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Il Business Model nel settore delle Fashion Blogger: il caso di Chiara Ferragni

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di laurea

Il Business Model nel settore delle Fashion Blogger: il caso di

Chiara Ferragni

Anno accademico 2016/2017

Relatore:

Chiar.ma Prof.ssa Lucia Talarico

Candidata:

Debora Solvetti

Matricola n°:509868

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Ai miei nonni Sergio e Ivo,

che mi avete consigliato quando stavo per sbagliare, mi avete raccontato storie quando non riuscivo a dormire, mi avete preso per mano quando avevo paura, ma soprattutto mi avete aiutato ad essere quella che sono oggi. Questo elaborato è dedicato a voi, perché so che vi avrebbe fatto piacere essere presenti.

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INDICE

Introduzione... 2

Capitolo 1 - Il Business Model Canvas 1.1 Cos’è un Business Model?... 4

1.2 Quattro problemi del Business Model... 9

1.3 Valutare i modelli di business: il Business Model Stress Testing... 11

1.4 Il Business Model Canvas... 18

1.5 I tre volti del Business Model Canvas... 38

Capitolo 2 – Il fenomeno delle Fashion Blogger 2.1 Cos’è un Blog?... 50

2.2 Fashion Blogger... 57

2.3 Essere il brand di sé stessi... 69

Capitolo 3 – Case study: la Fashion blogger Chiara Ferragni 3.1 La storia di Chiara Ferragni... 81

3.2 I numeri di Chiara Ferragni e delle sue principali rivali italiane... 89

3.3 Il Business Model Canvas di Chiara Ferragni... 95

Bibliografia... 151

Sitografia... 157

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INTRODUZIONE

Innovazione. Oggigiorno è la parola chiave per sopravvivere al cambiamento sempre più rapido dell’ambiente esterno e può riguardare un prodotto, un packaging, una forma di comunicazione di marketing ma anche il proprio business model.

Innovare il proprio modello di business significa comprendere e ripensare all’azienda a livello più alto e osservare tutti i processi (produttivi, distributivi, commerciali ecc.) nel loro complesso per aprire gli occhi sugli elementi ormai superati ma soprattutto sulle opportunità non sfruttate.

Innovazione non significa solo revisionare un modello di business che nel tempo è diventato obsoleto, ma significa anche proporre qualcosa di nuovo, di unico che prima non esisteva.

Com’è possibile trasformare idee visionarie in modelli di business di successo? Piccole realtà hanno vinto questa sfida e oggi ricoprono posizioni dominanti sul mercato, basti pensare ad Apple che è entrata nella competizione con un modello di business migliore degli altri e ciò le ha permesso di essere leader nel mercato della musica ma non è la sola.

Altri hanno saputo sfruttare, ad esempio, i social media per costruire la base del proprio successo grazie alla nascita di nuove figure, come quella della fashion blogger che verrà trattata in questo elaborato.

Il presente scritto quindi si articolerà in tre capitoli distinti.

Nel primo si illustreranno i concetti principalmente teorici in riferimento al business model, passando poi alla scoperta dello strumento per eccellenza in termini di una visualizzazione grafica del modello di business aziendale, ovvero il Business Model Canvas. Si descriveranno ciascuno dei suoi nove componenti e infine vedremo

brevemente la sua interpretazione non solo economica, ma anche l’aspetto ambientale basato su una prospettiva del ciclo di vita del prodotto e l’aspetto sociale basato su una prospettiva degli stakeholder.

Il secondo capitolo tratterà di un mondo ancora nuovo per molti, i/le fashion blogger. Andremo innanzitutto a spiegare cos’è un blog e a fare una panoramica sulla situazione in Italia per avere un’idea più chiara dell’ambiente in cui ci andiamo a muovere, poi

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passeremo a definire chi sono i/le fashion blogger, cosa fanno e cosa significa personal branding in questo settore.

Infine, nel terzo capitolo verrà illustrato un case study tutto italiano, ovvero andremo a ricostruire il business model di una delle fashion blogger più famose e di successo: Chiara Ferragni.

Verrà presentata e vedremo come è riuscita da un semplice blog online, The Blonde Salad, a diventare una delle persone più influenti nel mondo della moda divenendo anche un brand, infine verrà fatta una breve panoramica sulla situazione economica delle due società di proprietà della fashion blogger.

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Capitolo 1 – Il Business Model Canvas

1.1 Cos’è un Business Model?

La prima volta in cui si è sentito parlare di “business model” fu grazie a questa frase:” "E molti altri problemi sorgono per affliggerci nella costruzione di questi modelli di business che mai hanno affrontato un ingegnere" (Bellman, 1957, p. 474), contenuta in un articolo accademico nel 1957 di Bellman, con il significato di “rappresentazione della realtà, simulazione del mondo reale attraverso un modello” (DaSilva e Trkman, 2005).

Ancora oggi non esiste una definizione ampiamente accettata di business model, qualcuno come Porter (2001, p. 71) lo descrive la strategia come "tutti gli elementi di ciò che un'azienda fa combaciare insieme", oppure J. Magretta (2002) lo definisce come "la storia che spiega come funziona un’impresa", altri come A. Osterwalder lo racconta come “un progetto per una strategia da implementare attraverso strutture organizzative, processi e sistemi”. Più semplicemente se consideriamo le due parole separatamente:

- Business: creare valore e acquisire i rendimenti di quel valore - Model: rappresentazione della realtà

Giungiamo alla conclusione che un modello di business è “una rappresentazione della logica di base sottostante di un'azienda e delle sue scelte strategiche per creare e catturare valore all'interno di una rete di valore” (Shafer, Smith e Linder,2005, p. 202). “I modelli di business sono fatti di scelte concrete e delle conseguenze di queste scelte” (Casadesus-Masanell e Ricart, 2010), quindi la progettazione di nuovi modelli di business richiede molta attenzione ed un’accorta valutazione.

Dalla definizione data da Shafer, Smith e Linder, si possono delineare quattro elementi chiave di un business model, rappresentati in Figura 1:

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Partendo dal primo componente, le scelte strategiche, è importante che il modello di business coinvolga tutte le decisioni strategiche che sono state prese, ne faciliti l’analisi e definisca più chiaramente le relazioni causali che nascono da tali scelte strategiche, ma è altrettanto importante capire che il business model non è una strategia, è un modo per dare una rappresentazione alla stessa.

Di fatti, come osserva Henry Mintzberg (1994) nel suo libro “The Rise and Fall of Planning Strategic”, la strategia può essere vista in almeno quattro modi diversi: “come modello, piano, posizione o prospettiva”, o può anche essere definita come “la

creazione di una posizione unica e preziosa, che coinvolge un diverso insieme di attività” (Porter, 1996) ma più letteralmente può essere descritta come “una tecnica che permette di individuare gli obiettivi generali di qualsiasi settore di attività, nonché le scelte, i modi e i mezzi più opportuni per raggiungerli” (Enciclopedia Treccani, www.treccani.it).

In sintesi, possiamo dire che il modello di business diverge dalla strategia in due modi diversi. Innanzitutto, basandosi su Casadesus-Masanell e Ricart (2010) che affermano che "i modelli di business sono riflessi della strategia realizzata", gli autori ci fanno capire che è la strategia a dare origine alle capacità aziendali, sulla base delle quali l’organizzazione decide di realizzare un certo business model per competere sul mercato e che, in futuro, possono costringere la stessa a dover modificare i modelli di business attuali per sopravvivere. La strategia quindi riguarda la generazione di capacità che non sono statiche, anzi, mutano nel tempo con lo scopo di formare, “anticipare, cogliere opportunità ed evitare le minacce mantenendo la competitività migliorando,

proteggendo combinando, proteggendo e, quando ritenuto necessario, riorganizzando i beni immateriali e materiali della società” (Pavlou e El Sawy, 2011).

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Come possiamo vedere dal grafico in Figura 2, la strategia generalmente ha un

orizzonte di lungo termine e si occupa della “costruzione di capacità dinamiche volte a rispondere in modo efficiente alle contingenze future ed esistenti” (Ambrosini e Bowman, 2009), che hanno prospettiva a medio termine, le quali circoscrivono lo spazio entro il quale i modelli di business (che hanno un orizzonte temporale di breve termine) possono muoversi per affrontare avvenimenti esistenti o futuri che colpiscono l’azienda. Sono rappresentati come tre ingranaggi di una macchina, che muovendosi fanno spostare anche gli altri, infatti sono tutti elementi collegati tra loro.

Detto in maniera diversa, i manager hanno il compito di tradurre, strategicamente parlando, l’idea imprenditoriale in quella che è l’impostazione strategica dell’oggi (la strategia) attraverso la creazione di un modello di business rappresentativo e in linea con il profilo oggettivo dell’azienda (le capacità dinamiche), cioè coerente con i suoi prodotti e servizi, con le sue risorse umane, con i suoi impianti e macchinari, con i suoi valori finanziari, con i suoi processi di gestione, con i suoi mercati, con il suo posizionamento competitivo ecc.

In secondo luogo, sempre secondo Casadesus - Masanell e Ricart (2010), "ogni organizzazione ha un modello di business" e "non ogni organizzazione ha una strategia", quindi si enfatizza il fatto che la durata della strategia è di medio lungo termine perché mostra ciò che un’azienda vorrebbe essere, mentre i modelli di business descrivono il sistema operante dell’azienda in un dato momento, per questo hanno durata breve.

L'obiettivo della strategia, quindi, è la realizzazione del modello di business, infatti come si vede in Figura 3, la prima mossa delle imprese è quella di definire la "logica di creazione di valore e di cattura di valore" (Casadesus-Masanell e Ricart, 2010) cioè prepongono il loro modello di business con il quale intendono competere sul mercato, e nel secondo passaggio, fanno scelte tattiche indirizzate dagli obiettivi che vogliono perseguire, cioè prendono decisioni che a questo punto, sono vincolate dal business model che l’azienda ha intenzione di usare.

Questo perché il modello di business dovrebbe racchiudere tutte le capacità proprie e acquisite dall’azienda, quindi è su questa base che devono essere definite le tattiche per muoversi sul mercato, per costruire partnership strategiche e per affrontare i

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Fig. 3 - Source: Long Range Planning - Volume 43, Issues 2–3, April–June 2010, Pages 195-215

Una volta chiarita questa differenza, è importante fare riferimento anche agli altri elementi chiave rappresentati in Figura 1.

La creazione e la cattura di valore sono le azioni base che l’azienda deve mettere in atto se vuole perdurare nel tempo, altrimenti avrebbe poco senso di esistere.

Le imprese sono in grado di creare valore sostanzialmente accrescendo competenze, know-how e capacità uniche, ad esempio, per ottenere un posizionamento specifico o per realizzare un prodotto/servizio unico in modo da differenziarsi dai concorrenti e ottenere un vantaggio competitivo o superiorità reddituale. “Tale vantaggio deriva dalle attività separate che un’impresa svolge nel progettare, produrre, vendere, distribuire e assistere i suoi prodotti”(Porter, 2004).

Il vantaggio competitivo è la capacità dell’azienda di superare, a livello di business, i competitors in termini di performance reddituali.

Il vantaggio competitivo è un fatto quindi, che esprime una situazione di superiorità qualitativa nello svolgimento della gestione e deve essere confermata da ottimi indicatori economico – finanziari.

Se il vantaggio competitivo è perseguito ed è tradotto nel sistema operante, si deve “trasformare” in una sovra - redditività dell’azienda in quel business rispetto al settore. Si parla di redditività operativa (EBITA su fatturato, ROI, ROS) perché siamo sul singolo business. Se invece voglio confrontare, ad esempio, il business Ferrari con il business Porsche non guarderò come indicatore il ROE perché non esprime soltanto la capacità reddituale collegata al business ma dipende anche dall’indebitamento

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Allora questa sovra - redditività che si intende perseguire nel ricercare il vantaggio competitivo è una sovra - redditività operativa, cioè relativa al core business aziendale e non ad attività non tipiche o straordinarie compiute dall’azienda.

La strategia e l'analisi del modello di business sono necessarie per proteggere il vantaggio competitivo, una volta acquisito.

Il valore che le aziende creano, deve anche generare un guadagno, in quanto la

sopravvivenza aziendale è fortemente dipendente sia al valore creato, sia al modo in cui catturano questo il valore e ne traggono profitti.

Un modello di business quindi, come sostiene Teece (2010), “articola la logica, i dati e altri elementi che supportano una proposta di valore per il cliente e una struttura attuabile dei ricavi e dei costi per l'impresa che fornisce tale valore”.

Più semplicemente, riguarda il beneficio che l'impresa permetterà ai clienti di avere, come gestirà le sue attività per realizzarlo, e come acquisterà una parte del valore che questo vantaggio permette di generare.

Ovviamente né la creazione di valore né la cattura dello stesso si verificano da soli, entrambi esistono grazie all’ultimo elemento chiave di Figura 1, ovvero si creano “all'interno di una rete di valori, che può includere fornitori, partner, canali di

distribuzione e coalizioni che estendono le risorse proprie dell'azienda” Hamel (2002). L'impresa dovrebbe creare rapporti incomparabili e duraturi con alcuni di questi stakeholder, soprattutto con i fornitori di componenti essenziali del proprio prodotto/servizio, o anche con i clienti finali per capire cosa si aspettano gli stessi dall’azienda. “Il ruolo che un'azienda sceglie di svolgere all'interno della sua rete di valori è un elemento importante del suo modello di business” (Shafer, Smith e Linder, 2005).

Con uno strumento strategico come il Business Model, è più facile comprendere come ottenere un vantaggio competitivo ma è altrettanto facile essere imitati dai competitors. L’obiettivo del management è, quindi, quello di costruire (e innovare) un modello di business differenziato e difficile da imitare sia da parte dei concorrenti ma anche da chi vuole entrare nel nostro stesso settore, quindi può essere usato anche come “barriera all’entrata” (Porter, 2004). Tutto questo ci fa capire quanto è potente questo mezzo strategico se usato con criterio e definito con attenzione e cura.

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1.2 Quattro problemi del Business Model

Quando si parla di business model dobbiamo anche far riferimento a quattro situazioni negative legate alla loro creazione e utilizzo.

Questi problemi, individuati da Shafer, Smith e Linder (2005), sono i seguenti: - Premesse scorrette nella logica di fondo: si può creare un problema durante la

realizzazione del modello di business se la logica core dello stesso si fonda su premesse errate o non verificate, anche per quanto riguardo il futuro. Per scongiurare questa situazione, una volta definito il modello di business, è

importante che l’organizzazione lo controlli per garantire che “l'insieme di scelte sia internamente coerente e si sostenga a vicenda” (Shafer, Smith e Linder, 2005).

- Confini nelle scelte strategiche delineate: un modello di business dovrebbe considerare tutto ciò che riguarda l'azienda all’interno e all’esterno se vuole creare e catturare valore, in quanto lo stabilire il segmento di clienti o i canali di distribuzione o la value proposition, non costituisce un modello di business, perché si considera solo una parte del “sistema azienda”, quindi si rischia fortemente di sovrastimare la probabilità di riuscita del modello stesso sul mercato.

Questa situazione si può facilmente verificare in un contesto imprenditoriale instabile, perché c’è sempre di più la tendenza da parte del management di considerare un numero limitato di decisioni strategiche o di considerarle in modo incompleto, compromettendo l’intero processo di creazione del modello di business.

Quando il modello di business viene redatto correttamente, è in grado di fornirci un valido mezzo per evitare questo problema, perché esso è stato descritto come lo strumento che ”riflette le scelte strategiche fatte” (Shafer, Smith e Linder, 2005), quindi sottolinea il bisogno di considerare in modo sistemico tutte le decisioni strategiche, e non solo una parte di esse.

- Discrepanze tra la creazione e la cattura di valore: accade spesso che i manager si focalizzino solo sull’aspetto della creazione del valore tralasciando o

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considerando appena la parte di cattura del valore, oppure che non abbiano le idee chiare su cosa vuol dire valore potenziale e valore effettivo.

Queste discrepanze sono davvero pericolose perché, se le organizzazioni non sono in grado di catturare i rendimenti economici collegati al valore che l’azienda è riuscita a generare, rischiano fortemente di non sopravvivere.

- Idee sbagliate sulla rete di valore: può accadere che un modello non realizzato correttamente, preveda che la rete attuale di valori di un’organizzazione continuerà ad essere valida anche futuro, rimanendo la stessa.

Una mancata innovazione del business model compromette la possibilità dell’azienda di aprirsi a nuove opportunità, soprattutto al giorno d’oggi, un ristagno del modello è assolutamente da evitare se non si vuole incorrere in un fallimento. Quella rete di valore che va bene oggi, non è detto che resti la stessa e vada bene anche per il domani, anzi sicuramente cambierà e il modello di business dovrebbe cogliere questi mutamenti.

È da considerare che “le aree decisionali strategiche che si trovano di fronte ciascuna organizzazione variano in base a numerosi fattori quali l'età dell'azienda, l'industria, la concentrazione del settore, il tipo di cliente, i regolamenti governativi e così via. Allo stesso tempo, il modello di business di un'organizzazione non è mai completo in quanto il processo di scelta strategica e di verifica dei modelli di business dovrebbe essere continuo e iterativo.” (Shafer, Smith e Linder, 2005).

I modelli di business sono uno strumento davvero utile per esaminare, diffondere le scelte strategiche stabilite e per capire quando è il momento di innovare, sempre se non si incorre negli errori definiti sopra.

Purtroppo però, c’è anche la possibilità che aziende con modelli di business esternati con difficoltà o con poca accuratezza, riscontrino uno o più problemi evidenziati sopra e quindi non avranno successo sul mercato. La probabilità è bassa poiché per la creazione e la cattura di valore è necessaria un’analisi approfondita e accurata, però può

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1.3 Valutare i modelli di business: il Business Model Stress Testing

“Il successo di un business model, come design o progetto per fare affari, può essere collegato ai concetti di redditività, fattibilità e robustezza” (De Vos e Haaker, 2008). In questo caso, per robustezza si intende “la redditività e la fattibilità a lungo termine di un business model in un dato ambiente” (Haaker, Bouwman, Janssen, e de Reuver, 2017) che nel tempo può mutare.

“La robustezza è particolarmente importante nell'attuale contesto aziendale in cui il ritmo di cambiamento delle tecnologie digitali, della regolamentazione e dei mercati è rapido e imprevedibile” (Gunther e McGrath, 2010).

L’altro elemento che dobbiamo considerare è la fattibilità, che si riferisce al fatto se un business model può o non può essere effettivamente messo in pratica nella realtà, cioè un modello di business è fattibile se sono disponibili risorse, come i beni materiali, i valori finanziari, le risorse umane e/o brand e licenze coerenti con lo stesso.

Inoltre, è da premettere che non ci devono essere barriere legali, normative e/o morali che impediscono la sua attuazione, altrimenti i modello diventa impraticabile.

Bouwman e Faber, (2008) proposero di utilizzare i fattori critici di successo per valutare la redditività e la fattibilità di un business. Come spiegano gli autori, “questi fattori riguardano l'attrattività di un'offerta per i segmenti di clientela proposti e la redditività di un business model per gli stakeholder partecipanti”.

Un altro approccio di valutazione di un modello di business è quello ideato nel 2017 da T. Haaker, H. Bouwman, W. Janssen, M. de Reuver ed è chiamato Business Model

Stress Testing.

In ambito di risk management, lo stress testing è un test che si fa su quegli eventi che potrebbero avere delle conseguenze estremamente gravi sull’obiettivo perseguito, quindi è finalizzato a valutare la vulnerabilità di un’azienda in presenza di situazioni particolarmente avverse legate a più fattori di rischio.

Qui viene ripreso questo concetto per analizzare la robustezza del nostro business model, infatti il Business Model Stress Testing è un approccio che ci permette di capire quali elementi contenuti nel business model comportano o potranno comportare delle vulnerabilità per l’azienda in un certo contesto futuro ma non solo, inoltre è una metodologia che genera dibattito tra chi è coinvolto e ciò può portare alla nascita di valide soluzioni su come rendere più forte il modello.

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Di seguito ne descriveremo il processo realizzato da Haaker, Bouwman, Janssen, e de Reuver.

Il business model viene sottoposto a uno stress test, per individuare eventi futuri e le incertezze che si comportano da fattori di stress e che possono minare la solidità del modello.

Il test permette di realizzare una lista di tendenze e incertezze, che verranno inserite in un foglio Excel ed elaborate, e questo faciliterà la valutazione.

Questo approccio è composto dai seguenti sei step (Fig.4):

Fig. 4 - Source: Futures - Volume 89, May 2017, Pages 14-25

1. Descrivere il business model: la prima fase riguarda la descrizione delle componenti del modello di business attuale, o di quello che vorremmo raggiungere, per inserirli in un foglio Excel stando attenti ad essere il più coerenti possibile con la realtà affinché il test sia significativo.

Vedremo nel paragrafo successivo un metodo molto diffuso e di facile

applicazione per descrivere il proprio business model, cioè il metodo Canvas. Questo approccio è comunque utilizzabile con qualsiasi modo di descrivere il proprio business model.

Gli autori ci tengono ad evidenziare che “lo stress test funziona meglio con una proposta di valore chiaramente definita” (Haaker, Bouwman, Janssen, e de Reuver, 2017).

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2. Identificare e selezionare i fattori di stress: in questo step si vanno a selezionare le tendenze e le incertezze che verranno utilizzate come fattori di stress nel test. Gli eventi e le incertezze possono essere ricavate da scenari già figurati in precedenza o attraverso sedute di brainstorming con i partecipanti al test, che di fatto avranno il ruolo di scegliere quegli elementi che ritengono abbiano un rilevante impatto sul modello di business, cercando però di non realizzare una lista troppo lunga altrimenti il test potrebbe diventare difficile da gestire.

L’efficacia di uno stress test dipende innanzitutto dal primo step, è fondamentale aver ben chiaro il modello di business per avere la certezza di raccogliere le tendenze e le incertezze rilevanti, inoltre è altrettanto importante definire dei risultati estremi per ogni evento selezionato in modo da porre dei “confini”. Un altro metodo che gli autori consigliano di utilizzare per la raccolta, è quello di creare una lunga lista mediante un'analisi PESTEL che permette di

comprendere più variabili, e di fatti quest’ultima è “una metodologia che si basa su alcune variabili di contesto che riescono a definire l’ambiente in cui opera un'azienda, al fine di individuare quali variabili possono essere rilevanti nelle scelte strategiche dell’azienda” (fonte: Wikipedia).

Tuttavia, questi metodi presentano il rischio di soggettività nei giudizi, poiché le persone tendono a scegliere i fattori che già conoscono, tralasciando quelli sconosciuti o poco conosciuti.

Una tecnica alternativa proposta, può essere quella di selezionare le tendenze e le incertezze utilizzando analisi o studi indipendenti di trend, in questo modo gli elementi raccolti sono meno soggettivi e non risentono delle “limitazioni

mentali” dei partecipanti coinvolti nel test, anche se risultano meno specifici al caso in esame.

3. Business Model Map per i fattori di stress: in questo passaggio, i fattori di stress individuati nello step 2 vengono rapportati ai componenti del business model descritti nello step 1.

È una fase che collega i passaggi precedenti con il successivo, e in cui si va a stabilire quali fattori di stress e componenti del business model hanno una relazione causale. Per fare un esempio, sintetizziamo quello descritto dagli autori, cioè un componente del business model può essere "l'utilizzo di dati

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personali dei clienti" e un fattore di stress selezionato può essere

"regolamentazione sull'utilizzo dei dati personali dei clienti". È evidente che questi due elementi sono collegati da una relazione causale e che il fattore di stress può avere un impatto sul relativo componente.

Si raccomanda che “solo queste combinazioni devono essere incluse nello stress test effettivo nel passaggio 4” ( Haaker, Bouwman, Janssen, e de Reuver, 2017).

4. Creare la Mappa di Calore: in questo step si va mappare le relazioni e le influenze tra i fattori di stress e i componenti del business model, creando la

Mappa di calore o Heat Map.

Essa è rappresentata da una matrice dove nelle righe troviamo i componenti del business model, mentre nelle colonne vengono collocati gli esiti sulle incertezze (ovvero gli eventi con i rispettivi risultati estremi).

La Heat Map è una mappa colorata, infatti vengono utilizzati diversi colori per capire visivamente l'impatto che un fattore di stress ha su un componente, ovvero:

- Rosso: questo colore indica che l’impatto che ha uno o entrambi i risultati del fattore di stress sul componente lo ha reso infattibile. In questa

situazione, il fattore di stress rappresenta un pericolo per il business model.

- Arancio: questo colore serve per evidenziare che l’esito della relazione tra il fattore di stress e quel componente di business model ha reso quest’ultimo inattuabile. Di fronte a questa situazione, il fattore di stress segnala che è necessario riconsiderare le scelte relative a tale componente.

- Verde: in questa mappa, ci indica che il fattore di stress influisce

positivamente sul componente di business model, quindi in altri termini, potrebbe essere un fattore critico del successo per l’azienda.

- Grigio: “il risultato sul fattore di stress non influenza in alcun modo il

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Lo scopo della mappa di calore è quello di mostrarci innanzitutto quali sono i componenti non robusti sui quali l’azienda deve intervenire, ma ci permette anche di prendere coscienza su quali sono i componenti ancora validi del nostro modello, che l’azienda non deve assolutamente trascurare.

Nella mappa del calore dovrebbe anche essere motivata la ragione per cui un impatto comporta un particolare colore. Questo è importante per l'ultima fase.

Fig. 5 – Source: Futures, Volume 89, May 2017, Pages 14-25

In Figura 5 vediamo un esempio di Heat Map che gli autori ci propongono a seguito dell’analisi di un caso reale. Come possiamo vedere, in verticale ci sono i componenti del business model, mentre in orizzontale abbiamo: nella prima riga i fattori di stress, mentre nella seconda riga troviamo gli estremi relativi a ciascun fattore.

5. Analizzare i risultati: questo step prevede due sottopassaggi per comprendere meglio la Heat Map:

- Analisi delle sotto-viste: quest’analisi ci aiuta a fare un focus sulle aree più critiche del business model e a spiegare i motivi per cui alcune parti

sembrano più o meno solide di altre. Ad esempio, gli autori spiegano che “in una sotto-vista si può rapportare un fattore di stress con tutti i componenti di business model per capire che impatto, positivo o negativo che sia, fornisce all’intero modello” (Haaker, Bouwman, Janseen, de Reuvera, 2017).

- Analisi degli schemi colorati: la mappa di calore può rivelare vari sotto-schemi che permettono di individuare, secondo gli autori del Business Model Stress Testing:

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o Gli esiti preferiti sui fattori di stress: “un esito specifico può risultare consistentemente favorevole o sfavorevole per più i componenti. Tale informazione è utile se gli stakeholder possono sfruttare i fattori di stress, ad esempio facendo pressione per una certa regolamentazione”

(Haaker, Bouwman, Janseen, de Reuvera, 2017).

o Potenziali incongruenze tra le scelte di business model: “le scelte su uno o più componenti possono essere favorite da un determinato esito di un’incertezza, mentre un altro risultato di incertezza può favorire altri componenti. Di conseguenza, qualunque risultato si realizzerà in futuro, i componenti di business model combinati non sono fattibili” (Haaker, Bouwman, Janseen, de Reuvera, 2017).

o Scelte di business model che non sono più realizzabili in un qualsiasi ambiente futuro: “se un componente non è fattibile in entrambi i risultati estremi di un fattore di stress, tale esito detto "doppio-rosso" indica un problema serio nel business model che deve essere analizzato e risolto” (Haaker, Bouwman, Janseen, de Reuvera, 2017). Ad

esempio, in Figura 5, possiamo vedere questo esito per il componente “Revenues Structures” relativo al fattore di stress “Ban on

commission”.

Le due analisi possono essere combinate per comprendere meglio la robustezza del business model.

6. Formulare miglioramenti e azioni: Dopo aver definito la Heat Map in ogni sua sfaccettatura e compiuto le due analisi previste nello step 5, il passo successivo è quello di tirare le somme.

Quest’ultimo step riguarda ovviamente le soluzioni su come intervenire in caso di celle rosse nella mappa, come migliorare quei componenti evidenziati di arancione e anche come potenziare la coesione tra di essi.

Una motivazione chiara per ogni colore inserito nella mappa di calore è un valido contributo a questo passaggio finale, in quanto dà uno spunto su dove partire per sistemare quei componenti.

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Dopo aver descritto le fasi, dobbiamo ora capire chi sono i soggetti coinvolti in questo approccio.

Possiamo individuare quattro tipi di stakeholder coinvolti:

- Il leader del team che è responsabile del business da testare: è una figura fondamentale perché è colui che si occupa di descrivere il modello di business da controllare che, come abbiamo detto in precedenza, è uno step

importantissimo su cui si struttura il test intero.

- Il team work composto da alcuni dipendenti e spesso anche da esperti indipendenti di settore: insieme si occupano principalmente di individuare i fattori di stress rilevanti. L'aggiunta di un esperto esterno aiuta ad evitare la visioni ristrette e conclusioni troppo soggettive.

- Il facilitatore dello stress test: è un soggetto preparato su tale approccio e può aiutare a rappresentare il modello di business e a raccogliere fattori di stress coerenti con il test. Il ruolo del facilitatore è specialmente orientato ad “aiutare nella creazione della mappa di calore, nel presiedere le discussioni e

nell’interpretare i risultati” (Haaker, Bouwman, Janseen, de Reuvera, 2017). - Il direttore o manager che utilizzerà i risultati per modificare il business in base

a quanto emerso.

Gli stessi autori, criticano in parte questo modello in quanto lo stress test ci fa capire che tipo di influenza comporta una specifica tendenza, incertezza o scenario sui componenti di business model, ma non ci dice con quale probabilità si può verificare tale impatto. Suggeriscono quindi, come passo aggiuntivo dopo aver effettuato lo stress test, di andare a considerare il caso migliore e peggiore, valutando quale delle due situazioni rappresenta uno scenario realistico per l’azienda.

Infine, come sottolineano gli autori, questo strumento considera un’influenza a senso unico da parte dell’ambiente sull’azienda, quando in realtà è possibile che l’azienda sia in grado di incidere sull’ambiente che la circonda.

Nonostante questi limiti, è un validissimo approccio che aiuta a capire da dove iniziare la progettazione o l’innovazione del proprio modello di business, rispondendo in modo proattivo al cambiamento dell’ambiente esterno.

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1.4 Il Business Model Canvas

Un modello di business può essere anche definito come "la logica in base alla quale un'organizzazione crea, fornisce e cattura valore". Questo secondo Osterwalder e Pigneur, gli ideatori del Business Model Canvas.

Il Business Model Canvas è uno strumento strategico visivo che può aiutare gli

utilizzatori a rappresentare chiaramente gli elementi del proprio modello di business, le attuali e potenziali connessioni tra di essi e gli impatti che essi hanno sulla creazione di valore. Inoltre, esso permette di generare discussione e ricerca di possibili innovazioni al modello di business attuale.

Il Business Model Canvas di Osterwalder e Pigneur, in particolare, “è stato sviluppato in base a metodi di scienza del design e alla teoria che sta alla base dello sviluppo del modello di business” (Osterwalder, 2004), di fatti viene classificato anche come strumento strategico di Business Design perché utilizza il linguaggio visivo per

descrivere modelli di business attuali e/o innovativi. Il Business Model Canvas consente quindi di rappresentare graficamente, “il modo in cui un’azienda crea, distribuisce e cattura valore per i propri clienti” (Osterwalder, 2010).

Questa tipologia di Business Model è stata ampiamente adottata dai professionisti grazie al fatto che questo schema è adattabile a diversi tipi di situazione, inoltre rappresenta una base ideale per far sì che l’azienda cresca, integrando anche altri elementi come la sostenibilità ambientale e sociale che vedremo più avanti.

Il Business Model Canvas è rappresentato da uno schema o una tela (in inglese “canvas” da cui infatti prende il nome) e si compone di 9 blocchi. Ogni blocco rappresenta un elemento facente parte dell’azienda ed è collegato a tutti gli altri. Il successo di ogni modello di business, infatti, sta proprio nella capacità

di vedere l’azienda come un grande sistema, non come un insieme di tanti elementi a sé stanti.

Abbiamo ripetuto più volte che il Business Model Canvas è uno strumento visivo, e di fatti è generalmente raffigurato partendo da questo schema (Fig.6):

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Fig. 6 – Source: www.businessmodelcanvas.it/business-model-canvas/

Vediamo ora quali sono nel dettaglio i 9 blocchi previsti dal modello di A. Osterwalder e Y. Pigneur:

1. Value proposition o Valore offerto: in questo blocco si fa riferimento “all’insieme di prodotti e/o servizi che creano valore per uno specifico segemnto di clientela” (Osterwalder e Pigneur, 2012) e che rappresentano la l’elemento che ci permette di essere scelti tra le tante aziende, quindi fa riferimento a quali benefici offriamo come azienda ai nostri attuali e futuri clienti.

Si tratta infatti di un’ offerta di valore composta da diversi elementi che messi insieme, hanno l’obiettivo di soddisfare una necessità o risolvere un problema specifico del segmento di clientela che abbiamo deciso di servire, quindi mira ad incontrare le richieste specifiche di quel gruppo di clienti.

Ciò che decidiamo di proporre al nostro target può rappresentare un’offerta nuova, altre voltre invece può essere simile ad offerte già disponibili ma con qualcosa in più che ci distingue dagli altri.

Nel Business Model Canvas, questo blocco è di fondamentale importanza perchè la proposta di valore, infatti, è ciò che fa incontrare l’azienda con il gusto target.

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La domanda principale a cui dobbiamo rispondere in questo blocco è: quale valore creiamo e vogliamo trasferire al cliente per risolvere i suoi problemi o soddisfare i suoi bisogni?

Gli autori mettono a disposizione questa breve lista di elementi che possono contribuire alla creazione di valore per la clientela, che sono:

- Novità: si ha nel caso in cui il valore offerto appaga un bisogno

completamente nuovo per il cliente che egli non sapeva ancora di dover soddisfare, dal momento che non vi erano prodotti o servizi analoghi. Un classico esempio è il telefono cellulare, prima della sua invenzione nessuno sentiva il bisogno di possederne uno.

- Perfomance: solitamente un modo per creare valore, è ottimizzare le prestazioni di un prodotto o di un servizio, come hanno fatto i produttori di computer nel tempo, offrendo prodotti sempre più tecnologici.

- Personalizzazione: si può produrre valore creando prodotti/servizi che rappresentano la soluzione calata sulle necessità dei clienti. Recentemente infatti, le aziende hanno iniziato a comprendere quanto possa essere utile far partecipare il cliente alla produzione del prodotto/servizio, perché diventa più facile per l’azienda capire i gusti e i desideri del segmento di clientela a cui appartiene quel cliente/dipendente.

- Design: questa parola significa “attività di progettazione di oggetti, prodotti o strumenti, che possono essere realizzati in maniera artigianale o

industriale, dove gli aspetti tecnici convivono con quelli estetici”

(Enciclopedia Treccani, www.treccani.it), quindi riguarda particolari settori come la moda o l’arredamento. In questi campi può costituire un elemento essenziale del valore offerto, perché non conta solo la funzione primaria di questi beni, ma anche il loro aspetto esteriore.

- Marchio/Status: “il cliente può trovare valore attraverso il semplice atto di possedere e mostrare un prodotto di un determinato marchio” (Osterwalder

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e Pigneur, 2012) in quanto comporta l’appartenenza ad un certo status sociale. Ad esempio indossare un abito Chanel o possedere una Ferrari, significa benessere economico e ricchezza.

- Prezzo: quando un cliente si trova di fronte a offerte di prodotti/servizi simili tra di loro e/o quando abbiamo scelto un segmento di clientela particolarmente attento al prezzo, questo elemento diventa la base per la definizione della proposta di valore. Ryanair, per esempio, ha ideato proprio un business model basato su prezzi bassi per i propri voli.

- Riduzione dei rischi: molti clienti, soprattutto quando si tratta di acquistare un prodotto/servizio molto costoso, attribuiscono molto valore alla riduzione dei rischi legati all’acquisto e post – acquisto. Ad esempio, per un

acquirente dell’ultimo smartphone uscito, la garanzia estende il valore offerto e compensa la spesa consistente.

- Accessibilità: si crea valore anche quando si rendono fruibili prodotti e servizi che i molti clienti prima non riuscivano ad avere. Ad esempio, Apple ha utilizzato tale elemento quando ha messo in commercio l’Iphone 5c che ha un costo molto inferiore rispetto ad un qualsiasi altro Iphone e permette a più persone di acquistarlo.

Una volta considerata tale lista, gli ideatori del Business Model Canvas ci propongono anche un altro schema chiamato Value Proposition Canvas, che è “uno strumento di business design che ci permette di progettare, testare e costruire la value proposition aziendale nei confronti dei clienti in maniera più strutturata e pensata” (www.businessmodelcanvas.it).

Lo schema è quello rappresentato in Figura 7, e a ricalco del Business Model Canvas, anche questo è uno strumento visivo:

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Fig. 7 – Source: Value proposition design. How to create products and services customers want by Alex Osterwalder

Per compilare al meglio il grafico del Value Proposition Canvas, si deve seguire questo ordine:

- Cerchio: si parte da questo blocco che è dedicato ai segmenti di clientela. Si tratta della Customer Profiles Map che ci permette di descriver il profilo di un cliente, cioè, secondo gli autori, ci consente di “osservare, ipotizzare e testare una serie di caratteristiche che contraddistinguono il segmento di clientela a cui vogliamo rivolgerci”. In altre parole serve a vestire i panni del cliente. Lo scopo di questo blocco è quello di rappresentare

graficamente e agevolmente tutto ciò che abbiamo scoperto in merito al segmento di clienti selezionato, in modo da ottenere immediatamente un’informazione utile da poter adoperare per partire con la costruzione della value proposition. Una volta completata la mappa, il tutto viene poi

sperimentato sul mercato con l’obiettivo di realizzare prodotti e servizi adatti al target di clienti scelto.

Le componenti della Customer Profiles Map sono i seguenti:

o Job del potenziale cliente: fa riferimento a “tutte le cose che le persone stanno cercando di compiere nella loro vita in termini di compiti che tentano di svolgere o completare, di problemi che cercano di risolvere o di bisogni che vogliono soddisfare” (fonte: Value Proposition Design). Generalmente si parla di tre tipi di job, cioè job funzionali che sono quelli legati a qualcosa che il cliente vuole soddisfare o raggiungere, i job sociali che sono riferiti ad esempio allo status sociale che il cliente vuole

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trasmettere o come vuole mostrarsi, ecc.; i job emozionali ovvero riguardano i sentimenti e le sensazioni che il cliente desidera provare. Il ruolo della value proposition aziendale sarà quello di accontentare i clienti con questi diversi job.

o Pain: si tratta delle difficoltà, rischi e ostacoli indesiderati o problemi che rendendo pesante o impossibile al cliente il raggiungimento di uno scopo o la soddisfazione di un bisogno.

I pain possono essere funzionali (per esempio un’autovettura che spesso non funziona), sociali (sentirsi esclusi dalla società ogni volta che si fa una certa azione) e/o emozionali, per esempio essere sotto stress ogni volta che si fa un certo qualcosa.

o Gain: fa riferimento a quello che desidera e i benefici che vorrebbe ottenere il cliente da diversi punti di vista come sociale, funzionale e/o emotivo. I vantaggi possono essere classificati in base a cosa si aspettano i clienti, ovvero possiamo avere:

• Vantaggi richiesti: si tratta delle componenti immateriali di un servizio o gli elementi fisici di un prodotto, senza le quali essi non generano valore per il cliente.

• Vantaggi attesi: “sono tutti quei vantaggi di base che un cliente si aspetta”(Fonte: www.businessmodelcanvas.it), quindi il prodotto o servizio devono essere in grado di generare almeno questi vantaggi per creare valore.

• Vantaggi desiderati: sono quei vantaggi che il cliente non si aspetta ma che desidera ottenere.

• Vantaggi inaspettati: si tratta di qualcosa inaspettatamente positivo per il cliente.

Il passo successivo è quello di definire le priorità rispetto ai jobs, ai pains e ai gains individuati in base al grado di importanza dettato da quel segmento di clientela.

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Quando andiamo a compilare questa mappa, non dobbiamo cadere in errori come inserire più target di clienti all’interno della stessa mappa perchè ogni gruppo deve avere la propria proposta di valore personalizzata, concentrarsi solo sui job funzionali senza tenere conto di quelli sociali e/o emozionali, confondere i job con i gain, o fare la lista di tutti questi componenti senza mettersi nei panni dei clienti.

- Quadrato: è il blocco dedicato ai prodotti e ai servizi che l’azienda vuole offrire. Raffigura la Value Map (Mappa del Valore) che “permette di illustrare il valore dei tuoi prodotti/servizi in funzione di un determinato segmento di clientela” (Fonte: www.businessmodelcanvas.it)

Questa mappa è composta da:

o Prodotti/servizi: Osterwalder dice di “pensare a loro come a una serie di articoli che il cliente vedrebbe dalla vetrina del tuo negozio”. Dobbiamo tenere a mente però qual è il loro scopo finale, cioè soddisfare una necessità del segmento di clientela scelto, quindi dobbiamo inserire in questa categoria solo quelli effettivamente utili a raggiungere tale obiettivo.

I prodotti e servizi possono essere,secondo quanto illustrato dagli autori, tangibili (abiti, prodotti alimentari, smartphone ecc.), intangibili

(consulenze, assistenza clienti, ecc;) digitalizzati, finanziari.

o Riduttori di difficoltà: Come voglio ridurre o eliminare le difficoltà del mio cliente? Si fa riferimento alle caratteristiche specifiche di un prodotto/servizio che permettono di cancellare coerentemente i pain del cliente emersi dalla Customer Profiles Map. “Si tratta di caratteristiche, funzionalità, servizi aggiuntivi/complementari che permettono al cliente di risolvere o diminuire le sue difficoltà” (Fonte:

www.businessmodelcanvas.it)

o Generatori di vantaggi: descrivono la capacità dei prodotti e/o servizi dell’azienda di creare vantaggi per i clienti e di influenzare

positivamente la customer experience. E riuscire a creare vantaggi è fondamentale per avere un modello di business funzionale e redditizio.

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Adottare la prospettiva dei clienti è il principio che guida di tutto il processo di realizzazione di un modello di business, di fatti essa dovrebbe influenzare tutte le scelte relative al valore offerto, alle relazioni con i clienti e ai flussi di ricavi.

2. Segmenti di clientela: questo blocco rappresenta “i diversi gruppi di persone o di organizzazioni che un’azienda punta a raggiugere e servire”(Osterwalder e Pigneur, 2012).

I gruppi di clienti rappresentano segmenti diversi se le loro necessità richiedono la realizzazione di un’offerta differente e/o personalizzata, o se richiedono un contatto diverso tra loro e l’azienda, oppure se hanno profitttabilità non uguale, o se non richiedono gli stessi canali distributivi per trasmettere loro il valore, o soprattutto per quanto sono disposti a pagare per ciò che l’azienda è in grado di offrire.

L’azienda quindi si trova di fronte diversi target di clientela e dovrà decidere a quali rivolgersi e quali invece scartare; e una volta fatto ciò sarà in grado di riempire questo blocco di analisi con la profonda conoscenza che ha acquisito del target di clienti.

Questo blocco è importante soprattutto per “chi vuole innovare il proprio business model, in quanto dovrebbero evitare di concentrarsi solo sui segmenti di clientela esistenti e cominciare a spostare l’attenzione su segmenti nuovi o non ancora raggiunti” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

Quando analizziamo questo blocco, gli autori ci suggeriscono di porci due domande: “Per chi stiamo creando valore? Chi sono i clienti più importanti?” Come detto precedentemente, ci sono differenti tipologie di segmenti di clientela e questo definisce anche il tipo di mercato in cui si collocherà l’azienda, ecco quindi alcuni esempi evidenziati dagli autori del Business Model Canvas:

- Mercato di nicchia: è un “segmento rappresentato da un gruppo fortemente caratterizzato di consumatori” (Enciclopedia Treccani, www.treccani.it), quindi ogni aspetto del nostro modello di busines deve ricalcare le richieste specifiche del mercato di nicchia di riferimento.

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- Mercato di massa: qui abbiamo un insieme di clienti che presentano bisogni e problemi affini tra loro, quindi non è necessario definire specifici canali distributivi, rapporti con i clienti e proposta di valore.

- Mercati diversificati: un’azienda può decidere di avere un business model basato su segmenti di clientela che hanno situazioni ed esigenze molto differenti tra loro, magari con l’obiettivo di diversificare anche il rischio. Un esempio degli autori è Amazon.com che ha pensato di adottare una strategia di differenziazione inerente al commercio al dettaglio inziando a vendere anche servizi di cloud computing.

- Mercati multi – sided: sono mercati che permettono l’incontro tra due o più gruppi di clienti che hanno caratteristiche diverse ma dipendenti gli uni dagli altri. L’azienda crea valore facilitando la connessione tra questi due gruppi, e più cresce il numero degli utenti, maggiore è il valore creato da questo mercato. Un esempio proposto dagli autori, può essere rappresentato da un’azienda di carte di credito che avrà bisogno sia di un consistente gruppo di proprietari di carte di credito sia di esercenti che accettano pagamenti mediante carte.

3. Canali: descrivono “il modo in cui un’azienda comunica con i propri segmenti di clientela e li raggiunge per portare loro il valore offerto” (A. Osterwalder, 2010 pag. 26). In questo blocco rientrano i canali di distribuzione,

comunicazione e vendita, cioè quelli che permettono all’azienda di avere una connessione con i clienti e, a seconda di come sono gestiti, influenzano fortemente la customer experience.

Secondo Osterwalder e Pigneur, i canali sono generalmente caratterizzati da 5 fasi (alcuni ne includono un paio, altri tutte) che sono:

- Consapevolezza: far conoscere i prodotti/servizi della nostra azienda e creare awarness.

- Valutazione: cercare di aiutare i clienti a fare una stima corretta di ciò che viene offerto.

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- Acquisto: determinare le modalità con cui i clienti possono acquistare i nostri prodotti/servizi.

- Distribuzione: determinare le modalità con cui distribuiamo valore ai clienti.

- Post – vendita: azioni a supporto dei clienti dopo l’acquisto di un nostro prodotto/servizio.

È importante, per distribuire mercato il valore offerto, scegliere correttamente la combinazione di canali in modo da raggiungere i clienti con le modalità che preferiscono. Di fatti, come spiegano gli autori, esistono due categorie di canali:

- Canali propri: “che si suddividono in diretti (punto vendita interno all’azienda o sito web di proprietà) e indiretti (punto vendita gestiti dall’organizzazione)” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

- Canali partner: “sono indiretti e comprendono varie forme come la

distribuzione all’ingrosso, al dettaglio o siti web dei partner” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

Si dice che è importante avere un corretto ed equilibrato mix di canali perché i canali partner generalmente portano all’azienda profitti minori ma le

permettono di ottenere il massimo rendimento sfruttando i punti di forza dei partner; mentre i canali di proprietà permettono di ottenere margini di profitto maggiori ma richiedono considerevoli costi sia per farli funzionare che per mantenerli.

4. Relazioni con i clienti: questo blocco descrive “le possibili tipologie di

relazioni o engagement che un’azienda vuole creare con uno determinato segmento di clientela” (Osterwalder e Pigneur,2012). L’azienda deve avere le idee chiare su quale tipo di relazione vuole instaurare con i clienti, in quanto l’obiettivo di creare engagement con un certo target di clienti può avere motivazioni diverse come l’acquisizione di un cliente, la fidelizzazione o l’aumento delle vendite.

È importante che l’azienda tenga conto del fatto che le relazioni con i clienti hanno un impatto considervole sulla customer experience.

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Secondo gli autori, si possono di fatti distinguere diverse categorie di relazioni con i clienti, tra le quali:

- Assistenza personale: è una relazione che si basa sulla presenza di un addetto all’assistenza clienti a disposizione del cliente, in modo da supportarlo sia mentre fa l’acquisto sia dopo la vendita. Spesso si parla anche di assistenza personale dedicata, cioè quando al singolo cliente è dedicato un addetto specifico, valida strategia se l’obiettivo è quello di costruire un legame più profondo e duraturo nel tempo con il cliente, quindi fidelizzarlo. Un esempio di assistenza personale dedicata può essere il family banker, che si dedica ad un ristretto pacchetto di famiglie.

- Servizi automatici: si tratta di una relazione automatizzata, cioè il personale dell’azienda non è presente per aiutare i clienti, ma in questo tipo di

relazione si fornisce loro tutto ciò serve perché siano in grado da soli di risolvere i propri problemi. I servizi automatizzati, spesso sono in grado di riconoscere i clienti e le loro caratteristiche, in modo da offrire informazioni in linea con le esigenze degli stessi, quindi cercano comunque di simulare una sorta di una relazione personale.

- Community: le community di utenti sono un valito elemento per l’azienda per aumentare il proprio engagement con i clienti reali e potenziali, ma sopratuttutto al loro interno, i membri possono aiutarsi tra loro nel risolvere i problemi rafforzando la community stessa. Questo fa si che l’azienda riesca a comprendere meglio i suoi clienti, a capire quali sono le loro aspettative e magari a prendere spunto per nuovi prodotti/servizi.

- Co – creazione: si tratta di una forma di relazione che sta crescendo molto negli ultimi anni e consiste nel far intervenire il cliente nella creazione di valore. Ad esempio alcune aziende assumono clienti in modo da farli

contribuire all’ideazione o sviluppo di prodotti innovativi in modo che siano più in linea con le esigenze di quel segmento di clientela a cui appartiene quel cliente/dipendente, creando maggiore fidelizzazione. Un altro esempio classico è Youtube, che ruota tutto intorno ai contenuti creati dagli utenti iscritti al sito, quindi a ciò che suoi clienti decidono di condividere online.

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5. Flussi di ricavi: in questo blocco si fa riferimento “al denaro che un’azienda genera da ciascun segmento di clientela” (Osterwalder e Pigneur, 2012). La domanda da porci, secondo gli autori, quindi è: per far sì che un cliente sia disposto a pagare, quale valore devo offrire? Come faccio a fare soldi?

Il Business Model Canvas di Osterwalder e Pigneur, prevede due diversi tipi di flussi di ricavi, ovvero i ricavi da transazioni, che derivano da pagamenti in un’unica tranche da parte dei clienti, e i ricavi ricorrenti relativi a pagamenti continui derivanti dal valore offerto al cliente o anche grazie all’assistenza post – vendita.

Come spiegano gli autori, ci sono diversi modi per generare flussi di ricavi: - Vendita di beni: è “il flusso di entrate più conosciuto e deriva dalla vendita

dei diritti di proprietà di un prodotto fisico” (Osterwalder e Pigneur, 2012). Ad esempio, HP vende computer ai clienti, i quali sono liberi di utilizzarli, rivenderli ecc.

- Canone d’uso: è un flusso di ricavi generato quando un cliente utilizza un certo servizio, e “più il servizio viene usato e più il cliente paga”

(Osterwalder e Pigneur, 2012). Ci possono essere vari esempi, come un hotel che si fa pagare in base al numero di notti che i clienti trascorrono nelle camere, oppure un’agenzia viaggi che fa pagare al cliente una percentuale per il servizio offerto e una sulla prenotazione dei voli.

- Quote di iscrizione: è un flusso di ricavi che si ottiene attraverso la vendita della possibilità di usufruire continuativamente di un certo servizio. Il classico esempio è la Vodafone, che per usufruire della promozione di “1000 messaggi gratis al mese” richiede un pagamento di una tantum tutti i mesi.

- Prestito/Noleggio/Leasing: è un flusso di ricavi che si genera dal fatto di “garantire temporaneamente a qualcuno il diritto esclusivo all’uso di un particolare bene per un certo periodo di tempo dietro pagamento di un corrispettivo” (Osterwalder e Pingneur, 2012). Chi presta, ottiene entrate in modo continuativo, mentre chi prende in prestito deve sostenere certe spese

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solo per un limitato periodo di tempo, quindi risparmia rispetto all’intero costo. L’esempio fatto dagli autori, riguarda le ditte di noleggio auto come Rentalcar.com oppure come la particolare azienda Zipcar.com che permette di noleggiare un’auto a ore.

- Licenze: questo flusso di ricavi l’azienda lo ottiene consentendo ai clienti di sfruttare un bene o servizio su cui ha proprietà intellettuale protetta in cambio dell’acquisto di un diritto di licenza. “Le licenze sono molto comuni nell’industria dei media e nei settori tecnologici” (Ostelwarde e Pigneur, 2012), basti pensare ai vari software di Microsoft il cui utilizzo prevede l’acquisto della licenza.

- Pubblicità: questo flusso di ricavi deriva dal compenso che altri versano all’azienda per pubblicizzare un determinato prodotto, servizio o marchio. Questo tipo di ricavo è tipico dell’industria dei media che si è espansa in modo rilevante mediante i ricavi derivanti dalla pubblicità, basti pensare alla televisione.

Ogni flusso di ricavi può essere caratterizzato da diversi meccanismi di definizione dei prezzi, tra cui quelli più importanti sono:

- Listino prezzi fisso: “i prezzi predefiniti si basano su variabili statiche, quindi sono fissi per singoli prodotti, servizi o altre proposte di valore. Il prezzo può dipendere dalle caratteristiche del prodotto (numero o qualità delle caratteristiche del valore offerto), dalle caratteristiche di un segmento di clientela o dal volume (quantità acquistata)” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

- Definizione dei prezzi dinamica: “i prezzi cambiano in base alle condizioni del mercato, ovvero ci possiamo trovare di fronte a varie situazioni come la trattativa o contrattazione in cui il prezzo viene negoziato tra due o più soggetti in base al potere di contrattazione e/o alla capacità di negoziazione delle parti, la disponibilità dell’offerta al momento dell’acquisto (esempio: le camere di un hotel o i posti su un aereo), il mercato in tempo reale in cui il prezzo viene stabilito in base alla domanda e all’offerta in quel momento,

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oppure le aste in cui il prezzo è determinato sulla base di offerte competitive” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

6. Partnership chiave: si fa riferimento all’insieme delle relazioni con fornitori e partner collegati al modello di business che vogliamo mantenere in quanto necessari perché l’azienda prosperi, infatti molte aziende “creano alleanze e partnership per ottimizzare i loro business model, per ridurre i rischi ed acquisire le risorse” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

Secondo gli autori, possiamo di fatto distinguere diversi tipi di partnership, tra cui: unioni strategiche tra due aziende non rivali, joint venture per creare nuovi commerci, partnership con alcuni fornitori primari per assicurarsi la

collaborazione di quelli più affidabili, competizione collaborativa.

Una volta capito chi sono i nostri partner e fornitori chiave, sorge spontaneo chiedersi: perché è utile creare una partnership?

Le spiegazioni principali possono essere:

- Riduzione del rischio e dell’incertezza: in un ambiente sempre più

competitivo e mutevole non è inusuale che le aziende creino tra loro delle partnership per tutelarsi dal rischio e dall’incertezza, anche se sopravvivere significa allearsi con i propri avversari. L’esempio portato dagli autori, riguarda i dischi ottici Blu-ray che sono nati da una partnership tra vari produttori rivali, i quali poi hanno continuato comunque a competere tra loro e a vendere i propri prodotti sfruttando la loro creazione.

- Ottimizzazione ed economie di scala: la forma di partnership più semplice e conosciuta è quella tra acquirente e fornitore. Essa sorge dal fatto che non è sempre sensato che un’azienda possieda tutte le risorse o svolga in

autonomia tutte le attività, quando una partnership le consente di

“ottimizzare l’allocazione delle risorse e anche l’attuazione di economie di scala che permettono di ridurre i costi” (Osterwalder e Pigneur, 2012), oppure grazie all’outsourcing le permette anche di far realizzare un’attività o un componente importante di un prodotto ad aziende specializzate, ottenendo così qualità migliore che incide positivamente sul valore offerto.

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- Acquisizione di particolari risorse e attività: spesso le aziende preferiscono ampliare le proprie competenze sfruttare altre aziende che forniscono certe risorse o svolgono particolari attività, invece di procurarsele da sole. Il motivo principale di questo tipo di partnership riguarda infatti l’esigenza di “acquisire conoscenze, licenze o accesso ai clienti” (Osterwalder e Pigneur, 2012) che da soli non si è in grado di fare o diventerebbe troppo

dispendioso. Portiamo come esempio quello degli autori, ovvero di un produttore di cellulari che può acquisire una licenza di un certo sistema operativo anziché crearne uno nuovo, in quanto potrebbe non avere le risorse e conoscenze necessarie.

7. Attività chiave: questo blocco definisce “le cose più importanti che un'azienda deve fare per far funzionare il suo modello di business” (Osterwalder e Pigneur, 2012) Si tratta di azioni importanti che l’azienda deve compiere in quanto sono necessarie perché influenzano il successo di tutti gli altri blocchi.

Le attività, secondo gli autori, possono essere classificate in:

- Produzione: questa è l’attività principale che possiamo trovare all’interno dei modelli di business delle aziende manifatturiere. “Queste attività riguardano la progettazione, la realizzazione e consegnare un prodotto in quantità significative e / o di qualità superiore” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

- Problem solving: è l’attività tipica dei business model di organizzazioni che offrono servizi, come ad esempio gli ospedali. Si tratta infatti di attività chiave dette problem – solving, cioè che riguardano l’ideazione di nuove soluzioni per i problemi dei clienti.

- Piattaforma/rete: quando abbiamo modelli di business che prevedono una piattaforma come risorse chiave, le attività chiave saranno collegate alla stessa, “come la manutenzione, l’aggiornamento, la fornitura di servizi, la gestione e la promozione della piattaforma” (Osterwalder e Pigneur, 2012). Ad esempio, il modello di business di Amazon richiede che l’azienda continui a garantire la funzionalità della propria piattaforma, cioè il sito web www.Amazon.com.

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8. Risorse chiave: questo blocco definisce gli elementi tangibili, più importanti e necessari affinché un modello di business possa essere attivatà, cioè che “permettano di creare valore, mantenere relazioni con i clienti e ottenere flussi di ricavi” (Osterwalder e Pingneur, 2012). Ovviamente, le risorse chiave cambiano da modello a modello.

Le risorse chiave possono essere così generalizzate secondo gli autori: - Risorse fisiche: comprendono asset tangibili come edifici, automezzi,

impianti, macchinari, punti vendita, magazzini ecc. per fare un esempio, possiamo considerare Amazon.com che ha come risorse chiave tra le altre, anche molti magazzini in cui stoccano i loro prodotti prima che vengano spediti ai destinatari.

- Risorse intellettuali: comprendono brevetti, marchi, proprietà intellettuale ecc. e sono risorse sempre più importanti per un solido modello di business, innanzitutto perché sono difficilmente imitabili, ma permettono anche di generare un valore concreto. Ad esempio, aziende come Nike o Apple si basano molto sul marchio come risorse chiave, mentre altre come Microsoft hanno come risorse chiave il software e la relativa proprietà intellettuale.

- Risorse umane: in generale le aziende necessitano di risorse umane per operare e soprattutto che siano valide perché possono rendere meno imitabile il modello. Diventano essenziali per determinati modelli di

business, soprattutto quando si tratta di industrie creative e labour intensive. Ad esempio, un’azienda di moda fa affidamento sugli stilisti e sui sarti.

- Risorse finanziarie: “alcuni modelli di business richiedono risorse

finanziarie come contanti, linee di credito o stock option” (Osterwalder e Pigneur, 2012).

9. Struttura dei costi: riguarda tutti i costi da considerare per far funzionare il business model profilato. “La creazione di valore, l’acquisizione e il

mantenimento delle relazioni con i clienti, il raggiungimento di mercati e l’ottenimento ricavi ecc. sono tutte attività che comportano costi” (Osterwalder

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e Pigneur, 2012), quindi questo blocco viene analizzato per ultimo perché una volta definiti tutti i componenti degli altri blocchi è più semplice determinare i costi.

Indipendentemente dal tipo di business model, i costi devono essere ridotti e/o minimizzati, in modo che non erodano i ricavi ottenuti.

È quindi utile distinguere le strutture di costi dei modelli di business considerando due estremi:

- Business model basati sui costi (Leadership di costo): questo tipo di modello si focalizza sulla riduzione dei costi ovunque possa essere fatto, quindi si cerca ad avere “una struttura di costi il più snella possibile

puntando ad offrire valore ad un prezzo basso, alla massima automazione e ad un importante uso dell’outsourcing” (Osterwalder e Pigneur, 2012). Per determinare se un’azienda può perseguire questa struttura di costi può seguire questo percorso di analisi strategica:

o Capire se esistono e quali sono i fattori che determinano questo minor costo.

o Con tali fattori è possibile produrre un minor costo?

o Ciò determina una combinazione unica tra prezzi e requisiti del prodotto (uguali o in parte diversi)?

o Si crea valore per i clienti? Si crea un beneficio in termini di prezzo per gli acquirenti?

o Questo valore è percepito dai clienti?

o I minori prezzi di vendita erodono pienamente il minor costo? Il minor costo deve creare valore per azienda e per gli acquirenti quindi non dovrebbe essere eroso dai minor prezzi.

Se la risposta è SI ad ogni domanda, allora l’azienda può decidere di perseguire questo tipo di struttura di costi.

Esempi classici che hanno un business model basato sui costi sono: Ikea e Ryanair.

- Business model basati sul valore (Leadership di differenziazione): alcune aziende prediligono concentrarsi sulla creazione di valore. Quindi in questi modelli di business si punta ad offrire “un valore premium, un servizio

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personalizzato di alto livello a prezzi più elevati” (Osterwalder e Pigneur, 2012), che sono una diretta conseguenza di quel qualcosa in più che viene dato ai clienti. Due classici esempi di azienda con business model basato sul valore sono Apple e la catena alberghiera Four Seasons Hotels and Resorts. Se un’azienda decide di perseguire una leadership di differenziazione, può analizzare il proprio progetto di business model partendo dallo schema in Figura 8:

Fig. 8 - Source: slide Strategia e Politica aziendale – Prof. Bianchi Martini

o Test dell’unicità del sistema di prodotto: l’unicità del sistema di prodotto comprendente elementi materiali, immateriali e finanziari considerando che ognuno di loro può rendere il sistema di prodotto unico.

Il primo step da fare è il test dell’unicità del sistema di prodotto, cioè chiederci: il prodotto è unico o non è unico?

Ad esempio, la Ferrari o lo smartphone di Apple sono tutti prodotti unici.

o Crea valore per gli acquirenti? Tutti i sistemi di prodotto unici

permettono di avere un premium price? No, perché non tutti i sistemi di prodotto unici creano valore per il cliente, ad esempio un braccio

meccanico fatto in titanio che svolge una certa funzione paragonato ad un altro braccio meccanico fatto di un materiale diverso, svolge lo stesso compito ma con il sostenimento dei costi del materiale più elevati. È vero che, visto il materiale usato, rende il braccio in titanio un prodotto unico

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ma non crea valore per il cliente perché quella stessa funzione può essere realizzata allo stesso modo con una componente meno costosa. Capita spesso che l’azienda faccia un grande sforzo per realizzare un prodotto unico, in termini di costi e attività, ma poi non crea valore per il cliente. Questo passaggio è fondamentale, se la risposta a questa domanda è già NO, allora non è detto che questo progetto potrà portare un vantaggio competitivo in termini di differenziazione.

o Il valore creato è percepito? Non basta che il sistema di prodotto sia unico e crei valore per il cliente, è necessario anche che il valore per il cliente sia percepito.

Ci sono casi di aziende che hanno prodotti unici straordinari che

creerebbero valore per il cliente ma non ci sono le condizioni affinché il cliente lo sappia (pubblicità o altri sistemi di informazione). Ad esempio, i calzaturieri locali che producono scarpe di qualità, ma non sono

conosciuti.

o Premium price: se il business model prevede un prodotto/servizio unico, crea valore per il cliente e il valore è percepito dal cliente, allora ci saranno le condizioni per farlo pagare di più.

o Premium price maggiore degli extra costi di differenziazione: se gli extra-cost erodono tutto il premium price allora non ho il vantaggio competitivo.

Allo stesso tempo bisogna controllare che tutti gli altri costi, quelli non indirizzati alla differenziazione, siano allineati o comunque non siano maggiori di quelli dei competitors. Altrimenti anche questi possono diminuire la redditività e erodere il premium price.

Le strutture dei costi in generale, possono avere le seguenti caratteristiche: - Costi fissi: sono costi che rimangono fissi indipendentemente dalla

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