RISERVA NATURALE REGIONALE DI MONTE GENZANA-ALTO GIZIO
3. RISULTATI E DISCUSSIONE
3.4.3 Variabilità compositiva e variabilità strutturale
Analizzando i boschi presenti nei diversi siti possiamo affermare che la mescolanza in specie è alquanto differente tra di essi, difatti non si tratta sempre di faggete ma, in alcuni casi, di soprassuoli misti. Confrontando le cenosi analizzate si evince come le formazioni più diffuse siano gli altofusti a dominanza di faggio con gradi evolutivi differenti. Difatti si rinvengono per lo più delle faggete monoplane e tendenzialmente monospecifiche che sono alquanto irregolari nella loro distribuzione all’interno delle riserve analizzate. Le vicissitudini selvicolturali di questi boschi hanno creato delle grosse disformità all’interno delle aree, e dunque non è ad oggi possibile fare un discorso unitario che possa descrivere appieno le diverse realtà che si sono accresciute.
Cominciando con l’esaminare il caso di Morino, per linee generali si può dire che secondo un gradiente altimetrico vi è una semplificazione nella componente specifica man mano che si sale in quota, fatto che normalmente caratterizza tutte le foreste appenniniche e non. I boschi misti basali dominati dalle formazioni cedue, per lo più caratterizzate dai piccoli diametri, sono composti da essenze quercine caducifoglie, dai carpini, dagli aceri e da sporadici individui di faggio. All’interno di tali cenosi l’elevatissima semplificazione strutturale ed il frequente passaggio degli armenti e delle mandrie non ha consentito al tasso di sopravvivere e ne ha comunque ostacolato la diffusione a partire dalle aree poste più in quota. Risalendo il versante le cenosi più diffuse sono i faggeti misti con aceri e sporadici carpini e tigli. Queste formazioni si presentano come delle fustaie miste di origine gamica ed agamica dalla densità alquanto variabile. All’interno di tali contesti si localizza la prima delle due popolazioni di tasso che mostra una decisa semplificazione strutturale; difatti mancano gli individui di grosso diametro e per lo più si tratta di singoli alberelli gamici o di alcune ceppaie portanti più polloni. Tale contesto è inoltre caratterizzato da una gestione alquanto irregolare del soprassuolo che si presenta a tratti impenetrabile e costituito da densissimi forteti di faggio. Tale carenza strutturale non ha dunque favorito l’espansione del tasso che necessita invece di contesti più evoluti.
Un parallelismo è in parte fattibile con le zone più basse della Riserva di Monte Genzana –Alto Gizio, ove dominano i cedui oltreturno misti a faggio, tiglio, acero, frassino ed ostria. Tali strutture si presentano altrettanto dense ma le continue ceduazioni hanno comunque favorito un apporto luminoso al suolo in maniera ciclica,
consentendo così al tasso di sfruttare il biospazio a disposizione ed il maggiore apporto luminoso derivante dall’asportazione del soprassuolo. Rispetto a Morino però in questi contesti il clima decisamente più umido, anche se più continentale, ha consentito alla sempreverde di rispondere prontamente agli interventi cesori. Viceversa alla Riserva di Zompo Lo Schioppo gli interventi selvicolturali hanno rallentato i fenomeni evolutivi e compositivi. Vi è inoltre da focalizzare l’attenzione sul fatto che la crescita giovanile è estremamente differente se si tratta di individui derivanti da seme o dal riscoppio delle ceppaie. Dunque anche se probabilmente a Pettorano le ceduazioni sono state più frequenti, però la rapida crescita dei polloni non ha impedito al tasso di trovare nell’arco di pochi anni un biospazio sufficiente alla sua sopravvivenza.
Sono inoltre da analizzare anche i suoli che differiscono tra i due siti in quanto più ricchi e profondi nel caso di Pettorano, tanto che probabilmente nel tempo si giungerà a lembi di tilio-acereti, cenosi ad elevata esigenza edifica, mentre tendenzialmente più superficiali e con abbondanza di scheletro grossolano a Morino.
E’ forse anche imputabile a questa elevata mescolanza in specie l’abbondanza di tasso nel sito di Pettorano. Come da letteratura difatti ad elevati valori di biodiversità dei soprassuoli in cui si sviluppa la sempreverde corrispondono i migliori fenomeni di espressione e riproduttivi. Dunque in questo sito si potrebbe affermare che la semplificazione strutturale risulta compensata da un’elevata variabilità compositiva. Date le curve di distribuzione della popolazione in base ai valori di area basimetrica è possibile affermare che le aree di fondovalle, prima che fossero messe a coltura, erano ricoperte da formazioni forestali miste all’interno delle quali era presente anche il tasso che si sviluppavano anche al di sotto dei 500 m di quota.
Salendo in quota le differenze tra i vari comprensori forestali tendono a diminuire in quanto si entra nella fascia di pertinenza quasi esclusiva del faggio. Si tratta solitamente anche delle formazioni che strutturalmente mostrano il maggior grado di espressione della caducifoglia. Dominano dunque le fustaie nelle loro differenti fasi selvicolturali, tendenzialmente monoplane, all’interno delle quali si sono conservati gli individui di maggior pregio di Taxus baccata (L.). Chiaramente è anche possibile individuare una differenza a livello strutturale all’interno degli stessi siti poiché le varie particelle e comprese hanno subito negli anni degli interventi selvicolturali differenti.
Le migliori strutture si rinvengono comunque nell’area di Morino ove per le tradizioni locali il legname era utilizzato oltre che per la produzione del carbone anche alla produzione di assortimenti da opera; tali interventi hanno permesso l’evoluzione dei soprassuoli a fustaie a tratti mature con individui maestosi dal portamento colonnare. Le richieste dei selvicoltori hanno chiaramente favorito lo sviluppo di soprassuoli monospecifici che ad oggi difficilmente presentano rinnovazione di specie accessorie. All’interno di questi contesti con un elevato indice evolutivo, si rinvengono le migliori popolazioni di tasso tra quelle finora conosciute, a testimonianza proprio di come sia importante che il bosco mantenga una buona struttura per consentire la coesistenza di altre specie.
Nel caso di Pettorano tali formazioni risultano alquanto ridotte o pressoché assenti. Difatti nell’area oggetto di studio ad eccezione di un piccolo lembo, mancano totalmente delle fustaie giunte a maturità, poiché gli interventi selvicolturali sono stati alquanto differenziati e localizzati. Di conseguenza nella fascia più alta del campionamento si rinvengono porzioni di soprassuolo con rilasci ramosi e di grandi dimensioni intervallati ad aree con evidenti fenomeni di rinnovazione, a tratti conclusi, in cui si sono innescati i processi di autodiradamento per competizione. Altre aree invece si mostrano ad oggi alquanto irregolari con ottimi fenomeni rinnovativi da parte dell’acero riccio nelle aperture. La carenza di un buon livello strutturale delle cenosi dunque non ha consentito lo sviluppo di individui di grosse dimensioni di tasso poiché il continuo disturbo ed i ripetuti tagli, anche a carico della sempreverde, non hanno permesso all’ecosistema di raggiungere un livello minimo di complessità strutturale. Inoltre la maggiore continentalità rispetto alle altre riserve diminuisce la possibilità che si insedino specie accessorie al faggio.
Nel caso dei Simbruini i faggeti presenti risultano decisamente monoplani poiché le operazioni selvicolturali all’interno di questi ambiti sono state quasi sempre improntate sulla massima produttività del bosco con utilizzazioni che hanno seguito quanto prescritto dalla gestione a tagli successivi. In alcuni tratti i soprassuoli derivano dall’invecchiamento dei cedui a volte governati a sterzo, che mostrano quindi delle strutture ad elevata densità oramai pronte ad essere convertite verso fustaie transitorie. L’assenza di grosse acclività e l’elevata estensione delle particelle hanno creato grandi superfici coetaneiformi che difficilmente ritroviamo, se non per piccole aree, nella riserva di Morino o Pettorano. Esclusivamente nelle aree con una microrografia particolare è possibile incontrare individui di maggiori dimensioni di
tasso, poiché in questi contesti, spesso con rocciosità affiorante, il selvicoltore ha teso ad intervenire in maniera più blanda. Le faggete dei Simbruini mostrano comunque delle peculiarità floristiche degne di nota che difficilmente si possono rinvenire in altre parti. Non è raro incontrare difatti grandi piante di olmo montano, acero riccio e di monte e frassino maggiore. Questa presenza unica non si riscontra in nessuno degli altri siti. Le potenzialità di queste aree sono dunque elevate come testimonia difatti la numerosa popolazione di tasso che è sopravvissuta, a tratti in maniera quasi invasiva. Un confronto a parte merita l’altopiano del Faito che si mostra svincolato dalle formazioni finora menzionate. Difatti sebbene siamo sempre nella fascia del faggio che in questi contesti tende alla monospecificità, la particolare orografia e la difficoltà di accesso all’area hanno permesso che si potessero sviluppare dei soprassuoli la cui variabilità compositiva è assimilabile a realtà centro-nord europee. La faggeta monospecifica è sviluppata per piccoli nuclei di estensione ridotta intervallati ad aree aperte e scarsamente pascolate, forse un tempo coltivate, con degli affioramenti rocciosi fortemente fratturati. Sopra di essi e nelle loro immediate vicinanze si rinvengono grandi esemplari di frassino maggiore, di acero riccio e di monte, di olmo montano, di farinaccio, sorbo degli uccellatori e di tasso. L’elevata diversificazione strutturale, anche causata dall’orografia locale, ha consentito inoltre una buona variabilità compositiva che eleva il grado di naturalità dell’area.
I faggeti qui presenti sono unici tra quelli analizzati all’interno di questo studio e ci mostrano le potenzialità che tali formazioni avrebbero in casi di scarso impatto antropico. Il Faito è dunque un laboratorio a cielo aperto che ci illustra nei suoi lembi più remoti quale potrebbe essere la mescolanza delle specie nella foresta di quota centro appenninica.