L’ ESPERIENZA ITALIANA
1. Il finanziamento delle regioni italiane nel quadro costituzionale e normativo Note introduttive
1.1. Dal (vecchio) quadro costituzionale alle riforme degli anni Novanta Il passaggio da una finanza ‘derivata’ ad una finanza ‘decentrata’
Prima della riforma del Titolo V della Costituzione, avvenuta con legge costituzionale n. 3/2001, l’art. 119 Cost. garantiva alle regioni “autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle province e dei comuni”. Ancora, il ‘vecchio’ dettato costituzionale attribuiva alle regioni tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle stesse al fine di adempiere le funzioni definite “normali”. Infine, fondamentale risulta ricordare che, nel previgente testo, al fine di provvedere a scopi determinati e per “valorizzare il Mezzogiorno e le Isole”, lo Stato poteva assegnare per legge a singole regioni contributi speciali. Quest’ultimo riferimento al Mezzogiorno era stato inserito dal legislatore costituente in considerazione della grave situazione economica e sociale in cui versavano alcuni territori all’indomani della Seconda guerra mondiale e, di certo, mirava a sostenere lo sviluppo ed il riequilibrio territoriale fra gli stessi232. Come avremo modo di analizzare in maniera più dettagliata nel prosieguo, la ‘cancellazione’ del riferimento testuale al Mezzogiorno ha suscitato diverse perplessità ed ha portato – in considerazione della ancora attuale condizione di squilibrio tra i territori italiani – ad interrogarsi sulla opportunità e sulla lungimiranza di tale scelta da parte del legislatore di revisione costituzionale.
Tanto premesso, anche la ‘timida’ nonché ‘generica’ previsione contenuta nell’originario art. 119 Cost. – unitamente a quella dell’art. 5 Cost. – rimase per molti anni lettera morta. Ciò perché il modello di finanziamento sviluppatosi a partire dagli anni Settanta fu caratterizzato da una forte dipendenza dalla finanza del Governo centrale, e si concretizzò nello strumento dei trasferimenti statali233.
A livello legislativo, la questione del riparto finanziario fra lo Stato e le regioni – che di fatto ha ‘alterato’ il modello costituzionale per via del forte restringimento, melius della non attribuzione di tributi propri rispetto all’ammontare complessivo delle risorse regionali – fu affrontata, per la
232 A tal riguardo, cfr. A. Wojtek Pankiewicz, “Il regionalismo nei lavori dell’Assemblea Costituente”, in http://siba2.unile.it/ese/issues/2/154/Ideev31-32p247.pdf, 1996; F. D’Alessio (a cura di), Alle origini della Costituzione
italiana: i lavori preparatori ‘Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato (1945-1946),
Bologna, 1979. Cfr., inoltre, F. Calzaretti (a cura di), “Le discussioni in Assemblea Costituente a commento degli articoli della Costituzione”, in http://www.nascitacostituzione.it/index.htm.
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Sullo sviluppo del sistema di finanziamento territoriale italiano da una prospettiva costituzionalista, cfr., almeno, M. Bertolissi, Lineamenti costituzionali del federalismo fiscale, Padova, 1982; E. De Mita, Fisco e Costituzione. Questioni
risolte e questioni aperte (1984-1992), Milano, 1993; Id. Fisco e Costituzione vol. 3, Milano, 2003; Id. Le basi costituzionali del federalismo fiscale, Milano, 2009. Per una ricostruzione del passaggio avvenuto nel nostro Paese da
un sistema di autonomia derivata ad un sistema di autonomia decentrata, cfr. F. Puzzo, Il federalismo … cit., pp. 13-62. Ancora, per un (necessario) approccio alla materia da una prospettiva tributarista cfr. G. Abbamonte, Principi di diritto
finanziario, Napoli, 1978; E. De Mita, Principi di diritto tributario, Milano, 2007; R. Lupi, Diritto tributario, Milano,
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prima volta e con un certo ritardo, con la l.n. 281/1970 recante ‘Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle regioni a Statuto ordinario’234.
A partire dall’entrata in vigore di tale legge, il sistema di finanziamento delle regioni italiane si sviluppò in senso diametralmente opposto al disegno costituzionale, divenendo un sistema di ‘finanza derivata’ che, informandosi a criteri di accentramento del potere fiscale e decisionale, si resse sulle entrate derivanti (e stabilite) dallo Stato235. Quest’ultimo, tramite finanziamenti ‘vincolati’, difatti, definiva la quantità e la qualità dell’intervento pubblico. In questi anni, e fino alla fine degli anni Ottanta, il potere di ‘imposizione’ regionale risultò, di conseguenza, fortemente limitato. Ciò favorì, da un lato, la disposizione di un sistema di finanziamento centralizzato e, dall’altro, l’aumento della cosiddetta ‘deresponsabilizzazione’ da parte dei territori che, godendo all'opposto di un’ampia autonomia di spesa, spendevano risorse maggiori rispetto a quelle attribuite, costringendo lo Stato a ripianare i debiti contratti.
Il passaggio da un sistema di finanza ‘derivata’ ad uno di finanza ‘decentrata’, come anticipato, si rese possibile agli inizi degli anni Novanta quando si decise di “sottoporre il sistema della finanza ad una lenta opera di riforma progressiva”236, attraverso l’utilizzo di una nuova politica finanziaria. Tale stagione si caratterizzò, principalmente, per l’introduzione di diversi tributi propri regionali al fine di ridurre i trasferimenti statali237. Le ragioni a favore del decentramento fiscale, così come indicato nella prima parte dell’indagine, possono essere rinvenute nella volontà di assegnare al livello di Governo più ‘basso’ la fornitura di beni e di servizi pubblici e, dunque, le fonti di finanziamento necessarie al perseguimento di tale scopo.
All’interno di tale opera di riforma del sistema di finanziamento regionale, coinvolgente in parallelo anche la (ri)allocazione delle funzioni amministrative238, possiamo individuare un ‘punto
234 La l.n. 281/1970 diede vita, come indicato, ad un sistema di finanziamento fortemente dipendente dai trasferimenti statali. Erano previsti da tale legge solo 4 tributi propri: l’imposta sulle concessioni statali di beni di demanio e del patrimonio indisponibile (art.2); la tassa sulle concessioni regionali (art. 3, poi sostituito dall’art. 4 delle l.n. 189/1990); la tassa automobilistica regionale (art. 23 d.lgs. n. 504/1992 che ha sostituito la tassa regionale di circolazione ex art. 4, l.n. 281/1970); la tassa regionale per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (art. 5). Sul punto, cfr. E. Balboni, “Governo regionale e locale”, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto Pubblico, Bologna, 1997, pp. 391 ss; F. Puzzo, Il federalismo … cit., pp. 23 e 24.
235 Lo stesso può dirsi con riferimento ai primi modelli di finanziamento delle CCAA spagnole i quali si basarono principalmente sui trasferimenti statali.
236 Cfr. G. Arachi, A. Zanardi, “La riforma del finanziamento delle regioni italiane: problemi e proposte”, in Economia
Pubblica, 2000, p. 6. Si ricorda, inoltre, che agli inizi degli anni Novanta i trasferimenti statali risultavano essere il 98%
delle risorse regionali, di cui il 94% si caratterizzava per il vincolo di destinazione.
237 A tal riguardo, cfr. F. Covino, “La ‘Costituzione finanziaria’ italiana tra federalismo fiscale e formule cooperative”, in V. Atripaldi, R. Bifulco (a cura di), Federalismi fiscali … cit., pp. 155-156. E’ possibile far coincidere l’inizio di questa nuova stagione con l’introduzione, tramite il d.lgs. n. 398/1990, di due addizionali regionali e dell’imposta regionale facoltativa sulla benzina per autotrazione.
238 Per una ricostruzione dell’evoluzione allocativa delle funzioni amministrative, cfr. C. Carruba, “L’allocazione delle funzioni amministrative dal 1948 ad oggi: il quadro costituzionale e la legislazione ordinaria. Uno sguardo alle regioni a
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di partenza’: il d.lsg. n. 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) che dispose la regionalizzazione dei contributi sanitari239. Con il suddetto decreto si attuò, per la prima volta, un meccanismo di relazione tra la finanza regionale e la capacità contributiva240. Difatti, attraverso la razionalizzazione della erogazione delle prestazioni sanitarie si tentò di ristabilire un livello di prestazioni adeguate nonché di ridurre il deficit prodotto nel corso degli anni dall’assistenza sanitaria. Accanto alle entrate regionali, il d.lsg. n. 502 prevedeva (art. 12) un’integrazione delle risorse da parte del Fondo Sanitario Nazionale (d’ora in avanti FSN) a carico del bilancio statale, il cui ammontare era annualmente determinato all’interno della legge finanziaria. La ripartizione del Fondo (art. 12.3) – in coerenza con le previsioni del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo – veniva effettuata dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (d’ora in Avanti CIPE), su proposta del Ministro della sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome.241
La seconda tappa all’interno del percorso che si sta delineando coincide con la l.n. 549/1995 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), attraverso la quale si accelerò il sopraindicato passaggio da una finanza‘derivata’ ad una finanza ‘decentrata’. A tal fine, vennero soppressi, ad eccezione del FSN, tutti i fondi storici di trasferimento, tanto quelli a destinazione ‘libera’ come il Fondo per i Programmi Regionali di Sviluppo (FESR), quanto quelli a destinazione ‘vincolata’ come il Fondo Nazionale per i Trasporti. Tali fondi vennero sostituiti (art. 3, l.n. 549/1995) dalla istituzione di un Fondo Perequativo come anche dalla compartecipazione regionale all’accisa sulle benzine242. Nondimeno, i nuovi trasferimenti perequativi, derivanti da tale Fondo, avrebbero continuato ad alimentare la dipendenza regionale dalle scelte annuali del bilancio dello Stato proprio perché modificabili tramite legge ordinaria.
Statuto speciale”, in L. Mezzetti (a cura di), La Costituzione delle Autonomie, Napoli, 2004; A. Barbera, L. Califano, “Dall’attuazione dell’ordinamento regionale ai progetti di riforma del Titolo V della Costituzione”, in A. Barbera, L. Califano (a cura di), Saggi e materiali di diritto regionale, Rimini, 1997; L. Paladin, “Il trasferimento delle funzioni statali alle regioni di diritto comune”, in Diritto Regionale, Padova, 2000; T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, “Le funzioni amministrative”, in Lineamenti di Diritto regionale, Milano, 2002; A. Pajno, “L’attuazione del federalismo amministrativo”, in Le Regioni, fasc. 4, 2001.
239 Art. 2 d. lsg. 592/1992: “Spettano alle regioni e alle province autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera”.
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Per capacità contributiva si intende la “disponibilità delle risorse necessarie per sostenere il pagamento dei tributi. Secondo la nostra Costituzione, ogni imposta deve sempre essere commisurata alla capacità contributiva del cittadino” (art. 53 Cost). Cfr. Agenzia delle Entrate, Il linguaggio del fisco. Dizionario pratico dei termini tributari, disponibile su http://www.agenziaentrate.it/documentazione/guide/linguaggio_fisco.pdf., p. 13.
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Cfr. F. Balassone, D. Franco, Il federalismo fiscale e il patto di stabilità e crescita: una convivenza difficile, Servizio Studi banca d’Italia, 1999.
242 Si ricorda, inoltre, l’istituzione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi e la tassa per il diritto allo studio universitario.
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Rilevanti cambiamenti, in seguito, si avvertirono con la l.n. 662/1996243 e con l’emanazione del d.lgs. n. 446/1997 che, da un lato, introducevano l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive (IRAP)244 nonché l’addizionale sull’Imposta sul Reddito delle persone fisiche (IRPEF)245 e, dall’altro, abolivano i contributi sanitari ed altri tributi locali e nazionali246.
L’introduzione dell’IRAP risultò particolarmente importante poiché modificò il finanziamento della sanità ed in particolare del Servizio Sanitario Nazionale (d’ora in avanti SSN) che, a partire dal gennaio del 1999, cominciò ad alimentarsi tramite tale imposta e non più per il tramite dei contributi sanitari. Secondo quanto disposto dal d.lsg. n. 446/1997247, difatti, le regioni avrebbero dovuto destinare al finanziamento della sanità il 90% dei proventi dell’IRAP, come anche le entrate derivanti dall’addizionale sull’IRPEF. Tali ricavi sarebbero poi dovuti confluire nel FSN il quale sarebbe stato ripartito annualmente previa delibera del CIPE, su proposta del Ministro della sanità e sentita la Conferenza Stato-regioni248.
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Tale legge conteneva, tra le altre cose, “la delega per la riforma del sistema tributario, orientata in direzione del decentramento del prelievo tributario in favore dei soggetti istituzionali periferici nella prospettiva del regionalismo/federalismo”. La riforma appariva connessa, inoltre, “agli impegni di stabilità economica e finanziaria assunti dall’Italia mediante la ratifica del Trattato di Maastricht nel febbraio del 1992, finalizzati alla piena partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea in vista dell’allora costituenda Unione Monetaria”, cfr. F. Puzzo, Il federalismo … cit., p. 48, nota 19.
244 Sull’introduzione dell’IRAP, cfr. M. Orlando, “Cenni sul (quasi) federalismo fiscale: la riforma ‘Visco’”, in T. Groppi (a cura di), Principio di autonomia e forma di Stato, Torino, 1998; M. Maré, A. Caraffa, “L’IRAP: la natura e la struttura del tributo”, in Le istituzioni del federalismo, n. 3, 1999; M. Maré, G. Vitaletti, “L’imposizione indiretta: evoluzione e riordino strutturale”, in La finanza pubblica italiana. Rapporto 95, Bologna, 1995; G. Ielo, “L’imposta regionale sulle attività produttive”, in La finanza locale, n. 6, 1997.
245 Le ‘addizionali’ all’IRPEF sono delle “Imposte dovute dalle persone fisiche e determinate mediante applicazione di un’aliquota fissa al reddito assoggettato ad IRPEF. Le addizionali sono destinate alla Regione (addizionale regionale) e al comune di domicilio fiscale (addizionale comunale). Per i lavoratori dipendenti ed i soggetti a loro assimilati il prelievo delle addizionali è effettuato dal sostituto d'imposta, per gli altri contribuenti è determinato e versato in sede di dichiarazione dei redditi. Per l'anno 2001, l’aliquota dell’addizionale regionale è stata stabilita nella misura dello 0,9% per tutto il territorio nazionale; per gli anni successivi può essere elevata dalla Regione fino all’1,4%. L’addizionale comunale all’IRPEF, invece, è articolata in due aliquote distinte: una, di compartecipazione (fissata con decreti del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro dell’Interno, da emanarsi entro il 15 dicembre dell’anno precedente a quello cui l’addizionale comunale si riferisce) ed uguale per tutti i comuni; un’altra, variabile da Comune a Comune, in quanto rimessa alla discrezione dell’ente che può istituirla, con proprio provvedimento, entro la percentuale massima dello 0,5%”. Cfr. Agenzia delle Entrate, Il linguaggio del fisco cit., p. 5.
246 L’introduzione delle sopraindicate imposte determinò l’abolizione dei contributi per il Servizio Sanitario Nazionale; l’Imposta locale sui redditi (ILOR); l’imposta sul patrimonio netto delle imprese; la tassa di concessione governativa sulla partita IVA; l’imposta comunale per l’esercizio delle imprese, arti e professioni (ICIAP); le tasse di concessione comunale.
247 Recante ‘Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali’.
248 Cfr. F. Puzzo, Il federalismo … cit. A tal riguardo, l’autore sostiene che il legislatore statale “si era, quindi, orientato nella direzione di considerare il sistema sanitario nazionale come un servizio il cui finanziamento incide sulla fiscalità generale e non solo sul beneficiario del servizio medesimo, collegandolo alla capacità contributiva a prescindere da chi effettivamente lo utilizzi e, allontanandosi, dunque, sia dalla teoria del principio del beneficio correlato ad una controprestazione, sia dalla ratio su cui poggiava il decentramento regionale del servizio sanitario, che s’ispirava ad una sorta di responsabilizzazione del personale politico regionale”, pp. 50-51. Sul punto, cfr., inoltre, G. Tremonti, G. Vitaletti, Il federalsimo fiscale, Bari, 1994.
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Come evidenziato da parte della dottrina, tale filosofia impositiva dell’IRAP si è dimostrata contraddittoria sotto diversi aspetti. L’incoerenza, in particolare, veniva riscontrata nella strutturazione dell’imposta su base regionale; strutturazione che, di fatto, si scontrava con la pretesa di fiscalizzare i contributi sanitari secondo l’assunto che la sanità sia una bene nazionale. Detto in altri termini, il carattere di imposta sulle imprese e sul lavoro autonomo rendeva l’IRAP non sufficientemente idonea a supportare il finanziamento dei servizi sanitari i quali risultano essere un servizio a consumo individuale249. Può pertanto affermarsi che, nell’indicato passaggio da una finanza regionale fortemente derivata ad un sistema di autonomia, la fiscalizzazione dei contributi sanitari si è posta in contrapposizione con la stessa ratio che avrebbe dovuto sostenere l’intera impalcatura della regionalizzazione del SSN. Rimanendo, così, irrisolta la contraddizione tra il modello centralistico di gestione della sanità e l’attribuzione della sua amministrazione e del suo finanziamento alle regioni.
1.2. L’evoluzione normativa del decentramento fiscale. La liberalizzazione della