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Introduciamo ora un'ulteriore opzione di trattamento, la terapia neoadiuvante. Questa è strettamente connessa al concetto di neoplasia mammaria localmente avanzata, un gruppo eterogeneo di tumori (vedi fig.2) che corrispondono allo stadio III, come definito dal sistema di stadiazione dell'American Joint Cancer

Committee (AJCC).[35]

Generalmente, quando il tumore si presenta in questo stadio, risulta non operabile d'emblée. La chirurgia come prima opzione terapeutica è controindicata o perché tecnicamente non eseguibile (a meno di interventi talora altamente demolitivi) o perché insoddisfacente in termini di risultati terapeutici. Nella gestione di un carcinoma localmente avanzato, la scelta iniziale dovrebbe essere una chemioterapia sistemica neoadiuvante. I regimi a base di antracicline sono considerati lo standard in questi casi, tuttavia la durata ottimale ed il numero ottimale di somministrazioni sono ancora oggetto di discussione.[36] Attualmente lo standard è utilizzare gli stessi schemi utilizzati in adiuvante, e in particolare quelli comprendenti un'antraciclina ed un taxano, preferibilmente in regime blocco-sequenziale. Tali regimi possono essere somministrati interamente in fase preoperatoria. Questa terapia è in grado di indurre il 70-90% di remissioni, un 5-15% risultano remissioni anatomopatologiche complete.[37,38]

Una volta che il trattamento neoadiuvante è stato efficace, esso può essere seguito o dalla chirurgia o dalla radioterapia.

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Fig. 2 Sistema di stadiazione dell'American Joint Cancer Committee.

Generalmente, se si è raggiunto una condizione di operabilità, si invia la paziente all'intervento chirurgico, preferibilmente una mastectomia associata a radioterapia della parete toracica, seguite poi dal completamento della terapia medica adiuvante. Se persiste una condizione di non operabilità si opta per una radioterapia per ottenere un controllo locale.[38]

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La scelta dello schema neoadiuvante dipende anche dal sottotipo di tumore in questione. Come analizzeremo ampiamente nel sottocapitolo seguente, se si tratta di una malattia HER-2 positiva è indicata l'associazione di trastuzumab alla chemioterapia. La percentuale di risposte patologiche complete raggiunge, in questi casi, il 40-50%.[38]

Resta da valutare il ruolo dell'endocrinoterapia. Il suo utilizzo in neoadiuvante è generalmente considerato un'opzione adeguata nei tumori con recettori ormonali positivi. Vari studi ne hanno dimostrato un'efficacia simile alla chemioterapia sistemica nei pazienti con tale sottotipo tumorale. I tassi di risposta clinica variano da 13% a 100%, con una durata di trattamento compresa fra 3 e 24 mesi. In molti studi in cui la durata è stata superiore, o comunque prolungata oltre i 3 mesi, i tassi di risposta sono aumentati. Sono stati effettuati studi che hanno messo a confronto l'utilizzo di tamoxifene e degli inibitori dell'aromatasi in neoadiuvante, quest'ultimi si sono dimostrati superiori in termini di risposta tumorale e di possibilità di utilizzare successivamente la chirurgia conservativa.[39,40,41,42] Ad esempio in uno studio pubblicato nel 2007 fu selezionato un gruppo di pazienti divisi in 3 diversi bracci : gli appartenenti alla prima ricevettero come terapia neoadiuvante 1 mg/die di anastrozolo, quelli della seconda ricevettero 25 mg/die di examestane, i terzi ricevettero chemioterapia a base di doxorubicina e paclitaxel. La percentuale di risposte cliniche non differiva fra i pazienti che avevano effettuato l'endocrinoterapia e quelli che avevano effettuato la polichemioterapia sistemica, essendo in entrambi i casi intorno al 64%. Ma, a parità di efficacia, si vide come l'ormonoterapia fosse decisamente meglio

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tollerata (le tossicità legate alla chemioterapia sviluppate furono 79%-alopecia, 33%-neutropenia di terzo o quarto grado, 30%- neuropatia di grado 2) e quindi preferibile.[41] In un altro studio multicentrico randomizzato pubblicato nel 2001 furono selezionati 337 pazienti in menopausa con un carcinoma mammario non operato, e con recettori ormonali positivi. Furono divisi in due braccia, al primo gruppo fu somministrato giornalmente letrozolo ad una dose di 25mg, al secondo invece fu somministrato tamoxifene alla dose di 20mg/die. In entrambi i casi il trattamento ha avuto la durata complessiva di 4 mesi. L'obiettivo primario era di confrontare l'overall objective

response, determinato dalla palpazione clinica. Obiettivi

secondari erano valutare tale tasso attraverso ecografia e mammografia, e valutare la percentuale di pazienti candidabile alla chirurgia conservativa. Il tasso di overall objective response valutato tramite palpazione era significativamente superiore nel gruppo che aveva ricevuto letrozolo (55% vs 36%), lo stesso per la valutazione alla mammografia (34% vs 16%), e per i pazienti candidabili alla chirurgia conservativa (45% vs 35%). Questi risultati dimostrano come letrozolo fosse più efficace del tamoxifene nella terapia neoadiuvante nel caso di carcinomi con recettori ormonali positivi, nel caso di una paziente in menopausa; ed anche come non ci fossero sostanziali differenze di tollerabilità fra i due trattamenti.

Nell’ambito del trattamento sistemico primario risulta importante ottenere una risposta patologica completa (pCR), che per lo più è associata ad una prognosi migliore. In letteratura, tuttavia, sono riportate diverse definizioni di pCR:

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 ypT0 ypN0: assenza di residuo invasivo e non invasivo su mammella e/o su linfonodi.

 ypT0/is ypN0: assenza di residuo invasivo su mammella e/o su linfonodi; residuo non invasivo ammesso.

 ypT0/is ypN0/+: assenza di residuo invasivo su mammella; residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammesso.

 ypT≤mic ypN0/+: assenza di residuo macroscopico invasivo su mammella; residuo invasivo focale, residuo non invasivo e coinvolgimento linfonodale ammesso.

Uno studio ha analizzato il ruolo prognostico della risposta patologica completa in 6.377 pazienti con carcinoma mammario in stadio precoce che hanno ricevuto un trattamento a base di antracicline e taxani nell’ambito di 7 studi randomizzati condotti dal gruppo tedesco. Dall’analisi è emerso che il valore prognostico è in funzione della definizione della pCR: considerando la pCR come ypT0 ypN0 (hazard ratio per la SLM e la SG pari a 1), tutte le altre condizioni si associano ad una prognosi peggiore secondo un gradiente che va da ypT0/is ypN0 a ypT≤mic ypN0/+. Ne consegue che la definizione di pCR raccomandata dal gruppo tedesco è quella di assenza di carcinoma invasivo e in situ sia a livello mammario che dei linfonodi ascellari. Tuttavia, la più recente ed estesa metanalisi di terapia neoadiuvante, condotta da "The Collaborative Trials in

Neoadjuvant Breast Cancer (CTNeoBC)" su 12 trial

randomizzati per un totale di 13.000 pazienti, non ha confermato i dati del gruppo tedesco. I risultati, presentati al San Antonio

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Breast Cancer Symposium del 2012, sono stati i seguenti: pazienti che hanno ottenuto una pCR hanno mostrato un significativo vantaggio in termini di event-free survival (EFS) (HR 0,48, p<0,001) e OS (HR 0,36, p<0.001). Il tasso di pCR e la probabilità di rimanere liberi da un evento, rispetto a chi non otteneva una pCR, sono risultati differenti in funzione del sottotipo molecolare:

 recettori ormonali positivi, HER2-negativo, G1-2: 7% (HR per EFS 0,63, p=0,07);

 recettori ormonali positivi, HER2-negativo, G3: 16% (HR 0,27, p<0,001);

 recettori ormonali positivi, HER2-positivo (casi trattati con un regime contenente trastuzumab): 30% (HR 0,58, p=0,001);

 recettori ormonali negativi, HER2-negativo (casi triple- negative): 34% (HR 0.24, p<0.001);

 recettori ormonali negativi, HER2-positivo (casi trattati con un regime contenente trastuzumab): 50% (HR 0,25, p<0,001).

Questa metanalisi ha confermato la relazione tra pCR e sopravvivenza. Inoltre ha supportato la definizione di pCR che preveda l'assenza della componente invasiva ed in situ sia a livello mammario che dei linfonodi ascellari (ypT0/is, ypN0).[43,44,45]

E' evidente quindi che ottenere una risposta patologica completa sia un obiettivo fondamentale del trattamento neoadiuvante, soprattutto dato che è stata riconosciuta essere un

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fattore prognostico strettamente correlato con la probabilità di recidiva e l'overall survival.

Una review pubblicata su Lancet nel Febbraio 2014 si è preoccupata di analizzare e meglio definire l'importanza di pCR e del suo ruolo prognostico. Sono stati valutati studi che presentavano i tre seguenti criteri: includere almeno 200 pazienti trattati con terapia primaria seguita da chirurgia; avere dati disponibili riguardo pCR, EFS e OS; e presentare un follow-up di almeno 3 anni. Sono state confrontate le 3 più comuni definizioni di risposta patologica completa che vengono utilizzate, ovvero ypT0 ypN0 e ypT0/is ypN0 e ypT0/is, e le loro associazioni con EFS e OS in vari sottogruppi. Con tali parametri è stato possibile utilizzare i dati di 11955 pazienti e tramite essi dimostrare che eradicare il tumore dalla mammella e dai linfonodi ascellari (ypT0 ypN0 e ypT0/is ypN0) sia associato ad una migliore EFS e OS rispetto alla sola eradicazione mammaria. Inoltre è stato dimostrato che il valore prognostico del raggiungimento di pCR è maggiore in pazienti che presentano un sottotipo di tumore più aggressivo, in particolare una neoplasia triplo-negativa e una neoplasia con recettori ormonali negativi e HER-2 positiva trattata con trastuzumab.[46] Un altro studio pubblicato nel 2012 si era preoccupato di dimostrare come la probabilità di ottenere pCR fosse legata al sottotipo tumorale. Erano eleggibili i pazienti con un carcinoma di dimensioni maggiori di 3 cm che erano stati trattati con terapia primaria, anche in questo caso come pCR fu considerata l'eradicazione del tumore sia dalla mammella che dai linfonodi ascellari. 221 pazienti furono inclusi, di cui il 41% aveva i recettori ormonali negativi e il 31% presentava una malattia HER-2 positiva. Dei 210 pazienti con dati sia dello stato

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dei recettori che dei risultati della chirurgia, 56 raggiunsero una risposta patologica completa. Il tasso di pCR era minore (9%) nei pazienti con recettori ormonali positivi e negatività di HER-2 mentre era maggiore (45%) se i recettori ormonali erano negativi e HER-2 +. Questo dimostra come un tumore HR positive/HER2 negative abbia una minore sensibilità alla terapia neoadiuvante mentre un tumore HR negative/HER2 positive presenti una maggiore sensibilità.[47]

Attualmente il trattamento primario sta assumendo sempre più importanza poiché quando si vuole testare l'efficacia di uno specifico trattamento due sono le opzioni da poter percorrere : valutarne gli effetti e i risultati in neoadiuvante oppure in adiuvante. Può essere utile optare per una sperimentazione in neoadiuvante dato che permette di osservare i risultati in tempi più brevi rispetto ad una sperimentazione effettuata sulla terapia adiuvante. Nel primo caso infatti posso osservare al termine del trattamento quante sono state le risposte patologiche complete, quanti pazienti sono passati da non operabili ad operabili, e quanti possono subire una quadrantectomia invece che una mastectomia radicale, unica opzione prima di sottoporsi alla terapia. Nel secondo caso invece i tempi si allungano, dato che necessito di un follow-up più esteso per valutare i vari tassi di sopravvivenza globale, di sopravvivenza libera da malattia o di recidiva. Con numerosi studi si è visto come non ci siano differenze in termini di sopravvivenza, quindi a parità di benefici è chiaro come in sia preferibile associare lo studio ed i risultati ad un trattamento neoadiuvante.[48,49,50,51,52] Lo studio cardine che per primo ha introdotto il problema e lo ha analizzato è stato

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pubblicato da Fisher et al. nel 1998. Lo scopo di tale lavoro è stato di determinare, in donne con carcinoma mammario operabile primario, se la somministrazione preoperatoria di doxorubicina (adriamicina) e ciclofosfamide (Cytoxan), cioè lo schema AC, produceva un risultato migliore rispetto alla terapia post-operatoria a base di AC, se esisteva una relazione tra

outcome e risposta tumorale alla chemioterapia pre-operatoria, e

se tale terapia aumentava il numero di interventi chirurgici conservativi eseguibili. Per ottenere ciò sono state randomizzate 1523 donne a ricevere il trattamento chemioterapico AC o nella fase pre-chirurgica o nella fase post-chirurgica. La risposta clinica tumorale alla somministrazione in neoadiuvante è stata classificata in risposta completa, risposta parziale, o assenza di risposta. I tumori con una risposta completa sono stati ulteriormente classificati come pCR o come presenza di cellule invasive. DFS, DDFS e la sopravvivenza sono state valutate a 5 anni e confrontati fra i gruppi di trattamento. Non vi era alcuna differenza significativa in termini di DFS, DDFS, o sopravvivenza (p=0.99, 0.70, e 0.83 rispettivamente) tra entrambi i gruppi. Più pazienti trattati pre-operatoriamente, rispetto a quelli trattati dopo la chirurgia, hanno potuto effettuare un intervento conservativo associato a radioterapia (67,8% contro 59,8%, rispettivamente). I tassi di recidiva ipsilaterale del tumore mammario (IBTR) dopo mastectomia parziale sono risultati simili in entrambi i gruppi (7,9% e 5,8%, rispettivamente, p = 0.23). L'esito era migliore nelle donne i cui tumori hanno mostrato una PCR rispetto a quelli con un Pinv, CPR, o del CNR anche quando erano controllate variabili prognostiche di base. Le conclusioni ci mostrano che la chemioterapia pre-operatoria è

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efficace come la chemioterapia post-operatoria, permette più interventi conservativi, è appropriata per il trattamento di alcuni pazienti con stadio I e II di malattia e può essere utilizzata per studiare la biologia del cancro al seno. La risposta tumorale alla chemioterapia preoperatoria correla con l'outcome e potrebbe essere un surrogato per valutare l'effetto della chemioterapia sulle micrometastasi; tuttavia, la conoscenza di una tale risposta ha fornito poche informazioni prognostiche oltre quelle che sono risultate dalla terapia postoperatoria.[51]