottolineare una distinzione fondamentale tra demanio portuale e le zone delimitate a terra al cui interno possono essere esercitate funzioni portuali. L Art 6.7 della L. 84\94 consente la destinizione di quest’ultime all’Autorità Portuale.

Proprio le Autorità Portuali stanno avendo una forte evoluzione trasformandosi da organo addetto alla gestione e controllo del porto assegnato a curatore della promozione e dello sviluppo del territorio assegnatogli, sino a giungere ad una forte collaborazione con le comunità del territorio.

Tutto ciò dimostra la volontà del superamento di divisioni nette, alle volte conflittuali, che può portare alla nascita del c. d. Federalismo Portuale.

Il federalismo portuale affonda le proprie radici nell’idea stessa di maggiore potere delle comunità territoriali nella gestione degli scali. I porti posseggono una forte rilevanza nel territorio e una maggiore influenza degli enti locali potrebbe permettere una maggiore libertà, facendo si che gli enti enti locali in materia possano aumentare la loro influenza, bilanciando il potere con lo stato e le istituzioni sovranazionali europee a cui sarà invece affidato il compito di controllo. Dando uno sguardo a livello europeo è possibile ritrovare tipologie peculiari di porti.

Per esempio, citando i porti del Pireo notiamo come rivoluzioni in senso concorrenziale siano avvenute solamente nell’ultimo anno del secolo scorso: 1999 ha visto una trasformazione delle Autorità Portuali in Società di Capitali. Il caso degno di nota riguarda proprio il Porto del Pireo. Nato come porto gestito direttamente dallo stato, ha visto nel 2008 una trasformazione a seguito della sua assegnazione alla Piraenus port authority. Quest’ultima, costituita come società per azioni, possiede ampie competenze. Il controllo avviene indirettamente, attraverso la nomina di alcuni componenti del consiglio direttivo del porto.

Per ciò che concerne i lavoratori, quest’ultimi dipendono dall’autorità portuale e devono essere iscritti presso specifici registri.

2

Vezzoso, La riforma dei porti italiani in una prospettiva Europea, Rivista di Diritto dell’Economia, dei Trasporti e dell’Ambiente, Vol. XIII 2015

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Differente è la gestione dei porti inglesi: sin dagli anni ottanta sono stati oggetto di forti privatizzazioni. In generale, tutti i porti inglesi devono operare su base commerciale, non avendo sovvenzioni ma avendo completa responsabilità degli investimenti, rispondendo personalmente dei propri risultati.

La Spagna ha visto invece modifiche nel proprio ordinamento nel 1992 con la L. 27 (Ley de Los Puertos del Estado y de la Marina Mercante). In Spagna coesistono 27 Autoritades portuarias, che si occupano della gestione di 52 porti. L’autorità portuale spagnola gode di molta autonomia, grazie alla disposizione di un proprio patrimonio, separato da quello statale. Lo stato centrale gestisce la titolarità dei porti maggiori poiché considerati di interesse generale, a differenza dei rimanenti che sono gestiti invece dalle comunità autonome. Pur essendo presente questa diversa gestione dei porti spagnoli, nel corso degli anni il potere delle comunità autonome è andato rafforzandosi poiché ad oggi spetta alle sopracitate comunità la nomina del presidente dell’Autorità Portuale e di gran parte dei componenti del consiglio di amministrazione. Tutto ciò viene completato dalla presenza del c.d. ente Puertos del Estado: ente di diritto pubblico, dipendente dal Ministero dello sviluppo. Tale ente è responsabile di programmi e investimenti dei porti d’interesse nazionale. L’ente ha personalità giuridica propria, patrimonio separato e larga autonomia.

A differenza della Spagna, la Francia vede i suoi porti divisi tra porti autonomi e non autonomi. Pur non avendo autonomia funzionale e finanziaria i porti non autonomi stanno vivendo un forte momento di decentramento e gestione che assottiglia il gap creatosi inizialmente. In ogni caso la gestione portuale francese è ancora fragile e non vede una gestione unitaria. Proposte di riforma in senso unitario sono state presentate ma continuano a scontrarsi con la forte resistenza dimostrata dal paese.

Il nostro ordinamento invece è stato oggetto di una riforma sostanziale attraverso la creazione delle Autorità di Sistema Portuale. Tale cambiamento ha avuto luogo di recente ed ha portato ad una diversa visione della gestione dei porti italiani.

A conclusione di questa breve panoramica europea si può concludere che, pur mostrando la volontà di armonizzazione in materia portuale, l’Unione Europea è ancora lontana dal raggiungimento dell’obiettivo che si è posta.

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Pur essendo vista dalla Commissione Europea come “l’organismo al quale la normativa nazionale affida, insieme ad altre attività o in via esclusiva, il compito di amministrare e gestire infrastrutture portuali e coordinare e controllare le attività degli operatori presenti nel porto o nel sistema portuale considerato,”3 l’autorità Portuale deve ancora trovare un armonia europea che permetta una visione unitaria di quest’organo, evitando frammentazioni interne che possono portare solamente a contrasti tra gli Stati membri, i quali, come già è accaduto, possono ritenere anti-concorrenziali determinati modelli o norme nazionali che vengono applicate nei vari scali europei.

L’autorità Portuale è quindi vista come ente neutrale a cui viene affidata la gestione del porto, delle infrastrutture portuali e dei servizi. Grazie a questa esaustiva definizione della Commissione Europea si può supporre che la Commissione tenda verso il modello di Landlord Port Authority: questo modello racchiude in se un organo competente in materia di valorizzazione del territorio, un modello che affida nelle mani di soggetti privati la gestione dei servizi portuali e delle varie operazioni. Tale descrizione porta con se però una peculiarità: la possibilità di erogazione diretta di servizi economici da parte dell’ente di gestione solamente nel caso in cui rivestano natura d’attività economica d’interesse generale. Ciascun sistema portuale deve avere la possibilità di competere, sia in quantità che qualità, all’interno di un insieme più ampio: non solo i porti del mediterraneo ma anche con i porti del Nord europa. Tutto ciò permetterebbe la realizzazione di sistemi logistici integrati, collegati tra loro da infrastrutture, servizi e governance. 4

Parte della dottrina5 ritiene che una governance comune porterebbe a limitare anche i costi, grazie ad una significativa riduzione delle Authority e delle scelte che verrebbero prese riguardo la rete Ten-T. Il disegno che si realizzerebbe

3 3 Citrigno A.M. (2003), Autorità portuale, profili organizzativi e gestionali, Milano; Citrigno A. M. (2000), Autorità portuale: Authority o ente pubblico economico? Nota a Cass. Sez. un. Civ. 28 ottobre 1998, n. 10729, in Nuove Autonomie, fasc. 1.

4

Acquarone, Il Piano regolatore delle Autorità portuali, Milano, Giuffrè Editore, anno 2009 5

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permetterebbe la realizzazione di un sistema di trasporti europei, ancora assente, oltre che l’apertura dei porti Italiani al gigantismo navale. 6

La possibilità che si possa realizzare questa “visione” non è così astratta: Le Istituzioni Comunitarie, attraverso la decisione del Consiglio n 884/2004, prevedono l’integrazione del sistema dei trasporti. Tale integrazione è suddivisa in due fasi: la prima fase prevede la realizzazione di una rete essenziale, c.d. core network.

La seconda fase invece amplia la visuale arrivando ad immaginare una rete globale, c.d. comprehensive network. Il regolamento n 1315/2013 prevede una struttura a “doppio strato”, nella quale si trova una rete globale e una rete esssenziale. Questa articolazione a due livelli prevede una Comprehensive network destinata ad alimentare la network rete centrale attraverso collegamenti regionali e nazionali, da completare entro il 2050; una Core network di 9 corridoi, operativa e completa entro il 2030, che privilegerà i collegamenti e i nodi più importanti della TEN-T, capitali, vasti nodi urbani, principali porti e aeroporti, e fungerà da asse portante della rete Ten-T in quanto comprenderà quelle parti della rete globale a maggiore valore strategico per il consolidamento degli obiettivi generali nonché i progetti a più alto valore aggiunto europeo quali i collegamenti transfrontalieri mancanti e i nodi multimodali.7

La posizione geografica italiana è ottima poiché, guardando le reti TEN-T è attraversata da tre direttrici di traffico: da EST si possono trovare due direttrici, una dai Balcani e dall’Europa Orientale, la terza rotta giunge in Italia, in direzione Nord-Sud, interessando il Nord-Africa e il Medioriente.La materia dei trasporti ha visto così crescere la sua rilevanza nel panorama europeo. Le istituzioni europee sono state spinte ad emanare una serie di indirizzi strategici per lo sviluppo del settore. Il legislatore italiano ha risposto a tali richieste con la Legge 15 Giugno 1984, n 245 con cui ha emanato il primo atto volto ad unificare il settore dei trasporti: Piano Generale dei Trasporti.

6

Ad oggi, le mega navi allungano il percorso e raggiungono i porti del nord Europa. Il motivo è legato ai costi e alle infrastrutture non sufficienti o elevatamente costose che il nostro paese offre. 7

https://mobilita.regione.emilia-romagna.it/settore-idroviario/doc/idroviaferrarese/ idrovia-ferrarese-in-europa/la-core-network-europea

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La legge n.245/1984 prevedeva un’attuazione del Piano in due fasi: inizialmente con l’approvazione di uno schema di generale e successivamente attraverso un atto puntuale, vincolante per tutti i ministeri che si occupano di trasporti e capace di indirizzare le scelte politiche di tutti gli enti locali. Successivamente con il D.P.C.M. 10 Aprile 1986 il governo ha accolto il Piano Generale dei Trasporti sino al successivo aggiornamento avvenuto D.P.R. 29 Agosto 1991. L’atto governativo cercava di attuare una riorganizzazione generale e sistematica della materia dei trasporti: ciò aveva lo scopo di creare un’armonia che permettesse un intervento pubblico coordinato ed efficiente.

Il Piano generale dei trasporti delineava un sistema basato su “corridoi plurimodali” e “sistemi strutturali”. Mentre i corridoi rappresentavano le reti presenti sul territorio nazionale, i sistemi portuali erano costituiti dai singoli impianti presenti all’interno dei corridoi (come i porti) che permettevano la materiale integrazione tra le diverse modalità di trasporto. L’ “invenzione” dei c.d. sistemi portuali, non è quindi un’idea nuova degli anni 2000, ma non smette di essere attuale e coerente per la situazione della portualità italiana, composta da molti piccoli scali, incapaci di costituire un sistema efficiente e competitivo a livello europeo.

Lo sviluppo normativo in materia di trasporti non ebbe una battuta d’arresto ma vide il proseguirsi di nuovi piani generali dei trasporti grazie a quello emanato nel 1991. Il Secondo Piano Generale dei Trasporti fece un passo avanti rispetto al suo predecessore. Mentre il primo piano generale dei trasporti evidenziava il bisogno di una nuova disciplina, il successivo piano sottolineò l’impellente necessità d’intervento del Legislatore. Attraverso il novello piano veniva affermato che la normativa allora in vigore fosse caratterizzata da “una legge di

classificazione ultrasecolare, da strutture di gestione non omogenee il cui prototipo risaliva al 1903 e da un codice della navigazione quasi cinquantennale, frutto di una coscienza giuridica ( peraltro nutrita di formazione ottocentesca), non più adeguata ad una logica funzionale che trascende il livello dei singoli scali per privilegiare la valenza del ciclo del trasporto come processo integrale”. (punto

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La disciplina portuale è rimasta invariata sino al 1991-1992. In quel periodo la Corte di Giustizia della Comunità Europea, di concerto con le altre istituzioni europee, ha sanzionato l’ordinamento portuale italiano, valutando quest’ultimo in netto contrasto con il principio di concorrenza. La Sentenza in oggetto era sentenza 10 dicembre 1991, n C-179/1990 (Siderurgica Gabrielli c. Merci convenzionali porto di Genova). Questa sentenza è stata la miccia che ha spinto il Legislatore a intervenire, riformando la materia. La legge posta a fondamento della modifica fu la Legge 28 Gennaio 1994 n 84.

La norma costituisce il nuovo inizio dell’ordinamento in materia portuale. Con la Legge 84/94 sono state istituite per la prima volta le Autorità Portuali. Quest’ultime sono state oggetto di recenti modifiche, sino a divenire le attuali Autorità di Sistema Portuale.8

Pur cercando di dirigersi verso una medesima gestione dei porti all’interno dell’Unione Europea le differenze istituzionali, giuridiche e gestionali che presentano i porti sono da considerare ancora fonte di limitazioni, che non permettono una visione comunitaria almeno nel breve periodo.

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1.3 Il caso del Porto di Trieste: La nuova Via Della Seta?

A livello internazionale uno dei principi fondamentali è costituito dalla libertà di accesso ai porti. Tale libertà va protetta ed in alcuni casi enfatizzata grazie all’istituto dei c.d. porti franchi. La dottrina permette benefici tributari e fiscali. Il porto franco ( o zone franche) non corrisponde all’assenza di regole per la gestione dei traffici ma semplicemente in un utilizzo del potere con minor intromissioni.

Sono spesso citate le zone franche poiché tale impostazione impartita in specifiche infrastrutture portuali sono state applicate dai governi nazionali per attirare capitali in zone delimitate del paese.

In Italia gli impegni di questa natura sono stati presi per il caso del porto di Trieste.1La città di Trieste si trova in una posizione strategica nel mediterraneo: sita nel nord del Mar Adriatico, distante solo pochi km dalla Slovenia, è da sempre considerata un ponte tra gli estremi confini europei. La città nel corso dei secoli ha mantenuto il suo tipico cosmopolitismo, sottolineando come le varie influenze culturali, linguistiche e politiche siano alla base della città odierna.

Le sue caratteristiche intrinseche possono essere desunte già dal nome: Secondo alcuni Trieste deriverebbe da termini slavi e dialetti della zona che significherebbero “mercato”. Vi è tuttavia un’altra teoria che invece legherebbe il nome della splendida città ad un termine latino contratto che descriverebbe le tre battaglie combattute dai legionari romani per conquistare la zona. Qualsivoglia fosse il motivo che ha portato alla nascita del nome della città è indubbio il suo rapporto stretto e continuativo con gli scambi commerciali. Nel corso del XX secolo Trieste è stata città di confine con la Slovenia, sino al 2004, anno in cui è entrata a far parte dell’Unione Europea. La convenzione di Schenghen 2(1990) infatti è stata sottoscritta dalla Slovenia solamente nel 2004, entrando in vigore nel 2007.

1

https://www.porto.trieste.it 2

La cittadina lussemburghese di Schengen è situata sulle rive della Mossella, nel sud-est del paese, in prossimità del confine con Francia e Germania. Nello specifico, l’accordo fu firmato a bordo del battello Princesse Marie-Astrid in prossimità del punto del fiume in cui è collocata la frontiera francia-germania-lussemburgo.

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I due trattati sopracitati hanno fatto venir meno la posizione di città di confine di Trieste, permettendo la libera circolazione di persone e merci.

La posizione strategica della città è rafforzata dalla presenza del porto franco, da sempre finestra commerciale sul mondo. Storicamente forte e crocevia di persone, il porto Triestino è legato alla fama raggiunta grazie al suo ruolo, nel XIX secolo di primo porto dell’ Impero Austro-Ungarico .Nel medesimo periodo divenne il secondo porto europeo e settimo al mondo per traffico di merci. La fortuna, legata sicuramente alla posizione, è stata aiutata grazie alla “patente di porto franco” ottenuta da parte dell’imperatore Carlo VI d’Austria nel XVIII Secolo. Sino ai giorni nostri la peculiarità di porto franco ha fatto si che Trieste ed il suo porto continuassero a brillare nel mediterraneo.

Lo scalo italiano ha ottenuto l’iscrizione nella lista UNESCO come esempio di

archeologia industriale. Il porto prosegue la sua evoluzione puntando su due

servizi in via di espansione: Il servizio crocieristico e la nautica da diporto. Da ciò si desume come i servizi turistici costituiscano la forza dell’infrastruttura portuale. Esempio ne è la caratteristica regata Triestina, la regata della Barcolana3: La seconda metà di ottobre il Golfo di Trieste si trasforma accogliendo barche a vela giunte da tutto il mondo. La Barcolana è considerata tra le più grandi regate internazionali, con la maggior affluenza.

Vista la fama e la posizione strategica i porti come quello triestino sono obiettivo allettante per gli investimenti esteri e per questo Jan-Paule Juncker, Presidente commissione europea 2014-2019 , ha proposto di creare un nuovo meccanismo di controllo sugli investimenti esteri, IDE. Attraverso questo metodo «se una società straniera di proprietà statale vuole acquistare un porto europeo, parte della nostra infrastruttura energetica o una società di tecnologia della difesa, questo dovrebbe avvenire in modo trasparente e dopo un informato dibattito». 4 I porti sono un bene prezioso e vanno controllati. rappresentano il cuore pulsante per la circolazione delle merci: circa il 70% delle merci europee circolano sul mare. Questo ci porta a capire l’importanza che i porti europei posseggono sia all’interno dell’Europa che come finestra sul mondo.

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http://www.barcolana.it 4

https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2018-07-18/la-lunga-marcia-cina-porti- europei-185823.shtml?uuid=AESmgaNF&refresh_ce=1

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Proprio per quest’ultima funzione è continuato a crescere, nel corso degli anni, l’interesse della Cina per i porti Europei.

Recentemente ha iniziato a circolare la notizia di una Nuova via della seta. L’italia è così stata posta sotto i riflettori a livello mondiale. La Cina infatti ha mostrato interesse per il porto franco di Trieste, vedendo in esso una finestra sull’ Europa. La nuova via della seta comprende le infrastrutture che semplificano la circolazione di merci tra Cina, Asia, Africa ed Europa. Nello specifico cerca di collegare attraverso modi differenti ( treno, autostrada, mare) la Cina e l’Europa. “Per la Cina – sottolinea il responsabile della redazione romana del Nyt Jason Horowitz-, avere un punto d’appoggio in uno dei porti storici d’Europa porterebbe condizioni doganali favorevoli, una via commerciale più veloce nel cuore del continente e l’accesso diretto alle ferrovie per il trasporto delle merci nell’Unione europea”5

Il quotidiano si è occupato del tema belt and road a pochi giorni dall’arrivo di Xi Jinping a Roma esprimendo i suoi dubbi sugli accordi tra lo storico porto italiano e la Cina. Per gli USA questa nuova alleanza è vista non tanto come mezzo per aumentare lo scambio di merci a livello internazionale ma quanto piuttosto come azione studiata dalla Cina per invadere, sfruttando una “crepa” ( come viene definito dal NYT il porto triestino) il mercato europeo.

Al di là delle perplessità americane la nuova via della seta ripercorre la storica via della seta che durante la Dinastia Han si estendeva per chilometri sino all’Europa. Lo scopo era dare alla Cina un ruolo forte nello scacchiere mondiale.

Il presidente cinese ha dato il via al progetto nel 2013 sino a giungere ad oggi, anno in cui la Cina ha riconquistato terreno nei porti europei: partita dall’acquisizione del porto del Pireo, in Grecia, pian piano ha investito nei maggiori porti europei sino all’intesa raggiunta con l’Italia riguardo al porto di Trieste.A oggi, oltre 60 Paesi e 29 organizzazioni internazionali hanno firmato memorandum d'intesa per aderire all'iniziativa o hanno manifestato la loro intenzione di farlo.

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https://formiche.net/2019/03/perche-i-cinesi-puntano-al-porto-di-trieste-larticolo-del-new-york- times/

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Bisogna sottolineare come il nostro paese abbia sempre creduto in questo progetto iniziando a far parte dell’iniziativa già nel 2015 diventando uno dei 57 membri fondatori dell’Asian infrastructure investment bank che finanzia le infrastrutture lungo le nuove vie della seta. Nel 2017 l'ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni è stato l’unico leader del G7 a partecipare al primo forum della Bri, ipotizzando futuri investimenti cinesi in Italia.

L’alleanza Italia-Cina è stata sottoscritta a Marzo 2019 da un memorandum 6 che riassume gli accordi stipulati da questi due paesi. Il memorandum non costituisce un accordo internazionale, non limitando le parti a diritti ed obblighi per tutto il tempo di validità del memorandum. La durata è stabilita nel documento in cinque anni, rinnovabili ogni cinque anni sino alla manifesta volontà di una delle parti di recedere dall’accordo, previo preavviso di tre mesi. Le parti quindi s’impegnano a portare avanti una “collaborazione concreta e crescita sostenibile sostenendo le sinergie tra l’iniziativa “Belt and Road” e le priorità identificate nel Piano d’Investimenti per l’Europa e le Reti di Trasporto 6

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Trans-Europee, tenuto conto delle discussioni in corso in seno alla “Piattaforma di connettività UE-Cina”.

La collaborazione si baserà principalmente sul coordinamento riguardo le iniziative di connettività, su di una visione comune dei trasporti ( per esempio le reti TEN-T), sulla collaborazione finanziaria e sostegno nel commercio tra i due paesi e con paesi terzi , rafforzare il legame tra Italia e Cina attraverso una rete di città gemellate e collegamenti tra siti UNESCO.

La nuova via della seta sembra essere una risposta alla campagna statunitense “Rebalance to Asia”7. Inoltre in questo periodo storico anche altri paesi come l’India o il Giappone si stanno facendo sempre più strada nell’economia internazionale. In questo modo la Cina punta da un lato a tutelarsi come colosso economico sul panorama internazionale, dall’altro risolve il problema della sovrapproduzione delle aziende. Inoltre, non è da meno il forte interesse che la Cina dimostra per l’Europa. In sintesi, il progetto della nuova via della seta ha come scopo la connessione, una connessione tra paesi, infrastrutture, economie, persone e capitali.

La Cina negli ultimi anni ha dimostrato di aver capito che per integrarsi a livello internazionale non bisogna indirizzarsi verso lo scontro ma piuttosto verso la connessione e condivisione di obiettivi. Proprio il mercato estero è stato il terreno fertile per la rapida e forte crescita economica del paese. La via della seta può essere quindi considerata come il coronamento del progetto economico cinese. Definita anche “one belt, one road” ( una cintura, una via) è sorta innanzitutto per mantenere e maturare i forti legami di amicizia tra i vari paesi coinvolti e far in modo che tali legami possano proseguire nel corso degli anni.Per fare ciò la Cina ha pensato di far combaciare il percorso ideato con quello della via della seta, storica tratta che ha permesso gli scambi, il commercio e i rapporti tra paesi nel corso dei secoli.

L’idea di una nuova via della seta nasce dal clima economico instabile di questi ultimi anni, a seguito della crisi finanziaria del 2008 che ha colpito i sistemi economici internazionali. Dopo la crisi è stato ( e lo è ancora) difficile riprendersi e la ripresa ha toccato i vari paesi in maniera poco equa, causando successive micro crisi finanziarie come quella che ha colpito la Grecia o l’Italia.

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https://www.corriereasia.com/notizie/la-nuova-via-della-seta-tra-politica-e-finanza-globale

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In questo panorama incerto secondo alcuni l’idea portata avanti nei suoi discorsi da Xi Jinping è quella di trovare una nuova cooperazione internazionale sia a livello economico che dal punto di vista dell’uso delle nuove tecnologie. La nuova via della seta rappresenta una doppia apertura per la Cina: Da un lato vi è una ritrovata( o mai utilizzata) apertura interna tra le varie regioni del paese, dall’altra parte questo progetto permette un nuovo collegamento diretto tra la Cina e vari stati coinvolti, connettendo in modo nuovo le economie globali.

Questo progetto però porta con sé alcune problematiche di non poco conto: La nascita della nuova via della seta potrebbe infatti oscurare precedenti accordi tra i paesi coinvolti, nonché difficoltà d’applicazione di tecniche economiche cinesi in paesi con economie e ordinamenti giuridici totalmente differenti.

Non tutti però pensano che il progetto della nuova via della seta sia solamente un nuovo mezzo di collegamento tra continenti. Ci sono infatti sospetti sulla possibilità di “cavalli di troia” come nel campo delle telecomunicazioni che potrebbero renderci tutti molto vulnerabili. In prima linea nell’accusare la Cina troviamo gli USA. Questo scontro ha portato Xi Jimping a ricordare agli Stati Uniti, in uno dei suoi discorsi, la “ Trappola di Tucidide”.8 ed a chiedere di evitarne l’utilizzo nei rapporti tra i due paesi. La trappola di Tucidide fa riferimento alla guerra avvenuta nel Peloponneso tra Sparta e Atene. La prima, spaventata della crescita della vicina città invece che cercare una collaborazione o creare progetti sinergici dichiarò guerra ad Atene. Il termine è stato coniato da Graham Allison, professore dell’Università di Harvard che partendo dal riferimento allo scontro tra Sparta e Atene ha ampliato il raggio di applicabilità del concetto anche ai rapporti internazionali moderni. Il professor Allison è riuscito a dimostrare come il desiderio di prevaricazione o quanto piuttosto la paura della novità abbia condotto stati allo scontro invece che al dialogo e alla crescita.

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https://www .corriere.it/sette/18_novembre_26/trappola-tucidide-cosi-cina-usa-rischiano-farsi- guerra-paura-24b1d2da-f155-11e8-8ec9-d371ed363eb6.shtml?refresh_ce-cp

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Medesima cosa sembrerebbe avvenire in questi giorni tra USA e Cina: Gli Stati Uniti sembrano spaventati dalla nuova economia globale che grazie alla via della seta sta prendendo piede anche nel vecchio continente ed invece che cercare un accordo per crescere insieme e permettere un rifiorire economico l’America spaventa i paesi coinvolti dichiarando attentati alla sicurezza e alla privacy attraverso le nuove tecnologie cinesi.

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CAPITOLO II: Autorità portuale tra tradizione e novità 2.1 Il Regime previgente la Legge 84/94

Il regime previgente alla Legge 84/94 era costituito da norme del Codice della Navigazione e del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione ma soprattutto da leggi speciali il cui scopo era la gestione degli enti a cui era affidato il porto. Erano enti pubblici economici con funzioni amministrative e imprenditoriali. La disciplina previgente affidava alla pubblica amministrazione la completa titolarità della gestione del porto, sia in quanto bene demaniale( con funzioni di vigilanza, controllo, amministrazione e pianificazione) nonchè come centro di attività. 1

L’organico era costituito in una forma piramidale, al cui vertice si trovava il presidente. Scendendo vi era un consiglio d’amministrazione e un consiglio direttivo. A concludere la piramide si trovavano i revisori dei conti.

Alcuni scali possedevano le c.d. Aziende dei mezzi meccanici, istituite con la L. 961/67, nate con lo scopo di gestire i mezzi di carico-scarico delle merci all’interno del porto. In seguito ad esse fu riconosciuto il potere di svolgere operazioni portuali, cosa che gli permise di essere considerate Ente Pubblico economico, come previsto dalla Legge 414/74.

Tale mezzo non potè sopravvivere alle leggi comunitarie inerenti il mercato interno e le regole di concorrenza, vista la frammentaria disciplina presente. Queste piccole crepe, messe in luce dalla forza dirompente con cui si stava diffondendo il c.d. mercato unico, evidenziarono la crisi in materia portuale che si sviluppò in Italia negli anni Ottanta. L’unico modo per superare tutto ciò fu trovato nella separazione tra amministrazione e esercizio delle attività produttive portuali, aumentando l’efficenza dei porti Italiani e l’applicazione delle norme dell’unione europea.

Una "Idea di sistema portuale "sotto forma di "alcune premesse per un sistema organico dei porti liguri e per una visione sistematica dei porti italiani." 2era già

1

Carbone-Munari, I porti Italiani e l’europa, Angeli 2019 2

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presente nel 1968, su impulso delle esperienze dei grandi porti di Rotterdam, Londra e New York.

Il Giro di boa avvenne a seguito della nota Sentenza Gabrielli3. La sentenza fece da input per la Legge che fu alla base del riordino in materia portuale: Legge 84/94.

La causa vedeva la società siderurgica Gabrielli contro Merci convenzionali del porto di Genova.

La corte fu chiamata a dirimere la controversia poiché la Siderurgica Gabrielli S.P.A. pur essendo dotata delle attrezzature necessarie grazie al noleggio dell’imbarcazione, si rivolse alla Merci convenzionali del porto di Genova per il carico di una partita d’acciaio giunta dalla Germania. Tutto ciò avvenne nel rispetto dell’Art. 110 cod. nav. ma il ritardo della consegna del carico, avvenuto a seguito di uno sciopero dei lavoratori, portò la Siderurgica a richiedere tutela attraverso decreto ingiuntivo per l’immediato rilascio della merce in oggetto. L’altra parte si oppose al provvedimento del Tribunale di Genova, causando la nascita del contraddittorio. La richiesta era duplice: risarcimento danno e ripetizione delle somme pagate a Merci.

Il Giudice ritenne opportuno rivolgersi alla Corte di Giustizia in via pregiudiziale per accertare la compatibilità del diritto Italiano con il diritto Comunitario. In effetti la Corte riscontrò contrasti normativi sia per ciò che concerneva Art. 152 e Art. 156 reg. inerente alla discriminazione per nazionalità che il nostro ordinamento prevedeva: l’iscrizione dei lavoratori nel registro delle compagnie era necessario per l’esercizio delle operazioni portuali. L’iscrizione era però riservata a coloro in possesso di una cittadinanza italiana. Ciò risultava assolutamente in contrasto con la normativa europea, la quale prevede il divieto di discriminazione in base alla nazionalità.

Altro scontro normativo è legato all’art 110 ultimo comma cod. nav. : Riservando alle compagnie il monopolio delle operazioni portuali, la norma elimina la possibilità di concorrenza. La Corte evidenziò come la posizione dominante di imprese e compagnie sul mercato comune non viola il diritto comunitario; Ciò che è vietato, in base agli Artt. 86 e 90, I comma. è l’abuso di tale posizione, concesso dalla normativa nazionale.

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La sentenza esclude la possibilità di giustificare tali comportamenti invocando l’Art. 90, II comma. L’articolo permetterebbe l’uso di deroghe. La corte, all’interno del dispositivo ha evidenziato che i porti non rientrano nell'ambito applicativo dell'articolo 84, II comma del Trattato CE e, di conseguenza, sono soggetti alle regole sulla concorrenza e ai principi generali vigenti della normativa comunitaria delineati dallo stesso Trattato.

Un altro esempio degno di nota fu la Nave Butterfly. Dotata di un impianto che permetteva il carico e lo scarico delle merci in autonomia, fu costretta a pagare prestazioni non effettuate e non richieste all’interno del porto della Spezia. Tali avvenimenti furono giudicati illegittimi dal Tribunale di Genova e dalla Corte di Cassazione.

Lo sviluppo tecnologico portò con sé la riduzione di lavori portuali, affidando alcuni compiti alle macchine. Questo fu un altro dei motivi che portò alla riorganizzazione normativa dei primi anni Novanta.

A seguito della sentenza i paesi membri, Italia compresa, s’interrogarono su come poter adeguare gli ordinamenti vigenti ai principi espressi dalla sentenza.

La soluzione sembrò essere la legge n 84, 1994. In origine doveva essere garantito alle compagnie la possibilità di lavorare sia in regime di monopolio che in concorrenza con altre imprese. Tale visione però portava ad un conflitto d’interessi poiché le compagnie che fornivano la forza lavoro potevano al tempo stesso mettere in una situazione di svantaggio le imprese portuali fornendo lavoratori discrezionalmente. Ciò poteva creare forme di “abuso necessitato di posizione dominante”.4 La Sentenza della Corte ha portato all’applicabilità della normativa concorrenziale anche al settore delle operazioni e lavoro portuale. A ciò ha avuto seguito l’incompatibilità del Codice della Navigazione e del Regolamento per la navigazione marittima. Per ciò che concerne il codice, lo scontro ha avuto luogo nel terreno riguardante forme di monopolio presenti nel settore delle operazioni in materia portuale. Tali punti del codice erano palesemente in contrasto con gli Art 30, Art 86 e Art 90 Trattato CE. Il Regolamento per la navigazione invece era in contrasto poiché gli Artt 152 e 156 erano discriminanti poiché riservavano ai soli

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cittadini Italiani la possibilità di partecipare alle compagnie portuali. Con l’entrata in vigore della Legge 84/94 il capo contenente gli articoli in oggetto fu abrogato.

La Legge n 84 /1994 portò con se molte novità. La ratio di tale norma fu il riordino della legislazione nazionale in materia portuale. Si cercò di armonizzare l’ordinamento italiano, cercando di smussare contrasti normativi con le norme comunitarie. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso il mercato nei porti europei si fece sempre più ampio. In contemporanea i porti Italiani videro incrementare notevolmente i propri traffici. La necessità di un’organizzazione nazionale in materia si fece impellente.

Uno dei problemi che furono subito messi in luce fu la gestione dei porti. La penisola italiana ha da sempre curato il traffico portuale, cercando di elevarne il livello sia dal punto di visto meramente gestionale che dal punto di vista delle innovazioni. Nello specifico la gestione portuale vide un cambio di direzione con la legge 84/94. L’Art. 6 infatti istituì una nuova figura l’Autorità Portuale. La ratio può essere trovata nella volontà di annullare la situazione di monopolio sostituendo con le nuove Autorità Portuali gli Enti Pubblici Economici portuali. Queste nuove figure furono insediate nei maggiori porti italiani al fine di migliorare l’efficenza e la concorrenza delle imprese operanti, attraverso una netta separazione tra sfera privata delle imprese che operano all’interno del porto e sfera pubblica, di competenza delle Autorità Portuali, di controllo delle attività ivi svolte. La differenza che caratterizzò questo nuovo organo fu la preclusione per le Autorità Portuali di svolgere operazioni portuali ( direttamente o indirettamente). L’Articolo in questione non poneva però un divieto assoluto poiché alle Attività Portuali è concesso svolgere attività accessorie, solo a seguito di concessione mediante gara pubblica, «anche ai fini della promozione e dello sviluppo dell’intermodalità, della logistica e delle reti trasportistiche».5

L’Assegnazione attraverso la concessione degli spazi demaniali rappresenta anch’essa il potere dell’Autorità Portuale posto a tutelare la concorrenza attraverso la garanzia del libero mercato.

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Analizzando l’Autorità Portuale nella sua natura giuridica, l’Art 6 della Legge 84/94 delinea l’Autorità Portuale come ente pubblico sottoposta al controllo da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Proprio la sua autonomia finanziaria ha creato dubbi circa la natura di ente pubblico economico.6

In ogni caso già in fase preparatoria della legge di riordino in materia portuale erano sorte perplessità. Il timore si basava sull’idea che l’apertura concessa alle Autorità Portuali di gestione di spazi per attività economiche potesse far venir meno la netta separazione tra controllo e gestione su cui si era basata la creazione stessa delle Autorità Portuali. Acquarone tuttavia sostiene che le attività finanziarie concesse all’Autorità Portuale “siano unicamente funzionali al perseguimento di finalità di interesse pubblico relative alla promozione ed allo sviluppo dello scalo, nel rispetto del principio centrale della riforma, ossia quello di evitare le pericolose commistioni di ruoli che hanno caratterizzato il modello degli enti portuali previgente.”

Il consiglio di Stato si è espresso sull’argomento attraverso la Sentenza 9 luglio 2002, n.1641, escludendo la possibilità che le Autorità Portuali possano avere natura giuridica di Ente pubblico economico. Per la Corte, attraverso la lettura dell’Art 6 Legge 84/94, le Autorità Portuali sono finalizzate allo svolgimento di azioni di pubblico interesse. In questo modo la Corte ha chiarito che le attività svolte per i terzi dietro pagamento di somme di denaro siano una minima parte. Con il sorgere di queste nuove figure la dottrina si è domandata se le Autorità Portuali potessero essere riassunte all’interno delle Autorità Amministrative Indipendenti. La risposta è negativa per varie ragioni. In primo luogo, le Autorità Amministrative Indipendenti non sono soggette al potere di indirizzo del governo. In secondo luogo, operano in autonomia e sostanziale terzietà. Tutto ciò le distingue nettamente dalle Autorità Portuali, le quali invece sono soggette secondo l’Art 12 L. 84/94 alla vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti.

Una volta compresa la natura giuridica delle Autorità Portuali la domanda che sorge è quale legame sussista con le Autorità Marittime.

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Quest’ultima si trova sia nei porti sede di Autorità Portuale, dove esercita poteri limitati di sicurezza e “restanti funzioni amministrative”7, che nei porti privi di Autorità Portuale. In questi esercita tutte le funzioni di controllo e vigilanza secondo quanto previsto dagli Artt 62-82 cod. nav.

Pur essendo delineata dal codice stesso la separazione tra le due autorità sono ancora presenti, anche dopo la riforma del 2016 molte zone grigie in merito agli effettivi poteri concessi. Sul punto torneremo quando verrà analizzata la riforma che ha trasformato le Autorità Portuali sorte con la legge del 1994 nelle attuali Autorità di Sistema Portuale.

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2.2 La trasformazione delle Autorità Portuali in Autorità di Sistema Portuale:

D. Lgs 169/16 e D. Lgs 232/17

Nel 1998 fu nuovamente la Corte di Giustizia a ritrovarsi a dover gestire un contenzioso in materia di lavoro portuale attraverso la Sent. 12/2/98

c.d. sentenza Silvano Raso.

Oggetto della domanda era l'interpretazione degli artt. 59, 86 e 90, n. 1, del Trattato CE. La corte partendo dalla giurisprudenza precedente, nello specifico la sentenza Merci convenzionali - porto di Genova, analizzò la normativa italiana in vigore.

La causa vedeva Silvano Raso ed altri legali rappresentanti della La Spezia Container Terminal SRL (in prosieguo: la «LSCT») imputati di

aver utilizzato e illecitamente collocato manodopera in violazione dell'art. 1, n. 1, della legge 23 ottobre 1960, n. 1369.

“La LSCT è concessionaria di un terminale portuale nel porto di La Spezia, descritto dal giudice del rinvio come il primo porto del Mediterraneo per il traffico dei container. Essa gestisce il 70% circa del traffico di container di questo porto. I suoi clienti sono caricatori e compagnie di navigazione di vari Stati membri.” 8La controversia è sorta da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di La Spezia che ha sollevato dubbi circa l’interpretazione dell’ Art 59, Art 86 e Art 90 Trattato CE. Nello specifico si poneva il dilemma della compatibilità del Diritto Comunitario con il monopolio detenuto dall’LSCT ed altre quattro società. Per quanto riguarda l’Art 59 del trattato la domanda che è stata posta è se la normativa italiana pregiudichi l’acceso al mercato di servizi ad imprese autorizzate diverse da quelle di cui all’ Art 21 comma I, lett b) legge 84/94.In secondo luogo, se l’Art 90 Trattato CE contrasti con le norme italiane, le quali prevedono che l’utente possa avere rapporti contrattuali solo con il terminalista per tutti i servizi all’interno di uno scalo. Terzo, se gli articoli 59,86 e 90 Trattato CE si scontrino con la normativa che limita la possibilità di erogare solamente alle altre imprese operanti nel porto. Partendo da queste domande, considerando la giurisprudenza passata ( sentenza merci convenzionali

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porto di Genova) la Corte è giunta alla conclusione che “Gli artt. 86 e 90 del

Trattato CE devono essere interpretati nel senso che essi ostino ad una disposizione nazionale che riservi a una compagnia portuale il diritto di fornire lavoro temporaneo alle altre imprese operanti nel porto in cui essa è stabilita qualora tale compagnia sia essa stessa autorizzata all’espletamento di operazioni portuali”.

Sulla base di quanto emesso dalla Sentenza sopracitata la Giurisprudenza Italiana ha individuato la cornice dei servizi portuali. Essi sono calibrati per offrire alle Autorità Portuali criteri vincolanti idonei a consentirne l’erogazione.9

Seguendo questa logica il terminalista si trova nelle condizioni di poter affidare l’esecuzione a terzi di alcune parti del ciclo operativo portuale. In questo modo la concezione di servizi portuali limitata ad attività esterne è accolta a condizione che alle imprese portuali terze non sia preclusa la possibilità di cooperare con le imprese portuali e terminalistiche.

La difficoltà maggiore che si può riscontrare analizzando le Sentenze sopracitate è l’impossibilità, almeno attuale, di conformare il mercato dei trasporti e delle infrastrutture alla disciplina comunitaria.

Sin dall’inizio della XVI Legislatura, la maggioranza aveva esternato la volontà di riformare la Legge 84/94. I punti messi in luce erano vari, come la revisione della classificazione dei porti, superando il riferimento a criteri quantitativi; Lo snellimento di procedure per la realizzazione di opere portuali; revisione della procedura per la nomina del Presidente dell’Autorità Portuale. Scorrendo nella lettura delle novità che avrebbero voluto introdurre è importante segnalare che il D.D.L. non contiene alcuna modifica decisiva per poter migliorare la legislazione portuale. Inoltre non viene citata la possibilità di mutare la distinzione di funzioni presente tra le Autorità Portuali e le imprese: Le prime manterrebbero le funzioni di controllo, le imprese funzioni economiche.

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Dal momento della sua creazione questo D.D.L. non ha soddisfatto gli obiettivi degli operatori del settore portuale e della Dottrina. Il percorso intrapreso è errato: non risolve i bisogni obiettivi di risparmio che si sarebbero potuti realizzare con una riduzione del numero delle Autorità Portuali.

Pur essendo terminata prematuramente la Legislazione, il tema di riforma in ambito portuale non venne dimenticato. Infatti il nuovo governo, guidato dall’On. Letta, presentò la volontà di riforma. Il Ministro dei Trasporti10, dichiarò la volontà di ridurre drasticamente il numero di Autorità Portuali da 24 a 5. La c.d. “Riforma Lupi” prevedeva Una nuova governance, poche grandi Autorità portuali e piccoli presidi in ogni scalo.

Aggregazioni tra porti e nuovi parametri per programmare gli investimenti e scardinare gli intrecci di potere per evitare rallentamenti allo sviluppo. Procedure distinte per la realizzazione delle grandi opere e la costruzione di nuovi terminal.

Le vicende politiche nazionali hanno rallentato le riforme e, anche se On. Lupi è rimasto alla guida del Dicastero, il cambio di governo ha inciso sulle tempistiche e sulla possibilità di trasformare la Riforma Lupi in Legge.

Per lungo tempo si è attesa una disciplina comunitaria di settore. Una volta compreso che un’armonia Legislativa Europea era solo un’utopia, l’Italia iniziò a realizzare progetti per la revisione della L. 84/94. La collaborazione dell’Unione Europea ad un progetto comunitario si fermò infatti al Regolamento 352/2017. Per due Legislature vennero creati diversi Disegni Di Legge: non furono mai approvati ma aiutarono, grazie al dibattito formatosi su di essi, a raggiungere la Legge di Riforma del 2016 n° 169.

La L. 169/16 si caratterizza, prima di tutto, per la riduzione delle Autorità Portuali e trasformazione delle medesime in Autorità Di Sistema Portuale. In cambiamento non è meramente nominativo o quantitativo ma questo cambiamento porta a vedere Autorità Di Sistema Portuale in modo diverso, realizzando quel cambiamento che per molto tempo era stato desiderato.

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on. Maurizio Lupi. Ministro dei Trasporti dal 28 aprile 2013 al 20 marzo 2015. XVII Legislatura Governo Letta (dal 28 aprile 2013 al 21 febbraio 2014)

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Tra le modifiche essenziali della norma in esame si può trovare il coordinamento delle Autorità Di Sistema Portuale da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’esclusione, dall’organo di gestione, dei rappresentanti delle imprese e dei lavoratori. La norma non si preoccupa solamente di riformare ma altresì conferma alcuni punti fondamentali della Legge 84/94. Ad esempio viene rafforzata la natura di ente pubblico non economico delle Autorità Di Sistema Portuale( ADSP). 11

Successivamente è stato creato il Decreto Legislativo del 13 dicembre 2017, n. 232, “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169, c.d. “ correttivo porti”. L’Art 5 L. 84/94 è stata modificato dall’Art 1 del Decreto Legislativo 232/17 con l’inserimento del Documento di pianificazione strategica di sistema( DPSS)12 che sintetizza il nuovo approccio alla pianificazione strategica portuale. Tale documento dev’essere “coerente” con il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica, non essere in contrasto con le norme europee e rispettare il Piano Strategico Nazionale della portualità e della logistica.Attraverso il Dpss vengono individuate “ le aree destinate a funzioni strettamente portuali e retro-portuali, le aree di interazione porto-citta' e i collegamenti infrastrutturali di ultimo miglio di tipo viario e ferroviario coi singoli porti del sistema e gli attraversamenti del centro urbano”, vengono definiti gli obiettivi, la redazione di una dettagliata relazione circa i criteri da seguire per la redazione di Piani Regolatori Portuali. Quest’ultimi vengono realizzati nel rispetto del piano strategico nazionale ed in conformità alle linee guida.

Inoltre è stato introdotto uno strumento per migliorare l’efficenza energetica ed accrescere l’utilizzo, nei porti Italiani, di energie provenienti da fonti rinnovabili. Il Decreto Legislativo 2016 e le disposizioni correttive del D.lgs 232/17 hanno permesso l’applicazione di un nuovo strumento: Piano regolatore di Sistema Portuale. Le fondamenta che consentono al piano regolatore di sistema portuale di adattarsi ai diversi porti e quindi alle diverse esigenze sono due: Dinamicità e flessibilità.

Il Decreto Legislativo 232/17 prevede che le Autorità di Sistema Portuale 11Art 6, V comma D. Lgs. 169/16

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redigano il Piano Regolatore Portuale (PRP) in conformità con il Documento di Pianificazione Strategica di Sistema, con il piano strategico nazionale della portualità e della logistica, linee guida dei lavori pubblici e con gli strumenti urbanistici vigenti presenti sul territorio.

La procedura di approvazione del Piano Regolatore Portuale prevede che il sopracitato piano sia, in primo luogo, adottato dal Comitato di Gestione, di concerto con i comuni territorialmente interessati, esclusivamente inerente a funzioni d’interazione porto e città. Entro quarantacinque giorni dal ricevimento dell’atto il comitato si esprimerà sul medesimo. Infine sarà approvato dalla Regione competente entro quarantacinque giorni decorrenti dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).13

Concludendo, può accadere che il Piano Regolatore Portuale necessiti di adeguamenti: In tal caso il comitato di Gestione, dopo aver acquisito materiale a riprova che gli adeguamenti richiesti non intacchino l’urbanistica del territorio, adotterà gli adeguamenti. Nel termine ultimo di quarantacinque giorni il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici dove esprimersi e solamente dopo è approvato mediante atto della Regione coinvolta, in quanto il porto oggetto della modifica si trova all’interno dei suoi confini.

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La procedura VAS prevede la valutazione di piani che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio. Lo scopo è assicurate che l’attività antropica sia compatibile con uno sviluppo sostenibile.

Le fasi principali della procedura sono:

-lo svolgimento di una verifica di assoggettabilità; -l’elaborazione del rapporto ambientale;

-lo svolgimento di consultazioni;

-la valutazione del rapporto ambientale e degli esiti delle consultazioni; -la decisione;

-l‘informazione sulla decisione; -il monitoraggio.

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2.3 Titolo V della Costituzione: impatto della riforma e controriforma sul porto

Pur avendo riordinato la materia portuale il D. Lgs. 169/16 non ha estirpato i problemi legati al rapporto tra il Titolo V della Costituzione Italiana e la figura dell’Autorità di Sistema Portuale.

L’Art. 117 Cost. colloca le materie di “porti e aeroporti civili” e le “grandi reti di trasporto e navigazione” tra le materie concorrenti. Il contrasto sorge per la collocazione delle Autorità di Sistema Portuale, poiché esse sono riservate alla competenza esclusiva dello stato.

La Corte Costituzionale ha giustificato questo contrasto ribadendo la potestà dello stato a riconoscere a taluni porti rilevanza economica internazionale o interesse nazionale. Ciò giustifica, secondo la Corte, la competenza dello Stato su alcuni porti.14 In ogni caso la partecipazione della Regione coinvolta è necessaria.15

Nel corso degli anni la Costituzione Italiana è stata oggetto di tentativi di modifica, attraverso l’applicazione del procedimento di revisione, disciplinato nell’Art 138 Cost:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

La Costituzione Italiana, essendo rigida, prevede un procedimento differente per l’approvazione di leggi costituzionali rispetto alle modifiche inerenti alle Leggi ordinarie. La ratio discende dalla volontà di poter modificare la Costituzione solo in presenza di una larga maggioranza in Parlamento.

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v. sentenze: 7 ottobre 2005. n. 378; 6 marzo 2006, n. 89; 6 luglio 2007, n.255 e 10 ottobre 2007, n. 344

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