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Dopo aver richiamato profili e problematiche generali attinenti alla democrazia partecipativa, si tratta ora di delimitarne giuridicamente il concetto, enfatizzando da subito il ruolo che la comparazione verrà a svolgere nello specifico ambito di questa ricerca.

Si muove dalla formula ‘democrazia partecipativa’ per ricercare una semantica comune, che vada al di là del mero accostamento tra sostantivo e aggettivo. Più specificamente, l’espressione si compone di due termini – democrazia1 e

partecipazione2 – stabilmente entrati nel discorso politico e giuridico, entrambi

1 Si v. N. BOBBIO, Il futuro della democrazia, cit., 1984, 4 che la intende come: «un insieme di regole

(primarie o fondamentali) che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure». Cfr. P. SCHMITTER, T. L. KARL, What democracy is…and is not, cit.; M. LUCIANI,

Il referendum abrogativo. Commento all’art. 75, in Commentario della Costituzione, Zanichelli,

Bologna, 2005, 1-745; H. KELSEN, Verteidigung der Demokratie, Mohr Siebeck, Tübingen, 2006; H. KELSEN, La Democrazia, cit., 189; L. CARLASSARE, Democrazia: alterazioni di un concetto, cit., 127-134.

2 La nozione di partecipazione viene definita sulla scia dei fenomeni sociali di protesta di studenti e

lavoratori degli anni sessanta. È proprio in quegli anni che giuristi e politologi cominciarono a concettualizzare tale termine, pur contenendosi nell’alveo della democrazia rappresentativa. Nelle concettualizzazioni più risalenti sono infatti i partiti gli attori indispensabili a dare effettività alla partecipazione dei cittadini. Così: R. BIFULCO, Democrazia deliberativa, partecipativa e

rappresentativa. Tre diverse forme di democrazia?, in U. Allegretti (a cura di), Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa, Firenze University Press, Firenze,

2010, 65-77. Si veda anche: A. SAVIGNANO, Partecipazione politica, cit., 1-14, che descrive la partecipazione alla stregua di un mito straripato dall’alveo naturale della politica a quello più vasto delle strutture sociali ed economiche, ed incentrando la sua azione sugli obblighi che gravano sugli uomini e sul loro vincolo con le istituzioni, anziché sullo Stato e sul suo rapporto con i cittadini. Lo

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riconducibili a quell’«insieme di regole di procedura stabilite per la formazione di decisioni collettive, in forza delle quali è prevista e facilitata la partecipazione più ampia possibile degli interessati»3.

Dall’indagine semantica, che non poggia sull’uso accoppiato dei due termini, sembra potersi derivare che il concetto di ‘partecipazione’ informi la stessa concezione di democrazia praticata negli ordinamenti statuali contemporanei4 perché necessaria al funzionamento delle istituzioni democratiche.5 Se infatti l’idea della ‘partecipazione’ risulta piuttosto generica, e giá in sé riconducibile all’operare dei dispositivi democratici costituzionalmente previsti6, il quadro si complica nel momento in cui l’aggettivazione ‘partecipativa’ si combina con la parola ‘democrazia’. Ecco perché l’intreccio di significati e il costrutto sostantivo- aggettivo potrebbe, a ragione, apparire pleonastico accostando due concetti tra loro in larga parte sovrapponibili. Nonostante ciò, in tempi più o meno recenti, la nozione di ‘democrazia partecipativa’ si è fatta strada nelle teorizzazioni di giuristi e politologi, mancando comunque un preciso accordo su cosa si debba intendere

stesso concetto si trova spesso affiancato all’aggettivazione ‘politica’. Con questa formula ci si riferisce «al diritto generalmente riconosciuto agli uomini, quali membri della comunità in cui vivono, di prendere parte ai processi decisionali che li concernono o che comunque si riflettono su di essi».

3 L. VOLPE, Democrazia diretta (voce), in L. Pegoraro (a cura di), Glossario di Diritto pubblico

comparato, Carocci, Roma, 2009, 76. Sull’interazione tra i due termini si rinvia, tra i tanti, altresì a

C. MORTATI, art. 1, cit., 1-50; U. ALLEGRETTI, Democrazia partecipativa, cit., 295-335; P. SCHMITTER, T. L. KARL, What democracy is…and is not, cit., 4; R. BIFULCO, Democrazia

deliberativa, partecipativa e rappresentativa, cit., 65-77.

4 Il termine ordinamento è concepito qui e nel seguito della ricerca nell’accezione definita da G.

BOGNETTI, Introduzione al diritto costituzionale comparato (il metodo), Giappichelli, Torino, 1994, 76, da intendersi come «gruppo di persone che, per fini tra loro condivisi, stabiliscono di coordinare (ed entro ampi limiti di fatto coordinano) taluni aspetti delle loro azioni attraverso norme di massima verbalizzate in formule autoritative, con previsione di modi riconosciuti per il mutamento e per la rinnovazione delle suddette norme e altresì con previsione di un qualche tipo di sanzione in caso di loro violazione».

5 C. MENKEL-MEADOW, The Lawyer's role (s) in Deliberative democracy, in Nevada Law Journal,

5, 2004, 347-369, 352.

6 Su cui in senso ampio si rinvia a P. GOMARASCA, Comunità e partecipazione. L'idea di democrazia

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quando ci si riferisce a tale formulazione7. Sono infatti poche le locuzioni che assumono una così ampia varietà di significati come accade per ‘democrazia partecipativa’8.

Può affermarsi, tuttavia, che la democrazia partecipativa sia effettivamente riconducibile ad uno specifico genere di strumenti e procedure, diversi da quelli rientranti nell’alveo delle tradizionali categorie della democrazia rappresentativa e di quella diretta (o semidiretta9). È infatti una delle motivazioni che induce ad intraprendere l’analisi del costrutto, la convinzione che il concetto di democrazia partecipativa sia oggi intrinsecamente dotato di un’autonomia, concettuale e precettiva, bisognosa di una altrettanto autonoma trattazione scientifica. È quindi necessario individuare una definizione che sia utile a stabilire quale determinato ordine di esperienze possa essere classificato sotto la denominazione ‘democrazia partecipativa’.

A tal fine è fondamentale porre le basi per la costruzione di una categoria che in prima approssimazione parrebbe contenere tutti quei dispositivi democratici di nuova generazione non assimilabili a procedure democratiche tradizionali (elezioni,

referendum), accomunati da caratteri definiti a priori. Per poter elaborare una

siffatta categoria sarà necessario affrontare il concetto da differenti prospettive, determinandone significato e portata rispetto a diversi parametri (geografici, metodologici ecc.).

Ai fini del presente studio, tale preliminare opera ricostruttiva è necessaria: per fornire una certa coerenza interna al lavoro di ricerca; per delimitare la portata della locuzione rispetto ad altri fenomeni; infine per delineare con sufficiente precisione il perimetro entro cui si muoverà l’intera opera analitica.

Si tenterà così di formulare una proposta definitoria giuridicamente rilevante di democrazia partecipativa, attraverso una rilettura delle proposte dottrinarie avanzate in aree geo-giuridiche riferibili a diverse ‘famiglie giuridiche’,

rapportando il concetto ad altre declinazioni del sostantivo ‘democrazia’, talune

7 Sulla portata interdisciplinare del termine si v. supra, cap. 1, § 3.1.

8 N. VIZIOLI, La democrazia partecipativa nella legislazione regionale italiana, cit. 189. 9 Su cui si rinvia a infra, § 3.2.

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connotate da una più radicata tradizione definitoria e talaltre riconducibili a più recenti correnti di pensiero.

2. I termini fondamentali della ‘questione partecipativa’: sovranità, rappresentanza e democrazia costituzionale

Quando si configura la democrazia, nella sua concezione odierna, come struttura decisionale nella quale il potere è esercitato da tutto il popolo o dalla sua maggioranza, direttamente o tramite rappresentanti, si staglia nella mente dell’interprete l’immagine della titolarità in capo a ciascun consociato di una porzione di quella sovranità ‘giuridica’, da cui consegue la concorrenza di tutti i cittadini alla costruzione delle decisioni pubbliche10. Per quanto quello della sovranità popolare sia uno degli elementi costitutivi degli Stati così come uno dei principi fondativi delle moderne costituzioni11, le modalità pratiche con cui vi si è data attuazione riguardano principalmente le norme tramite cui garantire la democraticità delle procedure elettorali piuttosto che i processi di adozione delle decisioni pubbliche in quanto tali12.

Esaminando la problematica in prospettiva diacronica, c’è chi ritiene come solo nella Grecia classica – in particolare quella dell’Atene del V secolo a.C. – vi fosse

10 Cfr. G. C. FERRARA, Alcune osservazioni su popolo, Stato e sovranità nella Costituzione italiana,

in Rassegna di diritto pubblico, 1965, I, 269 ss.; V. CRISAFULLI, La sovranità popolare nella

Costituzione italiana, in Stato, popolo, Governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano, 1985,

100 ss.; T. E. FROSINI, Sovranità popolare e costituzionalismo, Giuffrè, Milano, 1997; G. BOGNETTI,

Lo spirito del costituzionalismo americano. Vol. I. la costituzione liberale, Giappichelli, Torino,

1998, 31; N. IRTI, Tramonto della sovranità e diffusione del potere, in Diritto e società, 3/4, 2009, 465-481; L. CARLASSARE, Democrazia: alterazioni di un concetto, cit., 129 ss.

11 «La sovranità popolare […] veicola l’affermazione dello Stato democratico, nel quale, per

Costituzione, (tutto) il potere emana da (tutto) il popolo (art. 20 GG; art. 1 Cost. spagnola), concepito come un insieme non frazionabile (es. l’art. 3 Cost. francese 1958 nega che una frazione di popolo possa sostituirsi, nell’esercizio della sovranità, al popolo nel suo complesso)». Così P. PASSAGLIA,

Sovranità (voce) in L. Pegoraro (a cura di), Glossario di Diritto pubblico comparato, Carocci,

Roma, 2009, 242; C. MORTATI, art. 1, cit., 1-50.

12 Cosí L. FERRAJOLI, La democrazia costituzionale, in Revus. Journal for Constitutional theory and

philosophy of law, 18, 2012, 69-124, 73 e R. BIFULCO, Il dilemma della democrazia costituzionale, in Rivista dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 4, 2012, 1-12, 2-5.

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piena coincidenza tra la volontà dei cittadini e le decisioni politiche in quanto in questa esperienza i cittadini liberi partecipavano direttamente alla gestione della cosa pubblica13. Il paragone tra la democrazia come modulata negli ordinamenti contemporanei e quella concepita nell’antica Grecia mostra la corda quando si rileva come in quest’ultima il sistema di governo ‘diretto’, da un lato, si limitava a coinvolgere un demos composto da soli uomini adulti14 e, dall’altro, non contemplava alcun tipo di tutela rispetto a diritti e libertà, rivelando così uno scarto tra modello teorico e realtà ordinamentale. Ancora, l’apporto altamente partecipativo della ‘democrazia degli antichi greci’ era da ascriversi al momento esecutivo di gestione della polis, quando invece modernamente l’assunzione delle decisioni pubbliche ha fulcro nel cardine legislativo15. Perciò, per pervenire al risultato cui si ambisce, ossia delimitare il concetto di democrazia partecipativa attribuendovi una autonoma connotazione scientifica, è necessario stabilire come punto di partenza ‘concettuale’ il momento storico in cui vengono alla luce gli Stati nazionali16. È infatti da questo punto che prende le mosse quella costruzione

13 Cfr. B. CONSTANT, Della libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, in B. Constant (a

cura di), Principi di politica, Editori Riuniti, Roma, 1970, 221; H. H. MOGENS, The Tradition of Ancient Greek Democracy and Its Importance for Modern Democracy, Kgl. Danske Videnskabernes Selskab, Copenhagen, 2005; K. A. RAAFLAUB, J. OBER, R. W. WALLACE, Origins of Democracy in Ancient Greece, University of California Press, Berkeley, 2007.

14 Nell’antica Grecia si escludono dal demos le donne, i minori, i residenti non cittadini e gli schiavi,

dunque la parte maggioritaria della popolazione. La democrazia antica è legata ad un sistema di parentele, stirpi e derivazione consanguinea e non conosce affatto la visione universalistica propria delle democrazie contemporanee: S. PETRUCCIANI, Democrazia, Einaudi, Torino, 2014, 13. Per approfondire si veda anche: M. FINLEY, La democrazia degli antichi e dei moderni, Laterza, Bari, 2010.

15 Cfr. A. MORELLI, Le trasformazioni del principio democratico, cit., 197 e Y. SINTOMER, Giurie

cittadine, sorteggio e democrazia partecipativa, Dedalo Editore, Bari, 2009.

16 È comunque importante sottolineare come siano variegate e sfaccettate le esperienze

‘democratiche’ rilevabili tra l’eclissi del modello greco e l’insorgere del modello rappresentativo ‘moderno’. L’esperienza più caratteristica e studiata è quella dei liberi comuni nell'Italia medievale e rinascimentale dove i sistemi elettorali si fondavano in parte sul metodo del sorteggio, come a Venezia e a Firenze. A Venezia, fino alla caduta della Serenissima Repubblica, nel 1797, il sorteggio, che era chiamato brevia, fece parte integrante della procedura legislativa per la designazione del doge, mentre a Firenze, a partire dal 1328, la maggior parte delle cariche

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dogmatica che determina lo sviluppo dei concetti fondativi delle democrazie contemporanee: l’idea della sovranità e della sua positivizzazione in norme giuridiche; il carattere mediato e rappresentativo di esercizio del potere17; nonché l’apposizione di limiti esterni al principio democratico derivanti direttamente dalla Costituzione18.

Non a caso, lo stesso Kelsen, nel 1929 giungeva ad affermare come «per lo Stato moderno l’applicazione di una democrazia diretta sia praticamente impossibile» in quanto «non si può seriamente dubitare che il parlamentarismo non sia l’unica forma reale possibile dell’idea di democrazia. Perciò il destino del parlamentarismo deciderà anche il destino della democrazia»19. In altre parole, si

governative e delle funzioni amministrative vennero attribuite con il metodo casuale. Per approfondire si veda: Y. SINTOMER, Giurie cittadine, sorteggio e democrazia partecipativa, cit., 61- 65.

17 Per una panoramica sull’evoluzione e sulle modalità di funzionamento delle democrazie

rappresentative cfr. N. URBINATI, Representative Democracy: Principles and Genealogy, University of Chicago Press, Chicago, 2006.

18 Cfr. R. BIFULCO, Il dilemma della democrazia costituzionale, cit., 1.

19 H. KELSEN, Essenza e valore della democrazia, Giappichelli, Torino, 1995, 74. I concetti di

rappresentanza e di parlamentarismo non sorgono in combinazione con i concetti democratici e sono molto precedenti rispetto alla democrazia moderna, infatti, da un lato, si rammenta che i parlamenti in Inghilterra esistono già dal XIII secolo e nascono come istituti di consultazione e controllo rispetto alla monarchia assoluta, e, d’altro canto, gli Stati moderni nascono ‘rappresentativi’ ma non ‘democratici’ in quanto la tradizione del pensiero politico del settecento non reputava la democrazia un sistema politico desiderabile poiché incapace di perseguire il bene comune. Cfr. M. NICOLINI, F. PALERMO, Il bicameralismo, ESI, Napoli, 2013, 20-76. La contrapposizione tra democrazia e rappresentanza emerge con forza nella letteratura politica del diciottesimo secolo. Così Madison nel saggio n. 10 dei Federalist papers distingue tra pure democracy, ovvero una società governata da un gruppo ristretto di cittadini che si riuniscono in assemblea e governano direttamente o un governo nel quale viene impiegato lo schema della rappresentanza vera e propria: J. MADISON, The Federalist

No. 10, cit., 50. Anche l’abate Sieyès nel suo discorso alla costituente francese il 7 settembre 1789

distingueva due modi a disposizione dei cittadini per concorrere alla produzione di una legge: immediatamente – metodo proprio della democrazia – e mediatamente – metodo proprio del governo rappresentativo: E. J. SIEYÈS, Qu’est-ce que le Tiers état ? Éditions du Boucher, Paris, 2002. Il problema si innesta anche nelle dinamiche riguardanti gli assetti bicamerali degli ordinamenti costituzionali, come rilevato in M. NICOLINI, F. PALERMO, Il bicameralismo, cit., 1-16.

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esclude che la democrazia possa tradursi nel ‘diretto governo del popolo’, e si ritiene necessaria la periodica selezione di rappresentanti, organizzati in partiti politici20, attraverso procedure maggioritarie canalizzate in circuiti elettorali21. Sono questi i tratti essenziali del concetto di ‘democrazia rappresentativa’ che, insieme a quello di ‘democrazia liberale’22 e ‘democrazia costituzionale’23, descrivono la struttura portante degli ordinamenti statuali alludendo all’organizzazione dello Stato, alla separazione dei poteri, al rapporto tra governanti e governati e a quello tra istituzioni rappresentative e società, così come delineato nelle carte costituzionali. Nelle democrazie costituzionali, nozione ascrivibile a tutti gli ordinamenti cui si farà riferimento in questo studio, «la norma costituzionale è pienamente accettata da tutte le parti politiche con la conseguenza che la lotta politica si sposta dal livello dell’affermazione della norma costituzionale a quello della sua interpretazione»24.