• Non ci sono risultati.

Tristano, «figura del mondo»

«La fontana di tutti i libri e romanzi che si leggano» Lo spirito enciclopedico nella Tavola Ritonda

2. Tristano, «figura del mondo»

Nella visione olistica elaborata dalla scienza medievale, tutti gli elementi che compongono l’universo risultano collegati tra loro a formare un insieme che non si riduce alla semplice somma delle singole parti; l’uomo stesso – specialmente in un contesto culturale come quello italiano, che si avvia a passo svelto verso l’Umanesimo – costituisce a sua volta un modello miniaturizzato del cosmo, il paradigma sul quale misurare e verificare la struttura e l’organizzazione del creato. Anche la Tavola Ritonda adotta una prospettiva molto simile nella rappresentazione dei rapporti tra microcosmo e macrocosmo50. Quasi in conclusione del romanzo, infatti, la notizia della morte di Tristano getta la corte di Artù nello sconforto, e le dame e i cavalieri erranti sfogano il proprio dolore nelle più accorate lamentationes. Colpisce, tra gli altri, il lamento della regina Ginevra:

Ahi morte crudele e traditrice! chè bene ti puoi grolificare di tua grande possanza, quando tu ài messo al disotto Tristano, lo quale era figura del mondo; e ài messo a fine la reina Isotta, la quale passava di bellezze tutte quelle del mondo, e di cortesia e di gentilezze51.

50

B. Ribémont, De natura rerum cit., pp. 27-28: «il s’agit de comprendre l’univers comme une dilatation, dont l’origine est l’homme, opérée par Dieu, dans un schéma de restriction à partir du Tout (que ce soit par procession, diffusion, immanence). Il y a ici double homothétie avec des rapports inverses dont rendent compte les notions de macrocosme/microcosme et de vision homocentrique de l’univers, vision directement issue de la

Genèse. Se dessine donc effectivement un aspect narcissistique dès lors que l’individu est considéré comme

représentant paradigmatique».

Quando la regina Ginevra definisce Tristano figura del mondo sta mobilitando un termine attraverso il quale è possibile istituire un ponte con la tradizione enciclopedica e didattica tardomedievale. La parola “figura”, infatti, rimanda a un’idea molto vicina a quella proposta da opere del genere della imago mundi. Quali significati poteva avere la parola figura nell’italiano del Trecento? Il Tesoro della lingua italiana delle origini (TLIO), tra le molte accezioni possibili di questo lemma, registra anche quella secondo la quale la “figura” è «una rappresentazione simbolica che suggerisce una realtà o un concetto per mezzo del riferimento ad altra realtà che con quella stia in rapporto di analogia, similitudine; il significato vero ma non immediatamente evidente di questa rappresentazione simbolica o di uno scritto, di un evento, di una situazione»52. La figura, dunque, grazie al dispositivo analogico del quale si serve, non solo evoca e tratteggia una realtà, ma ne offre un modello simbolico rappresentabile; è un disegno, uno schema compositivo e di sintesi, che consente di fissare un’immagine attraverso la quale conferire ordine a tutti gli elementi della complessa realtà che si intende riprodurre.

È esattamente questa funzione di ideale specchio sinottico, contenuta nella definizione di figura, la missione che il compilatore toscano affida al personaggio di Tristano lungo l’intero romanzo. Tristano chiama in causa dapprima la sensibilità estetica dei lettori italiani, la loro disponibilità a lasciarsi convincere e irretire dalle straordinarie “favole” della Tavola Rotonda, ma le sue vicissitudini, se ricondotte ad una dimensione psicologica e quotidiana e accompagnate da riflessioni di taglio scientifico, diventano immediatamente paradigmatiche, si ergono a misura e termine di paragone della vita sentimentale e sociale di ogni lettore, e si prestano alla identificazione e alla immedesimazione da parte del pubblico. Le sue avventure, con i dovuti accorgimenti, si prestano quindi a farsi vera e propria enciclopedia, poiché l’insegnamento che in esse si trasmette è esemplare in tutti i più importanti ambiti nei quali si articola il sapere umano.

È anche vero che la definizione di Tristano come figura del mondo non è attestata in tutte le versioni della Tavola Ritonda. Non è così per esempio nella redazione umbra dove Ginevra indica in Tristano la «sigurtà del mondo»53, così come nella versione padana del Palatino 556 Tristano è detto «la securtà dillo mondo»54. Se queste due redazioni preferiscono offrire di Tristano la rassicurante immagine del cavaliere sulla cui prodezza si regge la vita stessa della Tavola Rotonda, che infatti arriverà alla distruzione dopo la sua morte, la versione della

52 Cfr. TLIO (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/), s.v. figura (7). 53

S. Guida, Per il testo della Tavola Ritonda. Una redazione umbra, in «Siculorum Gymnasium», 32, 1979, pp. 637-667 (ivi, p. 659).

Tavola Ritonda toscana sviluppa qui un concetto di ispirazione enciclopedica che non è destinato a rimanere isolato, ma che viene ripreso coerentemente, anche in altri punti del romanzo, e dunque non affidato esclusivamente al lamento della regina Ginevra.

Se infatti è vero che nella visione medievale la completezza e la pienezza del mondo si possono cogliere nella sua organizzazione tetradica, anche la perfezione di Tristano dovrà necessariamente essere valutata sugli stessi parametri. In particolare, si potrà verificarne la reale operatività misurando l’aderenza al simbolismo pitagorico che ruota intorno al numero quattro. Nulla di tutto ciò poteva naturalmente trovarsi nel Tristan en prose, estraneo a quest’ansia di continua giustificazione realistica che assale immancabilmente il compilatore ritondiano, ma lo si può leggere nel famoso “libro” di Piero di Savoia.

E sappiate che della lianza di messer Tristano parlava lo libro di messer Piero conte di Savoia; il quale libro dice cosìe: «Secondo il mondo si mantiene come in quattro colonne, cosìe Tristano ebbe in sé quattro fermezze proprie, per le quali elli fue onore e gran pregio di cavalleria. Ed èe cosa certa, che il mondo, cioè il cielo e la terra e l’acqua e l’aria, le mantiene l’onnipotente Iddio, padre, figliuolo nato dalla Vergine Maria; cioè vergine e umile fedele; innanzi parto vergine pura e piacente; nel parto vergine benigna, glorificata nel principio, nel mezzo e nella fine. E questo benigno signore Iddio padre, che volle [farsi] carne umana, si è quello che, colla sua potenzia e bontà e sapienza, mantiene e sazia e nutrica il mondo e le criature; ma, temporalmente e materialmente parlando, la gente del mondo il mondo mantiene: e si mantiene in quattro colonne: cioè in leanza, in prodezza, in amore e in cortesia. E queste quattro virtudi discendono a Tristano, e appropiansi agli quattro alimenti: imperò che la terra sì dona la prodezza, l’aria sì dona la lianza, il fuoco dona l’amore, l’acqua dona la cortesia55

.

La perfezione e la paradigmaticità di Tristano sono qui esposte dal compilatore in modo sistematico. L’obiettivo è perseguito attraverso la riscrittura, del tutto originale, del sistema di corrispondenze che stanno alla base della teoria tetradica di ispirazione pitagorica. Nella ritondiana teoria delle quattro colonne, l’eccellenza nella cavalleria discende a Tristano dalla convivenza in lui di quattro fermezze. La riflessione del compilatore della Tavola Ritonda parte ab ovo, ed è tanto sintetica quanto esauriente nel percorrere in modo logico tutti gli anelli di una catena che mira a inserire Tristano in una cosmogonia precisamente determinata. Se il mondo è formato dai quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco), questo è possibile perché voluto da Dio, che, grazie alla mediazione mariana, è padre e anche figlio. È Cristo, in quanto Dio fatto uomo, l’anello di giunzione che la Tavola Ritonda pone a collegamento tra il tetradismo di ispirazione classica e la perfezione alla quale deve aspirare il genere umano. La benevola volontà divina informa di sé tutte le cose («colla sua potenzia e bontà e sapienza, mantiene e sazia e nutrica il mondo e le criature»), le plasma, le sostenta, ne rende possibile lo

stesso esistere, ma nella realtà quotidiana dell’uomo, che è calata nel tempo (temporalmente) e che si invera nella corruttibile materia (materialmente), volendo impostare il ragionamento su una scala inferiore e più comprensibile dalla mente umana, spetta agli uomini far fronte ogni giorno alle necessità e alle richieste che provengono dagli stimoli del mondo («la gente del mondo il mondo mantiene»). Poiché il mondo umano non è che un riflesso di quello divino, anche nella Storia, nella società secolare, si assisterà a una strutturazione del reale calcata sul numero quattro. Quattro, leggiamo nella Tavola Ritonda, sono le virtù verso le quali l’uomo deve tendere: gli si richiede di eccellere «in leanza, in prodezza, in amore e in cortesia». Siamo di fronte a una sterzata del sistema tetradico di ascendenza empedoclea in direzione decisamente moraleggiante: i quattro elementi qui corrispondono a ben precise categorie morali. Su queste colonne di lealtà, prodezza, amore e cortesia si erige l’intero sistema di valori su cui poggia il mondo della cavalleria; esse valgono anche per chi voglia seguire l’esempio di Cristo, sono le stesse regole volute da Dio per chi aspiri a diventare miles Christi. Adattamento cavalleresco delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), le quattro colonne rappresentano la versione arturiana della giustificazione morale della condotta degli eroi della Tavola Rotonda, la dimostrazione che i costumi e i comportamenti dei cavalieri erranti sono pienamente allineati alla morale cristiana.

Il linguaggio del quale si serve il compilatore toscano per fornire una rappresentazione tetradica della perfezione di Tristano non è del tutto originale; lo si può infatti ritrovare anche in altri testi italiani che appartengono, come alcuni filoni della Tavola Ritonda, all’ambito della didattica religiosa trecentesca. L’idea delle colonne, come elemento architettonico chiamato a indicare metaforicamente i pilastri sui quali si fonda una determinata teoria o modello astratto di pensiero, è tipica dell’esposizione del discorso teologico. La ritroviamo, per esempio, presso Zucchero Bencivenni nella sua Esposizione del Paternostro (inizio del secolo XIV), dove si legge che «il settimo grado del dono d’intendimento si è devota orazione, la quale molto vale contra ’l peccato di lussuria, et è una cosa di grande potenzia inverso Dio, quando ella è appoggiata di quattro cose, cioè di quattro colonne»56. Stessa immagine delle colonne utilizzata per indicare la struttura sulla quale si regge l’argomentazione si ritrova nel cosiddetto Lucidario pisano (XIII secolo ex.), guarda caso proprio un testo enciclopedico.

Incipit liber Lucidario. […] Sopra questa opra posso mectere uno tale titulo, che bene può essere appellato “Lucidario”, ciò est a dire ischiaratore, però che questo libro richiara la scuritade di molte sententie. […] Lo fondamento di questa opra sì è facto sopra una ferma

56 Zucchero Bencivenni, Volgarizzamento dell’Esposizione del Paternostro, ed. L. Rigoli, Firenze, Piazzini,

pietra, ciò est Ieçu Cristo, et tucta l’altra pertengnensa sì est affermata di forte quatro colonne: la prima colonna est l’autoritade dei profeta; la seconda sì est la dignitade de li apostoli; la tersa sì est lo senno de li sponitori; la quarta sì est lo buono ingengno del maestro57.

La lista potrebbe essere decisamente più lunga, ma bastino questi due esempi tratti dalla letteratura religiosa pressoché contemporanea alla Tavola Ritonda per sottolineare come la teoria umorale incardinata intorno al numero quattro venga, nel testo tristaniano, plasmata fino a farla coincidere con la topica dell’architettura del discorso di cui si avvale la teologia medievale. Nel preciso momento in cui il compilatore, nell’atto di tradurre un testo francese che era estraneo a simili preoccupazioni, inserisce delle originali riflessioni scientifiche, avverte allo stesso tempo la necessità (o è forse guidato da una forma di “automatismo” stilistico) di riprendere moduli e schemi argomentativi largamente diffusi nella trattatistica italiana. L’inventio della materia procede dunque di pari passo con la ricerca di uno stile ad essa adeguata. Procedere oltre nella lettura di questo passaggio della Tavola Ritonda offre la conferma di quanto appena rilevato:

Queste quattro colonne furono nella persona di messer Tristano fermamente: imperò ch’egli fue il più leale mondano che si trovasse; chè mai egli non fece niuno tradimento nè inganno; anzi fue ingannato. Messer Tristano fu veramente ingannato egli nescentremente, per lo beveraggio amoroso; che gli fue uno legame lo quale gli costrinse lo cuore, la volontà e ’l pensiero, a none adoperare nè potere altro che in amare quella a cui il beveraggio l’avea sotto messo; chè innanzi non avea egli niuno rio pensiere. E quie sì è scusato e si scusa, per ogni cagione, lo liale cavaliere messer Tristano; però ch’egli non domandò da bere perché gli fosse dato il beveraggio del bel piacere, ma domandò per volontà che avea di bere; e per ignoranza gli fue dato bere di quello beveraggio amoroso. La seconda cosa che ebbe in sè messer Tristano, si fue cortesia e larghezza; chè mai non rinunziò cosa che addomandata gli fosse; e non curava di portare corona, solo per non signoreggiare altrui; e voleva esser cavaliere e non re, acciò che altri avesse materia di più arditamente comandargli, e aoperare a sua cavalleria. Ed era Tristano largo, chè donava; ed era cortese, chè non toglieva. La terza cosa che Tristano ebbe in sè, si fue amore e carità; per ciò ch’egli amava ciascuna persona nel suo essere, e non portava odio nè invidia ad altrui: era misericordioso, e avea compassione là ove si convenìa. La quarta colonna che mantiene lo mondo, si è prodezza: e questo veramente non fallò nella persona di messer Tristano; però che in lui fue prodezza con grande umilità; ed era grande sofferitore, e non si crucciava troppo: chè crucciandosi egli, per certo, veruno cavaliere gli sarebbe potuto durare. Sicchè, con verità si può dire, che messer Tristano ebbe in sè prodezza sanza viltà e sanza inganno, amore sanza invidia, larghezza e cortesia sanza avarizia e sanza villania. E in ciò dimostra che fue dal principio per fino alla fine d’amore: e di ciò parla bene la Santa Scrittura, quando dice, che nullo puote nè debbe essere contento in questo mondo, nè dêe esser perfetto. Ma messer Tristano, essendo sì

57 B. Bianchi, Il Lucidario del Codice Barbi (BNCF II VIIII 49), in «Studi Mediolatini e Volgari», 53, 2007, pp.

bello, prode, ricco e gentile, fue lo più disavventuroso cavaliere del mondo; e non fue mai una ora allegro, ched e’ non fosse uno dì dolente e pensoso58

.

La lettura in chiave cavalleresco-cristiana della dottrina empedoclea è dunque funzionale alla completa giustificazione della perfezione di Tristano. Eppure, si legge nella conclusione di questo panegirico, Tristano, pur adorno di ogni virtù, «non fue mai una ora allegro, ched e’ non fosse uno dì dolente e pensoso». Questa considerazione finale sulla dimensione dolorosa dell’esperienza di vita di Tristano non serve solo a fornire una conferma al nomen-omen del protagonista, etimologicamente Tantris59, ma accentua la tipizzazione melanconica del personaggio assorto e compenetrato in una sofferenza perpetua, in quella forma di tristezza senza una causa che costituisce il significato odierno della parola ʻmalinconiaʼ. Nel Tristano della Tavola Ritonda l’ostentazione continua dell’angoscia e della disperazione è posta a fare da contraltare alla gravezza e alla serietà di un personaggio al quale molto spesso il compilatore toscano concede delle ironiche incursioni nel mondo novellistico delle burle e dei motti di spirito. Inoltre, la rappresentazione dei soprusi e degli abusi ai quali è esposto nonostante la sua completa innocenza (l’inganno del beveraggio del bel piacere, l’odio e l’invidia di cui è spesso vittima, ecc.) lo rendono un grande sofferitore, cioè trasformano gli episodi dolorosi di cui è costellata la sua vita in altrettante tappe di una tanto personale quanto emblematica via crucis. In effetti, il passaggio citato si conclude con un rimando alle Sacre Scritture («di ciò parla bene la Santa Scrittura, quando dice, che nullo puote nè debbe essere contento in questo mondo, nè dêe esser perfetto») e all’ineffabilità della perfezione divina: per quanto si possa essere ineccepibili sotto ogni aspetto, la tensione verso Dio non potrà che essere un processo sempre in fieri, uno stato di grazia in cui la felicità non potrà mai essere piena o la ricerca del tutto soddisfatta, poiché la vera realizzazione dell’uomo cristiano è sempre altrove, mai su questa Terra. La perfezione di Tristano risiede proprio nel fatto che in lui si dispiegano al massimo grado le virtù cortesi, «prodezza sanza viltà e sanza inganno, amore sanza invidia, larghezza e cortesia sanza avarizia e sanza villania», che rappresentano anche virtù cristiane, e proprio come un alter Christus anche il cavaliere bretone sarà costretto a vivere perennemente nel dolore. In una rappresentazione che si carica di accenti agiografici, il messaggio ultimo di questo complesso inserto didascalico sembra essere quella di approssimare l’eroe del romanzo alla concezione evangelica della perfezione, come la si legge

58 Tavola Ritonda, § XXXIII, pp. 118-119. 59

Ivi, § XII, p. 43: «per ricordanza del mio dolore e della mia morte, ch’elle mi viene e io lo sento, io sì vi voglio porre nome, e voglio che in tal guisa tu sia appellato Tantri: ma chi ponesse il Tri dinanzi al Tano, sarebbe più bello nome, e per tale arebbe nome Tritan».

per esempio nel Vangelo di Matteo (5, 48): «E imperò siate perfetti, come il vostro padre celestiale il qual è perfetto»60.

Se nel Tristan en prose avveniva in modo compiuto per la prima volta la fusione tra la materia arturiana e quella tristaniana, nella Tavola Ritonda si compie un passo ulteriore, perché si apre il testo anche verso acquisizioni dal patrimonio delle scienze medievali, fisica e medicina in questo caso. Il prelievo dal serbatoio settoriale specialistico non avviene secondo l’inerte logica giustappositiva del “taglia e incolla”, ma il materiale soggetto all’assunzione nel nuovo ambito narrativo viene sottoposto ad un’ulteriore manipolazione che mira a dissimularne l’estraneità al contesto d’arrivo. È grazie a questo inesausto sforzo di armonizzazione tra i diversi e variegati fili della propria tela che Tristano può, nella Tavola Ritonda, diventare quasi una sorta di antenato dell’uomo vitruviano, figura del mondo in quanto espressione delle ideali proporzioni umane, armoniosamente inscrivibile sia entro i quattro spigoli del quadrato (le quattro colonne, i quattro elementi costitutivi del cosmo, le quattro virtù), sia all’interno del cerchio perfetto della Tavola Rotonda.