Fig. 29: rilievo da Avignone. Scena di alaggio di un'imbarcazione gallo-romana. (DEMAN, 1987).
In un suo recente intervento Patrice Pomey ha ben delineato le peculiarità costruttive delle imbarcazioni fluviali rispetto a quelle dedite alla navigazione marittima:
"A causa della sua evoluzione in un ampio spazio aperto, la nave d'alto mare è meno direttamente dipendente dall' ambiente che la circonda. Il suo relitto costituisce un contesto archeologico coerente e bastante a sè stesso che ha poco rapporto con la particolare natura del contesto ambientale, spesso aleatorio. Al contrario, il battello fluviale o lacustre non può trovare la sua coerenza archeologica se non in rapporto al suo contesto ambientale di evoluzione, che è esso stesso un contesto unico, delimitato e maggiormente frequentato102."
Questa autorevole riflessione ci spinge immediatamente a porre l'accento su un aspetto essenziale della navigazione fluviale: la variabilità delle soluzioni tecniche adottate in relazione alle condizioni idrografiche e topografiche dei diversi corsi d'acqua. Pur accettando l'assunto teorico secondo cui il trasporto fluviale era più rapido ed economico di quello via terra, si dovrà di volta in volta valutare con cautela l'effettivo grado di navigabilità dei singoli corsi d'acqua, soprattutto quando il fiume doveva essere percorso controcorrente103. Del
resto, come vedremo meglio in seguito, lo stesso Edictum de
102 POMEY, 2011, P. 19.
Pretiis dioclezianeo segnala un significativo aumento di prezzi
nel caso del trasporto fluviale controcorrente104.
E' chiaro che nei casi in cui si disponeva di corsi d'acqua adatti alla navigazione sarebbe stata una follia non approfittarne105. Il problema consta nel valutare in quale
misura e in quali periodi i diversi fiumi potevano essere navigabili. Le fonti antiche sottolineano in più casi l'importanza delle vie d'acqua, soprattutto in relazione al trasporto dei prodotti agricoli dalla villa ai mercati vicini. Varrone (De Re Rust., I, 16, 2-6) sottolinea come la connessione della villa con viae et fluvii ne incrementi senza dubbio la produttività; Columella (De Re Rust., 1, 3) e Plinio il Vecchio (Nat. Hist., 17, 28), citando Catone, rimarcano parimenti l'importanza di entrambi i tipi di vie di comunicazione. Plinio il Giovane (Lettere, V, 6, 12), nel descrivere la sua vasta proprietà di Tifernum Tiberinum, racconta di come il Tevere trasporti in città tutte le derrate agricole prodotte a monte di essa. Strabone, poi (IV, 1, 14), riporta che "[...] il percorso che il Rodano affronta insinuandosi nell'entroterra è considerevole, consentendo la navigazione anche ad imbarcazioni di grossa portata, e raggiunge numerose parti della regione."
Fig.30: Ostia, Piazza delle Corporazioni. Mosaico raffigurante una scena di alleggio da un'imbarcazione marittima (a destra) ad una marittimo-fluviale del tipo caudicaria (BOETTO, 2011).
104Cfr. ROUECHÉ, 1989, P. 307; DEMAN, 1987, P. 81.
D'altra parte le notizie relative alle corporazioni dei
nautae106 dei codicarii107 e degli helciarii108 testimoniano della
intensa attività commerciale che si svolgeva lungo il corso dei fiumi. Queste testimonianze si riferiscono in larga parte ai maggiori corsi fluviali: il Tevere, il Nilo, il Rodano, il Reno; anche in questi casi casi, tuttavia, il trasporto non doveva essere sempre così semplice.
Accanto all'esaltazione della comodità delle vie fluviali, infatti, le fonti stesse ne sottolineano gli elementi di criticità legati soprattutto alla stagionalità o alle particolari condizioni morfologiche di alcuni tratti. Strabone (IV, 1, 14), sempre a proposito del Rodano, ricorda che in risalita a partire da Lione il fiume si fa "turbolento e difficile da navigare e parte del traffico, da questo punto, si svolge preferibilmente via terra su carri". Addirittura sul Nilo l'alaggio di imbarcazioni fluviali poteva dover essere interrotto a causa di condizioni avverse109.
Plinio il Giovane, nel prosieguo del passo poc'anzi citato
(Lettere, V, 6, 12), precisa che il trasporto delle derrate agricole
sul Tevere risultava agevole in inverno e in primavera, mentre in estate il fiume " [...] si abbassa e nel suo alveo disseccato rinuncia al suo nome di imponente fiume, che ritrova solo in autunno" ("[...] summittitur immensisque fluminis nomen arenti
alveo deserit, autumno resumit."). Plinio il Vecchio, poi,
riferendosi al corso più alto del Tevere, alla confluenza del Paglia e del Chiana110, ricorda come esso non fosse
praticamente più navigabile e per aumentare la portata del fiume si dovesse ricorrere a chiuse che venivano aperte ogni 9 giorni per sfruttare l'onda di piena (Nat. Hist., III, 5, 53). A tal proposito va ricordato che, in generale, i punti di sbocco di eventuali affluenti determinano sempre una diminuzione della soglia di navigabilità dei fiumi111.
Con questo non voglio sminuire l'importanza e la frequenza nell'utilizzo del trasporto fluviale, che ad esempio per la città di Roma costituiva senza dubbio un asse commerciale strategico112, ma tento semplicemente di porlo sotto una luce
obiettiva, che non ne sottovaluti gli aspetti problematici. Una questione non di poco conto era legata ad esempio alla
106 RUSSELL, 2008, P. 113. 107 BOETTO, 2011, P. 112. 108 QUILICI, 1986, PP. 198-200. 109Cfr. CASSON, 1994, P. 131. 110Cfr. QUILICI, 1986, P. 215. 111Cfr. QUILICI, 1986, PP. 213-214.
manutenzione del fiume: per quanto riguarda la Roma imperiale sappiamo che operazioni di drenaggio, rinforzo degli argini, costruzione di banchine, venivano condotte periodicamente, soprattutto dopo il forte impulso dato a queste attività a partire da Augusto ( Suet., Aug., 28; 30)113. A
ciò si aggiungeva la necessità di approntare adeguate strade carraie di alaggio lungo le sponde, ben testimoniate a Roma tanto dalle fonti quanto dalle evidenze archeologiche, ad esempio nelle zone del Ponte Milvio e di Montesecco114. La
risalita di un fiume, infatti, richiedeva necessariamente la pratica dell'alaggio dal momento che la sola populsione a vela, che pure spesso caratterizzava le imbarcazioni fluviali, non poteva fornire una spinta sufficiente115. Si ricordi a tal
proposito che il ricorso a cavalli o buoi per l'alaggio sembra essere introdotto in maniera sistematica solo in epoca piuttosto tarda, mentre in precedenza si ricorreva per lo più alla trazione umana offerta dagli helciarii; il numero di questi lavoratori poteva variare, a seconda dell'entità del carico e della difficoltà del percorso, tra le poche decine e le circa trecento unità116. Tale circostanza richiedeva chiaramente spazi
adeguati da poter percorrere lungo le sponde: ulteriore fattore di cui si dovrà tenere conto nel valutare la navigabilità di un corso d'acqua.
Fig. 31: Fiumicino, Museo delle Navi Romane.
113Cfr. QUILICI, 1986, PP. 200-201.
114 Qui si sono individuati camminamenti per l'alaggio larghi da 15,9 a 18,9 m. A tal proposito, QUILICI, 1986.
115Cfr. POMEY, 2011, P. 194; BOETTO, 2011, P. 112.
Per quanto riguarda le imbarcazioni, poi, le dirette evidenze delle frequenti riparazioni effettuate sugli scafi delle
caudicariae di Fiumicino (Fiumicino 1, 2, 3 databili tra il IV ed il
V secolo d.C.)117 sembrano confermare le difficili condizioni di
navigazione anche nel contesto di un fiume di grande portata e di intenso traffico come il Tevere118.
Fig. 32: modellino ricostruttivo della caudicaria Fiumicino 1. Mainz, Museum für Antike Schiffart.
II.3.2 Il trasporto di materiale lapideo
Se in generale il trasporto fluviale doveva richiedere una serie di cautele, ciò doveva essere ancor più vero nel caso di trasporti di carichi lapidei pesanti. Ho già ricordato il passo di Plinio che descrive il trasporto degli obelischi lungo il Nilo all'epoca ti Tolomeo Filadelfo per mezzo di navi doppie (Nat.
Hist., XXXVI, 14, 67-68); questo metodo va considerato
piuttosto eccezionale, ma usuale doveva comunque essere il trasporto lungo il Nilo di grandi quantità di graniti e basalti egiziani provenienti dalle numerose cave di questa regione119.
Parimenti il marmo frigio di Docimium, oltre ad un primo
117Cfr. BOETTO, 2011, PP. 104-108.
118Va notato, in effetti, che oltre alle irregolarità e ai pericoli insiti nelle caratteristiche morfologiche del fiume, un importante fattore di rapida usura per queste imbarcazioni doveva essere costituito anche dalle frequenti operazioni di approdo e di alleggio da un natante all'altro.
tratto da percorrere necessariamente via terra, doveva confluire ad Efeso o a Nicomedia sfruttando rispettivamente il corso del Meandro o del Sangario120. Strabone (V, 3, 11) ricorda
che il Travertino giungeva a Roma sfruttando le vie d'acqua dell'Aniene e del Tevere. D'altra parte il conferimento per via fluviale di materiale da costruzione proveniente dalle cave di tufo dei dintorni di Roma (vd. supra, cap. I) è archeologicamente ben attestato: un esempio interessante è costituito dal complesso del Barco, con le sue cave di tufo coltivate a pochi metri da un'ansa dell'Aniene (Fig. 33)121.
Strutture simili, con cave ricavate direttamente in prossimità dei corsi d'acqua ed attrezzate per il trasporto fluviale, si riscontrano anche lungo il fosso di Grotta Oscura, a Pietralta e a Salone, sempre sull'Aniene, e a Porto S. Agata lungo il Tevere122.
Peraltro recenti ricognizioni hanno individuato una vasta rete di approdi fluviali lungo il Tevere, ad ulteriore riprova della vivace attività fluviale in epoca romana123.
Fig.33: il complesso del Barco sull'Aniene in uno schizzo di Lanciani. (QUILICI, 1986)
Fin qui alcune testimonianze relative al trasporto lapideo a favore di corrente. Quanto a marmi e pietre "in arrivo", dunque trasportate risalendo i fiumi, ancora una volta la destinazione maggiormente coinvolta sotto il profilo quantitativo era Roma.
120Cfr. BARRESI, 2002.
121Cfr. QUILICI, 1986, PP. 209-210.
122Sull'argomento, QUILICI, 1986, P. 211.
I recenti progressi nello studio delle strutture di Portus hanno permesso di comprenderne con una certa precisione le dinamiche logistiche e l'inquadramento topografico dei vari settori del porto124.
Fig. 34: ricostruzione di Portus con l'indicazione della circolazione di imbarcazioni di diverse categorie. Disegno G. Boetto. (BOETTO, 2010).
Come ben visibile in figura 34, le navi di portata grande e molto grande limitavano la propria navigazione solo ad alcuni settori del porto, in particolare il canale d'accesso, il bacino esagonale e, in minor misura, la darsena ed il canale di comunicazione traverso125. Da queste navi le merci venivano
trasbordate su altre imbarcazioni a portata inferiore, per poter risalire lungo la fossa traiana verso il Tevere e quindi giungere a Roma. Allo scopo di trasportare derrate alimentari lungo questa tratta rispondevano le naves caudicariae, natanti di tipo marittimo-fluviale di tradizione costruttiva locale, dotate di un fondo piatto e di un albero da alaggio spostato verso il terzo di prua e munito di vela126.
124Cfr. KEAY, BOETTO, 2010; BOETTO, 2010.
125Cfr. BOETTO, 2010, PP. 119-123.
Fig.35: ricostruzione di un rilievo da Salerno che rappresenta una navis caudicaria (BOETTO, 2008). Si noti l'albero dotato di agganci utili al fissaggio delle funi necessarie
all'alaggio.
Fig.36: rilievo in terracotta da Isola Sacra raffigurante una navis caudicaria.
Le naves lapidariae di grande stazza dovevano necessariamente stazionare fuori dalla fossa traiana affinché il loro carico venisse trasbordato su imbarcazioni di dimensioni più ridotte per poter essere conferito alla statio marmorum, situata sulla riva sinistra della fossa (vd. Fig. 34)127. Non è
chiaro, purtroppo, quale fosse la tipologia di queste imbarcazioni fluviali per carichi pesanti utilizzate sul Tevere, ma non si può escludere, anche sulla base di confronti con epoche più recenti128, che si trattasse di chiatte (Fig.37)129. 127Prima della costruzione del porto di Claudio i marmi giungevano, sempre per mezzo di
canalizzazioni, alla statio marmorum della Marmorata, sulla riva destra del Tevere ai piedi dell'Aventino; cfr. BRUNO, 2002, P. 193.
128Cfr. QUILICI, 1986, P. 213.
Fig. 37: a sin. alaggio di una chiatta sul Tevere. Stampa di G. Van Wittel dallo studio sulla navigabilità del Tevere di C. Mayer (1676); a destra la chiatta utilizzata per il trasporto dell'obelisco di Mussolini nel 1928.
Bisogna tuttavia precisare che, basandoci sui dati forniti dai relitti, i casi di naves lapidariae caratterizzate da carichi eccedenti le 150 ton di peso non sono molti: la media dei pesi dei carichi si attesta tra le 90 e le 160 ton. Si potrebbe pertanto azzardare l'ipotesi che queste navi potessero percorrere direttamente la fossa traiana, larga 50 m e piuttosto profonda130, almeno fino alla statio marmorum di Isola Sacra,
dopo aver atteso nel bacino di Claudio propizie condizioni di navigabilità del canale di Fiumicino131; tale eventualità avrebbe
però richiesto, a mio avviso, navi provviste di remi che garantissero la propulsione necessaria a risalire la fossa
traiana. Se così fosse, solo i carichi delle naves lapidariae dalla
portata elevata avrebbero dovuto essere spostati, per mezzo di macchine come quelle descritte in precedenza, su imbarcazioni fluviali. Accorgimenti del tutto particolari dovettero poi essere approntati in occasione del trasporto di carichi davvero eccezionali: è il caso del canale utilizzato per il conferimento dei due obelischi al Mausoleo di Augusto nel Campo Marzio132.
Non esistono, tuttavia, evidenze archeologiche in grado di suggerirci le tipologie di imbarcazioni utilizzate per queste operazioni. Ciò non è vero invece per quanto riguarda altre aree del mondo romano, che hanno restituito i resti, spesso ben conservati, di imbarcazioni fluviali dedite al trasporto di materiale lapideo.
130Cfr. KEAYET AL., 2005, PP. 288-289.
131Cfr. BOETTO, 2010, P. 123.
II.3.3 Le imbarcazioni romano-celtiche e gallo-romane utilizzate nel trasporto di materiale lapideo
Fig.38: modello ricostruttivo del battello Arles-Rhône 3 con il suo carico di blocchi di pietra calcarea. (AA.VV. 2011).
Gli scavi effettuati lungo fiumi e laghi delle antiche Gallia e Germania hanno portato alla luce una corposa serie di relitti relativi ad imbarcazioni, anche di grandi dimensioni, utilizzate per la navigazione interna133. Questi relitti, databili ai primi tre
secoli d.C., appartengono ad una tipologia di battelli assimilabili a chiatte che svolsero un importante ruolo nel trasporto di merci134, e probabilmente anche di truppe
militari135, soprattutto tra i bacini del Reno, del Rodano e della
Mosella.
Fig39: distribuzione dei relitti di imbarcazioni a fondo piatto. (BOCKIUS, 2004).
133Cfr. BOCKIUS, 2004.
134Cfr. RIETH, 1998.
Le caratteristiche costruttive di queste imbarcazioni, definite romano-celtiche o gallo-romane a seconda dell'area di provenienza (Europa centro-settentrionale o Francia), si distinguono principalmente per tre elementi: fondo piatto; forma allungata, con un rapporto medio tra larghezza e lunghezza di 1:7136; assemblaggio tra fasciame ed ordinate
effettuato per mezzo di chiodi di ferro, anziché con il metodo di fissaggio a mortase e tenoni tipico dell'architettura navale mediterranea137. All'interno di questa tipologia di massima si
registrano ovviamente delle variazioni, ad esempio nel profilo delle murate, di solito ad angolo retto in contesti nordici (Fig.40) (relitti olandesi di Zwammerdam 2, Woerden 1, Xanten-Wardt D)138, e più arrotondato in contesto gallico
(Fig.41)139. Altre variabili potevano riscontrarsi nella forma di
prua e poppa, più o meno affusolate e dotate o meno di un profilo piatto per facilitare le operazioni di carico/scarico delle merci (Figg.41-42).
Fig.40: relitto di Woerden 1, pianta e sezioni. (BOCKIUS, 2004).
Sebbene non tutti i relitti abbiano restituito i resti della scassa (Fig. 42), è assai probabile che tutte queste chiatte possedessero un albero di alaggio, piuttosto spostato verso prua e dotato di vela per aiutare la navigazione a favore di corrente. Le manovre erano effettuate per mezzo di un grosso remo/timone posto a poppa. Il grande vantaggio tecnico di questi natanti era costituito dalla loro capacità di navigare in
136Cfr. BOCKIUS, 2004, P. 109.
137Cfr. RIETH, 1998.
138Cfr. BOCKIUS, 2004.
acque estremamente basse: la maggior parte di essi necessitava di poco più di 10 cm di acqua per dislocare il proprio peso a vuoto140. Tale capacità era dovuta ovviamente
alle proporzioni fortemente sbilanciate nel senso della lunghezza, che permettevano di distribuire il carico su una superficie molto ampia. Sulla base di questi presupposti un battello come quello di Mainz 6, lungo circa 40 m e largo 5,5 m, avrebbe potuto agevolmente trasportare una colonna di 40 piedi di lunghezza e 30 ton di peso, come quelle visibili nella cattedrale di Treviri141.
Fig. 41: modellino ricostruttivo del relitto di Arles-Rhône 3. Si noti la forma di poppa e prua, aperte alle estremità.
Fig. 42: relitto di Xanten-Wardt D. Si notino le basse murate rinforzate e ad angolo retto, la scassa per l'albero e la prua aperta.
Dati più precisi, e per noi ancor più interessanti perché relativi ad un'imbarcazione rinvenuta in connessione con un carico di blocchi di calcare, provengono dal relitto di Arles-
Rhône 3 (Figg.38 e 43), individuato nel porto romano di Arles
140Cfr. BOCKIUS, 2004, P. 109.
sulla riva destra del Rodano, ad una profondità di 4-8 m142. Il
relitto, in ottimo stato di conservazione, ha restituito un battello fluviale di tipo gallo-romano databile alla metà del I secolo d.C., che doveva misurare 31 m di lunghezza per 3 m di larghezza (dunque in una proporzione di 10:1); il bordo libero (ovvero la distanza tra il livello dell'acqua ed il ponte) doveva attestarsi, a vuoto, poco al di sotto del metro di altezza143.
Fig.43: modello ricostruttivo del battello di Arles-Rhône 3.
Il fortunato rinvenimento dei limiti del cassone centrale entro cui erano sistemate le pietre del carico ha permesso di individuare il volume disponibile (13, 67 m3) e dunque la
portata lorda del battello, pari a 27, 12 ton metriche. A pieno carico l'imbarcazione avrebbe presentato un pescaggio di 58 cm, conservando dunque una quarantina di cm di bordo libero, sufficienti a garantire una navigazione in sicurezza144.
Un ulteriore fattore di interesse relativo a questo relitto è legato alla provenienza delle pietre del carico, prodotte nelle cave di Saint Gabriel, l'antica Ernaginum, distante solo poco più di 10 Km da Arles. Il materiale lapideo veniva dunque trasportato su carri al vicino porto fluviale di Tarascona (5, 5 Km a N/W) e caricato su un battello che discendeva poi fino ad Arles lungo il Rodano (Fig. 44)145. Questo mi sembra un valido e
ben documentato esempio di sistema integrato di trasporti: data la maggior vicinanza delle cave ad una comoda via fluviale
142Cfr. AA.VV., 2011. 143AA.VV. 2011, p. 190. 144AA.VV. 2011, p. 193. 145AA.VV. 2011, pp. 143-144.
da percorrere a favore di corrente, si preferiva sfruttare il corso del Rodano anche per raggiungere una destinazione che sarebbe stata comunque poco distante per via di terra, sebbene ciò comportasse un doppio trasbordo del carico, dalla cava ai carri e dai carri al battello. Va detto che in questo caso specifico il trasbordo sarebbe stato piuttosto agile ed esente dall'uso di macchine elevatrici, date le piccole dimensioni146 dei
blocchi di pietra trasportati, che potevano essere movimentati a mano.
Fig.44: pianta con l'indicazione dei centri di Saint Gabriel, Tarascon ed Arles.