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Fig.45: Tunisi, Museo del Bardo. Mosaico raffigurante il trasporto di una colonna.

In un passo del De Agricultura (22, 3) Catone riporta alcuni dettagli riguardo al trasporto di una pressa da olio da Suessa alla sua villa: per un viaggio di 40 Km il convoglio, trainato da buoi e scortato da sei uomini, impiegò ben sei giorni con una percorrenza media di 6,5 Km al giorno147. Questa

testimonianza ci fornisce un'idea della sconvenienza del trasporto via terra in termini di tempi e, come vedremo, anche di costi. E' chiaro che, come abbiamo avuto modo di sottolineare parlando del Rodano, qualora una via fluviale fosse disponibile e sicura essa risultava senza dubbio preferibile, soprattutto su distanze lunghe. Ciò non toglie, tuttavia, che anche i blocchi monolitici più imponenti potessero essere trasportati su terra: anzi, oserei dire che quasi tutto il materiale litico oggetto di trasporto doveva necessariamente percorrere una parte, più o meno consistente a seconda dei casi, di tragitto su strada. Dal mero punto di vista delle soluzioni tecnologiche adottate la lunghezza del percorso risulta trascurabile: che si dovesse trasportare una colonna di 30 ton di peso per uno o per cento chilometri, i mezzi di trasporto a disposizione dovevano essere probabilmente gli stessi.

Prendiamo ad esempio il caso del marmo lunense. La distanza tra i principali bacini estrattivi delle Apuane e la città di Luna oscillava tra i 9 ed i 12,6 Km: prima di essere imbarcati al Portus Lunae i blocchi dovevano necessariamente essere trasportati su strada148. D'altra parte, ancora fino ai primi 147Cfr. SIPPEL, 1987, P. 39.

148Cfr. DOLCI, 1980; DOLCI, 1989. Si è ipotizzato che per la discesa dei blocchi verso la costa potesse

decenni del '900 i blocchi di marmo lunense giungevano a valle per mezzo di carri a quattro ruote trainati da buoi (Fig.46): un esempio eclatante risulta senza dubbio quello del gigantesco monolite lungo 32 m (17,5 m senza base) e del peso di quasi 600 ton trasportato nel 1928 dalle cave di Carrara per divenire l'obelisco di Mussolini al Foro Italico149.

Fig. 46: il trasporto di un grande monolite di marmo dalle cave di Carrara in una foto degli Anni '20 del '900.

I marmi frigi di Docimium e Synnada, tra cui il pavonazzetto, venivano cavati a più di 300 km dalle coste dell'Asia Minore e prima di raggiungere Efeso o Nicomedia per vie fluviali dovevano comunque percorrere su strada dai 16 agli 80 km150.

Le cave di marmo proconnesio, pur vicine alla costa, distavano più di 15 km da Nicomedia e da Cizico, i principali porti di smistamento di questa pietra sul Mar di Marmara151. In Egitto, i

basalti delle cave a N/W di Faiyum dovevano percorrere un centinaio di chilometri prima di raggiungere il Nilo152;

all'incirca la stessa distanza doveva essere coperta via terra per il trasporto di pietre quali il granito verde della sedia, il porfido rosso ed il granito della colonna153. Il giallo antico di Simitthou

giungeva a Cartagine dopo un percorso su strada di oltre 180 km, come testimoniato dai numerosi frammenti di questo marmo rinvenuti lungo il tragitto, preferito, sembra, alla navigazione delle numerose anse del fiume Medjerda154. Anche

nel caso di cave sfruttate direttamente sul mare, come a Thasos, una parte di tragitto via terra doveva poi essere effettuato dai porti di arrivo, marittimi o fluviali che fossero,

verificata. Si veda a tal proposito FABIANI, 2006, PP. 135-138, che suggerisce che piuttosto che il

Carrione si percorresse in realtà una strada che costeggiava il torrente. 149Cfr. ADAM, 1984, P. 30.

150Cfr. WARD-PERKINS, 1980, PP. 64-67; BRUNO, 2002, P. 179.

151Cfr. BARRESI, 2002, PP. 80-82.

152Cfr. STOREMYRET AL., 2009, PP. 244-251.

153Cfr. LAZZARINI, SANGATI 2004, PP. 74-76.

sino ai cantieri di destinazione finale. E' ovvio dunque che i Romani sfruttassero conoscenze tecnologiche adeguate al trasporto di blocchi monolitici anche di imponenti dimensioni; purtroppo, come è facile immaginare, le evidenze archeologiche dirette dei mezzi di trasporto utilizzati sono scarsissime. Le informazioni a tal proposito sono desumibili dalle fonti (iconografiche, epigrafiche, letterarie) e da indizi indiretti, quali la valutazione dell'entità dei carichi trasportati e le tracce riscontrabili lungo le strade carraie.

II.4.1 Trazione e mezzi di trasporto

Fig. 47: Piazza Armerina, Villa del Casale. Mosaico raffigurante un carro trainato da buoi (particolare).

Greci e Romani utilizzavano sicuramente per il trasporto di carichi pesanti la trazione bovina155; il cavallo, infatti, pur

sviluppando una maggiore potenza di traino rispetto al bue(75 kg al secondo contro i 56 sviluppati dal bue156), risultava più

fragile e più costoso da gestire e nutrire157. Il bue può

esercitare una forza di 300-400 watts per sei ore, ed una coppia di buoi è in grado di sviluppare una forza massima di 20-25 cv su 100 m158; in pratica una coppia di buoi è in grado

di traspotare teoricamente fino a 2,75 ton di carico159, ad una

velocità tra gli 1,5 e i 2,5 km/h a seconda della pendenza e

155Cfr. RAEPSET, 1987, P. 40; RAEPSET, 2008, P. 591; SCHNEIDER, 2008, P. 151.

156Cfr. RAEPSET, 2008, P. 586.

157 A causa del tipo di alimentazione, più sofisticata; cfr. SCHNEIDER, 2008, P. 151.

158 RAEPSET, 2008, P. 586.

159Cfr. BARRESI, 2002, P. 80. RAEPSET, 1984, P. 136, ricorda che a Carrara nel 1900 furono necessari

delle condizioni del fondo stradale160. Ad aumentare i tempi di

percorrenza, si aggiungeva alla lentezza dei bovini la loro necessità di riposare e, soprattutto, di completare i vari stadi di digestione caratteristici dei ruminanti; per tali motivi ogni bue non poteva lavorare per più di sei ore al giorno161. Ciò non

significa necessariamente che le operazioni di trasporto dovessero essere limitate ad una durata di sole sei ore. Raepset162 ipotizza ad esempio che le 33 coppie di buoi

impiegate intorno al 330 a.C. nel trasporto di tamburi di colonna dal Pentelico ad Eleusi non venissero utilizzate contemporaneamente, ma che il numero di bovini sia da riferire ad un monte di animali disponibili al fine di effettuare sostituzioni durante il tragitto.

Per sfruttare la capacità di trazione animale, tanto i Greci quanto i Romani utilizzavano bardature vantaggiose che assecondassero la morfologia dell'animale trainante163. Per il

trasporto di carichi pesanti in particolare, i buoi venivano collegati ad un giogo doppio, o anche multiplo, fissato al garrese dietro al collo: la spinta pertanto veniva dalle spalle e non dalla gola dell'animale164. Anche Columella (Rust., 2, 2)

suggerisce questo metodo, ritenendolo migliore rispetto al giogo collegato alle corna, pure utilizzato in alcune zone del mondo romano: [...] iugum melius aptus cervicibus indicat. Hoc

enim genus iuncturae maxime probatum est. Nam illud, quod in quibusquam provinciis usurpatur, ut cornibus illigetur iugum. Gli

studi di archeologia sperimentale hanno definitivamente confermato la validità di queste considerazioni, provando che il giogo doppio consente ad una coppia di piccoli cavalli di trainare un carico di una tonnellata, anche su terreni accidentati165.

Se il bue è l'animale da traino per eccellenza nell'ambito del Mediterraneo occidentale ed in Europa in genere, in altre regioni, sicuramente in Egitto e probabilmente in Medio- Oriente spesso erano i cammelli ed i dromedari ad essere impiegati in queste operazioni166: anche questi animali, infatti,

sviluppano una grande potenza di traino167. Tutto considerato, 160Cfr. SIPPEL, 1987, P. 36; RAEPSET, 1984, P. 132.

161Cfr. SIPPEL, 1987, P. 36.

162RAEPSET, 1984, P.133.

163 Si veda a tal proposito RAEPSET, 1987; RAEPSET, 2002.

164Cfr. RAEPSET, 2008, PP. 590-591.

165 SPRUYTTE, 1977.

166Cfr. PEÑA, 1989, P. 129 e nota n. 16, con bibliografia relativa all'argomento.

date l'efficaia dei sistemi di finitura e la forza degli animali a disposizione, i problemi nella movimentazione di carichi pesanti dovevano concernere più la solidità e la manovrabilità dei carri che non la trazione168.

La nostra conoscenza dei carri pesanti da lavoro utilizzati nel mondo romano riguarda essenzialmente mezzi da trasporto in contesto agricolo. Varrone (De Re Rust., 2, 6, 5) e Catone (De Agr., 22, 3 e 10, 1-5) riportano una serie di notizie in merito al trasporto di derrate agricole; Catone in particolare (De Agr., 11, 1-5) suggerisce, tra le altre cose, che per una villa con 100 iugeri di vigneto si posseggano due buoi e due carri (plostra), mentre per una proprietà di 240 iugeri ad oliveto si disponga di 3 coppie di buoi e 3 carri grandi (plostra

maiora).169

Fig. 48: Mosaico da Piazza Armerina; angaria trainata da buoi. (PISANI SARTORIO, 1988).

Nella costruzione dei carri, soprattutto quelli da trasporto, l'Impero beneficiò senza dubbio dell'apporto delle conoscenze tecnologiche del mondo celtico170, e gallico in particolare171,

come testimoniato dalla ricchezza terminologica relativa ai veicoli da strada: benna, carpentum, carruca, carrus, cisium,

covinus, currus, petoritum, pilentum, plaustrum, sarracum, angaria, rheda, ecc...172. Va detto che le poche testimoninze

archeologiche relative ad elementi di carri romani173 indicano

una certa variabilità nelle soluzioni tecnologiche, dovute tanto

168Cfr. RAEPSET, 2008, PP. 591-592. 169Cfr. LAWRENCE, 1998, P. 132; SIPPEL, 1987, PP. 39-40. 170Cfr. RAEPSET, 2008, P. 597. 171Cfr. BOUCHETTE, 1998. 172Cfr. PISANI SARTORIO, 1988. 173Cfr. RAEPSET, 2008, P. 597.

all'abilità dei singoli costruttori (i fabri carpentarii)174 quanto a

tradizioni locali diverse. Il normale plaustrum ( plostella) era un carro a due ruote, di solito piene e non radiate come ricorda Probo (Ad Verg., Georg, I), utilizzato principalmente nel trasporto di derrate agricole (Fig. 49).

Fig. 49: Plaustrum.

Il plaustrum maius era un veicolo a quattro ruote, pesante e compatto; le ruote (tympana) erano larghe e piene, quasi mai radiate175, solidali con l'asse di rotazione, cui erano fissate con

caviglie, e di solito avevano cerchioni di ferro. Il sarracum era molto simile al plaustrum, ma più pesante, con ruote più basse, piccole e solide per fornire maggior stabilità; era utilizzato anche nel trasporto di materiale da costruzione176. Il passo di

questo carro poteva essere maggiore rispetto a quello del

plaustrum177 (Fig 50). Altri veicoli pesanti, le angariae, sono ben documentati da due mosaici da Piazza Armerina (Figg. 48 e 51)178: il passo appare corto e le grandi ruote sono piene,

rinforzate da grappe o caviglie di ferro; questo tipo di carro è raffigurato anche sulla colonna di Marco Aurelio179. Nel Codex

Theodosianus del 357 d.C. l'angaria è citata come il più pesante

tra i veicoli considerati, con una portata massima consentita di 1500 libbre, ovvero 492 kg180. Questa grandezza appare

largamente insufficiente soprattutto per il trasporto di

174 Ciascun tipo di carro era costruito da uno specialista, dedicato alla sua fabbricazione: esistevano così cisiarius, rhedarius, tensarius, anteponendo la parola faber. GARCÌA-GELABERT, 1994, P. 531.

175Cfr. GARCÌA-GELABERT, 1994, P. 533.

176Cfr. PISANISARTORIO, 1988, PP. 63-65.

177Cfr. BOUCHETTE, 1998.

178Cfr. GARCÌA-GELABERT, 1994, PP. 538-540.

179 PISANISARTORIO, 1988, P. 68.

materiale lapideo ingombrante, che come abbiamo visto poteva comportare carichi di svariate tonnellate di peso. D'altra parte sembra strano che carri come quelli appena descritti avessero una portata inferiore ai 500 kg, a maggior ragione se si considera che confronti etnografici, con esempi dal Portogallo e dalla Francia sud-occidentale dei primi del '900, dimostrano che carri a due ruote in tutto simili ai plostra potevano comodamente trasportare carichi di oltre 1 ton181. Al

di là dei problemi interpretativi relativi al Codex182, è evidente nelle fonti una carenza di informazioni riguardo ad un tipo di trasporto che, come quello del materiale lapideo pesante, pur essendo comune non doveva risultare frequente come quello relativo alle derrate alimentari.

D'altra parte non va dimenticato che, a seconda delle aree geografiche e delle necessità particolari legate a carichi poco usuali, si potevano trovare soluzioni variegate, purtoppo difficilmente identificabili oggi183. A tal proposito una

questione tecnologica di primaria importanza non ancora ben inquadrata è quella legata alla manovrabilità dei carri romani. Sulla base dei dati attualmente a disposizione, infatti, non sembra che questi veicoli possedessero un avantreno rotante; la mobilità dell'asse anteriore doveva essere molto ridotta, tanto più se si considera che le ruote dovevano risultare solidali con l'asse di rotazione. Questo limite apparirebbe davvero problematico nel garantire spazio di manovra ai veicoli, soprattutto nel caso di carichi pesanti. Sebbene le fonti letterarie ed iconografiche latitino al riguardo, sembra strano che il mondo greco-romano misconoscesse il sistema dell'avantreno mobile, già noto alla cultura Halstattiana sin dal I millennio a.C184. D'altra parte, come vederemo, già i Greci

avevano ideato soluzioni tecnologicamente avanzate per la creazione di carri funzionali al trasporto di imponenti carichi lapidei.

181Cfr. RAEPSET, 2008, P. 598.

182Per cui rimando a RAEPSET, 2008, P. 600; RAEPSET, 1987, PP. 29-36.

183Cfr. RAEPSET, 2008, PP. 580-582.

Fig. 50: modello di sarracum gallico (BOUCHETTE, 1998).

Fig. 51: Piazza Armerina; mosaica raffinguranti angariae. (GARCÌA-GELABERT, 1994).

II.4.2 Il carro di Eleusi

Un interessante esempio di ricostruzione di un veicolo utilizzato per il trasporto di carichi lapidei pesanti proviene da un'iscrizione greca (IG, II2, 1673), approfonditamente

analizzata in un lavoro di George Raepset185, ripreso qualche

anno dopo da Doris Vanhove186. L'iscrizione proveniente da

Eleusi, pur se mutila in alcuni punti, riporta con dovizia di particolari le fasi del trasporto di tamburi di colonna dalle cave del Pentelico al prostoon di Filone ad Eleusi, su una distanza di circa 35 km. Dovendo le colonne essere relative all'edificazione del Telesterion, il trasporto dei rocchi è da situare intorno al 330 a.C. Ciascun tamburo di colonna misurava 1, 06 m di altezza per 1, 82 m di diametro, per un peso di circa 7,5 ton. Dall'analisi dell'iscrizione, Raepset desume che ciascun tamburo di colonna venisse trasportato singolarmente per mezzo di un carro costruito per l'occasione. Il veicolo risulta da una evoluzione dell'àmaxa, il tipico carro pesante greco a 4 ruote, normalmente in grado di portare carichi da 1 ton187.

L'iscrizione menziona la sostituzione di particolari ruote, gli

amaxòpodes, ciascuna solidale con un proprio asse

185 RAEPSET, 1984.

186 VANHOVE, 1987.

indipendente e dotata di un certo angolo di rotazione, seppur limitato. Le ruote erano piene, rinforzate da un bendaggio metallico e da caviglie di bloccaggio; Vanhove ipotizza fossero larghe 33 cm e del diametro di 55 cm ca. Raepset propone la presenza di sei ruote allo scopo di fornire maggior stabilità, ma sembra più verosimile ai fini della manovrabilità del veicolo l'ipotesi di Vanhove, che ne propone quattro, spostate più verso l'interno. Il cassone del carro doveva ridursi ad un semplice piano di carico di 2,35 x 2 m, piuttosto ribassato, costituito da travi incrociate o da putrelle giustapposte. La trazione era garantita da coppie di buoi: per l'intero viaggio, durato 3 giorni, il convoglio ne ebbe a disposizione in totale tra le 24 e le 33 coppie; per ciascun ciclo di traino di sei ore potevano essere sufficienti una ventina di buoi. I gioghi non erano collegati al carro per mezzo di un timone, ma erano probabilmente attaccati direttamente al carico per mezzo di spesse gomene ( ypòzoma), di quelle usate per l'attracco delle navi.

Fig. 52:il carro di Eleusi nell'ipotesi a 6 ruote. A dx particolare della ruota su asse indipendente. (RAEPSET, 1984).

Fig. 53: modellino ricostruttivo del carro di Eleusi, nell'ipotesi a 4 ruote. (VANHOVE,

1987)

Un ulteriore elemento interessante desumibile dall'iscrizione IG, II2, 1673 è il riferimento a personale addetto

alla preparazione della strada. E' chiaro che un tale sistema di trasporto dovesse necessariamente contare su un fondo stradale regolare che evidentemente, sulla tratta dal Pentelico ad Eleusi, precedentemente non esisteva o non risultava adeguato.

II.4.3 Il ruolo delle strade nel trasporto di materiale lapideo

Il trasporto di carri gravati da carichi di svariate tonnellate doveva richiedere fondi stradali privi di asperità e pendenze troppo elevate. Ciò non deve significare necessariamente che si dovesse disporre di strade lastricate: in periodi dell'anno non eccessivamente piovosi un percorso in terra battuta poteva risultare più che idoneo188. D'altra parte è indubbio che in

epoca romana quantomeno l'Italia fosse percorsa da un reticolo stradale esteso e soggetto a manutenzione189. Non a

caso Strabone, nel confrontare le attività costruttive greche e romane, rimarca il fatto che le strade romane fossero strutturate in modo tale da consentire all'intero carico di una nave di essere veicolato per mezzo di carri190.

Per il mondo greco un caso eccezionale, ma di certo indicativo della varietà delle possibili soluzioni tecnologiche, è

188Cfr. RAEPSET, 1987, PP. 40-41.

189Cfr. QUILICI, 2008, PP. 558.560.

quello del Diolkos di Corinto: un percorso lastricato utilizzato per alare le navi (del peso compreso tra le 10 e le 30 ton) dal Golfo Saronico al Golfo di Corinto (Fig. 54), di cui ci parlano Tucidide (..) e soprattutto Polibio (IV, 19, 7-9)191. Le evidenze

archeologiche hanno restituito una strada lunga 7 km, larga tra i 3,4 ed i 5,6 m, con una pendenza tra l'1,5 ed il 6 %. Nei punti di pendenza massima il percorso era corredato da binari (hodopoiia), che servivano da guida ad un qualche veicolo con ruote su cui venivano verosimilmente caricate le navi. La trazione doveva essere garantita da almeno 20 buoi, anche se non è da escludere l'utilizzo di argani o verricelli per issare le navi pesanti nei tratti più critici.

Fig. 54: rilievo del Diolkos dell'Istmo di Corinto. (RAEPSET, 1993).

Fig. 55: il Diolkos. ricostruzione del metodo di alaggio. (RAEPSET, 2008).

Un altro caso di strada lastricata utilizzata per il conferimento di carichi pesanti è testimoniata dai resti archeologici individuati in relazione alle cave di basalto del Faiyum. Da qui il basalto cavato durante l'Antico Regno, e poi per brevi periodi in epoca romana, doveva attraversare quasi 100 km di deserto per raggiungere il Nilo192. E' chiaro che

condurre pesanti carri su un terreno sabbioso sarebbe stato impossibile; pertanto si costruì un percorso carrabile utilizzando, come spesso accadeva193, gli scarti di lavorazione

della cava stessa (Fig. 56).

Fig. 56: i resti della strada lastricata che serviva le cave di basalto del Faiyum.

II.4.4 Alcune considerazioni economiche sul trasporto di materiale lapideo via terra

La principale, e pressoché unica, fonte a nostra disposizione in merito ai prezzi dei marmi e di altre pietre pregiate è a tutt'oggi l'Edictum de Pretiis di Diocleziano (in particolare ai libri V-XIV). Da questo prezioso scritto, insieme ad alcuni passi del Codex Theodosianus194, è stato anche possibile acquisire informazioni relative al costo dei trasporti, sebbene l'Edictum non si riferisca in particolare al trasporto di materiale lapideo. Questa precisazione è importante, perchè sottolinea la parziale fallibilità dei dati che numerosi studi hanno tratto dall'analisi dell'Edictum. In tal senso, il pur fondamentale lavoro di Duncan-Jones sulla analisi quantitativa dell'economia

192Cfr. STOREMYRET AL., 2009.

193E' lo stesso metodo che si utilizzava per le vie di lizza antiche note, come quelle del Pentelico o di Thasos (si veda supra, Cap II.1).

romana195 pecca sicuramente nell'esagerare la sconvenienza

del trasporto via terra, fino a considerarlo un elemento intrinseco di debolezza del sistema economico imperiale196.

Questa considerazione è stata contestata più recentemente in modo piuttosto radicale ad esempio da Laurence197 e da

Morley198, che giustamente invitano a considerare il trasporto

su strada come uno degli elementi di una rete di trasporti che comprendeva tutte le possibili vie di comunicazione. Di fatto, soprattutto per l'età imperiale, è ormai innegabile che esistesse un sistema di trasporti stradali efficiente199. Questo,

ovviamente, se si rinuncia ad una preconcetta visione etnocentrica fondata sul moderno concetto di serrati ritmi industriali e si considera, al contrario, che per ciascuna epoca storica la migliore soluzione tecnologica disponibile in quel dato momento coincide con la migliore soluzione in assoluto.

Ciò detto è innegabile che i calcoli effettuati sulla base dell'analisi dell'Edictum de Pretiis indichino una netta differenza di costi nei diversi tipi di trasporto e che la strada risulti estremamente più onerosa rispetto al mare. I dati più largamente condivisi200 mostrano infatti che, per un modius

castrensis di merce del valore di 100 denarii dioclezianei, su

una distanza di 100 miglia romane i costi del trasporto incidevano rispettivamente dell'1,3% via mare, del 6, 38% via fiume (12, 76% in caso di risalita controcorrente) e ben del 40% via terra. Tali informazioni risultano senza dubbio di grande interesse per una valutazione di massima dei costi di un determinato bene, ma mi sembra che prendere acriticamente queste percentuali per operare un confronto teorico si riduca ad una considerazione sterile. Ovvero non possiamo pensare, sulla base di questi dati, di stilare una classifica assoluta tra le tre diverse vie di comunicazione, ma dovremo valutare caso per caso le possibilità a disposizione.

Va detto, poi, che una serie di imprecisioni vanno messe in conto: l'Edictum compara infatti i costi di trasporto del grano, non della pietra. Inoltre gli esempi riportati si basano su grandezze di entità molto diverse: un massiccio carico di grano, calcolato in unità di volume (modii), per il trasporto via