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I tre volti del Business Model Canvas

Capitolo 1 Il Business Model Canvas

1.5 I tre volti del Business Model Canvas

Abbiamo già detto che il Business Model Canvas ha avuto molto successo grazie al fatto che può essere utilizzato per moltissime realtà, quindi non solo da aziende for- profit, ma da quelle no-profit, da imprenditori alle prime armi e anche per

organizzazioni del settore pubblico. Ciò ci viene confermato dalle testimonianze raccolte da A. Osterwalder e Y. Pigneur nel loro libro “Creare modelli di business. Un manuale pratico ed efficace per ispirare chi deve creare o innovare un modello di business”. Vediamone alcune:

- Mike Lachapelle dal Canada sostiene:” Ho usato il Canvas per aiutare un ministero a considerarsi un’azienda orientata ai servizi, definendo modelli di business esternalizzati secondo lo schema situazione attuale-situazione

desiderata. Tutto questo ha creato una discussione completamente nuova sulla descrizione e l’innovazione del business”.

- Kevin Donaldson, USA dice:” Mi sono accorto che il Canvas è molto efficace anche nel settore no -profit. Lo abbiamo usato per progettare e allineare i membri del gruppo dirigente durante il processo di creazione di un nuovo programma no – profit. Il Canvas era sufficientemente flessibile da tenere conto degli obiettivi di questa impresa sociale e ha chiarito quale fosse il reale valore offerto dell’azienda e il modo per renderlo sostenibile”.

- Claudio D’Ippolito, Brasile afferma:” Uso il Canvas in Brasile per aiutare gli artisti, i produttori culturali e i progettisti di giochi ad ideare dei modelli di business innovativi nei settori della cultura e della creatività. Lo applico alla Cultural Production MBA di FGV e nell’Innovation Games Lab presso COPPE/UFRJ Business Incubator”.

- Bob Dunn, USA sostiene:” Ho usato il Canvas per insegnare a imprenditori alle prime armi attivi in vari settori, un sistema migliore per tradurre i loro

programmi nei processi di business necessari per far funzionare le loro attività e garantire che siano opportunamente focalizzate sull’essere cliente – centriche, rendendo così il business più redditizio possibile.”

Queste sono solo alcune delle testimonianze evidenziate nel libro di Osterwalder e Pigneur, ma ci fanno capire chiaramente che il concetto di Business Model Canvas può

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abbracciare anche altri aspetti, non solo quello prettamente economico descritto nel paragrafo precedente.

Di fatti, A. Joyce e R.L. Paquin ci propongono il “Triple Layered Business Model Canvas” (TLBMC), che tradotto in italiano significa Business Model Canvas a tre strati. “Questo nuovo approccio integra ed estende i modello di business economicamente orientato di Osterwalder e Pigneur (2010) con nuovi strati di tela che riguardano la creazione di valore ambientale e sociale” (Joyce e Paquin, 2016). Questi nuovi livelli considerati sono da osservare in parallelo con lo strato originale del modello di business tenendo conto però che sono strettamente collegati tra di loro, e la loro analisi ci

permette di approfondire la vera creazione di valore di un'organizzazione.

Questo è un approccio utile per chi intende percorrere un’innovazione incentrata sulla sostenibilità, infatti quest’ultima richiede di ri-concettualizzare i modelli di business esistenti per creare "nuovi modi di fornire e catturare valore, che cambierà le basi della concorrenza" (Nidumolu et al., 2009, p.9). Abbiamo a lungo parlato della prospettiva economica del Business Model Canvas, vediamo ora gli altri due volti: ambientale e sociale.

Lo strato ambientale del TLBMC, ideato da Joyce e Paquin, si basa su una prospettiva del ciclo di vita dell'impatto ambientale. Ciò riguarda “la ricerca e le valutazioni del Life Cycle Assessment (LCA), che è un approccio formale per misurare gli impatti ambientali di un prodotto o di un servizio in tutte le fasi della sua vita” (Svoboda, 1995).

Questo metodo considera più tipi di indicatori per la valutazione degli impatti

ambientali, come ad esempio anidride carbonica, salute umana, riduzione delle risorse, consumo dell'acqua ecc.(cfr. Hendrickson et al., 2006; Pennington et al., 2004), generati durante il ciclo di vita completo di un prodotto o di un servizio (ad esempio, estrazione di materie prime, produzione, distribuzione, utilizzo e fine di vita cfr. Svoboda, 1995; Guinée, 2002). Collegare questo approccio con la volontà di innovare può guidare un’azienda nella realizzazione di innovazioni di business model e conseguentemente nell’ideazione di prodotti o servizi innovativi con caratteristiche ambientali migliori rispetto ai concorrenti; ma non solo permette di sostenere “la continua misurazione degli impatti e il miglioramento delle innovazioni orientate alla sostenibilità nel tempo” (Chun e Lee, 2013), rendendo così il modello di business ancora più robusto.

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Come abbiamo precedentemente visto, un punto saliente del Business Model Canvas è anche quello di capire quali sono i flussi di ricavi che genera l’azienda e se sono in grado di coprire i costi e, quindi, sapere quali potranno essere i guadagni dell’azienda. Quando si parla dello strato ambientale del Business Model Canvas, l’obiettivo è lo stesso, cioè definire se e come l'organizzazione genera benefici ambientali e se sono o meno superiori rispetto agli impatti ambientali prodotti. In questo modo si può capire meglio dove l'organizzazione crea i più consistenti effetti ambientali, sia positivi che negativi nel modello di business, e di conseguenza si possono stabilire quali sono le zone dove l’azienda deve concentrare il proprio impegno sia per ridurre gli impatti negativi, sia per creare innovazioni dirette al rispetto dell’ambiente.

Vediamo lo schema proposto dagli autori, che prendono come caso di esempio l’impresa Nespresso, e spieghiamo brevemente le sue componenti:

Fig. 9 - The environmental life cycle layer of the triple layered business model canvas demonstrates the Nespresso case. – Source: Journal of Cleaner Production - Volume 135, Pages 1474-1486

1. Valore funzionale: è “una descrizione quantitativa della prestazione del servizio o delle esigenze soddisfatte nel sistema dei prodotti investigati” (Rebitzer et al., 2004). In modo più semplice, possiamo dire che il valore funzionale è il

rendimento del prodotto o servizio che viene esaminato nello strato ambientale ed è il punto di partenza per analizzare possibili e nuovi modelli di business.

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2. Materiali: questo blocco è il corrispondente ambientale del componente delle risorse chiave della forma economica del modello di business. “I materiali si riferiscono alle scorte bio-fisiche utilizzate per rendere il valore funzionale” (Joyce e Paquin, 2016). Ovviamente inserire tutti i materiali sulla tela non è pratico ed è poco sensato, è importante invece inserire i materiali chiave dell'organizzazione e l’impatto ambientale che generano. Ad esempio, nello schema di cui sopra, si fa riferimento al caso di Nespresso, per la quale uno dei materiali chiave sono innanzitutto i chicchi di caffè che rappresentano il 19,9% dell'impronta di carbonio.

3. Produzione: questo blocco ambientale è collegato con la componente delle attività chiave del Business Model Canvas originale, e fa riferimento alle azioni che l'organizzazione deve mettere in atto se vuole creare valore. “La produzione per un produttore può comportare la trasformazione di materiali grezzi o non finiti in prodotti di più alto valore. La produzione di un fornitore di servizi può comportare l'esecuzione di un'infrastruttura IT, il trasporto di persone o altra logistica, l'utilizzo di spazi per uffici e l'hosting di punti di assistenza” (Joyce e Paquin, 2016). Anche in questo blocco, non ha senso inserire tutte le attività ma piuttosto su quelle che sono considerate “chiave” per l'organizzazione e che hanno un alto impatto ambientale.

4. Forniture e outsourcing: in questo blocco troviamo tutte le altre attività produttive che supportano la realizzazione del valore funzionale ma che l’organizzazione non considera come principali. Ciò riguarda il fatto che “ci sono azioni che sono uniche all'organizzazione e sostengono il suo vantaggio competitivo e altre azioni necessarie ma non uniche” (Porter, 2004). In termini ambientali, ad esempio, possiamo considerare l’acqua e l’energia che

generalmente sono fornite da apposite società di servizi. Per tale motivo, molte organizzazioni non hanno il potere di muoversi molto all’interno di questo blocco. Una possibile soluzione in questo caso, è quella di creare dei servizi energetici di proprietà, in questo modo il controllo su di essi è massimo, ma non sempre è conveniente, soprattutto se non è questa l’area con il maggior impatto ambientale.

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5. Distribuzione: “rappresenta il mezzo fisico con cui l'organizzazione garantisce l’accesso al suo valore funzionale” (Joyce e Paquin, 2016), e questo era valido anche nel business model originale. All'interno di questo blocco si fa riferimento “alla combinazione delle modalità di trasporto, delle distanze percorse e dei pesi di ciò che viene spedito” (Joyce e Paquin, 2016), tenendo conto dei problemi della logistica come la deperibilità dei prodotti, l’imballaggio e la consegna che qui sono rilevanti in termini di impatto ambientale. Ad esempio, se un’azienda di trasporti rileva che genera un effetto ambientale negativo in questo blocco, potrebbe agire sui mezzi di trasporto stessi sostituendoli con altri a metano che inquinano meno, oppure un’azienda che spedisce pacchi potrebbe ridurre l’impatto ambientale utilizzando imballaggi riciclati e non di plastica.

6. Fase di utilizzo: “si concentra sull'impatto che genera la partecipazione del cliente al valore funzionale dell'organizzazione, o al servizio/prodotto di base” (Joyce e Paquin, 2016). Ad esempio, un importante impatto di fase causato dal cliente deriva dalla ricarica della batteria di un dispositivo elettronico. Il

problema che si può riscontrare in questo blocco è che oggigiorno “il confine tra la fase di produzione e quella di utilizzo potrebbe non essere chiaro, soprattutto perché le organizzazioni offrono sempre più co-creazione di servizi (ad es. contenuti creati dall'utente) e condivisione di prodotti (ad esempio, car sharing) al posto dei più tradizionali business model di prodotti e servizi” (Prahalad e Ramaswamy, 2004).

7. Fine della vita: è il blocco che riguarda la fase in cui “il cliente sceglie di terminare il consumo del valore funzionale” (Joyce e Paquin, 2016) e ciò genera tutta una serie di problemi riguardanti la gestione dei materiali, come il

ripristino, il riciclaggio, l'incenerimento o lo smaltimento di un prodotto (cfr. Joyce e Paquin, 2016). Da una prospettiva di innovazione, questa situazione può spingere l'organizzazione a studiare diversi modi per gestire il suo impatto e questa può essere un’occasione per muoversi verso nuovi e innovativi modelli di business, magari sperimentando un nuovo modo di riutilizzo dei prodotti

riducendo i costi di smaltimento prodotti e incrementando il valore di quelli nuovi.

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8. Impatto ambientale: riguarda “i costi ecologici delle azioni

dell'organizzazione” (Joyce e Paquin, 2016). In un modello di business tradizionale, gli impatti generati dall’azienda sono generalmente considerati come costi finanziari, mentre se consideriamo anche la tela ambientale, questo orizzonte si amplia per includere tutti i costi ecologici dell'organizzazione. Vengono considerati degli indicatori di prestazione connessi a “misure biofisiche quali le emissioni di CO2, la salute umana, l'impatto dell'ecosistema,

l'esaurimento delle risorse naturali, il consumo di acqua ecc.” (Jolliet et al., 2003, Joyce e Paquin, 2016). Questo blocco permette di capire dove possiamo trovare gli impatti ambientali più grandi, per poi intervenire con soluzioni migliori.

9. Benefici ambientali: “estendono il concetto di creazione di valore oltre il valore puramente finanziario. Comprendono il valore ecologico che l'organizzazione crea attraverso riduzioni di impatto ambientale e persino valore ecologico

positivo rigenerativo”. (Joyce e Paquin, 2016). Questo blocco può fornire diversi spunti ad un'organizzazione per realizzare prodotti, servizio o interi modelli di business sostenibili in grado di “ridurre negativamente e/o aumentare

positivamente l’impatto ambientale positivo” (Joyce e Paquin,2016), permettendo magari all’azienda di ottenere un vantaggio competitivo. Per alcune organizzazioni, come ad esempio le cartiere, gli impatti ambientali sono molto elevati, quindi se riescono a capire quali sono le attività che impattano di più, possono trovare soluzioni più ecologiche che riducono sensibilmente questi impatti che si riflettono in una riduzione dei costi sia in termini monetari che ambientali, comportando vantaggi non solo in termini di maggior guadagni, ma i clienti più attenti all’ambiente saranno disposti anche a pagare un po' di più per quei prodotti che rispettano l’ambiente incrementando i benefici ambientali perché magari si utilizzano materiali riciclati, e facendo guadagnare

ulteriormente l’azienda stessa.

“Valutando gli impatti ambientali con un approccio di ciclo di vita, la descrizione degli impatti permette di stabilire una più solida base su cui progettare modelli aziendali più sostenibili” (Joyce e Paquin, 2016).

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Lo strato sociale del TLBMC si basa su un “approccio di gestione degli stakeholder per esplorare l'impatto sociale dell'organizzazione” (Freeman, 1984). L’obiettivo di questo strato è quello di tenere in considerazione e cercare di equilibrare anche gli interessi degli stakeholder dell'organizzazione invece di puntare soltanto alla massimizzazione dei profitti. Gli stakeholder sono quei “gruppi di individui o organizzazioni che possono influenzare o essere influenzati dalle azioni di un'organizzazione. Le parti interessate tipiche comprendono dipendenti, azionisti, comunità, clienti, fornitori, enti governativi, gruppi di interesse” (Joyce e Paquin, 2016).

Lo strato sociale amplia la tela originale del modello di business inserendo gli impatti derivanti dalla prospettiva degli stakeholder, per “catturare le influenze reciproche tra gli stakeholder e l'organizzazione” (Joyce e Paquin, 2016). In questo modo si ha una profonda conoscenza riguardo gli impatti sociali principali generati da

un'organizzazione, così da avere la possibilità di percorrere nuove strade per innovare il modello di business con l’obiettivo di incrementare “il suo potenziale di creazione di valore sociale” (Joyce e Paquin, 2018).

Come abbiamo fatto per gli strati precedenti, anche qui andiamo a vedere lo schema principale e i 9 blocchi, a ricalco della rappresentazione originale del Business Model Canvas. Come schema rappresentativo riporteremo in Figura 10, lo stesso utilizzato dagli autori del TLBMC:

Fig. 10 - The social stakeholder layer of the triple layered business model canvas demonstrates the Nespresso case. Source: Journal of Cleaner Production. Volume 135, Pages 1474-1486

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1. Valore Sociale: riguarda “l'aspetto della missione di un'organizzazione che si concentra sulla creazione di vantaggi per i propri stakeholder e la società in modo più ampio. Per le imprese orientate alla sostenibilità, creare valore sociale è probabilmente una parte importante e ben definita della loro missione.

Tuttavia, anche le organizzazioni più redditizie probabilmente considerano il loro valore oltre il semplice guadagno finanziario” (Collins e Porras, 1996). Più semplicemente, possiamo dire che il valore sociale è ciò che viene trasmesso dai principi e valori morali che l’azienda dichiara.

Considerando come in Figura 9 il caso di Nespresso, il loro valore sociale può essere compreso attraverso la loro "tabella di marcia per una crescita sostenibile" (Nespresso, 2015) che punta a generare valore a lungo termine mediante rapporti reciprocamente convenienti con gli agricoltori di caffè.

Oppure possiamo prendere una realtà più vicina a noi, come Sofidel, che attraverso il “Codice Etico” promuove: “il rispetto integrale dei diritti

fondamentali della persona è alla base dell’agire Sofidel. Trasparenza, integrità morale, affidabilità, senso di responsabilità, professionalità, serietà, onestà, correttezza, riservatezza, imparzialità, lealtà, eticità, reciproco rispetto, condivisione… i valori cui si deve ispirare l’attività di tutte le persone che si trovano a collaborare con le aziende del gruppo Sofidel sono riassunti nel Codice Etico”(www.sofidel.com), oppure lo slogan “Less is More” che ha come scopo quello di “offrire i massimi benefici riducendo al minimo gli impatti negativi per tutti gli stakeholder lungo tutto il processo di creazione del valore” (www.sofidel.com).

2. Dipendenti: in questo blocco andiamo a considerare uno dei principali stakeholder dell’azienda, in quanto sono una risorsa core.

Qui, dicono gli autori, possono essere inclusi diversi elementi, come “tipi di dipendenti, demografia, variazioni di retribuzione, sesso, etnia e istruzione”. Questo blocco dà anche la possibilità di capire e definire programmi specifici destinati ai dipendenti dell'organizzazione (ad esempio: corsi di formazione, corsi di lingua ecc.) che conseguentemente possono aiutare l’azienda a sopravvivere e magari a trionfare.

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In azienda, ogni dipendente ha caratteristiche diverse dagli altri e, per tale motivo, questo blocco rischia di essere riempito di informazioni più o meno importanti, pertanto, come detto anche precedentemente, conviene concentrarsi solo su quegli aspetti più interessanti per il sostegno del modello di business.

3. Governance: questo blocco “cattura la struttura organizzativa e le politiche decisionali di un'organizzazione” (Joyce e Paquin, 2016).

Attraverso la governance, l’azienda è in grado di capire quali sono gli stakeholders principalmente coinvolti.

“Le organizzazioni possono variare ampiamente in base a diversi aspetti della governance, tra cui la proprietà (ad es. Cooperativa, senza scopo di lucro, a scopo di lucro, a scopo di lucro)” (Young, 2013), “strutture organizzative interne (ad es. gerarchia organizzativa, funzionale, specializzazione delle unità)”

(Williamson, 1991) “e politiche decisionali (ad esempio trasparenza, consultazione, criteri non finanziari, partecipazione agli utili) (Turskis e Zavadskas, 2011)”.

Ognuno di questi elementi sopracitati, può condizionare l’idea di

un'organizzazione su come far partecipare gli stakeholder interessati alla creazione del valore sociale. Ad esempio, una maggiore trasparenza da parte dell’azienda è sicuramente apprezzata da più tipi di soggetti coinvolti, perché rende l’azienda più affidabile anche in termini sociali.

4. Comunità: oltre alle relazioni economiche, esistono anche relazioni sociali con i fornitori e le comunità locali in cui essi operano e l’azienda può creare,

conservare e sfruttare tali rapporti, reciprocamente favorevoli, per ottenere un successo duraturo nel tempo.

Se un'organizzazione dispone di strutture in diverse aree geografiche, deve tener conto che ogni comunità è diversa dall’altra in termini di bisogni e realtà

culturali. “Mentre le organizzazioni tendono a concentrarsi maggiormente sulla comunità in cui hanno sede, le organizzazioni dovrebbero considerare tutte le comunità in cui hanno le strutture”. (Landier et al., 2009)

Infine, “sebbene i singoli fornitori possano avere più o meno influenza su un'organizzazione” (Pfeffer e Salancik, 1978), come gruppo, anche i fornitori sono considerati stakeholders principali, in quanto mettono a disposizione

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dell'organizzazione le risorse necessarie per ssupportare la crescita e la vita stessa dell’azienda, e spesso essi fanno parte della comunità locale.

5. Cultura societaria: è il blocco che riprende “l'impatto potenziale di

un'organizzazione sulla società nel suo complesso, usando il concetto di valore sostenibile per riconoscere un potenziale impatto organizzativo sulla società e come, anche con le sue azioni, può influire positivamente sulla società stessa” (Steurer et al., 2005).

6. Scala di sensibilizzazione: descrive “la profondità e l'ampiezza delle relazioni che un'organizzazione costruisce con i propri stakeholder attraverso le sue azioni nel tempo” (Joyce e Paquin, 2016). Gli autori sostengono che qui si può

considerare anche la volontà di allargare le relazioni a lungo termine in modo da ampliare geograficamente l'impatto sociale, ma questo blocco considera anche l'impatto sociale generato da un'organizzazione che si preoccupa e tiene conto delle differenze etiche e etniche dei vari Paesi in cui opera.

7. Utenti finali: sono le persone a cui è rivolta la proposta di valore sociale. Questo blocco ci permette di capire se e come la proposta di valore è in grado di

“rispondere ai bisogni dell'utente finale, contribuendo alla sua qualità di vita” (Joyce e Paquin, 2016).

Come nel blocco del segmento di clienti del Business Model Canvas originale si suddividevano i clienti in segmenti in base a determinati requisiti, anche qui possiamo definire diversi target di utenti finali in base ai bisogni sociali che vogliono soddisfare e a tutta una serie di “dati demografici rilevanti, ad esempio età, reddito, etnia, livello di istruzione, ecc.” (Joyce e Paquin, 2016).

È importante considerare che l'utente finale qui non è sempre il cliente come invece era nel Canvas originale. Ad esempio, una cartiera che produce fazzoletti con un balsamo speciale può avere come clienti i grandi supermercati, ma gli utenti finali sono gli acquirenti che hanno la specifica necessità di usare questi fazzoletti con balsamo per vari motivi.

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8. Impatti sociali: si tratta dei “costi sociali di un'organizzazione” (Joyce e Paquin, 2016) che integrano i costi finanziari della tela originale e i costi ecologici dello strato ambientale. Ad oggi però non esiste ancora una linea generale su quali impatti sociali devono essere presi in analisi, né come misurarli. Alcuni degli indicatori più comuni come ad esempio quelli forniti da Benoît-Norris (2011), includono “ore di lavoro, patrimonio culturale, salute e sicurezza, impegno della comunità, concorrenza leale, rispetto dei diritti di proprietà intellettuale ecc.” anche se ogni organizzazione dovrebbe inserire qui i propri indicatori in base a contesto in cui opera.

9. Benefici sociali: rappresentano “il valore sociale positivo creato da aspetti dell'azione dell'organizzazione” (Joyce e Paquin, 2016), cioè quello che fa di “buono” l’azienda per gli stakeholder che coinvolge con le sue attività. Al pari dei costi sociali, anche i benefici sociali possono essere quantificati utilizzando diversi indicatori.

Ad esempio, per Nespresso, come ci dicono gli autori: “le prestazioni sociali possono includere gli impatti di sviluppo personale e di impegno nella comunità per fornire opportunità di formazione dei dipendenti direttamente e

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