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La tutela conservativa e gli effetti dell’azione revocatoria fallimentare

Tra le esigenze di tutela che possono prospettarsi in caso di fallimento del costruttore merita un’attenta analisi la tutela di tipo conservativo, per l’ipotesi in cui il programma contrattuale sia stato già portato a termine in epoca prefallimentare ed il rischio sia quello che l’acquisto venga assoggettato all’azione revocatoria fallimentare, con la conseguente perdita della proprietà del bene da parte dell’acquirente. La tutela conservativa, attuata in favore dell’acquirente di beni immobili, prevede l’esenzione dalla revocatoria fallimentare, esenzione che è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, tra cui la l. n. 80 del 2005 che è intervenuta sul testo dell’art. 67 della legge fallimentare, il d.lgs. 122/2005 all’art. 10 che prevedeva autonomi limiti all’esperibilità dell’azione revocatoria senza interferire nella legge

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fallimentare ed infine il d.lgs. 169 del 2007 che ha modificato nuovamente l’art. 67.

Il fine dell’azione revocatoria è quello di rendere inefficaci gli atti posti in essere dal fallito nel cosiddetto periodo sospetto, atti di predisposizione del proprio patrimonio che spesso provocano delle conseguenze pregiudizievoli. Questo strumento rende inefficace l’atto dispositivo nei confronti della massa dei creditori con la possibilità di acquisire il bene all’attivo fallimentare. In particolare, sono revocabili se compiuti nell’anno anteriore al fallimento, salvo che l’altra parte provi che non era a conoscenza dello stato di insolvenza, gli atti a titolo oneroso in cui le prestazioni eseguite e le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso, nonché gli atti a titolo oneroso compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, se il curatore prova che l’altra parte aveva conoscenza dello stato di insolvenza, in tal caso a prescindere dall’equilibrio economico delle prestazioni.

L’azione revocatoria, se esperita con successo, comporta l’inefficacia dell’atto impugnato relativamente ai creditori che l’hanno esercitata, pertanto, se a esperirla è il curatore del costruttore in uno stato di crisi, l’inefficacia andrà a vantaggio dei creditori di quest’ultimo.

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Giurisprudenza e dottrina si esprimono diversamente riguardo al momento in cui l’azione revocatoria diviene efficace: mentre la prima sostiene che il rapporto, validamente instauratosi tra le parti a suo tempo, risulta privo di effetti nei confronti della massa dei creditori dalla data in cui è stata proposta domanda giudiziale di revoca, la seconda invece propende per una diversa soluzione27, che prevede che l’obbligo

di restituire quanto percepito, a seguito dell’atto revocato, sorge unicamente con la sentenza che ne dichiara l’inefficacia, il cui effetto retroagisce solo fino al momento della presentazione della relativa domanda. Si giunge in tal modo alla restituzione del bene, il quale era oggetto dell’atto dispositivo revocato, a garanzia dei creditori.

La procedura utilizzata dal curatore è la medesima cui si ricorre nel caso dei beni pervenuti al fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Poiché si tratta di beni immobili si dovrà procedere alla trascrizione della sentenza in Conservatoria.

Per l’acquirente colpito dall’azione revocatoria, obbligato alla restituzione della cosa, non rimane che il diritto ad insinuarsi in via chirografaria allo stato passivo per l’eventuale credito che corrisponde

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alle somme pagate a suo tempo al fallito per ottenere il bene o instaurare il rapporto oggetto di revoca.

L’atto colpito da azione revocatoria è inefficace rispetto ai terzi, ma valido tra le parti che lo hanno posto in essere: ne consegue che tale azione non può essere utilizzata contro un atto nullo, poiché tale vizio assorbe l’inefficacia stessa.

Con la riforma del 2005 l’istituto della revocatoria fallimentare viene modificato sotto due ulteriori aspetti, innanzi tutto viene espressamente previsto un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione in questione all’art. 69 bis della legge fallimentare. Inoltre l’impostazione di fondo della riforma fallimentare rende meno agevole il ricorso all’azione revocatoria: questo accade in quanto sono state introdotte diverse soluzioni per evitare di giungere alla procedura fallimentare vera e propria, vista come l’ultima ratio. Prima di subirla il debitore potrà avvalersi di altri istituti, concordando soluzioni alternative con i creditori ad esempio avvalendosi della procedura di concordato preventivo o del piano di risanamento. Qualora il fallimento non venga evitato e il debitore si sia avvalso di questi strumenti, l’effetto è comunque quello di ritardare la pronuncia della sentenza che accerta lo stato di insolvenza rispetto al momento in cui si è manifestato. Questo ritardo ha come conseguenza il consolidamento degli atti

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compiuti dal fallito nel periodo intercorrente tra il manifestarsi dello stato di insolvenza e il momento della sua dichiarazione.

Un primo freno all’esperibilità dell’azione revocatoria è stato quindi introdotto tramite la riforma del 2005, la quale ha dimezzato i periodi sospetti anteriori alla sentenza di fallimento e ha introdotto un elenco di casi in cui è limitato l’utilizzo di questo strumento. In particolare l’art. 67 al terzo comma, lettera c) tratta l’esenzione da revocatoria relativa alla vendita al giusto prezzo di immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado. Questo risulta essere uno degli interventi più incisivi nell’ambito della tutela dell’acquirente di immobili, insieme all’art. 10 del d.lgs. 122/2005. Il legislatore ha voluto introdurre una presunzione assoluta in modo tale da rendere una certa categoria di atti non assoggettabile alla revocatoria, prediligendo quindi il mantenimento in vita del negozio senza valutare il comportamento soggettivo dei contraenti. In questo modo si dà rilievo all’interesse delle parti, in particolare della parte acquirente, rispetto all’interesse dei creditori a vedere il patrimonio del fallito ricostituito per potere poi procedere alla ridistribuzione per soddisfare la massa.

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Il testo del 67, terzo comma, lettera c) riformato nel 2007 recita:

“Non sono soggetti all’azione revocatoria:

c. le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2465

bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma

terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad

oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione

principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado,

ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede

principale dell’attività d’impresa dell’acquirente, purché alla data di

dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata

ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio.”

Rispetto alla precedente dizione rimangono confermati alcuni riferimenti, tra cui il giusto prezzo, i soggetti interessati, la destinazione dell’immobile e la tipologia contrattuale apparentemente limitata alla vendita. La novità significativa è costituita dall’estensione della previsione al contratto preliminare, estensione che si ricollega al nuovo disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 72. Fino a questo momento la pressoché unanime dottrina escludeva la possibilità di assoggettare il contratto preliminare all’azione revocatoria fallimentare, poiché se il contratto definitivo non è stato stipulato e trascritto in data anteriore

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alla sentenza di fallimento non ha alcun senso ipotizzare l’esperimento di azione revocatoria avente ad oggetto il preliminare in quanto il curatore ha la possibilità di non subentrare direttamente nel contratto, determinandone così lo scioglimento ai sensi dell’art. 72, comma 1 legge fallimentare. È proprio in relazione a quest’ultima disposizione introdotta dall’ultimo comma dell’art.72 che si è arrivati ad ammettere la possibilità che anche il preliminare sia fatto oggetto di azione revocatoria, proprio come il curatore non può sciogliersi dal rapporto creato con il preliminare ed il promissario acquirente ha diritto ad ottenerne l’esecuzione, così di conseguenza si estende la non assoggettabilità a revocatoria del preliminare nei limiti in cui non vi è soggetto il contratto con effetti reali.

L’esenzione prevista dall’art. 67 è dedicata all’azione revocatoria fallimentare, non anche a quella ordinaria: i presupposti della prima sono diversi da quelli della seconda, differenze che emergono chiaramente proprio in relazione alle esenzioni previste dall’art. 67. Infatti la revocatoria ordinaria presuppone sempre la prova che il terzo fosse consapevole del pregiudizio arrecato ai creditori, mentre l’esenzione dalla revocatoria fallimentare, nel caso delle vendite o dei preliminari di vendita aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, prescinde dallo stato soggettivo del terzo, il quale potrebbe essere

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consapevole del pregiudizio arrecato ai creditori e a conoscenza dello stato di insolvenza del venditore. Tra le circostanze su cui si fonda l’esenzione quindi non si tiene conto della buona fede dell’acquirente, il quale, soprattutto nel caso di immobili ancora da costruire non prenderebbe mai un impegno se fosse fondato il sospetto di un imminente fallimento del venditore; piuttosto si guarda a circostanze di tipo oggettivo quali: il giusto prezzo d’acquisto e la destinazione dell’immobile ad uso abitativo per l’acquirente o i suoi parenti e affini entro il terzo grado. Il legislatore mira a salvaguardare l’efficacia del negozio indipendentemente dallo stato soggettivo dei contraenti, facendo prevalere l’interesse dell’acquirente sul ceto creditorio.

La fattispecie risulta essere particolarmente complessa soprattutto dal punto di vista notarile in quanto, trattandosi di immobili, gli atti interessati sono stipulati con il ministero notarile: pertanto il notaio si ritroverà al centro degli interessi delle parti sia nella fase di consulenza preventiva, sia nella fase di redazione dell’atto, in modo tale che risultino con la massima chiarezza i requisiti previsti dalla legge.

A soli tre mesi di distanza dall’entrata in vigore del decreto di competitività, il legislatore riaffronta la tematica dell’esenzione da revocatoria per gli immobili acquistati e destinati ad essere l’abitazione principale dell’acquirente, introducendo all’art. 10 del d.lgs. 122/2005

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ulteriori fattispecie che ampliano, ricalcano o si intersecano con l’ambito di operatività del terzo comma del 67.

Il testo dell’art. 10 prevede infatti:

“Gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della

proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire,

nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi dalla data

di acquisto o di ultimazione degli stessi, la residenza propria o di suoi

parenti e affini entro il terzo grado, se posti in essere al giusto prezzo da

valutarsi alla data della stipula del preliminare, non sono soggetti

all’azione revocatoria prevista dall’articolo 67 del regio decreto 16

marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni.”

Le due norme seppur simili hanno un ambito di applicazione differente, bisogna, infatti, distinguere a seconda che il fabbricato, di cui è stata trasferita la proprietà o altro diritto reale all’acquirente sia un immobile in fase di costruzione, (in questo caso si applica la disciplina del 122/2005) oppure sia un immobile già ultimato, nel qual caso si applica la disciplina del terzo comma dell’art. 67.

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 Tipologia di atti esonerati

Per poter usufruire delle normative precedentemente citate devono ricorrere dei requisiti: innanzitutto è utile capire l’oggetto e il soggetto che il legislatore ha voluto tutelare e quali sono i limiti di applicabilità della disciplina.

Il legislatore nell’art. 67 ha individuato il negozio giuridico da tutelare con la presente normativa prevedendo tra le varie ipotesi di trasferimento esclusivamente le vendite di beni immobili, che dovranno essere in primo luogo opponibili alla procedura e quindi essere state trascritte nei pubblici registri immobiliari prima della sentenza dichiarativa di fallimento, senza allargare ulteriormente il campo. Gli interpreti si sono chiesti se l’indicazione vendite debba essere interpretata in senso limitativo, ovvero in senso ampio. Se la norma avesse previsto più in generale un’ipotesi di trasferimento, l’interpretazione sarebbe stata più semplice in quanto in questo modo sarebbero rientrate nella fattispecie in oggetto tutti i casi di trasferimento di immobili a prescindere dal negozio giuridico utilizzato. In questa ipotesi il legislatore, evidentemente, ha voluto limitare la tutela alla sola “vendita” in quanto l’eccezione alla revocatoria riguarda

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una situazione particolarmente debole, comune, rappresentata appunto dal mero acquisto dell’abitazione. Se avesse voluto un’interpretazione più ampia avrebbe utilizzato termini più generici, quali “atti a titolo oneroso” presenti infatti ai commi 1 e 2 dello stesso articolo, invece ha voluto escludere dalla revocatoria soltanto le vendite.

Sempre su questo tema la dottrina appare divisa: “vi è chi, facendo leva sull’interpretazione letterale e teleologica, limita alla vendita l’ambito applicativo dell’esenzione e chi, viceversa, vi fa rientrare anche altri contratti commutativi a titolo oneroso, sottolineando l’analogia con il citato art. 10 e l’irrazionalità di una differenza di trattamento. Anche aderendo alla tesi più restrittiva, dovrebbero comunque rientrare nell’operatività della lettera c), oltre al preliminare, qualunque tipologia di compravendita immobiliare e, stante il rinvio contenuto nell’articolo 1555 c.c. e la giurisprudenza maturata ante riforma sui primi due commi dell’art. 67, anche la permuta. In questo modo la distanza fra le due tesi si riduce notevolmente.”28

Rispetto all’art. 67, l’art. 10 offre una panoramica molto più ampia sul piano delle fattispecie contrattuali interessate all’esenzione, infatti non

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si tratta solo di vendite, ma più in generale di atti a titolo oneroso che abbiano ad oggetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento su immobili da costruire. Oltre la vendita, possono essere ricompresi, a favore dell’acquirente, atti che comportino la costituzione del diritto di uso, di usufrutto, di superficie e di abitazione. Inoltre sono ammesse altre figure tipiche del settore immobiliare, quali la permuta, anche di terreno verso immobile da costruire, il leasing traslativo e la partecipazione a cooperative edilizie che abbia come finalità l’assegnazione in proprietà o l’acquisto di un diritto reale di godimento su un immobile.

Per quanto riguarda l’oggetto del contratto, l’art. 10 introduce una limitazione inesistente invece nel terzo comma dell’art. 67. Si tratta di atti aventi ad oggetto immobili da costruire, la cui definizione si ritrova alla lettera d) del medesimo articolo, intendendo per immobili da costruire gli immobili per i quali sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare o la cui costruzione non ultimata versi in uno stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità.

I contratti che trasferiscono diritti reali su immobili già edificati sono pertanto esclusi dall’ambito di applicazione della norma e, se ne rispettano i requisiti, verranno assoggettati alla disciplina dell’art. 67.

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Un altro caso pratico è quello relativo ad immobili per i quali, oltre a non essere cominciata l’edificazione, non risulta neppure che sia stato richiesto il permesso di costruire. Ciò avviene soprattutto nei casi di scambio tra proprietà di un terreno con proprietà o altro diritto reale su un immobile da costruire, dove il rilascio del permesso di costruire è una condizione alla quale l’efficacia del contratto è subordinata o per lo meno uno dei risultati a cui l’acquirente del terreno si obbliga, anche se detta concessione non sia già venuta ad esistenza nel momento in cui il contratto viene stipulato. Anche in questo caso, la portata generica della normativa fallimentare, che parla di immobili ad uso abitativo, consente di includere, oltre a quelli già esistenti, anche quelli non ancora o in parte edificati a prescindere dall’avvenuto o meno rilascio del permesso di costruire.

La ratio della norma è evidente, tutelare l’abitazione principale, ne deriva che debbono rientrare nell’aerea dell’esenzione anche i trasferimenti di abitazioni di lusso nonché gli acquisti speculativi, in quanto l’immobile destinato ad abitazione principale non necessariamente deve essere la prima o unica casa dell’acquirente. Sono meritevoli di tutela anche gli acquisti di quote di comproprietà, con riferimento sia alle ipotesi in cui un soggetto acquista una singola

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quota di comproprietà, sia alle ipotesi in cui acquisti più quote di comproprietà da soggetti diversi.

Sono esclusi, invece, dall’applicazione della norma, gli acquisti di beni diversi dai beni immobili, quali ad esempio beni mobili, beni mobili registrati, quote di partecipazione in società, azioni, contratti, in quanto non sono espressamente previsti dalla legge e per i quali un’interpretazione di tipo estensivo sarebbe una forzatura. Restano altresì esclusi gli immobili quali, ad esempio negozi o fabbricati ad uso industriale e terreni; inoltre leggendo la norma in maniera restrittiva dovrebbero essere esclusi anche tutti quei beni che possono essere considerati pertinenze di immobili ad uso abitativo, ad esempio cantine e posti auto, ma nella prassi si tende ad allargare l’ambito operativo della norma, analogamente a quanto avviene in materia fiscale.

Il presupposto indispensabile affinché la disciplina di cui all’art. 10 trovi applicazione è che, al momento della dichiarazione di fallimento, l’effetto traslativo della proprietà si sia già verificato. In caso contrario la tutela della posizione dell’acquirente non è assicurata in quanto l’acquisto non si è ancora verificato e si dovrà ricorrere ad altri strumenti. Se il trasferimento di proprietà non si è ancora verificato l’aspettativa di ottenere l’immobile per l’acquirente dipenderà dalla scelta del curatore, il quale potrà subentrare o meno nel contratto così

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come da art. 72 l.f. Qualora invece la proprietà sia già stata trasferita, la curatela non ha più alcuna possibilità di sciogliersi dal vincolo, e l’acquirente si sottrae al rischio di perdere il bene a seguito dell’esercizio dell’azione revocatoria.

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 Il soggetto tutelato

Il legislatore ha inteso tutelare solamente le persone fisiche allo scopo di proteggere l’acquisto della propria abitazione principale, pertanto vanno esclusi dalla fattispecie protetta gli acquisti da parte di persone giuridiche e comunque, in generale, di soggetti diversi dalle persone fisiche, in quanto questi ultimi, pur potendo acquistare beni potenzialmente da destinare ad abitazione, non possono certo adibirla a propria, non rientrando nella previsione agevolata della norma, neanche con riferimento alla propria sede.

Il legislatore ha esteso l’applicazione della tutela, non soltanto all’acquirente, ma anche ai suoi parenti e affini entro il terzo grado. Con tale estensione il legislatore ha voluto garantire una maggior tutela anche per quelle situazioni che si verificano di fatto all’interno dei nuclei familiari, come ad esempio il fatto che l’abitazione venga acquistata dal genitore per il figlio. Nonostante la norma non lo preveda espressamente, tra i soggetti cui si riferisce la tutela rientra anche il coniuge e di conseguenza anche gli affini dello stesso. Questa mancata previsione è stata considerata una svista del legislatore, il quale non ha

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considerato neppure la possibilità che i coniugi abbiano anche una residenza differente.

L’art. 10 presenta la medesima dicitura del 67, infatti anche qui vengono ricompresi parenti e affini dell’acquirente, ma non il coniuge, anche in questo caso non ricompreso per un’apparente svista.

Particolarmente delicata è la posizione dell’acquirente quando egli acquista, anziché direttamente dall’imprenditore fallito, da altro soggetto il cui dante causa sia l’imprenditore fallito. In questo caso il subacquirente è tutelato e dunque la revocatoria non produce effetti nei suoi confronti, purché sussista il requisito di buona fede e sempre che la trascrizione del suo acquisto sia anteriore alla trascrizione della domanda revocatoria nei confronti del suo dante causa. Su tale questione si è espressa la giurisprudenza di legittimità sostenendo la tesi secondo cui : “pur dovendosi riconoscere che la revocatoria ordinaria e quella fallimentare presentano identità sostanziale e funzionale, come è confermato sia dalla norma di collegamento dell’art. 2904 c.c. che da quella speculare dell’art. 66, primo comma, l. fall., deve ritenersi che l’art. 67 di tale legge, non facendo alcun riferimento alla sorte dei diritti di coloro che abbiano subacquistato dal primo acquirente dal debitore fallito, è inapplicabile agli atti di acquisto di tali

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subacquirenti.”29 Ne consegue che la posizione di tali soggetti è regolata

dalla disciplina della revocatoria ordinaria e quindi dall’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., che fa salvi i diritti subacquistati dai terzi purché siano in buona fede.

Quindi qualora il curatore faccia valere l’inefficacia dell’acquisto nei