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La valutazione del giudice in sede di rilascio dell’autorizzazione.

In merito alla valutazione che il giudice dovrà effettuare nel compiere la sua scelta qualora riceva dall’imprenditore una richiesta di sospensione o scioglimento a norma dell’art 169-bis l.f.., si è creata nel tempo una copiosa giurisprudenza che prende le mosse dall’impostazione data dal legislatore alla procedura

49 Alla stessa conclusione giunge A.PENTA, Concordato preventivo e scioglimento

dai rapporti in corso di esecuzione, in Dir. Fall., 2014, 6 (nota a sentenza).

concordataria all’indomani delle riforme (ma anche precedentemente alle stesse), impostazione sicuramente orientata ad una risoluzione negoziale della crisi che investe l’azienda: se è certo che la valutazione del giudice dovrà investire gli aspetti formali che attengono alla corretta presentazione della domanda, più incerto è il tipo di analisi che dovrà svolgere del contenuto della richiesta in relazione alla realizzazione del piano concordatario ed alla convenienza delle scelte prospettate dall’imprenditore in concordato.

In talune pronunce di merito51 troviamo una posizione differente,

che riduce la valutazione del giudice ad una “mera presa d’atto” della volontà del contraente-imprenditore in crisi, stante l’impossibilità di ricavare dall’art. 169-bis l.f. “un criterio in base

al quale parametrare questo genere di autorizzazioni”.

Tale posizione, pur nell’effettivo silenzio normativo, non può tuttavia essere condivisa: l’esercizio di un potere funzionale alla realizzazione della procedura, come sicuramente è quello oggetto di analisi, deve infatti ritenersi “parametrato”, o meglio improntato, al criterio della coerenza con la finalità di interesse generale per cui il potere stesso è stato attribuito.

Tale criterio di coerenza dovrà pertanto essere ricercato tramite una interpretazione complessiva dell’istituto facendo in particolare riferimento alla disciplina di carattere generale da cui è informato il concordato preventivo: al riguardo fondamentale è la formula della “miglior soddisfazione” o del “miglior

soddisfacimento” dei creditori, evocata in più punti dal legislatore, come ad esempio nel primo e nel quinto comma dell’art 182-quinquies l.f., formula che è pertanto ragionevole assumere quale clausola generale, idonea ad orientare anche la decisione del giudice a norma dell’art 169-bis l.f..52

Dunque il giudice investito della decisione sull’autorizzazione allo scioglimento od alla sospensione di un determinato contratto, si dovrà anzitutto far carico della valutazione dell’interesse dei creditori a non subire i costi prededucibili legati alla prosecuzione del contratto, qualora risulti dalla proposta e dal piano che i costi della prosecuzione si prospettino comunque superiori ai benefici attesi dallo scioglimento.

Utilizzando tale parametro di giudizio sarà peraltro necessario tenere conto non solo del tipo e del contenuto economico specifico del contratto di cui si richieda la sospensione o lo scioglimento, ma anche della tipologia di concordato in cui l’autorizzazione sia avanzata: l’intervento previsto dalla norma andrà dunque inquadrato e giustificato diversamente a seconda che la proposta concordataria preveda la liquidazione dei beni o la continuazione dell’attività d’impresa, eventualmente con la cessione in blocco a terzi o nelle altre forme previste (semi liquidatorio o parzialmente in continuità).

52 Così anche GSCOGNAMIGLIO, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti

in corso di esecuzione, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber amicorum P.

Non è incisiva al riguardo la constatazione per cui la norma in oggetto non fa distinzione tra le varie forme concordatarie, così come infondata appare quella per cui l’art. 182-bis, terzo comma, l.f., al riguardo richiama semplicemente l’art 169-bis l.f., senza nulla aggiungere a tale ultima disposizione53: tali rilievi non

consentono infatti di ritenere che per ciò solo sia preclusa al giudice una riflessione articolata e analitica dei diversi interessi in gioco in relazione al caso concreto ed alle sue peculiarità. Con particolare riferimento all’ipotesi in cui la proposta concordataria preveda la continuazione dell’attività d’impresa (ovvero la parziale continuazione), uno dei criteri su cui si fonda la decisione del giudice non può che essere l’essenzialità del rapporto in relazione alla prosecuzione dell’attività secondo le modalità previste nella proposta, ponderando l’esigenza di favorire la continuità dell’impresa con il criterio della miglior soddisfazione (che dunque non perde la sua centralità) e con l’interesse del debitore alla cessazione degli effetti di un vincolo contrattuale ritenuto economicamente gravoso, superfluo o comunque non rispondente alle necessità derivanti dal nuovo piano industriale.

53 Ritenuto buon motivo per sottoporre i contratti pendenti nel concordato in

continuità alla stessa valutazione che il giudice compie con riferimento al concordato liquidatorio.

Nella giurisprudenza54, infatti, i provvedimenti autorizzativi sono

stati generalmente motivati sul rilevo che la conservazione del rapporto individuato dal debitore non manifesta alcuna funzionalità rispetto alle prospettive ed agli obiettivi assunti dal piano; od ancora, sull’assunto che il rapporto in questione è produttivo di oneri economico finanziari non più proporzionati alla sua effettiva utilità per il debitore e per l’impresa

Un ulteriore aspetto della valutazione comparativa e di bilanciamento che il giudice è chiamato a svolgere, attiene, come più volte ripetuto, all’interesse del contraente in bonis: tale soggetto è infatti portatore di interessi che vengono necessariamente toccati dalla dichiarazione dell’imprenditore di volersi avvalere di una procedura di concordato, quale strumento di risoluzione della crisi d’impresa.

Per tale soggetto la valutazione degli interessi viene già effettuata normativamente dal legislatore, il quale, - consentendo l’intervento ablativo o anche solo sospensivo del contratto pendente, pur in assenza di qualunque difetto funzionale del sinallagma contrattuale, e collocando il conseguente credito tra quelli concorsuali - sembra porre l’interesse dello stesso su un gradino inferiore rispetto ai creditori concorsuali ed al debitore ammesso alla procedura. Il giudice sarà pertanto tenuto a valutare l’entità, nel caso concreto, del sacrificio subito dal contraente in

54 Così, Trib. La Spezia, 25 ottobre 2012, in Fallimento, 2013, pag. 76,

l'autorizzazione può essere rilasciata quando lo scioglimento è utile e funzionale alla migliore riuscita del concordato nell'interesse della massa dei creditori.

bonis (anche in relazione all’entità dell’indennizzo), verificando

che tale sacrificio (rispetto all’alternativa naturale di continuazione del rapporto con collocazione dei crediti in prededuzione) non sia sproporzionato rispetto al beneficio che dalla sospensione o dallo scioglimento potrebbero ricavare i creditori o il debitore/imprenditore in crisi: non sarebbe infatti accettabile un palese squilibrio tra vantaggi e costi per il contraente in bonis.

Nonostante quindi il carattere fortemente invasivo dello strumento in oggetto nella sfera di autonomia negoziale, ed anzi proprio per tale motivo, il giudice non potrà ignorare l’esigenza di salvaguardia della proporzione, così che, ad esempio, un indennizzo del tutto inadeguato, ma anche la modestia del vantaggio per i creditori in termini di capienza del patrimonio su cui rivalersi, in rapporto ad un grave pregiudizio del contraente in

bonis derivante dallo scioglimento di un determinato contratto,

potrà certamente giustificare il diniego dell’autorizzazione da parte del giudice.

Non dovrà infine trascurarsi che, nel caso di concordato con continuità, sia l’interesse del debitore che quello dei creditori trovano una limitazione nell’interesse alla continuazione dell’attività d’impresa, espressamente affermato all’art 186-bis l.f., anch’esso elemento essenziale di valutazione da parte del giudice55.

55 Nel concordato in continuità, dato la grande importanza di tali rapporti, la

Tutte queste considerazioni partono, come visto, dall’assunto per cui il principio di continuità dei rapporti contrattuali pendenti può talora comportare, nei confronti dell’imprenditore ammesso alla procedura, costi - difficilmente sostenibili e comunque ostativi alla realizzazione della proposta e del piano - derivanti dal perdurare di accordi scarsamente o non più funzionali rispetto al mutato indirizzo gestionale ed alla nuova programmazione dell’attività, modificata in ragione dello stato di crisi dell’imprenditore.

In definitiva, il giudice investito della richiesta ex art. 169-bis l.f. dovrà comparare gli effetti negativi della continuazione del rapporto (in termini di esborso monetario, ma anche di sforzo organizzativo, che comporterebbe un aggravio della posizione dei creditori anteriori) con i benefici derivanti dalla prosecuzione dello stesso, nella logica di realizzazione del piano concordatario e di miglior possibilità di soddisfacimento del ceto creditorio, autorizzando la sospensione e, soprattutto, lo scioglimento quando individui, tramite una visione strettamente prognostica, maggiori benefici rispetto ai costi attesi.

La norma in questa ipotesi non prevede - così come per gli artt 167 e 168 l.f. - il deposito dell’attestazione di un professionista munito dei requisiti di professionalità ed indipendenza di cui all’art 67, terzo comma, lett b), l.f., lasciando la valutazione di convenienza al solo giudice, che dovrà pertanto compiere

sospensione di un rapporto centrale potrebbe portare, oltre che al mancato rilascio della autorizzazione, alla più grave conseguenza di una mancata omologazione, per contraddittorietà, appunto, tra il contenuto della proposta e del piano e la richiesta.

un’analisi di dettaglio che gli permetta di cogliere quell’equilibrio tra costi e benefici derivanti dal perdurare o meno del rapporto pendente; esiste comunque un collegamento, tra la proposta contenuta nel piano e le istanze ex art. 169-bis l.f., costituito dalla attestazione che il debitore ha necessariamente allegato alla domanda: ne consegue che tale attestazione - ed in particolare l’inserimento nel piano dei rapporti pendenti, in una logica continuativa o risolutiva - potrà essere utilizzata dal giudice come punto di partenza per compiere la propria valutazione.

Qualora poi la richiesta di sospensione o scioglimento sia presentata separatamente e successivamente alla domanda di ammissione, come oggi espressamente affermato dall’art 169-bis l.f., si pone comunque un obbligo di aggiornamento in capo al debitore, che quindi sarà tenuto a contemplare le nuove ipotesi nel piano e nella proposta, sempre con la attestazione di un professionista.

Naturalmente ciò non significa che il giudice, in contrasto con quanto fin qui osservato, a seguito della richiesta di autorizzazione, effettui una analisi di tipo esclusivamente economico: la giurisprudenza56 è infatti intervenuta sul punto nel confermare che – analogamente a quanto avviene nel valutare il piano e la proposta di concordato - l’analisi svolta dal giudice

56 Così: Cass. 23 gennaio 2013, n. 1521; la sentenza fa riferimento alla differenza tra

non sarà strettamente economica, ma valuterà più in generale la compatibilità della richiesta rispetto agli obiettivi del piano.

5 L’indennizzo.

Una delle conseguenze derivanti dalla richiesta del debitore di sospendere o sciogliere un contratto pendente, per espressa indicazione dell’art. 169-bis l.f., è il riconoscimento di un indennizzo in capo all’altro contraente “equivalente al

risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento”;

il credito così individuato dovrà tuttavia essere soddisfatto come “credito anteriore al concordato”, sottoposto quindi alla falcidia concordataria.

La fattispecie, che a prima vista sembra facilmente decifrabile, ha invece, dalla sua introduzione, diviso gli studiosi tra chi riteneva semplicemente tale previsione coincidente con quella utilizzata dal codice civile e chi invece riteneva la previsione di un risarcimento nella forma dell’indennizzo una vera e propria aporia giuridica.

Preliminarmente deve ricordarsi al riguardo che, con la riforma del 2015, viene compiuta una distinzione tra quelle prestazioni che residuano in capo ai soggetti dopo l’apertura della procedura e quelle prestazioni che dopo tale momento siano state legittimamente adempiute, anche qualora il debitore abbia tempestivamente presentato domanda di scioglimento o risoluzione del contratto pendente: infatti, per effetto della citata novella, queste ultime non subiranno più gli effetti conseguenti

all’ammissione nel concordato, ma saranno onorate secondo il regime prededuttivo, in perfetta coerenza con l’estensione operata sul termine per richiedere l'autorizzazione.

Fatta questa prima precisazione, per quanto attiene alla qualificazione del credito osserviamo che espressamente il legislatore attribuisce allo stesso natura indennitaria e non risarcitoria, individuando la matrice causale della mutata dinamica contrattuale in una facoltà riconosciuta al debitore dalla legge stessa, previa autorizzazione giudiziale, e non in un colpevole inadempimento, posto dal codice alla base del risarcimento del danno.

Tale conclusione, che oggi trova conferma legislativa, era stata già in passato individuata come la soluzione migliore, in grado cioè di realizzare quel punto di equilibrio tra gli interessi coinvolti a cui più volte si è fatto riferimento in precedenza57.

57 Il contraente in bonis non trova nel fallimento una previsione corrispondente: la

differenza di prospettiva si pone in linea con la diversa regola generale che informa le due procedure, l’una volta alla continuazione dei rapporti pendenti, l’altra orientata invece esclusivamente alla liquidazione del patrimonio.

La sospensione e lo scioglimento si pongono pertanto come condizione speciale all’interno del concordato, accessibili tramite l’autorizzazione giudiziale: l’indennizzo tutela gli interessi dell’altro contraente rispetto all’esercizio facoltativo che il debitore fa di tali istituti; diversamente, nel fallimento, il contraente in bonis non ha alcuna aspettativa di essere soddisfatto per le prestazioni che ancora residuano in capo ai contraenti, poiché la procedura, intervenendo in una logica sempre liquidatoria, non avrebbe comunque mai permesso l’adempimento delle rimanenti prestazioni.

Come osservato, taluno58 ritiene tuttavia la previsione di un

indennizzo corrispondente al risarcimento del danno una vera e propria “aporia giuridica”, facendo riferimento alle disposizioni che in ambito fallimentare regolano situazioni simili ed in particolare a quelle norme che nel fallimento vanno a disciplinare particolari forme contrattuali, come l’art 73 l.f. che disciplina gli effetti del fallimento del compratore sul contratto pendente di vendita con riserva di proprietà: in tale ipotesi, infatti, la norma si limita a prevedere semplicemente un “equo compenso” in favore dell’altro contraente, che niente ha a che vedere con il risarcimento del danno da inadempimento, giacché tiene conto solo del godimento che il debitore ha fatto del bene come contropartita all’obbligo di restituzione delle rate da questi già versate.

In sintesi, secondo questa interpretazione, il legislatore nell’equiparare l’indennizzo con il risarcimento del danno ha compiuto un vero e proprio errore di sistema, per la diversa natura degli istituti: da un lato un rimedio equitativo volto a contemperare gli interessi, dall’altro un rimedio modulato sulla base di un criterio risarcitorio ancorato a dati oggettivi, che dovrebbe trovare la sua causa nell’inadempimento colposo del debitore, che tuttavia nella fattispecie non si è verificato.

Nonostante questa impostazione risponda meglio ad un’analisi di sistema della legge fallimentare, trascura forse il differente

58 Così in particolare P. F. Censoni, La continuazione e lo scioglimento dei contratti

ambito in cui si trova ad operare l’art 169-bis l.f., ambito nel quale la mancata scelta di intervenire su un rapporto pendente può portare al fallimento del piano; si giustifica così il giudizio comparativo operato dal legislatore, che ha correttamente voluto attribuire un credito al contraente modulato sulla soddisfazione che questi avrebbe potuto trovare se non fosse intervenuta l’autorizzazione, quindi avente natura indennitaria, ma quantificazione ancorata a criteri oggettivi.

La norma prevede inoltre che tale credito deve essere soddisfatto come credito anteriore al concordato sollevando ulteriori dubbi nella dottrina, dal momento che, secondo taluniviene con ciò leso un principio cardine del sistema fallimentare (a cui più volte si è fatto richiamo anche in questo elaborato) quello cioè secondo il quale hanno natura prededucibile i crediti sorti in esecuzione della procedura.

La riforma avrebbe quindi compiuto la trasformazione di un credito naturalmente prededucibile in credito concordatario, come tale soggetto alla falcidia della procedura, senza specifici motivi a sostegno e in violazione di un principio generale, con ciò sacrificando eccessivamente gli interessi del contraente in

bonis.

Secondo tale opinione (che si pone in contrasto con la legge ma senza ovviamente possibilità di trovare soddisfazione, stante il dettato inequivoco della norma stessa), basata anche su quella

giurisprudenza, precedente alla riforma del 2012 59 , che

considerava i crediti in questione prededucibili, o meglio opponibili al concordato, tale qualificazione sarebbe stata da mantenere anche successivamente alla riforma uniformandosi così ai principi generali in materia.

Sarà da preferire tuttavia un’opinione che riesca a far coincidere la previsione legislativa con il detto principio generale da cui la legge fallimentare è effettivamente informata: facciamo riferimento a quelle teorie che più correttamente partono dalla considerazione che lo scioglimento si pone come ratifica atta a rimuovere, ex nunc, un ostacolo giuridico alla piena efficacia del contratto, per cui la concorsualizzazione dell’indennizzo – legato a comportamenti anteriori al concordato, è perfettamente coerente con la regola generale.

La determinazione di un indennizzo equivalente al risarcimento del danno da mancato adempimento, dovrà essere tale da consentire la reintegrazione patrimoniale del contraente in bonis, come se al contratto pendente fosse stata data corretta e regolare esecuzione; si dovrà pertanto far riferimento all’integrale soddisfazione del debitore, nei limiti di prevedibilità del danno ai sensi dell’art. 1225, c.c., comprendente tanto il danno emergente, quanto il lucro cessante; ovviamente l’indennizzo sarà poi da

modulare diversamente nel caso di sospensione o di scioglimento, dato il diverso effetti che i due istituti hanno sul rapporto pendente.

Un’ultima questione che merita una specifica attenzione attiene al soggetto a cui sarà da demandare il compito di determinare l’entità dell’indennizzo, posto che la norma non indica a chi spetti tale potere60: manca infatti un richiamo sia al tribunale che al giudice delegato, lasciando così intendere che tale potere sia rimesso ad un accordo tra l’imprenditore ammesso al concordato ed il contraente in bonis sospeso o sciolto; in caso di mancato accordo tra le parti sarà comunque necessario far riferimento al tribunale del fallimento (o al giudice delegato se la richiesta viene presentata dopo l’ammissione al concordato), ma soltanto in via provvisoria, ai soli fini del voto, in quanto, in via definitiva, la determinazione dell’indennizzo non può che essere rimessa al tribunale nell’ambito di un ordinario processo di cognizione, non potendo, in assenza di espressa indicazione normativa, essere rimessa al giudice del fallimento la definizione del quantum da insinuare nel concordato.

Tale credito poi dovrà realisticamente (ancora in assenza di espressa indicazione normativa) trovare posto tra i crediti chirografari, che, è appena il caso di accennare, dopo la riforma del 2015 devono trovare soddisfazione nel piano per almeno il 20% del loro valore: conseguenze sono, da una parte, l’obbligo

60In dottrina ritiene invece che sia il giudice stesso a determinare la misura

dell’indennizzo, G.MANCUSO, Concordato preventivo e contratti in corso di

esecuzione. Il contraddittorio con il contraente in bonis – Autorizzazione allo scioglimento del contratto in corso di esecuzione e principio del contraddittorio, in Fallimento, 2014, 5 (nota a sentenza), cit.

del debitore di inserire tale credito nel computo per la determinazione del fabbisogno concordatario (e quindi nel piano e nella proposta); dall’altra, il diritto di voto in capo al contraente in bonis, eventualmente collocabile in una classe autonoma (composta appunto dai contraenti in bonis sciolti o sospesi) che sarà poi sottoposta come le altre alla verifica del tribunale.

Capitolo IV

1 Gli effetti del concordato su alcuni specifici contratti