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Effetti del concordato preventivo sui contratti pendenti a seguito dell'introduzione del D.L. 83/2015, convertito in L. 132/2015.

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Indice

Capitolo I

1. Breve esame dell’evoluzione del tema dei contratti

pendenti nel concordato preventivo.

1.1. La disciplina precedente al 2012.

1.2. La novella del 2012.

1.3. I contratti in corso di esecuzione.

2. Le novità introdotte con il D.L. 83/2015, conv. con L.

132/2015.

3. Definizione di “contratti pendenti”.

Capitolo II

1. Principio di continuità contrattuale.

2. La continuazione del rapporto.

3. La tutela del contraente in bonis.

(2)

5. Concordato con continuità aziendale ed art.

182-quinquies, V comma.

Capitolo III

1. La norma.

2. La sospensione.

3. Lo Scioglimento.

4. La valutazione del giudice in sede di rilascio

dell’autorizzazione.

5. L’indennizzo.

Capitolo IV

1. Gli effetti del concordato su alcuni specifici contratti

pendenti.

1.1. La vendita.

1.2. La somministrazione.

(3)

Introduzione

L’argomento che ci accingiamo ad analizzare non potrebbe essere correttamente inquadrato ove omettessimo un preliminare esame del nuovo assetto che il concordato è venuto assumendo alla luce delle riforme che sono intervenute sul corpo originale della legge fallimentare.

Su tale norma il legislatore interviene a più riprese1, ma è in particolare con il Decreto Legge 83/2012 (c.d. "Decreto Crescita"), convertito in L. 134/2012 che viene a prodursi quel cambio di prospettiva che informerà successivamente l’intera materia concorsuale, con particolare attenzione a quei sistemi volti alla risoluzione negoziata delle situazioni di difficoltà, non più improntati ad una stigmatizzazione del soggetto insolvente o in difficoltà economiche: un complesso di norme che mira a

1 Il legislatore interviene, sia con provvedimenti connotati da maggiore organicità

(D.L. 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80; d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5; d.lgs. 9 gennaio 2006; d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169), sia con provvedimenti più puntuali, destinati a specifici ambiti di intervento (come per es. D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, conv. con mod. in l. 23 febbraio 2006, n. 51 o D.L. 6 luglio 2011, conv. con mod. in l. 15 luglio 2011, n. 111).

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trovare un bilanciamento tra la soddisfazione di coloro che vantano pretese verso l’impresa e la preservazione di quell’insieme di relazioni, economiche e sociali, che fanno capo ad un’attività produttiva, in una logica di valorizzazione degli assetti attivi e di corretta gestione dell’esposizione passiva, che tuttavia mantenga, e garantisca, il fine che tali procedure (ed in particolare il fallimento) mirano a realizzare, cioè la liquidazione del patrimonio del debitore.

Tale finalità emerge chiaramente dal complesso di norme introdotte o modificate dalle citate novelle, che hanno, con particolare riferimento al concordato preventivo, ampliato il numero stesso delle forme con cui il debitore può far fronte alla crisi, con la funzione di garantire la tempestiva emersione di tale stato; così come viene potenziato il sistema di garanzie ricollegate all’utilizzo di tali forme alternative al fallimento tradizionale, che permettono al debitore di limitare, se non escludere in radice, quando l’attività di trovi già in una condizione precaria, le conseguenze di possibili azioni a tutela dei propri interessi mosse da parte dei creditori.

Gli interventi legislativi non sono tuttavia riusciti a fornire organicità alla materia, intervenendo spesso soltanto su singole norme: manca un disegno chiaro e coerente di rimodulazione delle sue linee fondamentali, ispirato ad un progetto orientato alla soluzione della crisi di impresa, secondo un assetto ben definito dei rapporti tra il debitore ed i suoi creditori.

La tecnica con cui tali riforme sono state condotte è appunto quella della novellazione, ossia la proposizione di un insieme di interventi frammentari e stratificati che ovviamente comporta

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insufficienza e lacunosità; in questo quadro da criticare è anche l’utilizzo di uno strumento legislativo d’intervento quale il decreto legge, molto marginalmente giustificato da situazioni di urgenza e molto più spesso scelto quale più rapido strumento di intervento, sganciato da un’attenta analisi di sistema, e molto più orientato alla risoluzione di problemi disomogenei.

Da tali premesse emerge un quadro confuso dell’attuale disciplina della materia concorsuale; e tale disarmonia sembra essere ancora più accentuata qualora si guardi alle procedure minori, relegate a sottoposti della procedura concorsuale per eccellenza, cioè il fallimento, ed apparentemente riscoperte con gli interventi normativi in esame: facciamo in particolare riferimento al concordato preventivo, che viene ad assumere un aspetto diverso, da strumento preordinato tradizionalmente ad una più rapida liquidazione dell’attivo, meno penalizzante del fallimento per l’imprenditore “onesto”, a soluzione di salvaguardia dell’attività imprenditoriale e di maggior efficienza della procedura, supportata dal maggior spazio riservato all’autonomia privata2.

Limiteremo la nostra analisi proprio al concordato preventivo, escludendo dunque le altre forme di soluzione concordata della crisi, ossia quelle inserite nel nostro ordinamento con le predette novelle, nonché le convenzioni di moratoria e gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari disciplinati nell’art. 182-septies, introdotto con d.l. 83/2015, conv. l. 132/2015.

2 Così correttamente osserva A.PATTI, I rapporti giuridici pendenti nel concordato

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In particolare, nell’ambito del concordato preventivo, ci limiteremo ad analizzare la sorte dei contratti pendenti, anche alla luce delle modifiche apportate alla materia dall’ultimo intervento legislativo richiamato.

In questa prospettiva tenteremo di collocare la normazione di nuova introduzione all’interno del quadro sistematico già esistente, prestando particolare attenzione ai principi di continuazione e valorizzazione dei rapporti e degli assets positivi delle attività di impresa: principi che si ritrovano nelle norme sul concordato “con continuità aziendale”3, oltre che nella disciplina

del pre-concordato4 (o concordato “in bianco” o concordato “con

riserva”).

3 L’istituto, disciplinato all’art 186-bis della legge fallimentare, offre all’imprenditore

la possibilità di accedere ad una procedura di risoluzione della crisi, quale il concordato, con la prospettiva, tuttavia, di mantenere in essere l’attività produttiva. Questo può avvenire direttamente, tramite la continuazione da parte dell’imprenditore, ma anche indirettamente, tramite la cessione dell’azienda in esercizio, o attraverso il conferimento della stessa in una o più società.

Appare evidente lo scopo a cui mira la normativa, cioè quello di fornire uno strumento con cui sia possibile rientrare dell’esposizione verso i creditori, non soltanto con la valorizzazione degli assets positivi già presenti nell’impresa, ma anche tramite la creazione di nuove componenti attive.

Tale diversa forma acquista nel nostro ordinamento carattere autonomo, ma dipende dalla scelta del debitore di valersi di uno degli strumenti cui la legislazione ricollega la continuazione dell’attività.

4 Il concordato “con riserva”, disciplinato all’art. 160, VI comma, della legge

fallimentare, consente al debitore, che si riserva di presentare successivamente il piano e la proposta (entro un arco temporale limitato) di ottenere immediatamente i vantaggi derivanti dall’ingresso in una procedura concordataria; il riferimento è in

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Il principio di continuità sembra d’altronde candidarsi a trovare attuazione trasversale nell’ambito delle procedure negoziate di soluzione della crisi, a prescindere dalla circostanza che l’imprenditore in crisi scelga lo strumento individuato dall’art.186 bis, piuttosto che la procedura liquidatoria.

D’altra parte, l’applicazione del principio di continuità costituisce un vantaggio anche per i creditori, considerati i rischi che possono emergere da una liquidazione fallimentare spesso inidonea a consentire la corretta valorizzazione di importanti assets produttivi.

Certo è che tale criterio trasversale dovrà esser differentemente modulato a seconda dei diversi ambiti in cui si trova ad operare, in modo da non risolversi in uno strumento di abuso, con cui il debitore possa ulteriormente aggravare le condizioni dell’impresa, “protetto” dalle garanzie offerte dalla procedura. Conseguentemente, lo scopo della presente indagine sarà quello di fornire un contributo all’analisi di come i contratti pendenti nel concordato vengano ad inserirsi in questo mutato quadro delle procedure concorsuali, quale sia il rapporto tra la disciplina ordinaria e le deroghe introdotte dall’istituto concordatario, quali siano gli strumenti che il legislatore ha predisposto per

particolare all’art. 168 della stessa normativa, che impedisce l’inizio o la continuazione di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore. Tramite la tempestiva emersione dello stato di crisi il debitore potrà quindi tentare di gestire, attraverso il concordato, la sua esposizione passiva, valorizzando magari gli elementi attivi che ancora permangano nel suo patrimonio.

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permettere una migliore gestione della crisi, quali effetti, infine, derivano per legge dall’ammissione alla procedura.

A tal fine sarà in primo luogo individuata la definizione stessa del tema in oggetto, per passare poi al principio di continuità quale criterio informante l’intero impianto normativo, indagine che ci permetterà di valutare correttamente gli strumenti che l’art 169-bis fornisce al debitore.

In questo quadro, particolare rilievo sarà data a due questioni di primario interesse nell’attuale panorama della crisi d’impresa: quella attinente al pagamento dei crediti anteriori al concordato (tema che si lega con il principio di continuità) e quella della sorte dei contratti bancari, elementi in grado di influire in modo rilevante sulle possibilità stesse di realizzazione del piano.

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Capitolo I

1 Breve esame dell’evoluzione del tema dei contratti

pendenti nel concordato preventivo.

1.1 La disciplina precedente al 2012.

Il tema dei contratti pendenti nel concordato preventivo non trova un’espressa regolamentazione nell’originaria formulazione della legge fallimentare.

Del resto, per molto tempo dopo la sua introduzione, l’istituto concordatario non ha ricevuto grande considerazione, relegato ad accessorio della più articolata procedura fallimentare. Ciò ha comportato una minore attenzione del legislatore nell’intervenire sugli aspetti non regolati dall’originaria legge fallimentare, nonostante l’importanza che molti di questi avessero in sede applicativa.

Uno di questi aspetti è proprio quello della sorte dei contratti in corso di esecuzione (ora “contratti pendenti” a seguito della legge 132 del 2015) quando viene richiesta l’ammissione al concordato preventivo da parte dell’imprenditore in crisi.

La legge del 1942 già conteneva disposizioni concernenti gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, accorpate

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nel Titolo II, Capo III, Sezione IV; in particolare si enunciavano alcune regole generali (nell’art.72) affiancate da norme che disciplinavano specificatamente certe fattispecie contrattuali, ma molte altre disposizioni erano disseminate in leggi diverse.

Il legislatore è poi intervenuto a più riprese sulla disciplina originaria, ma senza mai modificare la regola di fondo, individuata dall’art 72, secondo la quale i rapporti pendenti quando sopraggiunge il fallimento, sono sospesi fin quando il curatore non decida, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, se subentrare nel vincolo negoziale o sciogliere lo stesso5 (e salva la possibilità del contraente in bonis di mettere in

mora il curatore attraverso la fissazione di apposito termine da parte del giudice delegato).

La mancanza di un’espressa regolamentazione della materia dei contratti pendenti nell’ambito del diverso istituto del concordato preventivo ha dato luogo ad un ampio dibattito, alimentato soprattutto dalla giurisprudenza teorica e pratica, da cui sono emerse diverse soluzioni, spesso ben argomentate e pregevoli6. Secondo una prima ricostruzione avrebbe dovuto trovare applicazione la normativa prevista per il fallimento, dettata dagli artt. 72 e segg., trattandosi di una lacuna del diritto positivo da

5 Anche la liquidazione coatta amministrativa trova una sua collocazione all’interno

della normativa fallimentare, tramite l’estensione delle norme previste nel fallimento per i contratti pendenti. Il differente ambito applicativo condiziona tuttavia l’applicazione della normativa, che dovrà rispondere a differenti esigenze.

Tutto ciò emerge chiaramente dall’analisi dell’autorità chiamata a vigilare sulla procedura secondo quanto previsto dall’art. 201, II comma, l. fall.: questo potere viene infatti rimesso all’autorità amministrativa.

6 A titolo di esempio in dottrina: T.MARENA, in Il diritto fallimentare e delle società

commerciali, nota a sentenza App. Napoli, 13 gennaio 2015; A.JORIO, I rapporti giuridici preesistenti nel concordato preventivo. E in giurisprudenza: Trib. Prato 14

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colmare in via analogica attraverso la normativa generale, individuata in quella della procedura maggiore7.

Una diversa teoria prendeva le mosse dalla norma nella quale è disciplinato il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione da parte dell’imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo, cioè l’art 167 l.fall. In base all’applicazione estensiva della norma, che impone all’imprenditore di richiedere l’autorizzazione del giudice delegato per il compimento di determinati atti e comunque di quelli che eccedono l’ordinaria amministrazione, anche il compimento di altri atti giuridici destinati ad incidere sui rapporti in corso avrebbero dovuto passare per l’autorizzazione del giudice: da un lato, gli atti in esecuzione di contratti precedentemente stipulati; dall’altro, l’atto di recesso da un contratto in corso o l’accordo transattivo sullo scioglimento di alcuni, o tutti, dei vincoli negoziali in corso.

Un’ulteriore configurazione della questione era data da chi riteneva che l’ingresso dell’imprenditore in una procedura concordataria non avrebbe comportato alcuna conseguenza sui rapporti ancora pendenti, dovendosi anzi individuare un obbligo in capo al debitore di corretta esecuzione della sua prestazione, secondo quanto previsto dall’ordinaria disciplina negoziale8.

7 P.F. CENSONI, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici

preesistenti, 2012.

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Questa soluzione prestava il fianco a critiche, data la grande rilevanza che hanno i rapporti pendenti nella prassi: difficilmente infatti avrebbero potuto trascurarsi il peso e l’influenza negativa potenzialmente esercitabili da una siffatta interpretazione sul contenuto del piano concordatario9.

Tuttavia quest’ultima posizione, forse più drastica, era anche quella maggiormente accreditata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, così come era categoricamente esclusa l’applicazione in via analogica delle norme previste per il fallimento.

1.2 La novella del 2012.

L’impostazione, prospettata dalla giurisprudenza appena richiamata, viene meno soltanto all’indomani della novella del 2012, con cui il legislatore opera un radicale mutamento di prospettiva: viene infatti prevista la possibilità in capo all’imprenditore in concordato di sciogliersi o sospendere per un periodo di sessanta giorni, prorogabile una sola volta, i contratti “in corso di esecuzione” (art 169-bis). L’utilizzo di questo importante strumento, da molti inquadrato quale diritto relativamente potestativo10, è dunque subordinato alla domanda

9 Così G. SCOGNAMIGLIO, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in

corso di esecuzione, in Società, banche e crisi d’impresa, Liber amicorum P.

Abbadessa., cap. VIII, 2014.

10 Così anche, successivamente alla riforma, S. AMBROSINI, Il nuovo concordato

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dell’imprenditore stesso ed al rilascio dell’autorizzazione da parte del giudice.

Tuttavia la novità di maggior rilievo della novella normativa in esame è l’introduzione, in modo diretto all’art 186-bis l. fall. per il concordato in continuità ed indirettamente tramite l’art 169-bis l. fall. per le altre forme di concordato, del principio di continuità dei contratti ancora ineseguiti quando sopraggiunge il concordato preventivo. La materia in oggetto deve pertanto essere analizzata necessariamente nella prospettiva di tale principio, così da poter cogliere gli obiettivi perseguiti dal legislatore della riforma: in tale logica le modifiche richiamate del 2012 e del 2015, come più volte si ripeterà, attuano una salvaguardia del valore produttivo tramite la continuazione dell’attività, per quanto possibile.

La continuazione dei contratti, come abbiamo detto, è espressamente affermata all’art 186-bis, III comma11, per il

concordato in continuità aziendale: la possibilità di risanare l’impresa e permettere l’effettiva continuazione dell’attività non può infatti prescindere dalla rete di rapporti che l’imprenditore intrattiene - molti dei quali ancora in essere quando interviene il concordato - quali, a titolo di esempio, i rapporti di somministrazione di risorse fondamentali12.

In giurisprudenza Trib. Massa, 1 febbraio 2016, in Il Fallimento, 2016, 2.

11 Art. 186-bis, III comma, l.fall. “Fermo quanto previsto dall’art. 169-bis, i

contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura. Sono inefficaci eventuali patti contrari […]”.

12 Nella giurisprudenza precedente alle riforme si è inoltre ritenuto tali prestazioni di

durata indivisibili e quindi pagabili interamente in prededuzione; così Cass., 23 marzo 1992.

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Si è invece dubitato del fatto che il principio in esame sia valido anche in relazione al concordato preventivo liquidatorio13, sul

presupposto che la legge niente afferma espressamente in merito. Tale conclusione, cha a prima vista sembra più rispettosa del dato testuale, non è tuttavia in grado di offrire una valida alternativa circa le possibili sorti dei rapporti: possiamo infatti immaginare soluzioni differenti rispetto alla continuazione, ma tutte, oltre non presentare a loro sostegno un qualunque riferimento normativo, sono carenti anche dal punto di vista sistematico.

Si potrebbe infatti ipotizzare che le sorti dei contratti in corso nei tipi di concordato diversi da quello in continuità siano regolate sulla base di principi diversi e che dunque quei contratti siano destinati alternativamente allo scioglimento od alla sospensione: una siffatta ipotesi risulterebbe tuttavia incompatibile con la stessa norma in esame, che pur prevedendo espressamente la possibilità per il debitore di sospendere il rapporto per un lasso di tempo determinato, presidia lo strumento con delle cautele, escludendo sicuramente l’automatica sospensione dall’alveo delle alternative astrattamente possibili.

La regola da applicare, in mancanza di una richiesta di sospensione o di scioglimento ex art 169-bis, è pertanto quella

13 Così L.STANGHELLINI, Il concordato con continuità aziendale, in Il Fallimento,

2013, che ritiene applicabile la regola della regolare continuazione soltanto al concordato con continuità aziendale, poiché soltanto in quel contesto potrà ritrovarsi una concreta utilità nella continuazione dei rapporti negoziali in corso.

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della continuazione del rapporto negoziale secondo le regole originariamente pattuite.

1.3 I contratti in corso di esecuzione.

Uno degli elementi più controversi era proprio la definizione della fattispecie in esame ricavabile dal dettato normativo: all’indomani dell’introduzione dell’art 169-bis, infatti, anche coloro che concordavano circa la continuazione dei rapporti, dissentivano poi su quale fosse l’ambito applicativo della nuova norma e quindi da quali contratti il debitore avrebbe potuto legittimamente sciogliersi ovvero di quali avrebbe potuto richiedere la sospensione.

Il punto dolente della questione era essenzialmente se la nozione di “contratti in corso di esecuzione”, locuzione originariamente prevista dalla riforma del 2012, coincidesse o meno con quelle utilizzate in ambito fallimentare, in particolare all’art 72.

Le soluzioni prospettate erano essenzialmente due: secondo una prima teoria i due ambiti sarebbero stati coincidenti, con il risultato che la disciplina in esame avrebbe dovuto applicarsi soltanto a quegli accordi che presentassero i caratteri indicati all’art.72 l. fall., cioè che fossero ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti al momento dell’ammissione al concordato.

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Secondo una diversa impostazione, invece, sarebbero stati da ricomprendere nella fattispecie anche i rapporti in cui residuasse l’obbligo di esecuzione soltanto in capo ad uno dei contraenti14.

A sostegno di quest’ultima ricostruzione militava il dato letterale, essendo i termini utilizzati nell’art. 169 bis differenti da quelli utilizzati in ambito fallimentare: in particolare si faceva riferimento ai “contratti in corso di esecuzione” in modo generico, senza ulteriori indicazioni; si faceva inoltre presente che il legislatore, già con la riforma del 2006, nell’introdurre l’art 169 contenente le norme della procedura maggiore applicabili anche al concordato, non inseriva fra queste ultime l’articolo 72, con ciò intendendo distinguere i due istituti e quindi l’ambito applicativo.

La giurisprudenza maggioritaria si allineava tuttavia con la prima delle soluzioni proposte che ha infatti il pregio di resistere meglio ad un’analisi sistematica.

Si trattava infatti di un’interpretazione che presentava maggiore coerenza con l’idea che l’attuazione unilaterale del sinallagma fuoriesce dal perimetro della nozione di “contratto in corso di esecuzione” ed individua piuttosto una semplice situazione di debito-credito di fonte contrattuale.

14 In giurisprudenza App. Napoli, 13 gennaio 2015, in Il diritto fallimentare e delle

società commerciali, 3-4, 2015; in particolare si sottolinea che il legislatore potrebbe

aver previsto un ambito applicativo differente per i due istituti, potendo quindi il debitore richiedere “lo scioglimento o la sospensione anche dei contratti in cui sia rimasta inadempiuta la prestazione di una sola delle parti”.

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2 Le novità introdotte con il D.L. 83/2015, conv. con L.

132/2015.

Sulla situazione appena illustrata è intervenuto

il D.L. 27-6-2015, n. 83, convertito con L. 6-8-2015, n.132. La riforma in esame modifica taluni aspetti della normativa fallimentare, in una logica di perfezionamento degli interventi susseguitisi negli ultimi anni, con i quali si è inteso riallineare le procedure di composizione della crisi italiane a quelle degli altri paesi, anzitutto europei.

La legislazione italiana infatti si presentava inadatta e, nonostante le riforme operate nel 2006 e nel 2007, ancora parzialmente informata ad una logica afflittiva per l’imprenditore fallito.

La necessità di una procedura di composizione della crisi negoziata e più libera per il debitore allinea dunque il nuovo sistema a quel principio di continuità ritenuto il migliore per il superamento di una crisi temporanea (ma anche definitiva) e grazie al quale possa essere salvaguardato il valore dell’attività e perseguito il miglior soddisfacimento dei creditori.

Con particolare riferimento all’argomento che stiamo affrontando, la norma interviene sia direttamente sull’art 169-bis, l. fall., sia indirettamente sulla fattispecie, tramite l’introduzione di altre disposizioni.

Fra le modifiche che la normativa ha apportato all’art. 169-bis, l.fall, prima facie, possiamo notare che il legislatore interviene

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sulla rubrica dell’articolo “contratti in corso di esecuzione” modificandolo in “contratti pendenti”, cambiamento che a prima vista può sembrare di poco conto, essendo escluso il valore vincolante della rubrica, ma che ha tuttavia un importante significato ricostruttivo.

Se infatti la locuzione precedentemente utilizzata si presentava come nuova rispetto a quelle utilizzate in altri ambiti ove si affrontava la stessa materia - portando una parte della giurisprudenza ad escludere che l’ambito applicativo di riferimento fosse lo stesso15 - adesso la rubrica sembra invece

richiamare proprio quei termini e quelle locuzioni che il legislatore utilizza nella disciplina del fallimento. Il termine “pendenti” insomma, per quanto la conclusione non sia da sola risolutiva della questione, sembra richiamare proprio la fattispecie descritta dall’art 72 l.fall.

Il legislatore interviene poi sul primo comma della norma, andando non solo a ridefinire aspetti che avevano sollevato molti problemi applicativi, ma soprattutto modificando l’originaria definizione data ai contratti, anch’essa causa di molti dubbi, essendo difficile individuarne in modo certo l’ambito di applicazione.

15 Così App. Genova, 10 febbraio 2014, in Il Fallimento, 7, 2014, secondo cui il

rilascio dell’autorizzazione è ammissibile anche in quelle ipotesi in cui un soggetto ha già eseguito interamente la propria prestazione, “stanti le significative differenze

testuali tra l’art 169-bis e l’art 72 della legge fallimentare, nonché per la mancanza di quest’ultima disposizione fra le norme richiamate all’art 169”.

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L’articolo come originariamente formulato, carente come abbiamo detto anche di una precisa definizione, prestava dunque il fianco a questioni di non poco conto, tutte capaci di rendere incerte le sorti del concordato stesso, data l’influenza di queste sul piano concordatario e sulla valutazione successiva dello stesso da parte del giudice.

A titolo di esempio si richiama il problema relativo alla necessità di estendere il contraddittorio al contraente nei cui confronti sia richiesto lo scioglimento o la sospensione; altro esempio è la possibilità per l’imprenditore di presentare la richiesta anche successivamente ed in modo disgiunto rispetto alla domanda di concordato.

Peraltro, una delle modifiche di maggior rilievo - poiché conferma anche in questo contesto la regola introdotta dall’art 111, l.fall. e valida, nei suoi tratti essenziali, in ogni procedura concorsuale – è quella per cui deve essere riconosciuto carattere prededuttivo al pagamento di tutte le prestazioni effettuate, nell'esecuzione del contratto, dal contraente in bonis

successivamente all’apertura della procedura.

Questo orientamento, conforme a quello della giurisprudenza maggioritaria prima dell’introduzione dell’art. 169-bis, trova oggi conferma nella seconda parte del nuovo II comma dell’art 169-bis, l.fall.

Infine la norma viene ulteriormente modificata con l’introduzione di un ulteriore comma, con il quale il legislatore ha voluto disciplinare nello specifico le sorti del contratto di leasing, in particolare di quello finanziario; questa tipo di contratto è tra quelli maggiormente utilizzati dalle imprese, poiché permette di

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acquisire i mezzi di produzione necessari all’attività senza dover pagare immediatamente l’intero valore del bene, ma anzi regolando l’esborso economico in virtù del potenziale produttivo del bene stesso.

L’art 169-bis, nel suo nuovo quinto comma16, dedicato appunto

allo scioglimento del contratto di locazione finanziaria, ricalca nella sostanza quanto previsto dall’art. 72-quater, secondo e terzo comma, norma che disciplina l’ipotesi di scioglimento del contratto quando si abbia la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore: nel caso di accesso dell’utilizzatore al concordato con successiva richiesta di scioglimento del rapporto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene, a cui potrà dare nuova allocazione, con conseguente possibilità di far valere nel concordato il proprio eventuale residuo credito.

Profili di interesse in tema di contratti pendenti presenta anche il nuovo terzo comma dell’art 182-quinquies, come modificato dalla novella del 2015: la norma consente di richiedere al

16 Art. 169-bis, V comma: In caso di scioglimento del contratto di locazione

finanziaria, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a versare al debitore l'eventuale differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso avvenute a valori di mercato rispetto al credito residuo in linea capitale. La somma versata al debitore a norma del periodo precedente è acquisita alla procedura. Il concedente ha diritto di far valere verso il debitore un credito determinato nella differenza tra il credito vantato alla data del deposito della domanda e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene. Tale credito è soddisfatto come credito anteriore al concordato.

La scelta del legislatore ricalca la disciplina che ha trovato positivo riscontro in ambito fallimentare, poiché in tal modo il creditore in bonis non farà gravare sulla procedura il proprio rapporto con l’utilizzatore fallito, potendo trovare soddisfare sul bene oggetto di contratto.

In questo modo viene garantita una più rapida circolazione dei beni produttivi, che potranno essere riallocati sul mercato, con vantaggi in capo a tutti i soggetti contraenti.

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tribunale la pronuncia di provvedimenti d’urgenza, che autorizzino fin da subito il debitore, che presenti domanda nella sua forma “prenotativa”, a contrarre limitati finanziamenti prededucibili necessari a sostenere l’attività per il periodo necessario a preparare l’istanza di autorizzazione a contrarre le ulteriori e diverse forme di finanziamento previste dal medesimo articolo.

L’autorizzazione in parola, giustificata da motivi di urgenza e presidiata da varie cautele, presenta profili di sicuro interesse ai fini della presente indagine laddove, nell’inciso finale, sembra richiamare i contratti pendenti: si afferma infatti che la richiesta può riguardare anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti.

L’utilità di un tale inciso può essere criticata se si guarda al principio di continuità che informa i contratti pendenti, poiché la possibilità di mantenimento delle linee di credito autoliquidanti è già insita nell’obbligo, non solo nella possibilità, dell’imprenditore di integrale adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto e successive all’apertura della procedura. Al contrario la novella in esame assume una particolare valenza laddove modifica il comma successivo, il quarto dell’art 182-quinquies, prevedendo la possibilità per il giudice delegato di autorizzare il debitore, oltre che a concedere pegno ed ipoteca, anche a cedere un credito, a garanzia dei finanziamenti ottenuti secondo quanto disposto dal secondo e terzo comma dello stesso articolo: la norma, che altrimenti non presenta profili di novità, fa certamente riferimento ai crediti sorti in un momento precedente all’apertura della procedura e quindi parte dell’attivo

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patrimoniale su cui dovranno soddisfarsi i creditori concorsuali, in applicazione del già richiamato principio della par condicio creditorum.

Il combinato dei commi citati sembra quindi consentire che tali crediti siano utilizzati anche a garanzia dei finanziamenti richiamati, confermando indirettamente anche la natura da attribuire alle linee di credito autoliquidanti - su cui più volte si tornerà, in quanto categoria contrattuale di grande rilievo pratico e teorico in ambito commerciale - quali contratti di durata. Viene cioè confermata normativamente la natura di contratto di durata delle linee di credito autoliquidanti, onde evitare il rischio che la continuazione possa essere ricompresa tra quei contratti sottoposti all’autorizzazione prevista dall’art 167 della legge fallimentare.

3 Definizione di “contratti pendenti”

Come già anticipato, uno degli temi più controversi prima della novella del 2015 era proprio l’inquadramento dei rapporti che potevano essere oggetto di domanda di sospensione e scioglimento a norma dell’art 169-bis: da molte parti infatti si sosteneva che la norma avrebbe dovuto trovare applicazione anche per quelle ipotesi dove in capo ad uno dei soggetti contraenti fosse venuto meno l’obbligo di prestazione nascente dal sinallagma.

Possiamo ritenere pacifico che, perché possa trovare applicazione l’art 169-bis il contratto dovrà certamente essere stato stipulato

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anteriormente all’apertura della procedura: si rende dunque necessario far riferimento agli artt. 1326 c.c.17 e 1327 c.c. per

determinare tale momento.

Nel codice civile sono presenti anche altre norme in tema di esecuzione contrattuale, ma manca un’organizzazione sistematica della materia: le norme sono infatti per lo più legate a singole fattispecie contrattuali non facilmente estensibili oltre i confini previsti.

Norma di carattere generale è sicuramente l’art 1375 c.c.18 che,

richiamando la buona fede come modalità di esecuzione del contratto, incide sull'esecuzione medesima, quale criterio di integrazione, ma anche come limite all’abuso del diritto.

L’esecuzione della propria prestazione così come prevista nel contratto realizza perciò lo scambio contrattuale, così come la funzione economico sociale ad esso sottesa; quando ciò avvenga possiamo ritenere il rapporto esaurito e non più suscettibile di evoluzione per effetto della attività delle parti.

Questi principi di diritto civile, oltre ad essere assai rilevanti nella logica di continuità sottesa al concordato preventivo, acquisiscono in tale materia un significato più pregnante, poiché

17Art. 1326, c.c. “Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta

ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte.

L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi.

Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra parte.

Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata, l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa.

Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.”

18 Art. 1375, c.c.; Esecuzione di buona fede: "il contratto deve essere eseguito

(24)

risultano necessari per comprendere la fattispecie richiamata dall’art 169-bis.

Infatti, la sospensione o lo scioglimento potranno essere richiesti soltanto in relazione a quei contratti in cui, alla luce dei criteri civilistici sopra evidenziati, risulti permanere, dopo l’apertura della procedura, una bilaterale inesecuzione: situazione che integra la condizione di pendenza.

Se incertezze sono sorte all’indomani dell’introduzione dell’art 169-bis, dopo l’intervento del legislatore del 2015, non ci sono più dubbi che alla norma siano riconducibili solo tali situazione: dovranno dunque certamente escludersi tutti quei rapporti nei quali un contraente abbia già integralmente adempiuto la propria prestazione, così che residui soltanto una posizione meramente attiva o passiva in capo al contraente terzo, ovvero, rispettivamente, un credito od un debito nei confronti dell’imprenditore ammesso alla procedura19. Qualora poi si

trattasse di un credito questo dovrà essere pagato dal debitore concordatario secondo quanto previsto nel piano e nella proposta; nel caso in cui permanga invece un debito in capo al terzo contraente, questo andrà a costituire l’attivo patrimoniale, anch’esso da esibire ed indicare nel piano.

Questa impostazione ci permette anche di escludere dall’alveo dell’art. 169-bis quei contratti che fin dall’origine prevedono

19 In giurisprudenza, successivamente alla riforma, Trib. di Massa, 1 febbraio 2016,

ritenendo i contratti pendenti nel concordato "equiparabili, quanto a connotazioni strutturali, ai contratti pendenti nel fallimento".

(25)

obbligazioni in capo ad un solo soggetto: facciamo riferimento in particolare ai contratti con prestazioni a carico del solo proponente, dove non è nemmeno previsto che si produca la bilateralità dell’esecuzione e quindi la presenza di più sinallagmi. Tale interpretazione, sostenuta anche dalla giurisprudenza e dottrina maggioritaria attraverso il richiamo alla definizione di contratti pendenti già data nell’art. 72, resta oggi confermata anche nel dettato testuale dell’art 169-bis, che, nel nuovo primo comma, oltre alla già richiamata modifica della rubrica, indica espressamente che i contratti a cui fare riferimento siano quelli “ancora ineseguiti o parzialmente eseguiti”.

Dunque, nonostante anche tale nuova dizione non specifichi (a differenza di quanto previsto all’art. 72) se tale condizione (appunto l’essere ineseguiti o parzialmente eseguiti) debba essere presente in capo ad entrambi i soggetti e consenta pertanto una - per quanto limitata - residua possibilità di interpretazione estensiva della norma, quanti ritenevano l’ambito applicativo della stessa assai più vasto di quello qui individuato (facendo leva soprattutto sulla formulazione originaria dell’art 169-bis, così come introdotto nel 2012) alla luce della riforma in esame dovranno necessariamente rivedere le proprie interpretazioni20.

20 Alle quali comunque non poteva non riconoscersi quanto meno il pregio di offrire

al debitore uno strumento con cui poter intervenire su ogni rapporto potenzialmente lesivo, quand’anche di questo permanga soltanto una situazione di debito o credito.

(26)

Dalla fattispecie dovranno essere esclusi inoltre quei contratti non opponibili al concordato a mente dell’art. 45 della l. fall., ora espressamente richiamato dall’art 169 l. fall21: la norma, rubricata

"formalità eseguite dopo la dichiarazione di fallimento", ha appunto lo scopo di individuare quali siano i rapporti che saranno opponibili al fallimento dopo la dichiarazione dello stesso.

In ambito concordatario la norma permette quindi di individuare quali siano i contratti su cui potrà intervenire lo strumento previsto dall’art. 169-bis: questo infatti non sarà applicabile né ai rapporti per cui non siano state compiute le formalità necessarie per la loro opponibilità alla massa, né ai contratti su cui sia già intervenuta una causa di scioglimento o di risoluzione. La ratio della norma anche in ambito concorsuale può essere individuata quindi nella necessità di chiarezza dei rapporti che graveranno sulla procedura, in una logica di favore verso coloro che hanno adempiuto le formalità e verso i creditori concordatari, ma anche in una logica di certezza e prevedibilità delle situazioni che gravano in capo al debitore ammesso al concordato.

Dovranno essere poi escluse dall’ambito applicativo dell’art 169-bis quelle situazioni in cui non sia possibile prospettare una vicenda di sospensione dell’esecuzione, dove cioè la stessa si sia già conclusa.

A tale riguardo è necessario far riferimento alla distinzione di diritto civile tra prestazioni principali ed accessorie, dal momento

21 Pacifico anche in dottrina; v.P.F.CENSONI, La continuazione e lo scioglimento dei

contratti pendenti nel concordato preventivo, cit.; anche A. PATTI, I rapporti

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che, per valutare la pendenza di un contratto, dovrà guardarsi esclusivamente alle prime, dalle quali sole è possibile determinare se la esecuzione del contratto medesimo possa ritenersi conclusa o meno.

Sarà poi necessario valutare se in capo ad entrambi i soggetti permanga almeno parte del sinallagma funzionale e quindi prestazioni da adempiere: dell’originaria e necessaria bilateralità del rapporto, come condizione necessaria della pendenza, dovranno in altre parole residuare concrete prestazioni in capo ai contraenti.

Questo criterio costituisce il completamento logico di quello per cui non saranno riconducibili alla norma i contratti unilaterali o quelli in cui una prestazione sia venuta meno fin dall’origine. Concludendo, la norma prevista all’art 169-bis dovrà trovare applicazione non per tutti i rapporti in cui sia parte l’impresa ammessa al concordato, dovendosi escludere quei rapporti per cui sia venuto meno interamente in capo ad uno dei contraenti l’obbligo di eseguire le proprie prestazioni, poiché adempiuto secondo quanto previsto da contratto.

Tale conclusione è oggi ulteriormente confermata dal nuovo testo dell’art 169-bis, che richiama espressamente i termini utilizzati nell’art. 72 l.fall., diversamente modulati per adattarsi al contesto in cui la norma è inserita.

(28)

Capitolo II

1 Il principio di continuità contrattuale.

In assenza di specifiche indicazioni normative regola generale accolta dalla giurisprudenza, in ambito concordatario, era quella della continuazione dei contratti: tale principio di continuità trova oggi invece conferma nell’art 169-bis, che, prospettando come eccezione la possibilità per l’imprenditore di sospendere o sciogliere un contratto pendente con l’autorizzazione del giudice, indirettamente conferma come regola generale quella della continuazione.

Il principio, come già affermato, è poi espressamente confermato all’art 186-bis, che disciplina il concordato con continuità aziendale: la norma infatti specifica ulteriormente che i contratti non si risolvono automaticamente (nonostante la presenza di clausole risolutive espresse nell’accordo)22.

22 Le stesse considerazioni valgono per la domanda di concordato con riserva: anche

in questo caso, infatti, dovrà ritenersi applicabile il principio di continuità, considerato che, il semplice differimento della presentazione del piano, non sembra poter far ritenere il contrario, fatta salva comunque una più meditata applicazione delle norme in tema di sospensione e scioglimento. Così, anche in giurisprudenza: Trib. di Venezia, 27 marzo 2014.

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Appare dunque evidente che la disciplina dei rapporti pendenti nel concordato preventivo, alla luce del principio di continuità, dovrà trovare un punto di equilibrio tra i diversi interessi coinvolti, quello cioè dell’imprenditore in concordato di realizzare il progetto senza che i rapporti pendenti possano comprometterne il buon esito, quello dei creditori concorsuali di non subire i costi prededuttivi conseguenti alla prosecuzione di contratti nocivi per l'attivo concordatario ed infine l’interesse del contraente in bonis alla regolare esecuzione del contratto.

Tali prestazioni residue che i contraenti sono tenuti ad adempiere troveranno poi la loro regolamentazione all’interno delle norme di diritto comune: questa è infatti un'altra espressione della continuità, cioè quella per cui le norme della procedura concordataria non influiranno su questi obblighi, che continueranno a trovare la loro disciplina nell’accordo negoziale, quindi nella volontà espressa dalle parti. Tale conseguenza, non espressamente sancita dalla legge fallimentare, era già stata individuata dalla giurisprudenza maggioritaria anche prima dell’introduzione dell’art 169-bis e, successivamente alle novelle del 2012 e del 2015, è considerata unica alternativa alla possibilità di sospensione o scioglimento prevista nello stesso articolo.

La sorte dei rapporti preesistenti dipende inoltre dalla natura della procedura concorsuale a cui si accede: se di tipo liquidatorio

(30)

ovvero di continuità imprenditoriale, o meglio e più in generale, di risanamento almeno tendenziale23.

Lo strumento disciplinato dall’art 169-bis si rivela quindi molto importante, poiché permette di funzionalizzare la procedura alla finalità che si vuole raggiungere, nella generale regola di continuazione dei rapporti pendenti: la prosecuzione tout court di tali rapporti, come avveniva prima della novella del 2012, senza la possibilità per l’imprenditore di gestire gli obblighi su di lui gravanti nel più ampio quadro del piano concordatario, rischiava di comportare l’impossibilità di portare a compimento il piano stesso.

In conclusione, se il principio di continuazione si rivela come la migliore soluzione per il soddisfacimento dei creditori ed in generale per la realizzazione del piano, un’incondizionata continuazione dei rapporti, come accadeva prima dell’introduzione dell’art 169-bis, si rivela al contrario dannosa: l’imprenditore ed il suo patrimonio si troverebbero infatti esposti, senza possibilità di intervenire con strumenti diversi da quelli offerti dal diritto comune, ai costi derivanti dalle obbligazioni contratte ed alle conseguenze dell’inadempimento delle stesse;

23 Nel fallimento è previsto un diverso percorso liquidatorio per i contratti pendenti

nell’ipotesi prevista nell’art 72 rispetto a quella stabilita per l’esercizio provvisorio dell’impresa; infatti l’art 104 l. fall. espressamente afferma la (temporanea) continuazione di questi rapporti, a condizione che il comitato dei creditori dia parere favorevole all'esercizio provvisorio dell'impresa dichiarata fallita, e salvo che il curatore del fallimento non decida di sospendere o sciogliere gli stessi.

Sul tema dell'esercizio provvisorio dell'impresa F. Barachini, La nuova disciplina

dell'esercizio provvisorio: continuità dell'impresa nel (e fuori dal) fallimento"; in

particolare attraverso un paragone con le procedure concordate viene indagato il perimetro applicativo dell'art 104 della l.fall.

(31)

costi che potrebbero comportare un peso per la realizzazione del piano, se non addirittura la sua irrealizzabilità.

Quindi, se il principio di continuità si rivela il miglior criterio per la soddisfazione dei creditori e la realizzazione del piano, dovrà tuttavia esserne correttamente individuata l'applicazione al caso concreto, in relazione alle finalità perseguite: certo è che tale principio dovrà trovare applicazione anche nella forma liquidatoria dell’istituto concordatario: su questo non si pongono dubbi anche per la destinazione dell’intera procedura concorsuale alla soluzione delle crisi d’impresa in una logica negoziata e volta alla salvaguardia dell’eventuale residuo valore produttivo del complesso economico aziendale.

Il principio di continuità come regola generale all’interno del concordato è poi coerente con un'altra norma già richiamata, ovvero con l’art 167 della legge fallimentare, che al primo comma sancisce la regola per cui il debitore ammesso alla procedura mantiene l’amministrazione dell’impresa e quindi esercita, con le differenti modulazioni legate alle finalità cui è orientata la procedura, l’attività d’impresa.

Sotto il profilo economico il debitore mantiene dunque il rischio dell’attività svolta, mentre sotto il profilo giuridico saranno a lui imputabili gli atti compiuti, essendo egli soggetto nella realizzazione del piano concordato, soltanto alla vigilanza del commissario giudiziale.

L’imprenditore perciò potrà e dovrà adempiere le obbligazioni che costituiscono quella serie coordinata di operazioni economiche e commerciali in cui si risolve lo svolgimento

(32)

dell’attività di impresa a cui ancora è tenuto in virtù del vincolo negoziale24.

In conclusione possiamo affermare che la regolamentazione che il concordato riceve nella legge fallimentare realizza una sostanziale sintesi unificatrice tra le soluzioni di ricomposizione della crisi fin qui prospettate, cioè tra la regolare continuazione dei rapporti pendenti secondo le norme di diritto comune e la sottoposizione degli stessi alle regole della procedura, regole che comunque tengono conto della flessibilità negoziale propria dell’autonomia privata cui di fatto è orientato il concordato preventivo.

2 La continuazione del rapporto.

La regola della prosecuzione dei rapporti pendenti comporta che tutti i contraenti sono obbligati all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto: per tali adempimenti non sarà pertanto richiesto il rilascio di un’autorizzazione da parte del giudice a norma del secondo comma dell’art 167 - non rilevando la distinzione che la norma fa tra ordinaria e straordinaria amministrazione e non prospettandosi una possibilità di scelta in

24 La continuazione in questa logica sembra attagliarsi perfettamente con la regola

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capo ai contraenti - ma al contrario sarà previsto un obbligo al regolare adempimento del contratto25.

Questa soluzione - sicuramente quella più vicina alle finalità poste dalla normativa concordataria - può prestare il fianco alla critica secondo la quale gli adempimenti potrebbero creare gravi conseguenze alla realizzazione del piano, fino a comprometterne del tutto la fattibilità.

Tali voci contrarie hanno trovato sostegno nella giurisprudenza maggioritaria che per molto tempo ha continuato a far leva, in particolare, proprio sulla distinzione compiuta dal secondo comma dall’art 167, in una logica di tutela del patrimonio dell’imprenditore come strumento di soddisfazione dei creditori. Appare pertanto necessario individuare la corretta interpretazione di tale comma in particolare leggendolo in combinato disposto con il primo comma dello stesso articolo secondo il quale l’imprenditore mantiene il controllo dell’impresa: in questa prospettiva - quella cioè che guarda alle conseguenze successive all’ammissione al concordato - il secondo comma indica infatti i limiti entro i quali il debitore può muoversi una volta ammesso alla procedura (e nell'arco temporale tra la domanda e l'ammissione regolato dall'art. 161, settimo comma), riferendosi esclusivamente a quegli atti che sono posti in essere dopo l’ammissione al concordato, che sono cioè compiuti in base ad un vincolo obbligatorio sorto nel corso della procedura e non precedentemente.

25 In giurisprudenza, con opinione contraria, Cass. 18 dicembre 2014, n. 26691,

(34)

Non sembra poter trovare spazio, quindi, un’interpretazione della norma che limiti la regolare prosecuzione dei rapporti pendenti al rilascio di un’autorizzazione; né potrà trovare applicazione un’impostazione del problema che ponga il discrimine non in base all’ordinarietà o meno degli atti, ma alla loro concreta idoneità a modificare i termini dell’accordo originariamente pattuito, conclusione cui era invece giunta parte della dottrina precedente alle riforme, la quale rapportava le prestazioni successive al concordato compiute in base ad un contratto pendente, con quelle compiute prima di tale momento, vagliando la somiglianza tra i rapporti (in termini tanto economici, quanto di modalità di esecuzione) e dunque la possibilità di configurare una effettiva continuazione.

Né una siffatta interpretazione appare necessaria onde evitare un abuso del diritto ed una violazione della par condicio: si sarebbe potuti arrivare, infatti, alle medesime conclusioni in base alla semplice considerazione che gli atti che eccedono i termini contrattuali a cui le parti sono obbligate, saranno da considerarsi nuovi atti successivi alla procedura, e pertanto non opponibili ai creditori precedenti al concordato, se eccedenti l'ordinaria amministrazione e non approvati a norma dell'articolo in esame. Se dunque l’attività del debitore è semplicemente attuativa di una volontà negoziale precedentemente espressa l’adempimento costituisce un atto dovuto e la distinzione che da taluno viene

(35)

ancora fatta tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione26, appare del tutto incoerente.

Inoltre il richiamo che viene fatto dall’art 169 all’art 45, più volte citato, chiarisce ulteriormente i termini della questione, poiché conferma la possibilità per il debitore di opporre l’adempimento delle prestazioni non soltanto nei confronti dei contraenti, ma anche verso i creditori, in quanto terzi.

Taluno ha criticato la estensione dell’art 45 al concordato preventivo in base alla considerazione che l’istituto comporta eccessiva rigidità in un ambito concorsuale connotato invece da flessibilità; tale estensione viene comunque giustificata in ragione della maggiore tutela che riconosce ai creditori concordatari, oltre a favorire la trasparenza della procedura.

Si pone tuttavia il problema di individuare il soggetto legittimato a far valere l’eventuale inopponibilità secondo quanto previsto appunto dall’art 45: la questione, apparentemente di poco conto, acquista invece un’importanza notevole per la grande rilevanza che rivestono tali adempimenti nel contesto del piano concordato e per i rischi legati all’uso abusivo del principio di continuità dei rapporti pendenti.

Alla stregua delle considerazioni effettuate sarà certamente da escludere la titolarità della prerogativa da parte del commissario giudiziale che - a differenza del curatore in ambito fallimentare - è chiamato a svolgere semplicemente un ruolo di vigilanza; sarà

(36)

da escludere anche la legittimazione del debitore, in quanto non si ritrova alcun riferimento né normativo né sistematico a sostegno di un suo obbligo in tal senso.

Dunque, titolare del potere in questa prospettiva non potrà che essere il ceto creditorio, che dovrà far valere l’inopponibilità in sede di votazione ovvero di opposizione all’omologazione27.

3 La tutela del contraente in bonis

Per quanto sopra detto, in capo alle parti del rapporto permarranno obblighi contrattuali che le stesse sono tenute ad adempiere, senza che sia necessario il rilascio di qualsivoglia autorizzazione: l’adempimento si presenta come un atto dovuto per i contraenti, secondo il programma originariamente pattuito dalle parti, con applicazione della disciplina originaria dei contratti a prestazioni corrispettive.

27 La soluzione prospettata nel testo - certamente rispettosa delle modifiche apportate

alla disciplina del concordato, sicuramente più informata ad un intervento attivo e negoziato con i creditori - non tiene tuttavia in debito conto il ruolo che l’imprenditore deve svolgere nell’arco di tutto il concordato: il suo comportamento e la sua buona fede, oltre alla sua partecipazione attiva, sembrano infatti elementi necessari per la realizzazione di qualunque piano concordato, non soltanto nell’ipotesi indicata.

A parere dello scrivente sarebbe quindi auspicabile un intervento normativo che non trascuri l’importanza che l'attività dell’imprenditore in stato di crisi comunque riveste nella realizzazione del piano.

(37)

Inoltre le prestazioni effettuate in esecuzione dei contratti pendenti dovranno essere pagate non in moneta concordataria, bensì a carico della massa dei creditori.

Gli adempimenti successivi alla presentazione della domanda di concordato non sono infatti soggetti alla falcidia concordataria in quanto atto dovuto per i contraenti: ciò in applicazione del criterio generale per cui sono assoggettati alla falcidia soltanto i crediti per prestazioni eseguite precedentemente all’apertura della procedura stessa, mentre i crediti per prestazioni legittimamente eseguite in un momento successivo – e cioè derivanti da atti della procedura - sono tipicamente prededucibili ai sensi dell’art. 111 l. fall..

Questo principio, che talvolta si è affermato essere venuto meno nel suo valore assoluto dopo le modifiche apportate alla normativa fallimentare28, trova invece ulteriori conferme nella nuova formulazione dell’art 169-bis che conferma la prededucibilità delle prestazioni effettuate (legittimamente) dopo la presentazione della domanda.

In ogni caso, ove una delle due parti del contratto non adempia regolarmente, l’altra può legittimamente rifiutare l’adempimento della propria obbligazione, a norma dell’art. 1460 c.c. oppure invocare la clausola risolutiva espressa eventualmente contenuta nel contratto, salvo il caso previsto all’art 186-bis l.fall, che

28 Nel senso che il principio sarebbe infatti ormai inflazionato, con il rischio che tale

condizione faccia venire meno gli effettivi vantaggi che la prededuzione comporta; così, M. CAMPOBASSO, Nuovi e vecchi problemi nel concordato con continuità

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espressamente prevede che, nel caso di concordato in continuità aziendale, non ha effetto la clausola risolutiva espressa eventualmente inserita nel contratto.

Taluno sostiene29 che la clausola in oggetto abbia un’estensione maggiore di quello che emerge prima facie dalla norma, potendo trovare applicazione per ogni forma di concordato preventivo e non soltanto per quello in continuità. Non sembra tuttavia che possa darsi credito a tale opinione: intanto per la mancanza di espressa indicazione in tal senso nelle norme di riferimento, ed in secondo luogo per la necessità di rispettare l’autonomia negoziale che potrebbe aver volontariamente sancito tale condizione come inaccettabile. La norma trova invece la sua ragione d’essere all’interno del concordato in continuità aziendale, nel quale il cardine dell’istituto è proprio la volontà di far sopravvivere l’attività produttiva, anche a discapito del contraente.

Ciò trova la sua giustificazione nelle conseguenze che derivano dall’applicazione di una clausola risolutiva espressa, conseguenze che potrebbero incidere sulla possibilità stessa di continuare l’attività in assenza di quella rete di rapporti contrattuali con cui l’imprenditore si procura le risorse di cui necessita anche per l’attuazione del piano.

29 Secondo G.SCOGNAMIGLIO, Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in

corso di esecuzione, cit., a favore di detto assunto milita l’argomento sistematico, e

cioè la coerenza del principio, il quale precluderebbe all’autonomia negoziale delle parti dettare regole che facciano discendere lo scioglimento del contratto dall’ingresso dell’imprenditore nella procedura di concordati preventivo.

(39)

Ciascuna parte potrà quindi, sempre in riferimento alla prestazione non ancora adempiuta, domandare la risoluzione del contratto a norma dell’art 1453 c.c. e l’eventuale condanna al risarcimento dei danni (fermo restando che nel caso in cui tali azioni siano esperite con successo dal contraente in bonis, non potranno comunque essere promosse azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, secondo quanto previsto all’art 168 l. f.).

Il riferimento è quindi agli strumenti di diritto comune normalmente utilizzabili, tra i quali la possibilità per i contraenti di sospendere l’esecuzione della propria prestazione qualora le condizioni patrimoniali della controparte siano mutate tanto da porre in evidente pericolo l’esecuzione della controprestazione, a norma dell’art 1461 c.c.

Qualora la domanda di risoluzione sia correttamente esperita, questa opererà in modo retroattivo, a norma dell’art 1458 c.c., comportando l’obbligo per parti di restituire quanto già ricevuto in esecuzione del contratto, fatti salvi i diritti dei terzi legittimamente acquisiti e fermi gli effetti della trascrizione della domanda (art. 111 cpc).

La norma distingue poi ulteriormente l’ipotesi in cui sia pronunciata la risoluzione di un contratto a prestazione continuata o periodica: in tal caso l’effetto risolutivo non si estende alle prestazioni già eseguite conformemente al contratto; ciò sull’assunto, che sarà successivamente analizzato, secondo cui i contratti a prestazione continuata e periodica possono essere scissi nella loro integrità in coppie di sinallagmi, in cui cioè si può trovare una corrispondenza tra le successive prestazioni

(40)

rispettivamente effettuate dalle parti: non troviamo quindi un unico sinallagma che guida l’intero rapporto, ma è la natura del rapporto ed il ruolo che la durata svolge all’interno della fattispecie a delineare quali siano le conseguenze per le parti della domanda di risoluzione.

4 Il pagamento di prestazioni anteriori ineseguite.

Tornando alla differenza che intercorre tra contratti a prestazioni istantanea e contratti di durata, è evidente che, se per i primi il trascorrere del tempo non svolge un'autonoma funzione stante la unicità della prestazione, mentre per i contratti ad esecuzione periodica la clausola della durata assume particolare rilevanza definendo il momento di estinzione del contratto.

Ne consegue che, pur a fronte di molteplici prestazioni eseguite durante l’arco temporale individuato dal contratto, nei contratti di durata abbiamo un unico sinallagma genetico.

Questo principio di diritto comune comporta in ambito concordatario importanti conseguenze, legate alla tendenziale autonomia di ciascuna singola prestazione e controprestazione ed al nesso esistente tra le stesse di equilibrata corrispettività sinallagmatica, cosiddetta “a coppie.

Per ciò che riguarda i contratti ad esecuzione istantanea non è invece possibile tale distinzione, restando unico il sinallagma, sia genetico che funzionale, con la conseguenza che non è possibile trovare una corrispondenza tra le singole prestazioni effettuate, se anche è previsto che le stesse siano frazionate nel tempo; non

(41)

sarà quindi possibile individuare coppie di prestazioni, poiché il loro frazionamento è legato soltanto alle modalità di esecuzione, restando unico per tutta la durata del rapporto il sinallagma che lega le parti contrattuali.

Questa distinzione porta taluno a distinguere tra creditori e contraenti in bonis: i primi sarebbero infatti titolari di una situazione definitivamente esaurita, non più suscettibile di evoluzione sul piano del sinallagma funzionale, che dà origine ad un diritto di credito cristallizzato in quanto fondato su titolo o causa anteriore al concordato; i secondi, anch’essi creditori di una frazione di controprestazione - sorta in un momento anteriore al concordato - da parte dell’imprenditore ammesso alla procedura, ed ancora tenuti ad eseguire una parte della propria prestazione, potrebbero invece pretendere l’adempimento della prestazione anteriore, non ancora cristallizzatasi in credito: non sarebbe infatti possibile distinguere gli adempimenti già compiuti da ciò che residua a causa dell’unitarietà del sinallagma, non suscettibile di frazionamento.

Ciò collocherebbe queste posizioni in una dimensione extraconcorsuale, non soggetta quindi alla normativa concordataria (da cui deriva il divieto di pagamento di prestazioni anteriori ineseguite, costituendo violazione della par condicio), ma esclusivamente alle norme di diritto comune, per

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l’impossibilità di compiere una differenziazione tra prima e dopo l’ingresso nella procedura30.

Tale distinzione si ripercuote necessariamente sulla applicazione delle regole previste all’art 167 e 168 della l.fall.; in particolare quest’ultima norma - che sotto pena di nullità vieta ai creditori per titolo o causa anteriore di promuovere azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore - secondo tale impostazione sarebbe applicabile soltanto ai contratti a prestazione continuata, con la conseguenza che per tali contratti le prestazioni anteriori ineseguite non potrebbero essere adempiute (sull’assunto che laddove sia vietato il pagamento coattivo di tali somme, lo sarà anche il pagamento spontaneo)

Ciò non avverrebbe invece per i contratti a prestazione istantanea, connotati, come già detto, da extraconcorsualità e quindi, secondo tale teoria, esenti dal limite posto dall’art 168 l.fall.

Qualora si scegliesse di seguire tale impostazione si produrrebbero dunque effetti di non poco conto, dal momento che potrebbero essere liberamente adempiute dal debitore le prestazioni anteriori relative a contratti a prestazione istantanea rimaste inadempiute, con conseguente violazione della par

condicio creditorum.

Sarà pertanto da preferire un’interpretazione più rispettosa del principio generale delle procedure concorsuali, da ritenersi

30 In questi termini, in particolare, A. Patti, I rapporti giuridici pendenti nel

(43)

sempre valido se non quando espressamente derogato, secondo il quale tutti gli adempimenti successivi al concordato saranno da soddisfarsi in prededuzione (quindi anche i crediti derivanti da inadempimenti successivi), mentre saranno da imputare al concordato le prestazioni inadempiute anteriori; interpretazione che dunque non trascuri il peso che l’ingresso nella procedura può avere sui rapporti in corso, facendo eccezione soltanto per le ipotesi di indiscutibile unitarietà della causa che lega insieme le varie prestazioni (come ad esempio nella vendita a consegne ripartite).

Secondo taluno l’art 74 della legge fallimentare dovrebbe aver un ambito di applicazione ben maggiore di quello che si è soliti attribuirgli31; la norma, situata in ambito fallimentare, dispone

quelle che sono le conseguenze derivanti dalla scelta del curatore di subentrare nei contratti di somministrazione pendenti comportando per lo stesso l’obbligo di adempiere integralmente anche le prestazioni anteriori ineseguite dall’imprenditore dichiarato fallito.

Secondo tale teoria sarebbe infatti auspicabile l’applicazione di tale regola anche in ambito concordatario, nel caso in cui il debitore decidesse di proseguire il rapporto di somministrazione (ovviamente sul presupposto che vi sia un contratto pendente ed opponibile a norma dell’art. 45 l. fall.).

31 Così P.F.CENSONI, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel

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