La salute generale e orale contribuisce al benessere di ciascun individuo (27-29). Anche l’assenza di un’idonea condizione di salute orale può determinare dolore, sofferenza, invalidità e scadimento delle condizioni generali di un individuo. L’idoneo ripristino di una condizione di salute è frutto di scelte progettuali, procedurali, comportamentali e realizzative in linea con le condizioni fisiche, economiche e sociali dell’individuo e con comportamenti clinici di comprovata ed evidente efficacia e qualità (linee guida e buone pratiche), se e quando applicabili al soggetto, e al caso di specie, in relazione agli obiettivi e alle priorità locali (28).
Non sempre le condizioni fisiche, economiche e sociali dell’individuo trovano riscontro specifico con comportamenti clinici di comprovata ed evidente efficacia e qualità, ossia con linee guida e raccomandazioni standardizzate. Non sempre si pongono quelle condizioni di ripetitività di situazioni e soluzioni. Talora addirittura si sovrappongono “condizioni e premesse” tanto da non trovare riferimenti clinicamente applicabili in alcuna linea guida (linee guida inesistenti) (2) o da raffrontarsi con tipologie di pazienti non descritte negli standard di riferimento (2-30). I suddetti riferimenti, infatti, in un’ottica di “qualità e sicurezza delle cure” (19, 31-32) possono non risultare sufficienti. L’individualità della scienza e coscienza, l’esperienza maturata assieme al confronto critico con colleghi di comprovata esperienza e buon senso, che di norma non garantirebbero obiettività, completezza, efficacia e sicurezza della specifica condotta terapeutica (2, 30), intervengono in tali evenienze e nel caso di specie ad affiancare, nel contesto di “una buona pratica clinica” gli standard raccomandati (33-35).
Nel contesto della valutazione della condotta professionale del sanitario sono gli stessi medici o odontoiatri a portare le linee guida e le buone pratiche nei processi. Il Consulente tecnico svolge una funzione fondamentale e si assume un’enorme responsabilità perché indica al Giudice la conoscenza nel contesto di una disciplina diversa da quella giuridica.
La sentenza è compito del Giudice, ma il tecnico gli indica, rispondendo a un quesito che si auspica essere stato correttamente formulato, a dire se una determinata terapia sia stata eseguita correttamente. Il consulente specialista deve costruire un ragionamento che sia convincente e si sintetizzi, in poche chiare espressioni o pareri, la base sulla quale il Giudice traduce l’accaduto o i postumi, per esempio, in punti di invalidità, in quantum risarcitori, o in esclusione di colpa.
Il consulente tecnico deve ricostruire quel certo percorso logico che ha portato a determinate scelte. Percorso fondato sulle regole dell’arte, che assomigliano a quelle linee guida e a quelle buone pratiche più facili da individuare e sintetizzare per un addetto ai lavori, per un tecnico specialista in quell’arte e in quella pratica.
Il compito del consulente è di mettere a confronto quello che è stato fatto con quello che astrattamente verrebbe richiesto secondo un certo standard e, sulla base di tale rapporto, valutare se la condotta sia stata conforme o meno. In caso di conformità, il medico o l’odontoiatra è stato perito, in caso di difformità il consulente dovrà indicare se il professionista sia stato inadempiente.
occorre verificare se lo standard di riferimento sia davvero comparabile con la situazione analizzata (36).
Lo strumento delle linee guida deve essere, in ogni caso, considerato alla luce del relativo valore del sistema di conoscenze legato al momento storico della loro elaborazione e del fatto che, per la scienza (arte) medica, le leggi esplicative hanno prevalentemente carattere statistico e solo raramente universale. Nel caso di linee guida tra loro contrastanti, la scelta riguardo quella più affidabile per la valutazione di eventuali responsabilità, ai sensi dell’articolo 40 (comma 2) c.p., spetta inevitabilmente al giudice (su suggerimento dei periti), con la precisazione che tuttavia non può trattarsi di una scelta ad libitum ma improntata sulla base del loro diverso grado di evidenza scientifica (37, 38).
La prudenza, che pur s’impone nel giudizio retrospettivo in tema di responsabilità, richiede comunque l’adozione di tale strumento di verifica che, pur non essendo perfetto, può guidare con un sufficiente margine di affidabilità nell’accertamento dell’esistenza del cosiddetto potere scientifico di impedire l’evento (39). Solo in questi termini deve essere interpretata la natura di leges artis delle conoscenze e della prassi medica (EBM), intendendosi per leges non già delle vere e proprie leggi da cui desumere inderogabili norme di condotta, bensì orientamenti dotati di vario grado di validità in accordo con l’autentica natura dell’arte medica (40, 41).
In parole semplici si può desumere che le linee guida rappresentano importanti e utili strumenti per la codificazione temporanea di condotte diagnostiche e terapeutiche, con carattere d’orientamento e non di tassatività assoluta; in questo contesto va applicato il principio della personalizzazione dei trattamenti medico-chirurgici e proprio la deroga a quest’esigenza, anzi, può costituire, in non pochi casi, una violazione colposa da parte del medico delle regole generali di diligenza e prudenza (42).
Quanto fino a ora espresso è il vero tema delle linee guida e delle buone pratiche che a volte devono essere osservate, ma dalle quali talora occorre discostarsi, perché il contesto applicativo assistenziale “attuale” non consente altrimenti. Dottrina e giurisprudenza più remota (sentenza della Corte Costituzionale 282 del 26 giugno 2002, la quale afferma: «salvo che entrino in gioco diritti o doveri costituzionali non è di norma il legislatore a dover stabilire direttamente e specificatamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni [...] poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dall’autonomia e dalla responsabilità del medico, che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione») (44) e recente (sentenza Cassazione sez. IV 1873/2010, disponibile all’indirizzo:
https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/Cassazione%20linee%20guida%20medico.pdf ) (45) non mancano di sottolineare quest’appello alla coscienza critica ed etica del professionista sanitario più accorto, che ancora una volta costituisce l’unico e solido baluardo contro l’attuale deriva di medicina difensiva (46) https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/549-la-colpa-medica-non-solo-linee-guida (Corte di Cassazione, Sezioni Unite, udienza del 21/12/201, sentenza 10952/2017).
Spettano al clinico il processo critico di scelta e l’annotazione/documentazione diligente di ogni risoluzione prescelta. Il medico legale o l’odontoiatra legale, invece, esperto della disciplina, porta all’interno del processo e del contendere, i riferimenti alle regole di perizia, prudenza e diligenza, che costituiranno elementi di prova all’interno del processo, che concorreranno, presupposti essenziali, a formare l’assolvimento dell’onere della prova e che saranno gli elementi che legittimerà il Giudice a prendere le sue decisioni. Nel fare questo il medico/odontoiatra legale, nelle vesti di CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio), non è solo. Le parti attraverso i propri legali e i propri consulenti dovranno riuscire a portare dentro elementi di prova utili.
Conclusioni
Le linee guida rappresentano importanti e utili strumenti per la codificazione temporanea di condotte diagnostiche; esse non escludono l’opzione e l’autonomia delle scelte all’interno dei metodi diagnostici e terapeutici accreditati dalla scienza medica; le linee guida e le buone pratiche non sono diritto positivo e non escludono un sano buon senso correlato al caso specifico, che evita la deriva di medicina difensiva. Certamente utili, esse vanno apprezzate per quello che rappresentano (“raccomandazioni”), punto di partenza per la scelta del clinico, in vista del migliore interesse del paziente. Qualsiasi sia la scelta terapeutica o diagnostica, ciascun professionista ne deve tener conto, osservandole o discostandosene, in ogni caso in maniera motivata.
La Suprema Corte in ordine alle linee guida ammonisce circa la necessaria protezione di beni preziosi e diritti fondamentali della persona: «non, dunque, norme regolamentari che specificano quelle ordinarie senza potervi derogare, ma regole cautelari valide solo se adeguate rispetto all’obiettivo della migliore cura per lo specifico caso del paziente e implicanti, in ipotesi contraria, il dovere, da parte di tutta la catena degli operatori sanitari concretamente implicati, di discostarsene».
La sentenza della Corte Costituzionale 282 del 26 giugno 2002 (https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2002&numero=282) afferma: «salvo che entrino in gioco diritti o doveri costituzionali non è di norma il legislatore a dover stabilire direttamente e specificatamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni [...] poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dall’autonomia e dalla responsabilità del medico, che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione».
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