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Collana diretta da Carlo Bitossi
PAOLA MASSA
Fattori identificanti dell’economia ligure e della società genovese
(secoli XV-XIX)
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Il volume è stato pubblicato con il contributo della
IV - L’ECONOMIA MARITTIMA
REGIONALE E INTERNAZIONALE
Il mare come fattore di sviluppo e di integrazione economica
Signor Presidente dell’Istituto Internazionale di Storia economica “F.
Datini”, Signor Sindaco, Autorità, Colleghi, Studenti, Signore e Signori, accettare di fare una Prolusione all’apertura di un Convegno credo sia già di per sé un atto temerario; quando poi si tratta di una delle Settimane di studio dell’istituto Datini, ricca di presenze di illustri Colleghi italiani e stranieri, credo rasenti l’incoscienza; specialmente poi, tenuto conto che, nel corso della Settimana di studi che comincia oggi, ben cinquantacinque relazioni e comunicazioni approfondiranno il tema proposto.
Devo inoltre aggiungere che a questa situazione – già di per sé com- plessa – si somma anche un’emozione personale, derivante dal fatto che – se- gno purtroppo di vecchiaia – mi trovo oggi a parlare nella stessa sala dove ho assistito all’inaugurazione della Prima Settimana Datini, dopo aver frequen- tato il Primo Corso di Specializzazione di Storia economica organizzato da Federigo Melis; un corso stanziale per parecchie settimane. Allora si parlò di lana, oggi di mare, e nel corso delle numerose Settimane tanti altri temi sono stati trattati: ho quindi verso l’Istituto – e mi fa piacere ricordarlo – un grosso debito di gratitudine nella mia iniziale formazione.
Una volta accettato l’onore e l’onere di parlare oggi, mi sono trovata di fronte ad una difficile scelta contenutistica, non volendo essere né ripetiti- va, né anticipatrice, né troppo settoriale.
Ho deciso pertanto di proporre qualcosa che forse è un po’ atipico per uno storico dell’economia: una carrellata commentata di immagini, attinenti ai vari settori che rappresentano idealmente le più importanti problematiche collegate al tema della Settimana, seguendo il filo logico della proposta arti- colata del Comitato scientifico, di cui mi onoro di far parte, che ha inteso
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* Pubblicato in: Ricchezza del mare, ricchezza dal mare, secc. XIII-XVIII, Atti della
“Trentasettesima Settimana di Studi” dell’Istituto Internazionale di Storia Economica “F.
Datini”, Prato 11-15 aprile 2005, a cura di S. CAVACIOCCHI, Firenze 2006, pp. 11-56. In parte anche in Il contributo delle risorse del mare all’economia delle città costiere, in Il viaggio negli abissi marini tra immaginazione e realtà, a cura di G. REVELLI, Pisa 2007, pp. 421-425.
dare unitarietà al tema. Credo inoltre che il fatto che una buona parte delle immagini proposte sia stata tratta da quella che definirei la ‘Banca’ delle immagini che sul proprio sito Internet l’Istituto Datini mette a disposizione di tutti gli studiosi, sia da interpretare come un segno di ringraziamento per quanto l’Istituto stesso fa a favore della nostra comunità, ma anche come un apprezzamento sincero nei confronti di chi ha ideato e contribuito a creare questo strumento di lavoro e di documentazione.
L’attenzione della XXXVII Settimana è quest’anno dedicata al mare, la cui vita, come è stato scritto «è mescolata alla terra, e la cui storia non è quindi separabile dal mondo terrestre che ravvolge»; il mare, studiato dai geografi, dagli oceanografi, dai geologi, dagli ambientalisti, oltre che da storici e da economisti; il mare visto come un importante fattore di sviluppo eco- nomico, di specializzazione e di crescita, che condiziona l’imprenditorialità, gli investimenti, le produzioni e il lavoro dei centri urbani che lo possono sfruttare; il mare che spinge verso l’integrazione e nello stesso tempo può determinare, grazie alle proprie risorse ed alla loro utilizzazione, il verificar- si di leadership di un’area territoriale rispetto ad un’altra; il mare che isola ma che contemporaneamente unisce.
L’Europa, a cui è dedicata fondamentalmente la nostra attenzione, an- che se vi saranno alcune Relazioni che ci porteranno verso altri spazi e mari lontani, è una piccola penisola, se paragonata agli altri continenti, le cui co- ste hanno visto giungere e partire uomini, mercanzie, idee, ma, come ha scritto Fernand Braudel per il Mediterraneo «... en Méditerranée la mer est le prolongement des terroirs». Questo stesso concetto può valere per tutti i mari, anche quelli lontani dall’Europa.
Nel nostro caso la domanda cui dovremmo cercare di rispondere è
«quali siano stati l’importanza ed il contributo del mare all’economia euro- pea ed al suo sviluppo tra Medioevo ed Età moderna». Si può essere o no d’accordo sul fatto che la presenza del mare abbia creato, nei confronti dei paesi che ne potevano usufruire, opportunità particolari, dimostrandosi quasi come un fattore di produzione aggiuntivo per l’economia di terra?
In questo senso occorre distinguere la ricchezza del mare, cioè le risor- se primarie fornite quasi direttamente dalle acque, dalla ricchezza dal mare, cioè le occasioni e/o le necessità di impiego di risorse umane e finanziarie aggiuntive che hanno a disposizione le città portuali, le località costiere e le isole. Queste ultime, peraltro, con delle eccezioni, poiché accanto alla uti- lizzazione esiste anche il rifiuto del mare, cioè dei pericoli e dell’ignoto che spesso esso rappresenta.
IL MARE COME FATTORE DI SVILUPPO E DI INTEGRAZIONE ECONOMICA
Accanto ai fattori ed ai vantaggi economici, tuttavia, occorre anche pen- sare all’utilità del mare più particolarmente diretta all’evoluzione della vita so- ciale e culturale: questo fattore consiste nella facilità che le acque tutte offro- no agli uomini per stabilire più immediate relazioni tra loro. Se guardiamo ai secoli del passato ci rendiamo conto, ad esempio, di come sia stata più rapida e quasi più facile l’esplorazione dei mari rispetto a zone continentali che hanno resistito a lungo alle più risolute azioni di arditi ed esperti viaggiatori.
Nuove «tipologie di soggetti umani», nuove abitudini, dalla casa al ve- stiario, nuove conoscenze all’interno del mondo animale e di quello vegetale sono state rese possibili grazie a quell’importante via di comunicazione che è il mare; certo il dominio sullo stesso ha spesso diviso gli uomini, talora in modo cruento, ma ha anche suscitato importanti esperienze di regolamen- tazione unitaria di contratti commerciali e specialmente di normativa inter- nazionale.
La pesca presenta caratteristiche organizzative diverse nei vari mari;
può essere praticata anche nelle acque interne, ma vicino al mare; può essere specializzata, come quella del tonno e delle anguille; può riguardare il co- rallo, le spugne, che non forniscono prodotti alimentari, ma sono alla base di altre importanti attività economiche. In questo settore la produttività dei mari non è uniforme. Per quanto concerne la pesca, infatti, tra l’oceano, i mari nordici ed il sistema mediterraneo, in particolare, la ripartizione delle risorse ittiche favorisce l’Atlantico settentrionale ed il Mare del Nord. Nel Mediterraneo, come si vede da alcune rappresentazioni generali, (Tavole 1 e 2) i sistemi sono tradizionali e vedono spesso all’opera anche individui singoli;
gli attrezzi sono reti, retini, lampare, lance; le operazioni relative alla con- servazione sono limitate a piccoli gruppi di soggetti. Nel Mare del Nord, invece, si opera tradizionalmente all’interno di una organizzazione econo- mica diversa, più imprenditoriale, che coinvolge manodopera e attività a ter- ra, anche per la complessa gestione dei procedimenti di conservazione, ed è quindi più incisiva sull’economia. Manodopera femminile è spesso impie- gata nelle procedure di lavorazione del pescato, specialmente per la prepara- zione e la salagione dei merluzzi (Tavole 3 e 4).
I battelli da pesca usati dai marinai-pescatori nordici necessitano di un investimento di capitale rilevante, in quanto hanno spesso a bordo attrez- zature per pesche diverse, oltre a quelle per la lavorazione e la conservazione del pescato, nel caso i banchi di pesca siano lontani dalla terraferma, come si
1. Nicolas Perrey, Attività di pescatori, in RAIMONDI 1630, p. 395:
https://archive.org/details/dellecacciedieug00raim/page/n410/mode/1up
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2. Calendario: Dicembre - La pesca, in Libro di preghiere, The Hague, 1570-1580 ca.
L’Aja, Koninklijke Bibliotheek, Den Haag, KB, 75 A 2/4, c. 15r.
può vedere dalle rappresentazioni dell’imballaggio delle aringhe, e del pe- scato del baccalà messo a seccare a Terranova: immagini in cui si tende quasi a sottolineare il senso dell’organizzazione di impresa e del coinvolgimento di tutta la comunità.(Tavole 4 e 5); particolare ma assai importante, come specifica attività collaterale alla pesca del merluzzo, l’estrazione dell’olio di fegato di merluzzo (Tavola 6).
Le pesche specializzate, ad esempio quella del tonno e delle anguille, necessitano anch’esse di infrastrutture e di attività a terra per la conserva- zione: si qualificano, quindi, come «piccole imprese» che richiedono inve- stimenti di capitale (Tavole 7, 8, 11). Così come per la pesca del corallo (Tavola 12), dal punto di vista dei rapporti giuridici, si tratta di forme di or- ganizzazione del lavoro collettivo che hanno la tipologia di contratti più ar- ticolata ed interessante.
In questo caso vengono occupate regioni marittimo-litoranee, disposte su terra e mare: mi diverte ricordare che a Genova, a metà del XV secolo, viene da un gruppo di imprenditori chiesto il permesso di impiantare un al- levamento di ostriche nelle vicinanze delle acque calme del porto, certa- mente allora non inquinate.
3. Salatura, lavaggio e conservazione delle sardine, in Recueil de Planches 1771.
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4. Imballaggio delle aringhe nei barili, in DUHAMEL DU MONCEAU 1777-1782:
http://aquaticcommons.org/2608/
5. Pesca e seccagione del baccalà in Terra nuova, in Gazzettiere Americano 1763, p. 155, fig. 17.
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6. Estrazione e lavorazione dell’olio di fegato di merluzzo, in DUHAMEL DU
MONCEAU 1777-1782: http://aquaticcommons.org/2608/
La pesca alla balena è meno nota: essa costituisce tuttavia per le popo- lazioni dell’estremo Nord Europa un’attività importante, anche in funzione della diversificata utilizzazione di tutte le componenti di questo particolare pescato (Tavola 9).
Per chiudere l’argomento, ancora un riferimento alla pesca nelle acque interne, che hanno la caratteristica di essere quelle più regolamentate, per i rapporti più stretti ed i maggiori collegamenti con le comunità urbane (Ta- vole 10 e 11).
La pesca condiziona inoltre gli insediamenti lungo le coste, specialmente nel Mediterraneo, dove avendo minore importanza il lavoro a terra, ed essen- do quindi più limitata e impegnativa la sua organizzazione, è quasi sempre una occupazione a tempo parziale: nelle vicinanze dei borghi di pescatori si notano infatti quasi sempre coltivazioni orticole e comunque presenza di agricoltura che non appare nei centri di pesca dei mari settentrionali. Gli insediamenti costieri del Mediterraneo forniscono marinai oltre che pescatori, anche se, talora, neppure in quantità sufficiente: esiste infatti una certa interdipen- denza tra i diversi mestieri del mare (marinai per la navigazione a più ampio raggio, pescatori, marinai dediti al cabotaggio, attività fondamentale per l’economia di terra), ma anche fra i mestieri del mare e la pratica di attività agricole e manifatturiere. Non si naviga e non si pesca tutto l’anno ed è utile potersi procurare fonti di reddito aggiuntive durante la cattiva stagione.
La seconda risorsa naturale di base fornita dal mare è il sale che, oltre alla sua produzione, permette lo sviluppo di attività commerciali specializ- zate, così come la pesca (Tavola 13). Le saline, costruite nell’acqua, finisco- no peraltro per coinvolgere manodopera che lavora sulla terraferma, per la quale rappresentano importanti occasioni di lavoro. Non mi soffermo più di tanto su questo argomento, poiché abbiamo con noi un eccezionale esperto, il prof. Hocquet, che ci intratterrà con la sua Relazione; vorrei comunque sottolineare la differenza tra le saline più tradizionali, con le varie vasche di decantazione per fare evaporare l’acqua con il calore del sole, e il modo di estrarre il sale nei paesi con meno sole, riscaldando l’acqua con il fuoco.
Quest’ultimo sistema era assai diffuso, ad esempio, in Inghilterra dove per il riscaldamento si è usato per lungo tempo il legname, necessario in grandis- sima quantità: successivamente si è passati al carbone, ma comunque, per ottenere una tonnellata di sale, occorrevano da sei a otto tonnellate di com- bustibile (Tavole 14 e 15).
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7. Pesca del tonno a Cadice, in BRAUN 1572-1618: https://www.images.historyarchive.org/works/books/books-c/civitates-orbis-terrarum-v05-1596/maps/cadiz-almodraua-de-cadiz-large.jpg
8. Conil e la salatura del tonno (Spagna), in BRAUN 1572-1618: http://historic-cities.huji.ac.il/spain/conil/maps/braun_hogenberg_II_6_1_b.jpg
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9. Uccisione della balena, in COENENSZ 1577-1580, The Hague, Koninklijke Bibliotheek, Den Haag, KB, 78 E 54, fol. 53v-54r.
10. La pesca nelle acque interne, in A. VON PFORR, Buch der Beispiele, Universitätsbibliothek, Hei- delberg, Cod. Pal. germ. 466, c.53r. https://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/cpg466/0117/image
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11. Pescagione delle Anguille, in GRISELINI 1768-1778. Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Sala II.I.582, Tomo Primo, Tav. V.
12. Pesca del corallo, in GRISELINI 1768-1778. Firenze, Gabinetto Vieusseux, Col. 207207, Tav. 6.
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13. Bottega del sale, in IBN BUTLAN, Tacuinum sanitatis, sec. XV, Paris, Bibliothèque nationale de France, Latin 9333, c. 60v.: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b105072169/f132.highres
14. Hans Rodolf Manuel-Deutsch; Salina, in AGRICOLA 1561, p. 441:
https://books.google.it/books?id=2fFRqmy-yuEC&dq=agricola de re metallica libri XII&hl=it&pg=PA441
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15. Cottura del sale, in MAGNUS 1565, c. 166: https://archive.org/details/bub_gb_389ubv75CEgC/page/n383/mode/1up
16. Piano e profilo di mulini mossi dal flusso e riflusso del mare costruiti a Dankerque, in DE BELIDOR 1737, Tav. 26: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k5596688z/f376.highres
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17. Del modo di purgare e nettare i ponti, in MAGNUS 1565, c. 150v: https://archive.org/details/bub_gb_389ubv75CEgC/page/n352/mode/1up
Caratteristica di certe zone è stata infine la possibilità di utilizzare le maree e il moto ondoso come fonte di energia, ad esempio nei mulini, ma anche per rendere più agevole l’ingresso nei porti. La figura riporta lo sche- ma dell’Enciclopédie, con il piano e i profili di un mulino mosso dal flusso e dal riflusso del mare, costruito ed operante a Dunquerque (Tavola 16).
La ricchezza dal mare, investimenti e domanda di manodopera nelle città ma- rittime
Il secondo approccio al mare che questa Settimana propone concerne prima di tutto le città portuali, e gli investimenti nelle infrastrutture degli approdi: il pensiero deve cioè andare a dighe, moli di attracco, torri di se- gnalazione, darsene per le riparazioni e per la sosta durante i mesi invernali, magazzini. Il riferimento è, di necessità, molto generale ed ha l’unico scopo di segnalare ancora una volta la diversità delle competenze della manodope- ra impiegata nella realizzazione di questi lavori, le particolari occasioni di la- voro offerte alla popolazione di queste città, e l’ampiezza degli investimenti finanziari richiesti.
Vorrei però soffermarmi maggiormente su un aspetto non secondario di queste infrastrutture, cioè l’impiego di risorse finanziarie richiesto dalla loro manutenzione, dalle riparazioni, dal mantenimento della loro efficien- za, che deve essere garantito, e presentare un caso particolare che riguarda il porto di Genova: una serie di complessi lavori che vengono compiuti du- rante il XV e il XVI secolo per il mantenimento della profondità dei fondali, con una tecnica assai efficiente, specialmente se paragonata ad altri sistemi più tradizionali (Tavola 17).
La tecnica usata e le varie operazioni compiute, con i particolari anche degli strumenti impiegati, sono chiaramente individuabili, grazie a delle grandi tele che rappresentano i lavori, conservate presso il nuovo Museo del Mare di Genova.
I lavori furono eseguiti nel 1445, nel 1575 e nel 1597, finalizzati a rag- giungere e mantenere una profondità di m. 3,225. I primi interventi, a metà del Quattrocento, riguardarono la Darsena e rappresentano un caso emble- matico, sia per l’ampiezza del progetto realizzato, sia per la raffigurazione particolarmente curata e ricca di particolari, sia perché ci è pervenuta tutta la documentazione amministrativa e contabile relativa all’intervento stesso (Tavola 18).
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18. Dionisio di Martino, Escavazione del fondo marino del Mandraccio nel 1575, Genova, Museo Navale.
19. Cristoforo Grassi, Escavazione del fondo marino fra i ponti Spinola e Calvi nel 1597: particolare della palizzata tra i due ponti. Genova, Museo Navale.
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20. Genova: «Cicogne» usate per il prosciugamento (partic. della tavola 18).
21. Genova: trasporto dello «zetto» (partic. della tavola 18).
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22. Genova: battello per lavorare a secco sul fondo del porto.
23. L’Arsenale di Venezia, in DE ROGISSART1709, p. 97: https://bildsuche.digitale-sammlungen.de/viewer/templates/viewimage.php?bandnummer=bsb11249712&pimage=00180&v=100
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24. Anonimo, Galeone sullo scalo di costruzione (Genova, sec. XVII) Genova, Museo Navale.
25a. Il cantiere navale della VOC agli inizi del XVIII secolo. Genova, Museo Navale.
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25b. Marina - Cantiere di costruzioni navali, in Recueil de Planches 1769.
26a. Riparazioni navali.
26b. Carenaggio con ‘sbandata’ partic, di V. Carpaccio, Storie di Sant’Orsola. Vene- zia, Musei Civici.
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27. Macchina per portare una nave in porto, in BESSON 1578, fig. 56: https://archive.org/details/Theatruminstrum00Bess/page/56/mode/1up
Il lavoro consistette in:
a) la costruzione di una palizzata impermeabile che facesse da diga al mare tra due moli (Tavola 19);
b) l’estrazione dell’acqua con le «cicogne», cioè con grandi cucchiai con manico molto lungo, o pali con secchi, messi a bilanciere, ognuna delle quali richiedeva due uomini per essere manovrata (Tavola 20);
c) una volta svuotato il bacino dall’acqua, il fondo era ripulito metten- do i detriti nelle «coffe» o ceste, che venivano rovesciate all’esterno della palizzata, sui pontoni o su barche (Tavola 21); i detriti erano poi trasportati fuori dal porto, al di là della Lanterna, o con le stesse barche, oppure, quando non ve ne erano a sufficienza, scaricando lo
“zetto”a terra e trasportandolo poi con i carri;
d) ne derivò una grande necessità di manodopera, specializzata durante la prima fase (maestri d’ascia, calafati, margoni, cioè palombari, etc.), ma anche una grande quantità di lavoratori generici.
Qualche dato per quanto concerne i lavori del 1545 nella Darsena, per raggiungere una profondità di metri 3,225:
– i lavori durarono 97 giorni, da inizio marzo a metà luglio, per non dan- neggiare la navigazione ed i traffici;
– l’esborso fu pari a circa 40.000 lire genovesi, cioè al costo di quasi quattro navi da cinquecento tonnellate di stazza ciascuna;
– il numero di giornate-uomo complessivamente utilizzate fu pari a 81.392, di cui 5000 di notte, alla luce delle torce;
– il numero di persone impiegate fu pari a 18.039, facendo lavorare ogni soggetto 4-5 giornate ciascuno;
– contemporaneamente lavorarono fino a 1000 persone, specialmente du- rante le fasi di svuotamento e di scavo.
Importante inoltre ricordare, ai nostri fini, come molti di questi lavori (ad esempio proprio nel caso di Genova) fossero predisposti in periodi di de- pressione economica, per impiegare la popolazione disoccupata. Altre volte si trattava invece di necessità effettive delle strutture ed in questo caso tutta la popolazione dello Stato veniva obbligata a prestazioni d’opera spesso gratuite.
In alcuni casi, nuovamente con riferimento, al porto di Genova, venne pre- cettata la popolazione delle Comunità del Dominio e delle due Riviere.
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Solo molto tempo dopo si comincerà ad usare dei battelli speciali, che permettevano di lavorare «a secco» sui fondali, ad una profondità dai quat- tro agli otto metri (Tavola 22).
I cantieri navali rappresentano un’altra opportunità imprenditoriale a disposizione dei territori e dei centri urbani sul o vicino al mare.
Le Tavole 23-25 rappresentano vari sistemi operativi e varie economie:
l’Arsenale di Venezia è statale, accentrato, una vera e propria impresa eco- nomica, importante per la città, con una manodopera specializzata che, pur essendo raggruppata in corporazioni, è quasi salariata dallo Stato, che è
«imprenditore navale».
L’esempio opposto è dato dalla cantieristica genovese, sulle spiagge, vi- cino ai luoghi di rifornimento del legname: si tratta sempre di cantieri im- provvisati, che scompaiono dopo il varo dello scafo, successivamente alle- stito e rifinito nel porto dall’armatore, quasi sempre un soggetto privato.
L’economista Gerolamo Boccardo, nella seconda metà del XIX secolo, defini- sce infatti i cantieri navali genovesi come «la tenda dell’arabo», che viene trasferita secondo le necessità, in questo caso economiche, vicino alle risorse di materie prime, mentre normalmente la manodopera si sposta.
Specialmente nell’Europa settentrionale vi sono cantieri, non necessa- riamente statali, complessi e attrezzati e, nel XVII e XVIII secolo, anche tecnologicamente più avanzati. L’ultima esemplificazione riguarda i cantieri navali della VOC olandese, modernamente strutturati con a fianco un mo- dello di cantiere del nord-Europa, così come è rappresentato all’interno della settecentesca Enciclopédie.
Di non minore importanza, rispetto alla cantieristica, si collocano le ri- parazioni navali, di cui gli scafi hanno continuamente bisogno. La fatica della manodopera in questa attività è l’elemento unificante, sia nei secoli più lontani, come nelle più comuni e tradizionali operazioni di carenaggio «con sbandata», cioè facendo inclinare la nave; o nella, forse immaginaria, mac- china per portare la nave all’asciutto nel porto. Oltre all’impiego di mano- dopera ed alla necessità di investimenti si può sottolineare che anche la tec- nologia riceve uno stimolo da queste opportunità di lavoro (Tavole 25-27).
Continuando l’esame delle opportunità economiche che il mare offre alle comunità ed ai territori che lo possono sfruttare, non possiamo dimen- ticare i prelievi fiscali di cui godono i centri che hanno il controllo di passaggi obbligati, come il Sund, tra il Mare Baltico ed il Mare del Nord. Ne sono te- stimonianza gli imponenti edifici delle Dogane, centro delle riscossioni, come
quelle di Venezia (Tavola 28). Così non sono da dimenticare i noli che ar- ricchivano mercanti e armatori e quindi erano indirettamente un’entrata per l’economia delle città marittime.
Parlando di cantieristica ci si sarebbe dovuti forse soffermare più a lungo (ma altri ci penserà durante la Settimana), sopra l’importanza delle risorse di legname, che legano i boschi della terraferma con l’attività di costruzione dei vascelli destinati a solcare il mare. Molte volte si manifesta un collega- mento territoriale tra la materia prima e la sua utilizzazione, nonostante la necessità di legnami di diverse qualità a seconda delle varie parti della nave cui sono destinati; più spesso occorreva andare anche lontano alla ricerca del legname necessario, specialmente per le costruzioni navali del Mediter- raneo, dove nel XVI secolo ormai molti boschi risultavano esauriti. Certo il legname è sempre stato una grande risorsa per i paesi nordici, e da essi arri- vava nel Mediterraneo, anche se, peraltro, al momento della sua utilizzazio- ne il costo del trasporto rappresentava anche il 95% del prezzo.
Non sempre esiste una sinergia tra il mare e le isole: non tutto è positi- vo infatti nei rapporti tra il mare e la terra che lambisce, cioè le coste (quelle che F. Braudel definisce «nastri di terra»), ma in particolare il mare condi- ziona la vita delle isole.
Piccole o grandi che siano, la loro importanza deriva di norma dal fatto che sono scali lungo le rotte commerciali e offrono spesso riparo in acque tranquille durante le difficoltà della navigazione. Hanno in comune, inoltre, un arcaismo che le condiziona, se pur in modo diverso: il mare da un lato le mette in comunicazione con gli altri, ma da un altro le avvolge e le separa dal resto del mondo.
Tre gli esempi relativi a realtà assai diverse:
– la Corsica (Tavola 29), colonia genovese fino alla fine del XVIII secolo:
terra di agricoltori, allevatori e montanari, con borghi lungo la costa abi- tati da pochi pescatori che svolgono l’attività in modo individuale, per il proprio sostentamento; gli approdi servono per barche e navi di marinai genovesi o di altri paesi, perchè il corso rifugge dal mare e da ciò che può offrire; è stretto nella sua lingua, nelle sue usanze, nella sua economia ar- caica di tipo pastorale. Persino all’interno le popolazioni delle varie vallate quasi non si frequentano. Certo il territorio montuoso non aiuta, ma la chiusura nell’autoconsumo è assai rigida.
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– la Sicilia (Tavola 30), certamente terra di agricoltura (cereali e agrumi), ma ricca di porti con traffici importanti; di pescatori che si spingono coraggiosamente in mare aperto; dotata di tonnare e di saline. Rappre- senta il rapporto più equilibrato con il mare; è più ricca, ma comunque senza strade al proprio interno. La salvano i suoi rapporti con il Medi- terraneo.
– Tabarca (Tavola 31), terzo esempio, con caratteristiche così particolari da essere irripetibili. Per un lungo periodo in mano ai Genovesi, tra XVI e XVIII secolo, pur essendo davanti a Tunisi; punto di riferimento per la pesca del corallo (e di questa il monopolio è genovese), riesce a trasfor- marsi in un ‘emporio’, una zona franca, punto di collegamento con l’economia dell’Africa settentrionale. Deposito quindi assai importante di merci, anche se rimane, sempre, un «povero scoglio in mezzo al mare», come è definita da un Governatore genovese.
La pirateria e la guerra di corsa, le incursioni dei corsari e degli arabi sulle coste, obbligano le comunità a difendersi con opere particolari che richiedono investimenti anche di grande rilievo, la cui costruzione e manutenzione conti- nua durano anni e impiegano costantemente manodopera. Esistono così co- munità che cercano di difendersi lungo le coste; centri fortificati imponenti, specialmente nelle isole; città portuali fortificate verso il mare, ma anche verso il retroterra; coste poco abitate ma con importanti sistemi di avvistamento co- ordinati e costantemente controllati (le torri), che implicano anch’essi esborsi finanziari maggiori che in terraferma. Ogni opera è comunque occasione di la- voro specializzato aggiuntivo rispetto ad una normale comunità urbana.
L’ultimo tema, ma non certo per importanza, è quello dell’amplia- mento delle conoscenze e dei rapporti culturali che il mare offre ai territori che lambisce.
È il tema più difficile da esemplificare specialmente con immagini. Si è scelto, quasi come un simbolo, la figura ‘immaginaria’ di Marco Polo (Ta- vola 32), che arriva ad Ormuz nel 1298, in una miniatura del Milione, sim- bolo (vedi ad esempio l’elefante) del concetto del nuovo. Anche i portolani, peraltro, testimoniano nelle loro raffigurazioni l’attenzione che veniva posta durante la navigazione, e poi riferita e riportata graficamente al ritorno, non solo a quanto poteva essere utile per viaggi successivi (approdi, secche, dif- ficoltà di navigazione), ma anche a tutto quello che di nuovo, di inusuale o di spaventoso si incontrava: animali esotici, appunto, fogge di abiti, abita-
zioni con caratteristiche diverse, fermo restando che nei più antichi esempi si sottolineano maggiormente gli scambi di conoscenze tra il Mediterraneo orientale, quello occidentale e le coste dell’Africa; ma non certo meno im- portanti sono stati i rapporti culturali tra Nord e Sud Europa, per arrivare successivamente a quelli con il Nuovo Mondo. È solo il caso di accennare allo scambio ed all’utilizzazione di nuovi o poco conosciuti prodotti ali- mentari e di oggetti, come profumi e pietre preziose, o gli stessi occhiali.
Ma la cultura è anche tecnica, ed è grazie al mare, ed ai contatti com- merciali che esso consente in modo più agevole, che assai spesso si diffon- dono i vari tipi di contratti, le tecniche finanziarie, gli usi mercantili.
Il riferimento è al Consolato del mare, considerando il mare come ele- mento di unione anche dal punto di vista delle regole, nonostante le dispute che avvengono tra XVII e XVIII secolo a proposito di un importante con- cetto, che si diffonde lentamente, quello di mare territoriale. Si tratta del primo esempio di normativa commerciale e di diritto della navigazione che si diffonde e che lentamente, con vari aggiustamenti funzionali alle realtà locali, viene accettato in tutti i porti del Mediterraneo (Tavola 33).
Vorrei chiudere con alcune frasi già accennate, ma che credo ci do- vranno accompagnare in questa Settimana di lavori che inizia oggi:
– l’Enciclopédie definisce il mare come «una grande distesa di acqua sa- lata che avvolge la terra», ma
– la vita del mare è mescolata alla terra e la sua storia non può quindi es- sere separata dal mondo terrestre che avvolge;
– poiché l’uomo domina la terra, la storia di questa distesa di acqua salata è la storia dell’uomo nei suoi rapporti con il mare.
– Se dal mare risorse, novità, conoscenze, sviluppo economico, hanno come primo punto di arrivo le coste, da queste si incanalano poi neces- sariamente verso le zone continentali: il mare riesce cosi ad arrivare con la sua poliedrica influenza anche dove il mare non c’è. *
* La Bibliografia coincide con quella delle Relazioni che compaiono negli Atti della Settimana, dalla preventiva lettura delle quali si è tratto spunto per questo intervento.
IL MARE COME FATTORE DI SVILUPPO E DI INTEGRAZIONE ECONOMICA
28. Dogana di Venezia, inGalerie agreable 1733. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, © Roma, Biblioteca Casanatense, N.IX.9-30, v. 11, tav. 64.
29a. Corsicae antiquae descriptio, Galerie agreable 1733. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, © Roma, Biblioteca Casanatense, N.IX.9-30, Vol. XIII, tomo 38, tav. [31s].
IL MARE COME FATTORE DI SVILUPPO E DI INTEGRAZIONE ECONOMICA
29b. Italia settentrionale e Corsica, in MÜNSTER 1552, p. 143:
https://books.google.it/books?id=d95EAAAAcAAJ&hl=it&pg=PA143
30. Sicilia e Napoli, in BARENTSZ 1595, The Hague, Algemene, Rijksarchief, section VEL F.
IL MARE COME FATTORE DI SVILUPPO E DI INTEGRAZIONE ECONOMICA
31a. Anonimo, L’isola di Tabarca. Seconda metà XVII secolo, Genova, Museo Navale di Pegli.
31b. Prospettiva dell’isola di Tabarca verso Greco, in Memorie dell’isola di Tabarca raccolte e scritte da Stefano Vallacca, Biblioteca Reale di Torino, Manoscritti di Storia Patria, Miscellanea 900 P.
32. Marco Polo approda a Ormuz, nel Golfo Persico, In MARCO POLO, Le Livre des merveilles du monde, 1410. Paris, Bibliothèque nationale de France, Ms. Fr 2810, c. 14v.: https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b52000858n/f36.highres
IL MARE COME FATTORE DI SVILUPPO E DI INTEGRAZIONE ECONOMICA
33a. Frontespizio del Libro del Consolato del mare, 1502, ed. Luschner.
33b. Prima pagina del Libro del Consolato del mare, 1502, ed. Luschner.
Genova e il Mediterraneo occidentale
Per affrontare questo tema non si può non partire dalla citazione di al- cune definizioni di Fernand Braudel, per il quale il Mediterraneo non è un mare, ma una successione di pianure liquide, comunicanti per mezzo di porte più o meno larghe, sottolineando inoltre, con particolare riferimento all’Italia, come in esse «la mer est le prolongement des terroirs». La storia del Mediterraneo non è separabile dal mondo terrestre che l’avvolge: io ag- giungerei che l’affermazione può anche essere ribaltata.
Sono questi spazi limitati, definiti sempre dallo stesso Autore narrow seas che, con proprie, speciali, caratteristiche, hanno sempre rivestito una notevole importanza sociale ed economica, in quanto, grazie alle rotte ma- rittime che li congiungono, e all’alternarsi del predominio diversificato dei vari centri portuali, hanno favorito lo sviluppo di grandi commerci e di scambi di culture differenti.
In questo panorama, i Genovesi risultano ben consapevoli della propria posizione geografica: e quando parlo di ‘Genovesi’ la denominazione ha come riferimento tutti gli abitanti della Repubblica; uno Stato composito, unitario, ma non certo amalgamato e coeso politicamente, anche se gli interessi eco- nomici degli abitanti nei confronti del mondo esterno sono in larga parte co- incidenti, nonostante l’incombente presenza della città Dominante.
La vocazione marittima internazionale della Repubblica con lo scalo principale e quelli delle due Riviere, è evidente fin dai tempi più antichi, e si relaziona alle difficoltà economiche del territorio e della popolazione, cui è necessario assicurare regolari rifornimenti delle derrate fondamentali, indi- spensabili anche per mantenere la pace sociale; occorre inoltre procurare materie prime per le importanti manifatture, da cui dipendono salari e red- dito per la manodopera ampiamente disponibile.
Il presidio delle proprie coste mediterranee è costante, al punto che tutte le navi sono obbligate a sostare prioritariamente ed a scaricare le proprie mer-
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* Presentato al Convegno Internazionale della Società degli Storici dell’economia su L’economia italiana nel contesto mediterraneo in Età moderna e contemporanea, Università de- gli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, 12-13 novembre 2015.
canzie nella città capitale; solo successivamente, soddisfatti i diversificati si- stemi di tassazione, queste possono raggiungere i porti minori o, per via di terra, i centri padani, nei confronti dei quali la Liguria rappresenta l’unico var- co aperto verso il mare. Il cabotaggio è, quindi, una componente di notevole peso, indispensabile per la precarietà e la quasi inesistenza di comunicazioni lungo le coste terrestri: all’inizio del Cinquecento i vettori impiegati in questo settore rappresentano il 10-15% della portata complessiva delle navi maggiori, su una flotta che ammonta a circa quindicimila tonnellate di stazza, cifra pros- sima a quella della marina veneta e superiore a quella della marina ragusea la cui esplosione si sarebbe verificata solo successivamente. I Genovesi, inoltre, svolgono una parte cospicua dei propri trasporti per conto terzi, anticipando in questa direzione la successiva specializzazione olandese.
Proprio per queste caratteristiche di internazionalità, la Repubblica è molto attenta allo specifico controllo del mare prospiciente la propria costa:
esso viene indicato come «Mare nostrum» o ancora più spesso come «Mare Ligusticum», ma in una accezione molto particolare, come risulta nelle mappe nautiche: esso comprende ampiamente l’alto bacino tirrenico, tra le isole di Capraia, l’Elba e la Corsica settentrionale, con una espansione occi- dentale che arriva fino a Marsiglia.
Le allegorie e i miti che, nel tempo, hanno voluto rappresentare Genova ed il progressivo espandersi del suo prestigio nell’ampio specchio del Mediter- raneo, partendo da una stretta striscia di terra compresa fra montagna e acqua salata, sono una testimonianza di questa precisa realtà economica, anche se talora in forma un po’ iperbolica. Una delle raffigurazioni più famose, quella del Ripa, nel 1603, rappresenta, ad esempio, la Liguria come una «Donna ma- gra (ossuta verrà aggiunto in epoca successiva), di aspetto virile e feroce, sopra di un scoglio ... haverà una veste succinta con ricamo d’oro …» e in testa un elmo. Magra, cioè con riferimento al territorio sterile che deve essere di sti- molo agli abitanti nel cercare diverse opportunità di guadagno, mentre la veste aurea tende a denotare le ricchezze che questa popolazione riesce ad acquisire in tempi diversi. Certo più significativa ai nostri fini è senz’altro la seconda parte della descrizione, in cui si aggiunge «Terrà la destra mano aperta, in me- zo della quale vi sarà depinto un occhio ... e appresso al lato destro vi sarà un timone …»; cioè da una parte l’industria «con la quale supplisce al manca- mento naturale del paese, nel procacciarsi in varie arti tutte le cose che fanno al ben vivere. Ma queste arti sono soprattutto il maneggio della navigazione, che con singolare maestria si esercita». Unica concessione all’agricoltura, la palma nella mano sinistra, simbolo anche dell’azione e dell’attenzione del sol-
GENOVA E IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE
dato (pensiamo alle guerre con i Saraceni, su cui torneremo); secondo alcuni l’occhio è il simbolo del genovese che posa lo sguardo su tutto quanto gli è edificato intorno, lontano e vicino, ma specialmente verso il mare, rispetto alla vicina linea della montagna.
Liguria da RIPA 1603, p. 249: https://archive.org/details/iconologiaouerod00ripa/pa- ge/249/mode/1up