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tra Età moderna e contemporanea (XV secolo - 1930)

1. Introduzione

Il periodo che viene preso in considerazione per cercare di definire i ca-ratteri peculiari dello sviluppo economico della Corsica, inizia dalla domi-nazione genovese (circa il XIII secolo) e termina con il 1930. La cesura non è quindi politica, poiché l’isola diventa francese a partire dal 1768, con il Trattato di Versailles. Può essere considerata una cesura economica? È in-dubbio che dopo la fase di economia arcaica, che caratterizza la secolare presenza di Genova, con rari momenti di vero interesse, ed alcuni tentativi di miglioramento che richiedono non solo cospicue risorse, ma anche un attento monitoraggio del loro impiego e dei risultati, il cambiamento di lea-dership rappresenta un punto di rottura. Nonostante gli investimenti e l’impegno dei Francesi, però, si può dire che tutto il XIX secolo rappresenta per l’economia di questo territorio ancora un lungo periodo di transizione.

È vero che dopo il 1768 emerge chiaramente che gli stimoli sono mag-giori; l’ambiente economico più vivace; l’impegno francese per favorire nell’isola lo sviluppo delle infrastrutture e un miglioramento delle relazioni con l’esterno assai cospicuo e bene organizzato; ma l’evoluzione positiva è assai lenta e paga la lunga inerzia del passato. Se con tale politica vengono poste le basi per un successivo sviluppo, questo non arriva in realtà se non alla metà del Novecento, quando cambia il rapporto tra popolazione e ter-ritorio; si intensificano i flussi migratori in arrivo; gli investimenti vengono programmati e mirati verso nuovi settori in grande crescita, come il turi-smo, che dal cosiddetto ‘turismo ambulante’ si trasforma in ‘turismo resi-denziale’; si evolvono in modo decisamente favorevole i mezzi di trasporto.

Il processo è comune a quello di altre isole, mediterranee ed atlantiche.

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* Pubblicato in: Economía e insularidad (siglos XIV-XX), Atti del Convegno Interna-zionale di Studi, Università di La Laguna (Santa Cruz di Tenerife), 17, 18 e 19 ottobre 2005, a cura di A.M. MACÍAS HERNÁNDEZ - C. BARCIELA LÓPEZ - A. DI VITTORIO, La Laguna 2007, II, pp. 533-578.

Che cosa rappresenta quindi il 1930? Direi il faticoso punto di arrivo di un lungo e paziente, oltre che assai ritardato, cambiamento. Nel periodo suc-cessivo, inoltre, si può dire che l’integrazione all’interno dello Stato france-se di questo particolare Dipartimento, diviene molto più evidente: cambia, quindi, anche il tipo di approccio per una valutazione del sistema economi-co dell’isola, ormai integrato all’interno di uno Stato. Da italiana e ligure ho ritenuto quindi che, almeno in questa sede, le valutazioni degli Anni Ses-santa-Novanta, anche se ricche di importanti scelte, non siano più di mia competenza.

In un quadro così strutturato, si può pensare di evidenziare un modello di sviluppo coerente con le scelte effettuate? Anche riuscendoci, credo co-munque che non si tratterebbe di un modello facilmente esportabile o compa-rabile con altre realtà insulari. Esso risulta, infatti, condizionato pesantemente dalla politica coloniale e di sfruttamento da parte di ambedue i successivi do-minanti, che hanno come denominatore comune, nel tempo, il mancato coinvolgimento della popolazione locale, privata di scelte autonome, e con-dizionata (come forse ancora adesso) da quella che può essere quasi definita una ‘offensiva dello Stato’: a favore dell’isola, certo, ma che non ha risolto, per i criteri con cui è stata gestita, neppure i contrasti con la Francia.

Ci si può quindi ancora oggi domandare se non si debba condividere l’osservazione Giuseppe Gorani, estendendola anche al periodo della domi-nazione francese, quando scrive che

… l’isola di Corsica [è uno dei] focolai che i nemici della Repubblica di Genova ali-mentano continuamente per fomentare le proprie pretese contro il suo governo. Si sa bene cosa sia capace l’odio nazionale; e tutti sanno che i Corsi sono i più adirati e i più vendicativi. Sarebbe dunque ingiusto giudicare il governo di Genova per i lamenti esage-rati che quelli si sono premuesage-rati di avanzare …

Tutti concordano che alla fine, la cessione dell’isola alla Francia sia stata molto vantaggiosa per la Repubblica, in quanto le fece risparmiare una spesa annuale molto pesante, ma d’altronde indispensabile per mantenere un presidio nell’isola; nonché le spese straordinarie necessarie spesso per tenere a bada i Corsi che, pur vinti, non sono mai stati sottomessi. L’Autore continua sottolineando però, nello stesso tempo, che

Tuttavia il possesso di questa isola avrebbe potuto divenire interessante per la Repub-blica se, meno fiera, si fosse impegnata a formare e a educare il popolo còrso, a ispirargli l’amore delle leggi. Ma per ottenere questo sarebbe stato necessario fare una sola nazione dei due popoli; sarebbe stato necessario incoraggiare l’attività commerciale, e consentire

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agli abitanti della capitale come a quelli delle altre città, una libertà uguale a quella dei lo-ro dominatori; sarebbe stato necessario che una politica comprensiva, umana e paterna avesse sostituito la severità più ostinata.

L’A. conclude quindi che

è giusto … rimproverare al governo genovese, in tutti i tempi, di essersi allontanato da criteri di giustizia e di equità riguardo … agli abitanti della Corsica.

Fernand Braudel non condivide però questo atteggiamento, sostenendo che il fatto che i Corsi giudicassero male nel XVI secolo il governo di Genova, può essere capito anche alla luce delle vicende internazionali, che vedono co-stantemente la Francia finanziare le rivolte con danaro, navi, munizioni. Egli ritiene, inoltre, che sia non corretto e anche anacronistico, oltre che scientifi-camente opinabile, cercare di giudicare certi comportamenti del passato con un modo di vedere tutto attuale. Così non gli appare opportuno paragonare il diverso atteggiamento di Genova e della Francia nei confronti dell’isola, sot-tolineando come i due paesi siano partiti da presupposti completamente diver-si, strettamente dipendenti dalle diverse condizioni strutturali delle loro eco-nomia: Genova (e in fondo tutta l’Italia) era un paese troppo popolato, che faceva assegnamento sulla Corsica come su una terra da colonizzare a proprio uso; la Francia, ricca di spazio, era invece aperta all’emigrazione della popola-zione da quella che era definita «un’isola troppo ricca di uomini», considerata come un proficuo campo cui ricorrere per la propria espansione (si pensi, ad esempio a Marsiglia, considerata sempre «città semicorsa».

Nel complesso, tuttavia, gli storici sono generalmente concordi nel fatto che il difetto principale, cioè la mancanza di simbiosi tra mondo rurale e mondo urbano, hanno fatto da sempre della Corsica un mondo a sé, diffe-rente non solo dalle regioni continentali, ma anche, in certa misura, da quello di molte altre isole. Se il mondo rurale era corso, quello urbano era al contrario genovese: non soltanto perché genovese e ligure era buona parte della popolazione, ma anche e soprattutto per gli stretti legami di carattere economico che intercorrevano tra le città isolane e Genova.

Da sempre, del resto, nel loro sistema coloniale-commerciale, per i mercati genovesi «le colonie più attraenti erano quelle che consistevano in case o gruppi di case in mezzo ad una metropoli straniera». Ma in Corsica, dove non esistevano metropoli e dove le risorse economiche di una certa importanza erano assai rare, è l’interesse militare a guidare la presenza ge-novese nell’isola, della quale occorreva mantenere ad ogni costo il possesso

poiché controllava le vie di accesso al porto di Genova (per questa ragione i primi insediamenti genovesi hanno il carattere di cittadelle: Bonifacio, Calvi, Aiaccio, San Fiorenzo, Corte, Bastia, residenza del Governatore).

È indubbio che la sostanziale povertà delle città corse, la cui sopravvi-venza è stata determinata (in realtà fino ad un passato assai recente) solo dai legami con Genova prima e con la Francia poi, è la causa principale di quella mancanza di simbiosi tra città e campagna, frequente e vivificante in altre zone dell’Europa. Non si può comunque non tenere conto della particola-rità di questo, come di altri territori di essere ‘isola’ (è in parte l’oggetto di questo Seminario): pesano sulla Corsica quelle ‘strettezze insulari’ che la accomuna ad altre isole, anche caratterizzate da condizioni diverse. Si tratta, dice F. Braudel, di

strettezze che le collocano [cioè le isole] in pari tempo molto indietro e molto avanti ri-spetto alla storia generale del mare; che le dividono sempre con brutalità tra due poli opposti: arcaismo e novità.

2. L’‘isola’ Corsica nel Mediterraneo

Definita da alcuni autori una «montagna nel mare», denominata così dai Romani, dopo la Sicilia e la Sardegna è la più grande isola del Mediterra-neo. «L’isola ha la forma di un guscio di tartaruga tagliato in due per la sua lunghezza», sottolineano alcuni commentatori ricordando altresì alcuni dati che può essere importante tenere presenti:

– superficie 8.861 Kmq – larghezza 84 Km – lunghezza 183 Km

– ha 1.047 Km di coste, di cui il 71% è roccioso

– ha circa 160.000 abitanti all’inizio del XV secolo, circa 20 per Kmq, e tale rimane per oltre tre secoli

– ha 6 picchi montagnosi superiori ai 2.400 metri, con il Monte Cinto che raggiunge 2.714 metri ed è una delle vette più alte del Mediterraneo – è ricca di lagune e/o stagni salati, assai spesso centri di affezioni malariche.

Anche se l’isolamento sembra essere stato uno dei caratteri che ha sempre pesato di più sullo sviluppo economico dell’isola, può comunque es-sere importante notare che:

– Aiaccio dista da Marsiglia 320 Km e da Nizza 230

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– Calvi dista da Nizza 180 Km

– Capo Corso è a 125 Km dalla Liguria – Bastia è a 110 Km da Livorno

– le Bocche di Bonifacio, tra il Capo meridionale e la Sardegna, permet-tono un interscambio (regolare o di contrabbando) esercitato da mer-canti, pastori, contadini, marinai e pescatori

– la Corsica non è lontana (solo 30 Km) da Capraia, nell’arcipelago to-scano, per lungo tempo dominata dai Genovesi e quasi tutt’uno con la Corsica, anche per le necessità di manodopera.

Nel complesso molte altre isole risultano assai più lontane dal conti-nente.

Se si considera poi che l’estremità inferiore della Sardegna è a soli 160 Km dalla Tunisia, si può dire che le due isole rappresentano quasi un ponte tra l’Europa e l’Africa, cioè permettono di intravvedere quasi una specie di fil rouge (come è stato definito), che condiziona scelte economiche e spazi di attività.

Si deve inoltre ricordare che:

– la Corsica è tradizionalmente divisa in due parti: ai Genovesi interessa in realtà solo quella a Nord e Nord-Est, verso Capo Corso, definita Di qua dei monti (o terra di Comune, in quanto si era più precocemente sganciata dal sistema feudale). Si tratta di uno dei territori più fertili, meno isolato e quindi più popolato. Vi è la sede del Governatore con il suo entourage, la corte, i dipendenti, e in particolare i soldati, a piedi e a cavallo. La zona a Sud e Sud-Ovest, è definita invece Al di là dei monti (è la zona fondamentalmente verso Bonifacio) dove risiede un Luogo-tenente del Governatore. Detta anche «Terra dei Signori» è caratteriz-zata da una lunga sopravvivenza delle terre comuni;

– è l’isola più piovosa del Mediterraneo;

– prendendo in considerazione anche il caso di altre isole, F. Braudel la definisce «un continente in miniatura», in quanto l’importanza di que-sti territori circondati dal mare deriva dal fatto che, in generale, sono scali lungo le rotte marine e offrono acque relativamente tranquille,

«sempre ricercate dalla navigazione tra l’una e l’altra [isola] o tra esse e il continente».

Corsica e Sardegna nel cuore del Mar Tirreno nella carta nautica di Battista Beccari (1435)

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3. Le travagliate vicende politiche

Pur essendo, come si è detto, quasi una montagna in mezzo al mare (o, forse, proprio per questo), oltre alla posizione strategica lungo le rotte del Mediterraneo occidentale, la Corsica è un’isola che ha visto nella sua storia il passaggio di molti dominatori: Romani, Vandali, Goti, Arabi, Mori, Sara-ceni hanno per secoli compiuto le loro scorrerie lungo le coste, spingendosi alcuni anche verso l’interno e lasciando poche, ma importanti tracce. Nono-stante il carattere bellicoso degli abitanti, concentrati peraltro nelle zone interne, lontano dal mare, l’isola:

– nell’898 diventa feudo dei Marchesi di Toscana, contro i quali continua comunque a lottare;

– nel 1077 passa sotto la giurisdizione del Vescovo di Pisa, avendo il pontefice ritenuto che fosse il riferimento più adatto per ‘riassestare’ la vita religiosa e civile dell’isola; in particolare, nel 1092 Urbano II nomi-na il presule pisano arcivescovo di Corsica. Inizia un pesante conflitto diplomatico-militare tra le due città e il papato, che dura tutto il XII se-colo con alterne vicende (nel 1133, ad esempio, quando Genova viene eretta in archidiocesi, la sua giurisdizione comprende due vescovadi di terraferma e tre di Corsica, con la conseguenza di controllare tempora-neamente metà dell’isola; a Pisa vengono concessi altrettanti vescovadi corsi e l’altra metà dell’isola;

– nel 1284, dopo aver sconfitto i Pisani alla Meloria, i Genovesi aumenta-no il loro peso politico in Corsica;

– nel 1296, per opporsi all’influenza genovese, il Papa investe il re di Ara-gona del regno di Sardegna e di Corsica. Inizia nuovamente un com-plesso periodo durante il quale le grandi famiglie dell’isola di diversa et-nia (in parte pisane, in parte genovesi, in parte aragonesi) si combatto-no pesantemente tra loro;

– nel 1347 il nuovo governo popolare genovese decide di intervenire nel-l’isola in modo meno episodico, creando una «Casa per l’acquisizione della Corsica», che però non riesce a svolgere il proprio compito in modo articolato a causa della peste che nel 1348 decima i due terzi della popolazione della Repubblica;

– dopo continui interventi contro i feudatari locali e gli Aragonesi e dopo il tentativo di ingerenza del duca di Milano, nel 1362 si definisce il deci-sivo dominio genovese sull’isola;

– dal 1378 il governo genovese è coadiuvato nella gestione e amministra-zione dell’isola da una «Maona», organizzazione societaria di un grup-po di privati (è famosa la maona di Chio, cui concorrono solo membri della famiglia Giustiniani);

– nel 1453 il governo della Corsica è affidato dalla Repubblica alla Casa di San Giorgio (eterno creditore dello Stato di cui ormai amministra com-pletamente la fiscalità e in taluni casi – come questo – anche i domini territoriali nei quali le viene affidata la riscossione delle rendite). La Casa di San Giorgio si occupa della Corsica fino al 1562, quindi per oltre un se-colo. Durante questo periodo vengono emesse le regole di governo e di convivenza, i Capitula corsorum, in pratica la prima Costituzione data all’isola; si cerca di sviluppare l’agricoltura e il commercio; si favorisce l’immigrazione. Si tratta di un periodo istituzionalmente originale, in quanto ci troviamo davanti ad un ente finanziario che viene a sostituirsi ad un organismo politico. Durante questo periodo tuttavia occorre te-nere presenti due avvenimenti non ininfluenti anche sull’economia:

a) l’invasione dell’isola da parte dei Francesi nel 1553,

b) l’azione di Sampiero Corso (o di Bastelica, 1548-1567) che fomenta la ribellione e aiuta i Francesi, a loro volta aiutati anche dalla impo-nente flotta ottomana, comandata dal corsaro Dragut, detto il Bar-barossa. L’azione dura fino al 1567, quando Sanpiero viene assassi-nato.

In tale periodo, ancora una volta, l’isola subisce le conseguenze, coin-volta suo malgrado, delle guerre nel continente: in questo caso tra Francia e Spagna, di cui Genova è alleata:

– 1559, con la pace di Cateau-Cambrésis, l’isola torna sotto il dominio genovese, alleata degli Imperiali (vincitori nella battaglia di San Quinti-no, con Emanuele Filiberto di Savoia). Per alcuni anni continua a go-vernare la Casa di San Giorgio;

– 1564 La Repubblica di Genova riprende la completa sovranità dell’isola e l’amministra direttamente per due secoli. La governa attraverso il nuovo Magistrato di Corsica, composto da cinque soggetti, aumentati a otto nel 1566, nominati dai Serenissimi Collegi (Senato e Camera – or-gano di controllo e finanziario) e dal minor Consiglio;

– 1572, vengono promulgati gli Statuti civili e criminali, modellati su quelli genovesi; successivamente sono più volte modificati. Con questo momento istituzionalmente importante si apre un periodo che viene

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definito «la lunga pace genovese», che comprende un indomabile ciclo di rivolte.

Sono questi i due secoli nei confronti dei quali la più tradizionale sto-riografia, per lo più isolana e settecentesca (il periodo delle lotte più dure), ma ripresa dagli storici corsi e francesi, ha espresso un giudizio negativo presentandoli come una «lunga e infelice stagione coloniale», se pur con al-cuni interventi economicamente non trascurabili.

Questa interpretazione è ormai, oltre che stereotipata, considerata su-perata, e rifiutata dagli studi più recenti, più attenti a cogliere la complessità e la contraddizione del rapporto tra la Dominante e il suo dominio territo-riale più esteso. Di recente, ad esempio, è stata proposta una interpretazione revisionata della storia corsa che sottolinea l’esistenza di un «bel Seicento» isolano, in controtendenza rispetto alle immagini correnti per il continente nella stessa epoca.

– 1729-1730, periodo delle grandi rivolte e delle lotte (appoggiate dagli Inglesi), la cui pesante repressione da parte della Repubblica genovese provoca, sul terreno che oggi verrebbe definito dell’immagine e della comunicazione, un forte decadimento di Genova che non trova solida-rietà presso nessun Stato europeo. L’opinione pubblica europea simpa-tizza per i ribelli. La rivolta, nata inizialmente come antifiscale, si tra-sforma prima in una vera e propria ribellione, anche se con obiettivi li-mitati, e, successivamente, in una guerra di liberazione nazionale vera e propria, nel corso della quale la povera e arretrata isola sperimenta idee e parole d’ordine di straordinaria modernità;

– dal 1755, Pasquale Paoli (1725-1807), ufficiale al servizio del Re delle Due Sicilie, tornato nell’isola, raccoglie la bandiera della rivolta come

«Generale della nazione», dando addirittura all’isola una Costituzione scritta, come si vedrà più ampiamente nel paragrafo successivo. Impor-tante l’aiuto esterno ai Corsi da parte di Francia e Inghilterra;

– 1764, tutte le piazzeforti costiere risultano presidiate da guarnigioni francesi;

– 1768, 1° maggio, Trattato di Versailles: Genova, dietro un compenso in danaro, cede tutti i suoi diritti di sovranità sulla Corsica al re di Francia Luigi XV. I Corsi, in realtà, si illudono di poter acquistare l’indipen-denza, giocando sulla rivalità dei grandi stati, ma la loro speranza è su-bito repressa con l’annessione dell’isola all’empire français nel 1769, nello stesso anno in cui Napoleone Bonaparte, figlio di un segretario di Pasquale Paoli, nasce ad Aiaccio.

Ancora alcune indicazioni cronologiche:

– 1789, la Corsica diventa un Dipartimento della Francia;

– 1798, campagna di Napoleone contro la Corsica;

– 1796-1930, periodo degli investimenti francesi, dei tentativi di migliora-re le infrastruttumigliora-re dell’isola e di aiutamigliora-re lo sviluppo di alcuni settori dell’economia;

1930-1960, lungo periodo di depressione;

– 1960-1990, periodo degli investimenti in infrastrutture turistiche e dello sviluppo spinto del settore.

4. La Corsica vista dai Genovesi: interessi economici e difficoltà di governo Dovendo sintetizzare il rapporto Genova-Corsica, si potrebbe sempli-cemente affermare che essa era uno scalo importante che i Genovesi consi-deravano integrato nel proprio spazio marittimo; un patrimonio boschivo di prim’ordine; una riserva per il reclutamento di armigeri (essendo la carriera delle armi una delle poche possibilità che si offrivano ai figli della nobiltà lo-cale). Per il resto la carica di Governatore della Corsica era considerata una penosa ma a volte necessaria tappa nella carriera politica di governo dell’ari-stocrazia genovese. All’elenco sopracitato è comunque ancora da aggiungere il fatto che l’isola interessava anche per le materie prime (grano e sale in particolare, oltre al già evidenziato legname); in parte per i commerci (cioè domanda di manufatti, che produceva in quantità scarsa, e quindi doveva importarne), ma certamente moltissimo per la posizione strategica, quasi una porta verso il Mar Ligure. Non a caso la Corsica è per secoli, dati gli interessi coincidenti, il principale oggetto del contendere con Pisa.

Si è già sottolineato che, nella propria politica di espansione la Re-pubblica di Genova, per garantirsi risultati solidi e fruttuosi, segue sistemi diversi a seconda dei luoghi e dei tempi: in generale, tuttavia, non cerca in-sediamenti politico-territoriali, impegnativi e dispendiosi da mantenere e difendere. Per quanto concerne la Corsica i Genovesi non si comportano diversamente e l’unica eccezione è rappresentata da Bonifacio: la città è con-siderata quasi un lembo di Liguria, localizzato nel cuore del Tirreno, ed ha

Si è già sottolineato che, nella propria politica di espansione la Re-pubblica di Genova, per garantirsi risultati solidi e fruttuosi, segue sistemi diversi a seconda dei luoghi e dei tempi: in generale, tuttavia, non cerca in-sediamenti politico-territoriali, impegnativi e dispendiosi da mantenere e difendere. Per quanto concerne la Corsica i Genovesi non si comportano diversamente e l’unica eccezione è rappresentata da Bonifacio: la città è con-siderata quasi un lembo di Liguria, localizzato nel cuore del Tirreno, ed ha