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Nel presente capitolo sarà svolto un confronto fra le diverse poetiche per far comprendere come il genere comico sia assolutamente eterogeneo e non un canone composto da temi e punti fissi. Sebbene vi siano topoi comuni, essi sono sviluppati secondo modi personali da ciascun autore: il vituperium di Meo dei Tolomei non è lo stesso di Rustico, il poeta fiorentino non affronta temi politici con gli stessi toni dei sonetti politici di Folgóre. Addirittura alcuni di questi rimatori svolgono la loro produzione poetica attorno a argomenti diversi dagli altri e dallo stesso genere comico, come nel caso del corpus di Immanuel o della corona di Cenne; nonostante essi abbiano, quindi, profonde differenze, sono considerati comunque tutti autori comici395. Dunque, quando ad esempio analizziamo il tema amoroso o quello politico o ancora quello economico, non si può tener conto delle differenze che intercorrono tra i diversi poeti. Ritengo quindi opportuno mettere in risalto somiglianze e differenze secondo i temi trattati nei precedenti capitoli, dando un’approfondita visione sulla natura stessa del genere. Sebbene siano solo cinque autori, quindi un numero esiguo rispetto a quello dell’intero genere giocoso medievale, essi rappresentano quasi tutte le modalità del genere comico.

Innanzitutto non è possibile dividere nettamente la poesia aulica da quella giocosa, poiché la maggior parte dei poeti aulici ha scritto poesie giocose e viceversa, come Guido Cavalcanti che «ha composto poesie che sono guittoneggianti, altre “stilnovistiche”, altre ancora in stile comico-realistico. Ha impiegato diverse

395

Immanuel romano e Cenne da la chitarra sono inclusi in quasi tutte le antologie comiche, come quella di Berisso, Marti e Vitale, ossia le principali sul genere comico.

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modalità e intenzioni stilistiche, ha utilizzato insomma diverse “registri” […]»396

. Dalle parole di Suitner si comprende come fra i due generi non vi sia uno spartiacque profondo, come alcuni critici hanno ipotizzato; per di più la maggior parte dei manoscritti tramanda componimenti aulici insieme a quelli giocosi, quindi all’epoca non esisteva un confine fra i due generi; infatti, come nota Berisso: «Di fatto, non esiste un solo manoscritto della nostra lirica antica, che riporti un corpus di testi esclusivamente comici. Non circola a sé neppure quello del più prolifico tra i nostri autori, Cecco Angiolieri»397.

La poesia comica ha dunque una dignità letteraria pari a quella stilnovistica, d’altronde fra i cinque poeti analizzati, tre di essi si comportano come un simmetrico specchio delle due correnti, ossia da un lato Rustico Filippi, dall’altro Folgóre da San Gimignano e Cenne: il corpus poetico di Rustico398 è perfettamente diviso in cinquantotto sonetti amorosi e altrettanti comici399, mentre Cenne è lo specchio di Folgóre, grazie alla parodia della corona folgoriana, come scrivono Orvieto- Brestolini: «Nel caso delle corona dei mesi il polo positivo (di Folgore […]) e quello parodistico (di Cenne) sono in evidente rapporto di implicazione reciproca; altrimenti, e più spesso, la contraffazione parodica tende ad automatizzarsi, […], si normalizza in modelli ampiamente ripetitivi»400. Questi tre poeti dimostrano come la poesia aulica interferisca con quella comica e viceversa; d’altronde molti topoi

396

F. Suitner, La poesia satirica e giocosa nell’età dei comuni, cit., p. 2.

397

M. Berisso, La poesia comica del Medioevo italiano, cit., p. 21.

398

Vd. cap. Rustico Filippi, il Barbuto.

399

La simmetria del corpus di Rustico e la dignità dell’uno e dell’altro canzoniere sono stati notati anche da Marti, il quale scrive: «Né ci sentiremmo d’accettare come “lirica d’arte” e quindi per un positivo esame e giudizio critico i sonetti amorosi di Rustico di Filippo e di respingere, contemporaneamente, i suoi sonetti giocosi e realistici, o, al più, di considerarli, con benevola sufficienza, spassose e istintive variazione di motivi biografici o folcloristici». Cfr. M. Marti, Cultura e stile nei poeti giocosi del tempo di Dante, cit., p. 2.

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giocosi sono, almeno superficialmente, il ribaltamento di quelli stilnovistici (Amore e la figura femminile ad esempio).

Sebbene vi sia un’interferenza fra le due correnti, il genere comico risulta nei suoi contenuti eterogeneo; se è vero che sono presenti temi e argomenti comuni, essi sono sviluppati dai vari poeti in modi del tutto diversi, e non solo in relazione alle loro personalità. Intendo quindi in questo capitolo evidenziare analogie e differenze fra i vari poeti la loro poetica non è assolutamente identica, anzi ciascuno di essi sviluppa varie sfumature del comico.

6.1 Il vituperium: arma politica e sociale

Il modo dell’invettiva è presente in tutti e cinque gli autori analizzati, ma assume toni e modi diversi: da quello personale di Meo dei Tolomei, a quello violento di Rustico, a quello “politico” e più delicato di Folgóre, e infine all’accenno di Immanuel.

Rustico Filippi, iniziatore del genere comico, divide perfettamente la propria produzione in cortese e giocosa, ma lo stesso suo corpus comico è suddividerlo in due sezioni diverse: quella politica e quella privata-sociale; infatti i sonetti di Rustico sono sia attacchi contro i guelfi, sia amare rappresentazioni e crudeli parodie di personaggi fiorentini. Dunque, i suoi vituperia rappresentano i due filoni principali dell’attacco comico (politica e realtà quotidiana) e sono sviluppati in sarcastiche parodie e forti attacchi. Il bifrontismo, cui accennano da alcuni critici (Marti e D’ancona),

è ipotizzabile anche per tale produzione e non solo per le due macrosezioni del corpus (cortese-giocosa). La poesia comica delle Origini è dunque sostanzialmente polifonica e bilanciata in due direzioni diverse: quella del

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attacco politico (Rustico) o quello di monito e avvertimento (Folgóre). Nel primo caso si tratta di veri e propri attacchi, tanto che l’avversario è, quasi sempre, prima politico e poi individuo ed è subito “inquadrato” attraverso epiteti o soprannomi infamanti che dichiarano il rancore del poeta (si veda il trittico A voi che ne andaste

per paura, A voi, messer Iacopo comare e Fastel, messer fastidio de la cazza401).Nel secondo caso, invece, il poeta porta esempi di sconfitte guelfe, ossia il proprio partito, per mettere in allarme i suoi compagni dal crescente potere ghibellino. Si tratta dunque di due invettive politiche molto diverse e anche lo scopo dei due poeti è opposto, sebbene l’argomento sia lo stesso: Rustico intende umiliare e ferire gli avversari politici, componendo sonetti infamanti, all’opposto Folgóre, il quale, sebbene attacchi i ghibellini, intende principalmente spronare il suo partito a reagire ai tentativi degli avversari di prendere il sopravvento, basti considerare il sonetto Più

che lichisati, siete ch’ermellini, nel quale sono numerose le esortazioni ai guelfi.

Entrambi dunque dimostrano una vivace passione politica, ma i modi sono opposti: Rustico si rivela triviale, Folgóre, più pacato nei modi, si limita a ricordare le sconfitte guelfe, come nel riferimento alla Battaglia della Meloria; solo in un sonetto egli sfoga il proprio odio attraverso la blasfemia, ossia in Io non ti lodo, Dio, e non ti

adoro402, ma essa è limitata all’incipit ed si tratta di un componimento scritto dopo le

vittorie dei ghibellini, una presa di coscienza dopo la sconfitta di Montecatini, quindi la bestemmia è l’espressione della delusione del poeta, come scrive Carmelo Previtera: «Guelfo, accanito e fiero, dopo la terribile sconfitta dei suoi a Montecatini, accecato dalla passione di parte, selvaggia e iraconda, nella foga del suo odio prorompe in una bestemmia sarcastica»403.

401

Vd. cap. Rustico Filippi, il Barbuto pp. 32-34.

402

Vd. cap. su Folgóre da San Gimignano e Cenne da la chitarra, p. 116.

403

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I toni più miti del rimatore sangeminese sono anche dovuti all’inclinazione poetica, mostrata nella Corona dei mesi; la vena nostalgica è anche in questi sonetti, nei quali non raggiunge mai i modi aspri di Rustico. I sonetti di Folgóre mostrano l’impegno civile e politico, straripante di passioni; Rustico, invece, sebbene dimostri la sua passione, ostenta soprattutto l’odio e il rancore verso gli avversari. Per di più alla natura quieta di Folgóre si aggiunge un intento moralistico, descritto nel sonetto

Cortesia cortesia cortesia chiamo404. La morale è invece assente in Rustico, il quale non sente la necessità di fare prediche, ma prende solo atto della situazione storica e scrive perciò di conseguenza; dunque nel poeta sangeminese la politica si accompagna a intenti moralistici, al contrario di Rustico, nel quale è affrontata in modo popolare e plebeo, tanto che non ci sono riferimenti diretti agli eventi storici. Il poeta perciò non sente la necessità di contestualizzare il componimento, come invece fa Folgóre (basti considerare tutti i riferimenti a Uguccione della Faggiuola405), poiché egli preferisce infamare i suoi nemici e rendere subito chiaro il suo scopo. Inoltre i suoi sonetti, legati tutti all’ambiente fiorentino, non oltrepassano le mura della città e quindi le offese così plebee permettevano al poeta di essere diretto nei confronti degli avversari. All’opposto Folgóre preferisce essere più pacato nei modi poiché i suoi sonetti circolavano fra i nobili senesi e sangeminesi e quindi doveva mantenere un tono “alto”.

Si tratta perciò di vituperia diversi: da una parte abbiamo un attacco politico che il poeta compone per i cittadini con uno stile sicuramente popolare, dall’altra un’invettiva più mite con tracce di moralità, creata forse per essere letta nei palazzi

404

Oltre che nel citato sonetto, Folgóre sviluppa il tema moralistico anche nella sequenza detta “sonetti del cavaliere”, nella quale descrive la vestizione di un cavaliere e ne accosta le relative qualità. L’intento etico in tali termini è presente anche in una canzone di Faitinelli, nel quale leggiamo: «Spent’è la cortesia, spent’è larghezza, / spent’è la gentilezza, / spent’ è l’amore e’ molti bei costumi».

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nobili senesi. Il confronto tra queste due invettive permette di comprendere le ragioni dell’eterogeneità di stile del vituperium e del tema politico; fra i cinque autori studiati, solo due dimostrano, sebbene in toni diversi, la tipica passione politica medievale. Anche Immanuel scrive sonetti politici, ma non c’è traccia della partecipazione dei due poeti citati; egli infatti si dichiara estraneo a ogni vicenda, senza mai prendere posizione. Per di più egli non scrive vituperia infamanti o moralistici, che calunniano nel primo caso o svolgono la funzione di monito nel secondo; Immanuel si limita semplicemente a dichiarare la sua imparzialità e quindi non rientra nel vituperium politico.

Il tema politico perciò non può essere considerato una discriminante per classificare il genere comico; sebbene sia presente in alcuni autori, non è un topos costante. Per di più nel caso di Immanuel egli sfrutta tale argomento solo per la sua dichiarazione personale di estraneità (si veda i sonetti In steso non mi conosco,

ogn’om oda oppure Se san Pietro e san Paul da l’una parte406

), senza però ricalcare i modi considerati tipici del genere. La politica quindi è solo uno dei tanti temi sfruttabili nel genere comico, come scrive Berisso: «uno dei temi più frequentati dai poeti comici, soprattutto trecenteschi (ma non solo: su uno sfondo simile, più o meno esplicito, si muove anche buona parte della produzione di Rustico Filippi) è quello politico, che certo non si può giudicare peculiare dello stile comico»407. Dunque per classificare il comico e le sue forme sono forse più utili i modi e i toni che i contenuti, come scrive ancora Berisso: «Insomma, quella dell’individuazione

406

Per i sonetti vd. cap. Immanuel romano: un’eccezione comica, pp. 139-140.

407

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attraverso il contenuto sembra una strada piuttosto difficile da percorrere e soprattutto poco fruttuosa»408.

Al tema politico i poeti comici affiancano la satira e la caricatura personale, altro filone del vituperium; nella maggior parte dei componimenti, i bersagli non sono noti personaggi politici del tempo, ma individui legati per vicende personali al poeta oppure semplicemente presi di mira. Sempre nell’arco dei cinque poeti studiati, ancora una volta, solo due sperimentano tale aspetto, ossia Meo dei Tolomei e Rustico Filippi, ma anche in questo caso la dimensione poetica è opposta: il primo si scaglia contro la madre, il fratello (Mino lo Zeppa) e l’amico Ciampolino. Il secondo rappresenta pettegolezzi cittadini. L’ambito del primo, dunque, è biografico e privato, e all’origine dell’invettiva c’è una questione economica; infatti, il poeta senese accusa i parenti di avergli sottratto parte dell’eredità paterna e l’amico di non aver onorato un debito. All’opposto Rustico racconta dicerie fiorentine e propone la caricatura di personaggi a lui contemporanei. Si tratta perciò di due ambiti diversi: il primo è familiare, invece il secondo è intenzionalmente pubblico. Basti pensare ai componimenti del Tolomei, come Su lo letto stava l’altra sera, Sì fortemente l’altrier

fu malato o quando ‘l Zeppa ‘n santo usa dire409, nei quali racconta, secondo il suo

punto di vista, i soprusi della madre e del fratello. Al di fuori di essi, non sono presenti altri personaggi senesi. Invece Rustico ritrae diversi personaggi dell’epoca: da Mita e sua madre, a Messerino, all’Acerbo. Di ognuno di essi, il poeta fiorentino descrive scandali: di Mita racconta lo scalpore per una gravidanza illecita, del secondo fa la caricatura attraverso una serie di paragoni animaleschi e del terzo racconta un piano per vendicarsi del tradimento della moglie e presunti rapporti illeciti con un ignoto compagno. Entrambi comunque rappresentano gli atteggiamenti

408

Ibidem, p. 19.

409

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e le movenze dei personaggi: basti considerare i rispettivi sonetti Quando ‘l Zeppa ‘n

santo usa dire e Due donzei nuovi ha oggi in questa terra. D’altronde la descrizione

dei gesti e delle azioni permetteva al poeta di rappresentare efficacemente la ridicolaggine dei soggetti e garantiva il risultato comico del componimento. La rappresentazione della rozzezza è tipica dunque del genere comico medievale, tanto che è stata notata da Henri Bergson:

Risulta allora comprensibile la comicità della caricatura. Per quanto regolare sia una fisionomia, per quanto armoniosi si suppongono i suoi tratti, agili i movimenti, l’equilibrio non è mai assolutamente perfetto. Vi potremmo sempre l’indicazione di una piega sul punto di annunciarsi, l’abbozzo di una possibile smorfia, o, infine, una particolare deformazione in cui si profilerebbe invece la natura. L’arte della caricatura consiste nel cogliere questo movimento talvolta impercettibile, e renderlo visibile a tutti gli a sguardi ingrandendolo. […] Perché l’esagerazione sia comica, non deve apparire come fine, ma come semplice mezzo di cui il ritrattista si serve per rendere manifeste ai nostri occhi le contorsioni che vede delinearsi nella natura. La cosa importante […] è tale contorsione410

.

Nei componimenti di Meo, la goffaggine del fratello e la crudeltà della madre sono sempre rappresentati attraverso le loro azioni e i loro gesti: della seconda sono descritti i vari tentativi di omicidio (si vedano i sonetti Su lo letto stava l’altra sera,

Sì fortemente l’altrier fu malato), invece il fratello, ridicolo e codardo, è

rappresentato in atti umilianti o profani. Dunque, nella maggior parte dei suoi componimenti, il risultato comico è affidato a questo tipo di descrizione. In Rustico, invece, l’effetto sarcastico proviene, oltre che dalla descrizione dei comportamenti, anche dal racconto di pettegolezzi, come nel caso del ciclo di sonetti su Mita oppure del trittico sull’Acerbo. Il poeta fiorentino perciò preferisce sperimentare due aspetti

410

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di una stessa corrente: ridicolaggine (descritte attraverso le movenze) e scandali, prendendo spunto dalle dicerie. Sebbene anche in Meo siano presenti accuse che oltrepassano i semplici gesti, sono sempre in relazione alle azioni dei protagonisti: la codardia di Mino, più volte affermata, è descritta nell’atto di scappare, e quindi di un’azione, o ancora la crudeltà della madre è descritta nei suoi vari tentativi di omicidio. Rustico, invece, quando racconta la gravidanza illecita della giovane donna, si limita a riferire il pettegolezzo, senza accennare, magari, alle movenze impacciate della giovane incinta. D’altronde la sua poetica si affida all’equivoco o ai doppi sensi, e sfruttare in modo troppo frequente la rappresentazione dell’atteggiamento fisico avrebbe diminuito l’effetto provocatorio dei componimenti, comune nelle sue poesie. D’altronde Meo e Rustico sono due rimatori diversi: il primo vuole essere esplicito per infamare pubblicamente i membri della famiglia e dunque sfrutta tutti i mezzi possibili per farlo, come appunto le rappresentazioni dei gesti; l’altro si concentra sul racconto di dicerie per creare l’effetto comico e scandalistico, quindi contestualizza pubblicamente i componimenti: personaggi come Mita e Acerbo erano conosciuti nella Firenze trecentesca.

Nei due poeti è opposto dunque anche il ruolo dell’io poetico: Meo, raccontando la sua personale vicenda, è sempre in primo piano e nei suoi componimenti mostra tutta la partecipazione ai fatti, viceversa Rustico, rappresentando pettegolezzi cittadini, propone una descrizione estranea al suo personale punto di vista; dunque l’io del poeta fiorentino è osservatore e testimone, non protagonista. Basti considerare le quartine iniziali dei due sonetti Da·tte parto ʼl

mie core, Ciampolino (Meo dei Tolomei) e Oi dolce mio marito Aldobrandino

186 e se·nno’ fummo giamma’ dritti’amici,

ora sarem mortalmente nemici, perche del mie mi nieghi più che Mino.

Rimanda ormai il farso suo a Pilletto, ch’egli è tanto cortese fante e fino che creder non dèi ciò che te n’è detto.411

.

Nel primo Meo entra subito al centro della questione, ossia che Ciampolino nieghi

più che Mino (gli ha sottratto più che Mino), dunque fin dai primi versi è palese il

problema economico che intercorre tra i due individui. Nel secondo componimento Rustico si limita a riportare l’autodifesa della moglie di Aldobrandino, senza aggiungere commenti e quindi l’io si comporta come un semplice testimone. I riferimenti autobiografici del poeta fiorentino sono molto rari, al contrario di quelli di Meo, il quale fonda tutta la sua produzione poetica sulla propria vicenda; anche quando i componimenti propongono il racconto di un certo episodio, inserisce i propri commenti, giudizi o offese, mostrando in tale modo la propria personalità (si veda El fuggir di Min zeppa quando sente, vv. 7-8 oppure Si·ssè condott’al verde

Ciampolino, vv. 5-8).

I vituperia sia politici sia “sociali” di Rustico sono strutturati come dei veri e propri cicli poetici; il poeta dedica alla calunnia di un certo personaggio vari componimenti, come nel caso di quelli di Paniccia (Una bestiuola ho visto molto fera e D’una cosa diversa cosa ch’è aparita), quelli dedicati a Mita già citati oppure all’opposizione tra guelfi e ghibellini (A voi che ne andaste per paura, A voi messer

Iacopo comare e Fastel, messer fastidio de la’ cazza). Rustico quindi ha la necessità

di approfondire la denigrazione dei personaggi, inserendoli in vari contesti, oppure affiancandoli ad altre figure. In altri casi egli sfrutta il legame tra questi sonetti per riassumere le accuse rivolte negli altri componimenti; in Meo non sono presenti tali cicli, poiché tutto il corpus è basato sulla questione economica, senza che il poeta

411

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aggiunga altri argomenti; egli però riunisce tutte le accuse rivolte al fratello in una sorta di lascito poetico, ossia nel caribetto A nulla guisa posso soffrire. Tale componimento si configura come un ritratto a tutto tondo del fratello Mino; infatti, sono riassunte, oltre le offese più frequenti nei sonetti (la codardia, la disonestà ad esempio), anche l’approfondimento della descrizione fisica, esasperando i difetti esteriori. Anche Rustico descrive i propri oggetti di polemica per l’aspetto, ma non combina mai descrizione morale e quella fisica, basti considerare Quando Dio

messer Messerino fece, nel quale la figura di Messerino è descritta solo per l’aspetto

esteriore (vv. 5-11) oppure il componimento A voi, messer Iacopo comare, nel quale la sua figura è rappresentata solo attraverso la critica dei suoi atteggiamenti (vv. 1-8). Dunque il poeta fiorentino mantiene, per la maggior parte dei componimenti, separati i due tipi di descrizione, all’opposto di Meo che nel caribetto le unisce; la volontà di mostrare l’orrore della figura di Mino giustifica la scelta di combinare le due rappresentazioni. In tutto il componimento, il poeta alterna offese morali e quelle fisiche412, di cui le prime sono una riaffermazione di quelle già presenti nei sonetti.

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