• Non ci sono risultati.

(CAP. CCCXXIII-CCCXLVIII) 1

/365v/ Cap. CCCXXIII: tratta di coloro che in amore contro la ragion naturale approfittano dei loro piaceri, e parla di una storia che accadde tra il grande re Antioco e sua figlia, che egli violentò dopo la morte di sua madre.

/366r/ Si racconta in una cronaca antica che è chiamata Pantheon, di come il grande Antioco che da Antiochia prese originariamente il suo nome, fu sposato con una nobilissima regina, dalla quale ebbe una figlia. Però il destino fece sì che la vita di questa onorata regina le fosse tolta,2 e per questo motivo il re sentendosi solo senza compagna, provò dentro si sé tanta tristezza, come colui che non aveva altra donna in casa sua che fosse conosciuta, ad eccezione di sua figlia, la cui bellezza allora era senza pari. Ma l’uomo, quando è pieno di vizi e vive a suo piacimento, per la debolezza della sua carne molte volte cade nel peccato; cosa che nel giro di poco tempo patì quella donzella, sua figlia, che per ordine di suo padre viveva rinchiusa nella sua stanza, e per colpa della cupidigia di soddisfare un desiderio malvagio, non tenendo conto della propria coscienza, accecò suo padre con la concessione di piaceri, mentre egli di sua intenzione fece in modo che sua figlia si perdesse per sempre. Quindi egli, accondiscendendo alla sua volontà, quando vide che arrivò il suo momento, allungò le mani su questa sua figlia. Ed ella, come una ragazza piena di timore, non si seppe difendere da colui che con la forza la privava della verginità, così che per quanto ella allora piangesse, a poco le servì /366v/. Poiché le donne che le erano state affidate come

1

Traduzione basata sull’edizione della CA del manoscritto dell’Escorial che A.D. Deyermond ha esaminato nel 1971 e dal quale ha ottenuto una copia. Nella sua edizione Deyermond ha regolarizzato l’uso della I e J, U e V; ha modernizzato la punteggiatura, gli accenti, l’uso delle maiuscole e la suddivisione delle parole. Inoltre, per quanto riguarda l’accentuazione di nomi classici poco comuni, si è basato su delle supposizioni in quanto è difficile decidere la variazioni degli accenti di certi nomi, ad esempio Pentapolín o Pentápolis.

2 Il destino accidentalmente portò con sé la vita della regina, moglie di Antioco, lasciandogli una figlia. Questa parte può essere messa in relazione con la morte della moglie di Apollonio che a sua volta lasciò una figlia. Questo parallelismo però non è specificato nell’edizione HART.

59 guardiane, come la sua fortuna lo volle,3 erano tutte fuori dalla stanza. In questo modo quella donzella a causa di suo padre conobbe la prima volta cosa significasse toccare un uomo. Dopo che questa azione4 venne compiuta, la quale secondo la logica è molto detestabile ed è contro natura, il re suo padre uscì dalla stanza. Ed ella rimase dentro [la stanza] con un gran sentimento di angoscia5 e paura che provò a causa della vergogna e a causa del peccato che era stato commesso. E così fu che la prima [donna] che entrò nella stanza in cui la ragazza stava, era una nutrice che l’aveva cresciuta sin da piccola, la quale le chiese perché era così triste e perché pareva così tanto addolorata. Ma ella, essendo molto angosciata per una cosa che non poteva essere vendicata a causa della vergogna che provava, non poté rispondere alla sua nutrice, eccetto che dopo poco tempo, piangendo e fortemente lamentandosi, le chiese perdono in questo modo: “Ah come sono triste! Perché sono nata in questo mondo, perché colui che mi ha generato mi ha spogliato del mio onore?” E con queste parole molte volte cadde svenuta, invocando sempre la morte a tal punto che stava per perdere lo spirito vitale. La nutrice, ascoltando ciò che diceva, per consolarla rispose dicendo: “Figlia, contrastare il malvagio /367r/ desiderio di vostro padre, è cosa che non può esistere, sebbene voi lo voleste. E siccome c’è il fatto non c’è rimedio, perché così si comporta chi non può far più nulla.” Così il re da quel giorno in poi, continuò a [soddisfare] talmente i suoi piaceri, che per il grande piacere che provava nel soddisfarli, offuscò il suo pensiero a tal punto che ciò che faceva non lo riteneva peccato; nemmeno ella, sua figlia, dal suo canto non osava contraddirlo. La fama, che [va]6 in diversi luoghi e in molte zone, rese nota la bellezza e l’alto lignaggio di questa donzella, così che molti principi onorati giunsero con lo scopo di sposarsi con lei. Altri invece inviarono a suo padre la richiesta, come coloro che credevano che soltanto onore ci fosse in lei.7

3 È “sfortuna” della figlia e “fortuna” del padre oppure può essere tradotto come “sorte”. Riguardo al tema della fortuna o meglio della “ruota della fortuna”; cfr. introduzione paragrafo 3.2.

4

Cfr. DRAE: la parola impiegata nel testo è “obra”, ma non può essere tradotta letteralmente e quindi in base al contesto attribuiamo il significato di “azione”.

5 Cfr. DRAE: nel testo è spesso presente il vocabolo “enojo, enojarse, enojado” il cui significato letterale è “rabbia, arrabbiarsi, arrabbiato”, ma in questo contesto assume il significato di “angoscia, angosciato, addolorato ecc…”.

6 Aggiunta dell’editore.

7 L’editore ha apportato una modifica rispetto al manoscritto di riferimento. Nell’edizione Deyermond che traduco c’è scritto: “[…] syno que toda onrra fuese en ella”, invece il manoscritto

60 Il re suo padre, quando vide che tutti desideravano sposarsi con sua figlia, pensò a come potesse impedire il matrimonio senza arrecare a sé il disonore. E alla fine istituì una legge, ossia che, chiunque vorrà chiedere la mano di sua figlia, se non verrà detta la verità riguardo a un enigma che egli gli domanderà, di sicuro verrà decapitato. Per questo motivo le teste di molti che morirono per questo enigma, venivano posizionate sulle lance davanti alla porta del palazzo del re, a tal punto che gli altri che erano più prudenti, per [paura] della mancata risposta, temevano di tentare8 questo matrimonio per non essere sottomessi a tale prova.

Cap. CCCXXIV: tratta di come il re Apollonio di Tiro arrivò ad Antiochia a

chiedere la principessa [erede al trono] come moglie.

Così accadde che il nobile re Apollonio signore di Tiro, cavaliere giovane, ed innamorato e molto valente, riflettendo sulle notizie che aveva sentito dire sul re di Antiochia, stabilì nel suo animo di sottoporsi all’avventura, per esaminare la sottigliezza di quell’enigma, e indovinarlo. E affrettandosi per la sua partenza e preparato quanto era necessario, con molte persone onorate attraversò il mare e proseguì il suo viaggio finché arrivò al porto di Antiochia sano e salvo. Questo nobile cavaliere Apollonio conosceva bene tutte le scienze naturali e altre cose erudite, inoltre le parole che adoperava erano pronunciate in maniera così gradevole che coloro che lo ascoltavano provavano moltissimo piacere nell’udirlo discorrere.9 Dopo che con tutti i suoi uomini fu approdato sulla terra ferma, subito si diresse al palazzo del re. Quando arrivò al suo cospetto, /368r/vedendo il momento giusto gli parlò del matrimonio con sua figlia. Ma il re gli rispose che, innanzitutto gli doveva dare la soluzione su un enigma che gli avrebbe chiesto, e nel caso in cui avesse sbagliato, era certo che non sarebbe scampato alla decapitazione. E Apollonio gli chiese quale fosse la domanda. Il re con lo sguardo

dell’Escorial scrive: “syno toda onrra que fuese.” Il significato è comunque positivo in quanto i pretendenti erano tutti a conoscenza dell’onore della principessa. Questa frase si può interpretare in due modi ma in tutti e due i casi la traduzione rimane invariata, ossia, uno che tutti i pretendenti erano consapevoli dell’onore della principessa, il secondo è che ritenevano che in lei ci fosse solo onore e purtroppo non era vero.

8

Cfr. DRAE: “acometer” alla voce numero 3 del dizionario della Real Academia riporta il significato di “intentar” cioè “tentare, provare”.

9 Cfr. Deyermond 1973: in questo passo possiamo notare l’unione delle tre caratteristiche associate al re Apollonio “armas, letras, sapientia”.

61 spaventoso e con una faccia severa gli espose il caso, e disse in questo modo: “Io faccio a me stesso un gran tradimento, mangiando la carne di mia madre il cui marito, mio padre ho premura di cercare, il quale altrettanto è figlio di mia moglie. 10 Chi a questa mia domanda mi vorrà rispondere e dare una soluzione, certamente si porterà via mia figlia. E se nella sua risposta errasse, stia certo di perdere la vita senza nessun’altra opportunità.11

Perciò disse il re ad Apollonio: “Figlio mio, sei avvisato di questa cosa, quindi vedi che la tua vita dipenderà da questa questione.

Cap. CCCXXV: riguardo la risposta di Apollonio.

Quanto all’enigma proposto dal re Antioco, dopo che Apollonio ebbe ripetuto i punti della suddetta questione, diede la sua risposta: “Re, se tu chiederai che io scopra la verità su questo tuo enigma, ti dico che è una cosa alquanto segreta tra te e tua figlia, la quale /368v/ riguarda soltanto voi due.” Il re allora pensò tra sé e sé che, se Apollonio avesse dichiarato questa cosa, per sempre egli sarebbe stato svergognato. Perciò con parole ingegnose già premeditate, disse così: “Figlio mio, visto che non sei ancora molto saggio, non c’è da meravigliarsi, in quanto non sei ancora arrivato all’età adulta. D’ora in avanti affinché tu non tenga in poco conto la tua vita che è in pericolo e, affinché su questa questione tu sia meglio

10 Cfr. confronto con le altre versioni: in CA «Yo fago a mí mesmo gran trayçión, comiendo la carne de mi madre cuyo marido mi padre yo cuydo buscar, lo qual otrosy es fijo de mi muger» “Io faccio a me stesso un gran tradimento, mangiando la carne di mia madre il quale marito, mio padre, io voglio cercare che inoltre è figlio di mia moglie”; in HART «Scelere vehor maternam carnem vescor quaero fratrem meum, meae matris virum, uxoris meae filium non invenio» “Mi cibo delle carni di mia madre; cerco un fratello mio, figlio di mia madre, marito di mia moglie, e non lo trovo”; in GR «Scelere, vehor, materna carne vescor, quero fratrem meum matris mee virum, nec invenio» (simile alla versione HART); in P «Scelere vereor, materna carne vescor; quero patrem meum, matris mee virum, uxoris mee filium, nec invenio» (simile alle altre due versioni); in I «la carne de la madre como, busco mi hermano, marido de mi madre, ni lo fallo» “la carne di mia madre mangio, cerco mio fratello, marito di mia madre, e non lo trovo”; in LA «La verdura del ramo escome la rayz, de carne de mi madre engruesso mi seruiz» “La verzura del ramo si ciba della radice, della carne di mia madre, nutro la mia cervice”; in PO «Soy el que tengo;/caí sin me levantar;/de lo injusto me sostengo:/entro do no puedo entrar» “sono colui che possiede e non possiede; caddi senza rialzarmi; mi aggrappo all’ingiustizia: entro dove non posso entrare”. Probabilmente in CA l’indovinello ha perso qualche parte, in quanto nel confronto con le altre versioni possiamo notare che HART, GR, I, P riprendono le stesse parole lievemente differenti tra loro, solo in LA e in PO cambiano del tutto.

11 Cfr. Deyermond 1973: “alçada” il significato è abbastanza chiaro “senza fallire, senza che ci sia un’altra opportunità”.

62 informato, voglio per la mia generosità concederti trenta giorni di tempo per rispondere.”

Con il permesso e il tempo concessogli, questo giovane principe partì e se ne andò nella sua terra,12 avendo inteso molto bene in cuor suo e anche attraverso le informazioni di altre persone, che il re gli aveva concesso quel tempo per spaventarlo e mettergli timore. E perciò, temendo un tradimento, perché (Apollonio) gli aveva detto la verità, immediatamente durante la notte senza tardare salì su di una nave e se ne andò verso Tiro, immaginandosi il pericolo che stava per correre, nel caso in cui avesse rivelato la relazione tra il re e sua figlia, perché era certo in cuor suo che, a causa della perfidia e del tradimento il re lo avrebbe perseguitato fino alla morte. Quindi per salvare la sua vita, [Apollonio] decise di sua volontà /369r/ di lasciare la sua terra per un po’ di tempo. E di notte, senza avvertire nessuno, uscì in mare aperto imbarcandosi su navi cariche di grano. E quando i marinai lo riconobbero, aprirono le vele e continuarono il loro viaggio.

Però parlare della preoccupazione che provarono gli abitanti di Tiro, quando seppero che il loro signore era fuggito, suscita pena raccontarlo. Poiché gli abitanti di Tiro persero tutta la serenità e il [buon] umore13 e manifestarono una così grande desolazione che smisero di cantare e ballare e di [praticare] tutte gli altri divertimenti; di modo che il piacere e l’allegria che erano soliti manifestare, si cambiarono nel loro contrario. A causa del dolore che ognuno provava in sé per ciò che era successo, tutti si vestirono a lutto e smisero di farsi la barba e tagliarsi i capelli; i bagni pubblici e le terme per tutta la città furono chiusi in quanto non c’era nessuna creatura che avesse voglia di giocare né di provar godimento, ma piangevano per Apollonio tutti con molto dolore così dicendo: “Ah signore! Che ne sarà di noi, dato che il nostro principe e regnante che ci faceva essere persone rispettabili, senza l’accondiscendenza e senza gradimento e senza piacere del suo popolo è fuggito così all’improvviso da noi?”

Ma ora torniamo a parlare della nostra storia che abbiamo iniziato.

12

Cfr. Deyermond 1973: “se fue para su tierra” è un errore dei traduttori, questa frase anticipa “se fue para Tiro” “se ne andò a Tiro”.

63

Cap. CCCXXVI: come Antioco [comandò] di avvelenare /369v/ Apollonio.14

Il potente re Antioco, molto furioso dentro di sé per la risposta ricevuta da questo principe di Tiro, si fece consigliare da un suo cavaliere alquanto traditore nell’agire, che si chiamava Taliarco. E gli diede una pozione velenosa all’interno di un cofanetto con una grande somma d’oro. Gli ordinò che, dopo che fosse partito, se ne andasse a Tiro il più presto possibile. E che non tralasciasse di uccidere questo principe Apollonio qualsiasi cosa accadesse. Allora questo malvagio cavaliere, intesa la volontà del re, si mise subito in un’imbarcazione e grazie al buon vento seguì il suo cammino finché raggiunse [il fiume]15 di Tiro dove sbarcò sulla terra. Arrivò nella città in cerca di una locanda per un certo periodo, e per non essere riconosciuto dalla gente che lì risiedeva, si travestì e se ne andò per le strade dove vide la gente piangere dolorosamente. E allora domandò a loro la ragione per la quale provassero un sentimento di tristezza così grande. Ed essi gli raccontarono tutta la storia di come il loro signore senza dir niente a nessuno, se ne fosse andato dalla sua terra e che non sapevano dove se ne fosse andato. E quando Taliarco seppe con certezza che quella era la verità e che il suo viaggio era stato invano, se ne tornò subito ad Antiochia e raccontò /370r/ al re tutto quello che aveva visto e ascoltato sulla fuga di Apollonio. Il re allora provò gran rancore, però quando vide il suo ingegno non lo aiutava a mettere in atto ciò che voleva, da lì in avanti placò la sua ira non prendendo in considerazione il fatto.

14

Nel testo riscontriamo la parola “yervas” che significa per l’appunto erbe velenose quindi ho estrapolato il verbo italiano “avvelenare”.

15 Deyermond ci attesta nelle sue note che qui è avvenuto un travisamento, non è “fiume” ma “riva, sponda”.

64

Cap. CCCXXVII: come Apollonio arrivò alla città di Tarso.

D’ora in poi, per conoscere le avventure che ebbe questo principe di Tiro, di cui ti cominciai a raccontare, così fu che egli proseguì il suo viaggio direttamente fino a Tarso e lì tocco terra.

In quella città allora viveva un ricco borghese chiamato Estrangulio, e, secondo quello che racconta il libro, sua moglie si chiamava Dionisia, e nella loro casa si sistemò questo principe Apollonio durante la sua permanenza lì. Così fu che gli abitanti di quella città da tempo per carestia pativano la fame, a tal punto che tutti stavano per morire. Però immediatamente, non appena Apollonio ebbe la notizia della sofferenza che pativano, di sua spontanea e generosa volontà fece arrivare del grano delle sue navi e lo inviò alla città senza ricevere alcuna ricompensa. Dalla creazione del mondo, nessun uomo /370v/ sulla terra aveva ricevuto così tanta gratitudine come gli abitanti di quella città diedero ad Apollonio. Così ordinarono di fargli una statua d’ottone dorato a sua perfetta immagine, che fu messa in mezzo alla piazza principale affinché guardando il suo volto, avrebbero ricordato il bene che quella città aveva ricevuto grazie a lui, cosicché questo ricordo sarebbe rimasto per sempre nel cuore di tutti gli uomini. Un giorno mentre Apollonio, andava in giro con alcuni fuori dalla città per svagarsi, un borghese di Tiro, chiamato Elcano, si mise in ginocchio davanti a lui e gli disse: “Signore, vi imploro davanti a tutti che pensiate a tutte le vostre cose e che vi proteggiate dal grande e potente re Antioco che cerca la vostra morte in tutte le maniere.” Apollonio lo ringraziò molto per la sua buona volontà e per il suo desiderio [di avvisarlo]. E gli fece sapere di nascosto che quando sarebbe arrivato a Tiro, non dicesse a nessuno che lo aveva visto a Tarso.

Cap. CCCXXVIII: [tratta] di come Apollonio partì da Tarso e dopo scomparve

in mare a causa di una tempesta.

La fortuna può sempre cambiare e non può rimanere tranquilla, visto che a volte è al suo massimo apice e a volte è al suo minimo, molte volte retta e altre inclinata,

65 e a volte piena di gioie e a volte piena di angoscia e /371r/ dolore,16 come ti mostrerà la storia che qui segue. Questo signore non smetteva di pensare a ciò che doveva fare in questo caso. Dentro di sé aveva poca tranquillità, e finalmente stabilì di trasferirsi da quel posto e di andare in cerca più a sud di un’altra terra straniera nella quale potesse soggiornare per un periodo. Allora salutò gli abitanti di Tarso e si mise in viaggio con le sue navi e prese la sua via dritta sul mare ovunque la fortuna lo volesse guidare. Tuttavia la fortuna vedendo operare nella sua solita maniera, volle dimostrare che sarebbe stata contraria a questo giovane principe. E così, mentre camminava per il suo viaggio, ben presto cominciò a far buio ed aumentare la tempesta così fuori da ogni logica che, nonostante la forza usata da ancore resistenti, non erano riusciti a trattener minimamente la nave che a causa della grande tempesta si rompesse. I marinai, con la paura che avevano, non sapevano come trovar rimedio per salvar le loro vite; piuttosto guardavano come l’acqua del mare li avrebbe inghiottiti e piangevano e provavano grande tristezza. Il re, vedendo che la nave era a pezzi e c’era poco da salvare, provò grandissima angoscia perché poi si distrusse l’albero maestro a pezzi e tutta la nave si ruppe. Così [la nave] se ne andò /371v/dove le onde la volevano portare finché non videro la terra. Allora non c’era nessuno che per salvarsi non facesse voto di [compiere] qualche pellegrinaggio. Tuttavia, nonostante tutto ciò che fecero e nonostante i marinai conoscessero l’arte del navigare, Nettuno non ebbe pietà di loro, ma piuttosto, come colui che del mare è il principale signore, scagliò la nave