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L’impulso tecnologico e la diffusione delle nuove invenzioni determinarono un forte cambiamento nel funzionamento del mercato: i computer entravano nelle case di un numero sempre maggiore di famiglie e le soluzioni elettroniche modificavano sempre più radicalmente le abitudini di gioco dei bambini.

Le catene di vendita al dettaglio, che esercitavano nei confronti di LEGO un grande potere contrattuale, chiedevano ora prodotti nuovi, in grado di combinare i tradizionali mattoncini in plastica con le nuove tecniche informatiche. Fu così che la divisione LEGO Dacta – responsabile dello sviluppo dei mattoncini computerizzati – ideò LEGO MINDSTORM, un

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prototipo di robot comandato da un computer e costruito con mattoncini programmabili, che consentivano di controllare motori e sensori.

Sebbene LEGO MINDOSTORM avesse incontrato il favore dei consumatori, il suo successo si rivelò insufficiente a compensare un drammatico fenomeno parallelo, quello del calo delle vendite dei mattoncini tradizionali che, in un mercato che andava sempre più digitalizzandosi, venivano sostituiti dai nuovi prodotti elettronici. Rispetto al Game Boy Nintendo, alla Play Station e alla console Xbox, dei “semplici” mattoncini in plastica risultavano oramai desueti, non più in grado di stimolare l’interesse dei ragazzi.

Contestualmente, Kjeld Kirk si ammalò e, intervenendo sempre meno nella gestione, generò un vuoto di autorità mai sperimentato prima, lasciando spazio alle lotte di potere. In questi anni Andersen venne nominato presidente dopo Godtfred Kirk e la direzione amministrativa venne affidata a nuovi dirigenti specialisti di marketing.

In un mercato che chiedeva prodotti sempre più all’avanguardia e in cui i mattoncini in plastica sembrava non riscuotessero più alcun successo, i nuovi dirigenti si fecero letteralmente travolgere da un turbinio di idee. A partire dalla fine degli anni Novanta la gamma di prodotti esplose sensibilmente, rincorrendo nuove mode e nuove tecnologie. La convinzione di fondo era che LEGO, grazie al successo costruito negli anni, avrebbe potuto sfruttare la sua immagine per vendere qualsiasi altro prodotto, e i consumatori, oramai fidelizzati, lo avrebbero acquistato purché portasse lo stesso marchio.

A partire dal 1997:

- Vennero lanciati numerosi videogiochi, di cui LEGO Island è solo il primo, e a cui seguirono in poco tempo LEGO Creator, LEGO Loco e LEGO Scacchi;

- Venne introdotta una linea per ragazze, con bambole, gioielli, spille e collane;

- Venne avviata la produzione di vestiti e orologi, cercando di rivolgersi a nuovi segmenti di mercato;

- Vennero creati numerosi altri parchi LEGOLAND, tra l’Inghilterra e l’America;

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Nonostante gli sforzi compiuti per adeguarsi ai nuovi trend, le soluzioni proposte si rivelarono un insuccesso, e LEGO cadde nella trappola dell’over-innovation40: pur di sopravvivere alle nuove tendenze del mercato, diede seguito al numero più disparato di idee, perdendo di vista le effettive richieste dei consumatori. Le nuove proposte, infatti, non costituivano la risposta ad alcun bisogno e quindi nessuno nutriva interesse per queste.

Se definiamo l’innovazione come l’ideazione e sviluppo di nuove idee di valore, potremmo dire che LEGO in questi anni non abbia fatto innovazione, ma, al contrario, che sia stata ossessionata dall’innovazione. Il problema per LEGO non risiedeva nel suo mattoncino, ma nel modo con cui si approcciava al mercato, sforzandosi a tutti i costi di risultare più moderna e più innovativa dei settori emergenti, con il rischio (in cui poi effettivamente è incappata) di allontanarsi eccessivamente dal core business.

“LEGO si trovava nel pieno di una crisi di identità, in preda ad un perfido perfezionismo”, per usare le parole pronunciate qualche anno dopo da Jorgen Vig Knudstorp (che da lì a poco sarebbe stato posto a capo di tutta la gestione LEGO).

“LEGO stava morendo non di fame, ma di costipazione. Se l’attenzione si dissemina su troppe cose, si perde l’identità e il marchio si indebolisce”, continuava ancora Knudstorp. Poco dopo le sue dimissioni da collaboratore nella direzione, Rasmussen così descriveva la crisi degli anni Novanta: “Ci proponevano progetti e strategie del tutto irrealistiche, azzardi che non potevamo permetterci” (Lindholm, Stockholm, Previ, 2012).

L’insuccesso delle nuove idee era altresì aggravato dal peggioramento della struttura dei costi. Questi aumentarono in maniera sensibile a causa, innanzitutto, della crescente complessità della produzione che comprendeva ora prodotti molto eterogenei tra loro. Tali costi, inoltre, non solo crebbero esponenzialmente, ma erano anche difficili da monitorare poiché, non essendo mai stata svolta un’analisi di profittabilità delle linee di prodotto, i dirigenti non avevano idea di quali generassero guadagni e quali fossero in perdita. In altre parole, non riuscivano a collegarli alle attività responsabili della loro

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insorgenza, e quindi non potevano gestirli. L’unica certezza era che il costo di approvvigionamento delle risorse superasse nettamente il guadagno che LEGO riusciva a realizzare dalla trasformazione delle stesse.

Il peggioramento della cost structure derivava, infine, dall’utilizzo di macchinari sempre più sofisticati, che non potevano essere efficientemente adoperati per la realizzazione di prodotti così diversi tra loro.

Con le dimissioni di Rasmussen, principale collaboratore di Kjeld Kirk nella direzione, Christiansen rimase solo, ammalato, a gestire i nuovi dirigenti sui quali non aveva alcun controllo e le cui idee stavano repentinamente conducendo LEGO verso un terribile tracollo finanziario.

Prima di prendere atto del deficit plurimilionario che da lì a poco si sarebbe palesato passarono, tuttavia, ben due anni. LEGO, infatti, era reduce da un periodo di lunghi successi ed era praticamente certa che ne sarebbero stati di nuovi, ignorando le evidenze. Quando Kjeld Kirk e il nuovo amministratore delegato Ovlisen ne divennero finalmente consapevoli, si rivolsero a Poul Plougmann, un professionista che già in altre imprese aveva lavorato come turn-around man per il risanamento e la ristrutturazione di aziende in crisi. Con l’intenzione di riportare LEGO lungo la via del successo, Plougmann stilò un fitness plan, ovvero un piano di rimessa in forma che prevedeva interi tagli per le linee di prodotto che fossero eccessivamente lontane dal core business (e dei relativi costi), esternalizzazioni di alcune delle fasi del processo produttivo delle linee rimanenti e una riduzione del personale (nel 1998 dipendenti erano oltre 8000).

Il fitness plan funzionò e gli effetti positivi furono supportati dal successo della linea Bionicle – costruita su una serie di saghe ideate dalla stessa LEGO e che furono successivamente oggetto di film e videogiochi – e dalle serie realizzate su licenza, ispirate ai film Harry Potter e Star Wars.

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La crisi degli anni Duemila

Grazie all’eliminazione di alcune linee di prodotto (orologi, vestiti e produzioni editoriali), al lancio della nuova serie Bionicle che combinava il gioco ‘fisico’ con le nuove piattaforme informatiche, e allo sviluppo su licenza dei personaggi in miniatura di Harry Potter e Star Wars, ci fu un discreto miglioramento delle finanze di LEGO che nel 2002 registrava vendite nette per 11.426 milioni di corone danesi (LEGO Annual Accounts, 2002).

Ma il percorso di crescita avviato attraverso l’irragionevole esplosione del portafoglio prodotti aveva generato effetti profondamente negativi sull’equilibrio della società, che nel giro di pochissimo tempo riemersero e si palesarono in un terribile tracollo finanziario, nel 2003.

Analizzando il Conto Economico41 di LEGO del 2003 è possibile effettuare una serie di riflessioni:

Figura 15Income statement 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

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a. Le vendite nette passarono da 11.426 milioni di corone danesi (2002) a 8.433 (2003), riducendosi del 26,20%.

Numerosi prodotti erano oramai destinati ai soli di mercati di nicchia e i personaggi ispirati alle serie Harry Potter e Star Wars – a cui si doveva gran parte del successo ottenuto tra il 2001 e il 2002 – esaurirono ben presto il loro potenziale (si stima che solo questi pesassero più del 50% nella riduzione complessiva delle vendite).

I nuovi prodotti, di fatto, non generavano valore e continuavano a non suscitare interesse nei consumatori. La domanda cambiava rapidamente e LEGO non riusciva a predirne gli andamenti, né, di conseguenza, a proporre soluzioni che fossero coerenti con questa.

Mentre in passato LEGO era stata in grado di neutralizzare gli attacchi della concorrenza appellandosi alla qualità dei suoi prodotti e alla popolarità del brand che da solo bastava a garantire una proposta di valore, ora i competitors si ripresentavano, ma più incisivi di prima proponendo soluzioni praticamente identiche, ma a basso costo per il cliente.

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Il declino delle vendite interessò tutte le aree geografiche presidiate da LEGO, principalmente America ed Asia/Pacific (il cui volume d’affari si ridusse rispettivamente del 35% e 28%).

Figura 16 Net sales breakdown 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

Questa situazione fu ulteriormente aggravata dal deprezzamento del dollaro rispetto alle corone danesi. Alle difficoltà commerciali si aggiunsero, infatti, criticità di tipo finanziario, dal momento che la svalutazione monetaria americana aveva automaticamente determinato una riduzione del valore delle entrate provenienti dagli Stati Uniti.

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Entro la fine dell’anno anche le vendite europee scesero in picchiata: la quota di mercato in Germania si ridusse del 20%, quella presieduta in Gran Bretagna, Olanda e negli altri Paesi nordici diminuì del 13%.

b. Per quanto attiene alla componente di costo, alle voci Production Cost e Other Cost si fanno corrispondere i costi di sviluppo, produzione, vendita, marketing e costi amministrativi.

Dal 2002 al 2003 il livello di costo, in termini assoluti, si è ridotto per effetto delle misure messe a punto negli anni precedenti da Poul Plougmann (passando da 10.606 milioni di corone nel 2002 a 9.917 milioni di corone nel 2003). Tuttavia, limitarsi ad un’analisi di questo tipo è fortemente fuorviante. Ed infatti, esprimendo l’impatto che tali costi continuavano ad avere sull’ammontare delle vendite realizzate, è possibile notare che che

il Margine di Contribuzione (2002) = 11.426 – (3.961 + 6645) = 820 --> 7,18 % delle vendite;

Margine di Contribuzione (2003) = 8433 – (3624 + 6293) = - 1484 --> - 17,6%

Dunque, relativamente al volume d’affari, tali costi incidevano in maniera ancora troppo pesante, tanto da erodere l’intero ammontare delle vendite e generare un Risultato Operativo negativo (- 1484).

c. Il valore espresso dalla voce Financial items è pari ai profitti ottenuti da interessi maturati su depositi bancari e dalle attività di foreign-currency hedging, al netto degli interessi pagati sui prestiti di terzi.

Operando LEGO su numerosi mercati esteri, infatti, il rischio legato alle fluttuazioni monetarie (foreign-currency risk) era intrinseco nella sua attività. E per minimizzare il rischio di andamenti sfavorevoli, era solita avvalersi di strumenti finanziari quali i contratti forward i cui profitti, secondo l’accounting policy di LEGO, confluivano tra le entrate commerciali.

Per effetto del deprezzamento del dollaro, poiché di contro la corona danese crebbe di valore, LEGO ottenne considerevoli profitti dallo scambio delle attività sottostanti ai contratti a termine. E anche l’andamento del tasso d’interesse pagato sui prestiti

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(che diminuì per effetto di un trend generalizzato) giocò a favore delle finanze della casa danese. Nel 2003 i proventi finanziari netti si assestavano sui 52 milioni di corone.

Tuttavia tali dinamiche, per quanto positive, frenarono in misura pressoché irrilevante la discesa in picchiata del Risultato ante-imposte.

Figura 17 Net sales/ Earning before tax 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

Il grafico di Figura 17 conferma quanto detto pocanzi: nonostante l’esclusione delle linee di prodotto non coerenti con il core business e lo sforzo (ancora minimo) di razionalizzare lo svolgimento delle attività, i costi di sviluppo, produzione, vendita, marketing e costi amministrativi pesavano ancora notevolmente sul livello delle vendite – che a loro volta si erano sensibilmente ridotte – gravando sul Margine di Contribuzione e, di conseguenza, sul Risultato ante-imposte.

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d. Un’ulteriore considerazione riguarda l’ammontare delle tasse.

L’aliquota fiscale crebbe nella misura del 4%, passando dal 24% al 28%, molto verosimilmente perché la maggior parte delle perdite derivavano da Paesi in cui l’imposizione fiscale era altrettanto elevata.

e. In conclusione, l’esercizio 2003 si concluse con un risultato non solo esorbitantemente inferiore a quello conseguito l’anno precedente ma, soprattutto, negativo (passando da + 428 milioni a – 1.072 milioni di corone).

Come lo stesso Kjeld Kirk riportò nel Report annuale, il 2003 fu un anno molto deludente e dai risultati insoddisfacenti.

Alla luce delle terribili evidenze, Kjed Kirk, supportato dall’amministratore delegato Ovlisen, decise di revocare Plougmann dalla carica di turn-around man e rivolgersi a due nuove figure per il risanamento di LEGO, il cui fallimento sembrava oramai dietro l’angolo. Per quanto riguarda la direzione amministrativa, LEGO aveva bisogno in questo momento di un leader carismatico, con una certa esperienza, e che avesse la giusta sensibilità rispetto all’azienda. La scelta ricadde su Jorgen Vig Knudstorp, già assunto come strategic business developer, con un passato da consulente nella nota società McKinsey & CO.

In relazione alla gestione delle finanze, l’abilissimo CFO della Danske Bank, Jesper Ovesen, venne nominato ad affiancare il giovane Knudstorp come Financial Director.

Knudstorp presto prese atto del fatto che LEGO, spaventata dalla diffusione delle nuove tendenze di mercato, fosse caduta nella trappola dell’over stretching del portafoglio prodotti, incanalando tutte le sue energie in una strategia di diversificazione chiaramente insostenibile. In realtà, non che lo sviluppo di adiacenze di mercato fosse vietato, ma “la regola vuole che per ogni adiacenza ci sia bisogno di 3-5 anni, tempo necessario per un certo adeguamento culturale e di competenze”. Il punto è che LEGO, invece, “piuttosto che implementare un’adiacenza ogni 3-5 anni, ha sviluppato 3-5 adiacenze in un anno”42.

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Dal canto suo Ovesen notò l’inadeguatezza con cui veniva svolta l’analisi finanziaria; non solo mancava uno studio di profittabilità delle linee di prodotto, che non consentiva di capire quali prodotti generassero guadagni e quali perdite, ma non erano neppure mai stati costruiti indici target (es. ROS) a cui tendere nello svolgimento delle attività.

Sulla base di queste considerazioni, Knudstorp e Ovesen convennero sul fatto che LEGO, in questa prima fase, avesse bisogno di rientrare immediatamente quanto più capitale possibile per evitare la bancarotta. Decisero così di eliminare ulteriori linee dal ventaglio prodotti, tra cui quelli cinematografici e la linea dei giochi elettrici e di alienare ulteriori edifici ed altre immobilizzazioni.

Infine, Kjeld Kirk investì nell’azienda ben 800 milioni di corone danesi prelevati dal capitale di famiglia per sanare i maggiori debiti.

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Analizzando lo Stato Patrimoniale43 di LEGO del 2003 è possibile effettuare una serie di considerazioni:

Figura 18 Balance Sheet 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

a. Il valore delle Attività si è ridotto del 20,6%, passando da 12.144 milioni (2002) a 9.646 milioni di corone danesi (2003).

o Per quanto riguarda le Attività Immobilizzate (-14%), il crollo delle vendite non rendeva possibili nuovi investimenti, al contrario imponeva un rientro del capitale, soprattutto quello investito in edifici e macchinari destinati alla realizzazione dei prodotti oramai eliminati dal portafoglio LEGO.

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Un adeguamento – al ribasso – del valore del capitale si rese altresì necessario in forza del deprezzamento del dollaro rispetto alla corona danese, per gli investimenti effettuati in moneta estera (misure di exchange adjustment).

o Alla luce del Risultato d’esercizio pesantemente negativo e per bilanciare il valore di Fonti e Impieghi, l’ammontare delle tasse pagate anticipatamente o in eccesso nel corso degli anni passati compariva ora sotto forma tax-relief, dunque credito di imposta.

o Le vendite del Natale 2002 si erano attestate ad un livello ben inferiore alle aspettative, e la riduzione generalizzata del volume d’affari aveva costretto i rivenditori americani ed asiatici a trattenere in magazzino una quantità elevatissima di prodotti invenduti (per alcuni, fino al 40% in più rispetto all’anno precedente).

Allo stesso modo, anche i crediti ancora da esigere rappresentavano una forma insostenibile di capitale immobilizzato, che bloccava l’afflusso di risorse. E così sia le scorte che i crediti ancora da esigere vennero dismessi ad un prezzo favorevole, riducendosi rispettivamente nella misura del 45% e 25%.

b. Si consideri il livello del Patrimonio Netto.

Al 31 dicembre 2003 il bilancio d’esercizio mostrava un Patrimonio Netto dal valore di 5.249 milioni di corone danesi (2003), con una diminuzione rispetto all’anno precedente del 24,5%.

Influirono in maniera decisiva l’adeguamento – al ribasso – del valore degli investimenti operati in società controllate estere, per effetto del deprezzamento del dollaro e la distribuzione di dividendi di 223 milioni di corone.

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La riduzione massiccia delle vendite e del Patrimonio Netto determinarono un picco del ROE fino al - 20%, a livelli mai raggiunti prima

ROE (2003) = (Net sales/Shareholder equity)*100 = (-1.072/5.249)*100 = -20%

Figura 19 Return on Equity 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

Nonostante le criticità emerse finora, il flusso di cassa generato nel 2003 era stato superiore a quello del 2002 per un valore di + 273 milioni di corone danesi (vedi Figura 20). Tuttavia, tale movimentazione positiva del Cash Flow è riconducibile non tanto ai risultati operativi, quanto alle attività di investimento e disinvestimento delle attività immobilizzate.

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Figura 20 Cash Flow Statement, 2003 Annual Accounts 2003, LEGO

Per quanto riguarda il flusso di cassa generato dalle attività di investimento e disinvestimento, vi è stato un miglioramento complessivo di 576 milioni di corone (passando da -1.189 milioni a - 613 milioni), imputabili il larga misura ai ricavi derivanti dall’alienazione di parte degli asset tangibili, a seguito della semplificazione del ventaglio di prodotti (che non rendeva più necessari edifici e macchinari specificatamente destinati), alla dismissione delle scorte e dei crediti esigibili ad un prezzo favorevole, alla diminuzione degli investimenti in attività immobilizzate.

Con particolare riferimento a queste ultime, LEGO prese atto del fatto che i parchi a tema LEGOLAND, per quanto le avessero garantito di rafforzare la propria immagine sul mercato, richiedessero competenze troppo specifiche nella loro amministrazione ed erano altamente capital intensive-consuming. Per contenere, dunque, il deflusso di ulteriori risorse per quelle che vennero definite “costose distrazioni”44 dalle attività core, nessun nuovo parco a tema venne inaugurato.

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