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TRASTUZUMAB E SUO RUOLO NELLA TERAPIA NEOADIUVANTE DEL CARCINOMA MAMMARIO

2 IL CARCINOMA MAMMARIO HER-2+

2.2 TRASTUZUMAB E SUO RUOLO NELLA TERAPIA NEOADIUVANTE DEL CARCINOMA MAMMARIO

Trastuzumab (Herceptin®) è un anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante (moAb) diretto contro il dominio extracellulare della proteina HER-2.[56] Il meccanismo d’azione non è completamente noto ma diversi effetti molecolari e cellulari sono stati analizzati in sperimentazioni in vivo e in vitro. Trastuzumab è infatti in grado di legare il dominio extracellulare, prevenendo il clivaggio del dominio stesso e la dimerizzazione di HER-2, inibendone dunque l’attivazione recettoriale e la conseguente trasmissione del segnale a valle, che coinvolge più vie intracellulari, come le vie delle fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato chinasi (PI3K) e delle MAP chinasi (MAPK). Il legame con il moAB e la mancata dimerizzazione può condurre ad una internalizzazione recettoriale con successiva degradazione.[57,58] Trastuzumab, oltre a tali meccanismi d’azioni citostatici, svolge inoltre un’azione citotossica mediando l’attivazione della citotossicità cellulo-mediata dall’anticorpo (ADCC, Antibody Dependent Cell Mediated Cytotoxicity).[59] Questo anticorpo monoclonale è associato ad un significativo miglioramento sia per quanto riguarda la disease-free survival che per quanto riguarda l'overall survival in donne affette da un carcinoma mammario HER-2 positivo, sia quando viene dato in combinazione alla chemioterapia adiuvante sia in sequenza, con finalità adiuvante e neoadiuvante. Numerose review ci hanno permesso di dimostrare come l'azione di trastuzumab sia sinergica a quella di vari chemioterapici utilizzati per trattare la neoplasia mammaria.[60,61] Uno dei primi studi per dimostrare i

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benefici derivati dall'utilizzo di trastuzumab come terapia primaria fu pubblicato nel 2005 da parte di Buzdar et al. Furono selezionati pazienti con un carcinoma della mammella localmente avanzato di stadio II e III. La conferma istologica è stata eseguita con prelievo bioptico e lo stesso è stato fatto sui linfonodi sospetti. Tutti i tumori erano HER-2 positivi, valutati

con tecnica FISH o con una iperespressione 3+

all'immunoistochimica. I pazienti furono randomizzati a ricevere o un trattamento chemioterapico o lo stesso in associazione al trastuzumab con somministrazione settimanale per 24 settimane, i chemioterapici utilizzati furono FEC per 4 cicli seguiti da 4 cicli di paclitaxel. L'obiettivo primario dello studio era confrontare il tasso di pCR fra i due gruppi. Tra il 2001 e il 2003 furono inclusi 42 pazienti, 19 nel braccio senza trastuzumab e 23 in quello con tale farmaco. Il primo gruppo registrò un tasso di pCR del 26.3% mentre il secondo un tasso del 65.2%; questa differenza era statisticamente significativa (p = 0.16). Inoltre le dimensioni del residuo tumorale a livello mammario erano significativamente minori nei pazienti trattati con trastuzumab, mentre a livello linfonodale non si registrarono differenze significative. Quindi, nonostante il ristretto numero di pazienti inclusi, questi rappresentano i primi dati in grado di dimostrare come l'aggiunta di trastuzumab alla chemioterapia primaria provochi un aumento significativo del tasso di pCR.[62]

Un altro studio importante che è stato utile nel dimostrare l'importanza di trastuzumab in neoadiuvante è lo studio pubblicato da Gianni et al., lo studio NOAH , ovvero un trial di fase III effettuato su pazienti con nuova diagnosi di carcinoma

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mammario localmente avanzato od infiammatorio. L'obiettivo principale di tale analisi era dimostrare la superiorità della terapia neoadiuvante effettuata con trastuzumab associato ai chemioterapici e seguita da trastuzumab anche in adiuvante rispetto alla sola chemioterapia, nei casi di malattia HER-2 positiva: si è confrontato la EFS (event free survival), come tempo fra la randomizzazione e la diagnosi di recidiva o di progressione o decesso per ogni causa; inoltre si è valutato il tasso di risposta patologica completa nei tessuti mammari e globalmente a livello della mammella insieme ai linfonodi, e la sopravvivenza in tutti e tre i gruppi in cui i pazienti erano stati divisi. Infatti un braccio con malattia HER-2 positiva aveva ricevuto la sola chemioterapia, un braccio con lo stessa tipologia di malattia aveva ricevuto in aggiunta anche trastuzumab mentre un terzo braccio con malattia HER-2 negativa aveva ricevuto solo i chemioterapici. I pazienti per essere eleggibili dovevano presentare un carcinoma localmente avanzato o infiammatorio e una positività di HER-2 dimostrata o tramite FISH o tramite esame immunoistochimico. Nel gruppo di controllo HER-2 negativo i pazienti dovevano avere recettori ormonali positivi e almeno una lesione misurabile o un carcinoma infiammatorio. Tutti i pazienti di tutti e tre i gruppi hanno ricevuto lo stesso schema di terapia neoadiuvante: 3 cicli di doxorubicina + paclitaxel, seguiti da paclitaxel per 4 cicli, successivamente è stato somministrato il protocollo CMF per 3 cicli. Il braccio che ha ricevuto trastuzumab ha assunto una prima dose di carico seguita da 10 cicli di somministrazione a dose standard. Dopo la chirurgia è stato proseguito in adiuvante per la durata complessiva di un anno. Tra il 2002 ed il 2005 334 pazienti sono

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stati inseriti. Dopo un follow-up medio di 3.2 anni la EFS era 71% nel gruppo che ha ricevuto trastuzumab e 56% in quello che non lo ha ricevuto, inoltre ulteriori analisi hanno dimostrato come l'utilizzo di trastuzumab inducesse una riduzione globale del 41% del rischio di recidiva, progressione e decesso. I benefici di tale farmaco furono dimostrati in tutti i sottogruppi di pazienti, anche in quelli affetti da carcinoma infiammatorio e il trattamento con trastuzumab è stata individuato come l'unica variabile in grado di modificare significativamente la EFS. Il numero di decessi non differiva significativamente fra i due bracci, mentre l'overall survival a 3 anni era rispettivamente 87% e 79%. Le recidive loco-regionali ed a distanza erano meno frequenti nel gruppo trattato con trastuzumab. Tutti questi risultati ci sono utili per dimostrare l'efficacia di utilizzare il farmaco in neoadiuvante nei casi di malattia HER-2 positiva.[63] E' importante sottolineare, ricordando che sia le antracicline che il trastuzumab possono provocare cardiotossicità come reazione avversa,[64] che, in entrambi gli studi descritti, i gruppi con trastuzumab non hanno presentato differenze in ambito di eventi

cardiotossici rispetto ai gruppi che non lo hanno

utilizzato.[62,63]

Un altro punto importante nell'utilizzo di tale farmaco è quale sia la durata ottimale del trattamento, non tanto in neoadiuvante dove la sua somministrazione è concomitante alla chemioterapia, quanto in adiuvante. Lo studio HERA ha messo a confronto una somministrazione annuale con una somministrazione biennale, evidenziando una assenza di benefici di un trattamento di due anni rispetto ad un trattamento annuale : 367 eventi di disease-

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di disease-free survival su 1552 pazienti nel gruppo di un anno di somministrazione. Inoltre nei pazienti che hanno esteso il trattamento a due anni è stato registrato un tasso più elevato di eventi cardiaci sintomatici (7.2% vs 4.1% rispettivamente) con riduzione della frazione di eiezione cardiaca che si manifestavano principalmente durante la terapia e in misura minore nel successivo follow-up.[65,66]

Con lo studio HannaH è stata invece analizzata quale sia la modalità di somministrazione più efficace tra quella intravenosa e quella sottocutanea. 299 pazienti fra quelli selezionati ricevettero la prima modalità (una dose di carico di 8mg/kg e una di mantenimento di 6mg/kg) mentre 297 la seconda modalità (dose fissa di 600mg). La chemioterapia concomitante era composta da 4 dosi di docetaxel seguite da 4 dosi di CMF, al termine del quale è stata effettuata chirurgia e successivamente trastuzumab è stato proseguito in adiuvante per un anno. I risultati hanno dimostrato come la somministrazione sottocutanea abbia un profilo farmacocinetico non inferiore a quello della somministrazione intravenosa, con inoltre un simile profilo di sicurezza, offrendo quindi una valida alternativa di trattamento.[67]

Gli studi che abbiamo descritto sono spesso inseriti nelle principali review sull'argomento. Una delle ultime, datata 2013, e fra le più aggiornate, è quella pubblicata ad opera di Dent et al. Per quanto riguarda il trattamento neoadiuvante con il trastuzumab associato alla chemioterapia, oltre agli studi NOAH e Buzdar et al., sono stati revisionati altri due studi.[68,69] L'analisi complessiva mostra un incremento dei tassi di pCR

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dove trastuzumab è stato associato ai chemioterapici (pCR 26- 65%) rispetto alla sola chemioterapia (pCR 19-27%). Questo inoltre appare relativamente indipendente dal tipo di chemioterapia utilizzata, dimostrando come trastuzumab presenti sinergismo con i chemioterapici quando utilizzato in adiuvante senza differenze fra le varie classi di farmaci scelti. Infatti nello studio pubblicato da Buzdar et al. è stato utilizzato con un regime blocco-sequenziale a base di taxani e antracicline mostrando un tasso di pCR del 65% rispetto al 26% senza. Nello studio NOAH invece è stato utilizzato insieme a un regime a base di epirubicina/taxani/CMF mostrando un tasso di pCR del 43% rispetto al 22% in assenza di trastuzumab. Nel terzo studio di fase II pubblicato in Francia il farmaco è stato associato al protocollo EC seguito da docetaxel, anche qui il tasso di pCR risultò maggiore, 26% rispetto a 19%.[70]

2.3 LAPATINIB E SUO RUOLO NELLA TERAPIA