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A questo punto risulta chiaro come la storia dell’Opificio Vaccari con il suo contesto meriti di essere raccontata e sia degno di essere musealizzato quel che oggi ne resta. Guardando le dinamiche dell’attività svolta da questo opificio di fine Ottocento e osservando tutti i suoi aspetti, sia quelli propriamente produttivi, sia quelli sociali e anche, non ultimi, quelli artistici, si può facilmente notare come le sue radici affondino in modalità che sono tipiche anche del mondo antico.

Perciò, se l’obiettivo primario di questo museo è la valorizzazione della storia e dei prodotti Vaccari, con tutti i fattori afferenti all’archeologia industriale, può essere interessante creare un legame in continuum con il tema della produzione di manufatti per l’edilizia nell’antichità, presente e documentata in questo stesso territorio.

Questa possibilità amplia la prospettiva per questo museo che, pur differenziandosi da un museo archeologico tradizionale o esposizione di prevalente valore artistico, sia incentrato sulla cultura materiale dell’uomo e individui un uso attivo del reperto industriale, inserendolo nel generale processo di evoluzione della produzione laterizia e ceramica. Si darà così voce a quello che è il moderno approccio archeologico: delineare panorami sociali ed economici attraverso lo studio e l’analisi dei materiali, intesi come segni del passato, qualunque essi siano, anche quelli che agli occhi di un non addetto ai lavori possono sembrare marginali, proprio come i laterizi che spesso non sono presenti nelle esposizioni o comunque non hanno uno spazio esclusivo. Per quanto riguarda l’ambito strettamente archeologico, sul territorio spezzino sono già presenti due realtà museali importanti che ospitano collezioni ceramiche: il Museo archeologico del Castello di San Giorgio di La Spezia e l’area Archeologica dell’antica città romana di Luni36.

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Il Museo del Castello di San Giorgio è nato alla fine del 1800 per ospitare i reperti zoologici ed archeologici provenienti dagli scavi dei bacini e delle darsene dell’Arsenale Militare di La Spezia e si è arricchito negli anni grazie a numerose donazioni, mentre l’area archeologica della città romana di Luni conserva nel suo museo il copioso materiale proveniente dagli scavi degli ultimi trent’anni e comprende i resti della colonia romana.

L’offerta museale del territorio può essere integrata con la creazione di uno spazio espositivo che può rappresentare un unicum, attraverso una narrazione logica che presenti e metta in evidenza la vocazione artigianale, produttiva e di sfruttamento delle risorse permettendo di riconoscere come le la produzione laterizia e ceramica per l’edilizia affondi le proprie radici nel mondo antico. Questa è la mission del nostro museo: rendere evidente quanto forti ed imprescindibili siano i legami tra passato e presente, tra i gesti di un tempo e la produzione moderna e quanto questi gesti siano stati importanti per la nostra civiltà, mettendo al centro l’uomo, non necessariamente il creatore di capolavori ma anche il più semplice degli artigiani.

Questo luogo parla un’antica lingua che è nostro compito rendere comprensibile a tutti. Per far ciò può essere utile iniziare il percorso con una parte più prettamente archeologica, propedeutica alla presentazione della collezione Vaccari, ponendo l’accento sui metodi produttivi antichi con un breve excursus del lungo viaggio che l’uomo, con le sue mani, ha fatto percorrere all’argilla per i suoi progetti costruttivi. Lo scorcio offerto, intenzionalmente limitato agli aspetti più evidenti di correlazione fra antico e non, invita a riflettere sull’importanza, già per il mondo antico, di individuare gli elementi essenziali per l’impianto e lo sviluppo di un’attività produttiva del genere, come la vicinanza al bacino argillifero, ad un corso d’acqua e alla presenza di infrastrutture commerciali, aspetti facilmente comprensibili e paragonabili. Così facendo si intende far prendere coscienza al visitatore che l’attività svolta fino al secolo scorso negli stabilimenti Vaccari viene ad inserirsi a pieno titolo nella storia della produzione ceramica edile, nobilitando il lavoro delle migliaia di persone che vi hanno prestato la loro opera.

Questo tipo di approccio favorisce l’incontro con gli utenti, suscita interesse e garantisce una maggiore attrattività del museo. Indagini sul campo infatti hanno dimostrato che la sensazione di inadeguatezza culturale rappresenta una barriera spesso sottovalutata che provoca un vero e proprio disagio psicologico scoraggiando il visitatore potenziale dal conoscere o dall’ entrare in contatto col museo, per il timore

di non essere in grado di comprenderne l’offerta e il contenuto.37

Il percorso si articolerà in due parti distinte e consequenziali. La prima parte, più strettamente archeologica, sarà presentata in costante rapporto con la seconda, più vicina ai nostri giorni, in modo che quest’ultima ne diventi la logica continuazione, trasformando il racconto museale in un unico ed indivisibile viaggio attraverso il mondo della produzione laterizia e ceramica edile.

Il punto di partenza sarà rappresentato dalle origini della produzione laterizia che come è noto, per quanto riguarda il mondo occidentale, risalgono ad età preromana. Le prime attestazioni di produzione laterizia sono infatti degli inizi del III secolo a.C. e sono legate alla cultura ellenistica. Ciò si osserva ad esempio negli alzati di Velia, città magno greca fondata dai Focei, ed anche nei manufatti del territorio romanizzato della Cisalpina, dove la scarsità di pietre e l’abbondanza di materiale argilloso favorì

l’uso di mattoni per alzati ben prima che nell’Urbe38. A Roma infatti lungo tutta la fase

storica repubblicana (III-I secolo a.C.) per le strutture degli elevati nell’edilizia abitativa

si utilizzavano il laterizio crudo39 e i materiali lapidei nei vari opus murari

dell’architettura pubblica. La produzione del laterizio cotto in fornace si limitava solamente a tegole e coppi di copertura o a elementi impiegati nelle suspensurae dei bagni privati e delle terme e solo a partire dal I secolo d.C. si affermerà per il materiale

da costruzione, diventando la cifra costruttiva dell’architettura di epoca imperiale40.

L’attenzione verrà posta quindi sul tipico mattone romano di configurazione quadrata, le cui dimensioni sono multipli o sottomultipli del piede romano che ne determina la

37 CATALDO L., PARAVENTI M. 2007, p. 281. 38

ACOCELLA A. 2012, p.4. 39

I cosiddetti mattoni Lidium citati e descritti sia da Vitruvio che da Plinio nelle loro opere, fatti di argilla frammista spesso a paglia e semplicemente essiccata al sole (Vitr., De Archit., II,8,9; Plin., Nat.Hist. XXXV, 170-173).

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sua stessa denominazione. Il modello da cui tale mattone trae origine è da rintracciare nella grande tegola da tetto, piatta e di ampia superficie, con la quale è facile comparare l’esiguità di spessore dei mattoni romani.

L’opus testaceum inizialmente veniva utilizzato come sistema costruttivo con funzione strutturale, rimanendo spesso obliterato da superfici estetizzanti, stucchi, affreschi, pietre e marmi. Con Traiano e la costruzione dei suoi mercati, l’opus testaceum lasciato a vista diventerà uno stile architettonico sdoganando Roma dalla tradizione architettonica greca durante il II secolo d.C.

Soffermandosi sulla produzione romana sarà possibile creare il collegamento con la produzione industriale, sottolineando come con l’avanzare dell’età imperiale la produzione dei laterizi assunse i caratteri di una vera e propria industria specializzata per qualità, quantità e varietà di tipologie di prodotti.

Con l’esposizione di alcuni reperti bollati si porrà poi l’accento su come, grazie alla consuetudine di imprimere bolli di fabbrica, soprattutto sui tipi più grandi di laterizi, identificativi del proprietario degli stabilimenti di produzione unitamente al nome della fornace, sia possibile seguire in qualche modo l’evoluzione di questa industria.

Il nostro racconto parlerà delle tecniche di bollatura e delle informazioni che esse

hanno trasmesso41. Questo ci darà la possibilità di approfondire anche il tema della

gestione privata e pubblica delle fornaci, delle maestranze, delle condizioni di lavoro e di aspetti sociali come ad esempio dei villaggi operai che spesso sorgevano nei pressi

delle fornaci, come è stato ipotizzato anche per la fornace di Massa42 e proprio come è

avvenuto a Ponzano Ceramica.

Per illustrare lo svolgimento delle attività negli impianti produttivi antichi sarà presentata la ricostruzione virtuale di una fornace: sarà utile come trait d’union per la spiegazione del ciclo produttivo della moderna Ceramica Vaccari e ci permetterà anche di parlare delle maestranze e delle loro condizioni di lavoro e di vita che il visitatore sarà invitato a comparare con quelle presentate nella sala successiva.

Il discorso archeologico in senso stretto si concluderà con una sezione dedicata al Medioevo, periodo che vede sfiorire l’attività quasi industriale dell’epoca antica, da cui

41 BLOCH H. 1968, p.108. 42

ereditò un patrimonio monumentale di proporzioni gigantesche. Alcuni edifici furono utilizzati con le loro specifiche funzioni, altri trasformati ad esempio in chiese, ma molti complessi architettonici, lasciati andare in rovina, diventarono cave di materiale edilizio a cielo aperto da cui attingere elementi per le nuove costruzioni. La produzione di mattoni quasi cessò, sopravvivendo in rari laboratori artigianali, spesso legati alla

presenza di cantieri di monasteri, e riprese solo a partire dal XII secolo43 .

D’altro lato il Medioevo segna anche grandi cambiamenti nella produzione ceramica. Oltre alla doppia cottura, l’influenza del mondo bizantino e islamico introdusse in edilizia le tecniche dell’ingobbio sotto vetrina e della smaltatura per la realizzazione di particolari laterizi rivestiti, usati nella decorazione degli edifici in contesti privilegiati, soprattutto ecclesiastici. Nella Liguria del XIV secolo le testimonianze d’uso di queste piastrelle, che venivano denominate “laggioni”, costituiscono uno dei gruppi più considerevoli a livello italiano per numero di attestazioni e continuità di utilizzo44. Infatti durante il XIV secolo, dopo le prime importazioni dalla Spagna l’imitazione di questa tipologia si sviluppò nelle botteghe locali dove gli artigiani erano in grado di realizzare prodotti simili essendo ormai affermato, con la produzione regionale di

maiolica arcaica, l’impiego di vetrine stannifere45.

L’uso, come è noto, era riservato agli edifici elitari, soprattutto religiosi ma anche privati; venivano utilizzati per ricoprire superfici ampie, sia pavimentali che parietali o anche come semplici inserti decorativi in aree ridotte quali i davanzali delle finestre. Per quanto riguarda l’inserimento delle testimonianze archeologiche concrete è risultato naturale guardarsi intorno e cogliere le evidenze sul territorio valutandone la disponibilità. Di grande rilevanza è risultata la Fornace di Massa, fornace romana attiva tra il II e il I secolo a.C. che, grazie a scavi e a studi condotti tra il 2011 ed il 2012 dalla società SeArch di Pisa, sotto la direzione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, ha riportato alla luce uno spaccato delle tecniche lavorative e dei

prodotti di epoca repubblicana. Ad essa sarà ispirata la ricostruzione virtuale di

43 AUGENTI A. 2016, p.46.

44 GELICHI S., NEPOTI S. 1999, pp.49-61. 45

un’antica fornace che si intende inserire all’interno del percorso per offrire un agevole apprendimento delle fasi produttive.

Si sono poi presi in considerazione i principali luoghi di interesse archeologico della provincia della Spezia: oltre la già citata Luni, la Villa marittima romana di Bocca di Magra (I secolo a.C.- IV secolo d.C.), nel limitrofo Comune di Ameglia, la villa del Varignano Vecchio nel Comune di Portovenere, esempio di modello architettonico produttivo dove convivono la pars urbana e la pars rustica (II secolo a.C.- I secolo d.C.)

e il sito medievale del Castello della Brina nel Comune di Sarzana46. Da tali contesti è

emersa la disponibilità di piccoli nuclei di ceramiche che possono utilmente essere inseriti all’interno del museo per dare completezza al percorso espositivo. Anche il Museo del Castello di S. Giorgio ha messo a disposizione una piccola parte della Collezione Privata Fabbricotti. Tali materiali non fanno ancora parte, per motivi diversi, di nessuno degli allestimenti museali presenti nella provincia.

L’opportunità di attingere materiale da tutti questi nuclei offre la possibilità di creare

un’esposizione per campioni tipologici.47

L’esposizione potrà essere inoltre integrata con riproduzioni, copie o proiezioni di immagini ugualmente esaustivi per la mission del museo, che è quella di meglio illustrare ed evidenziare l’importanza della produzione laterizia in tutti i suoi aspetti. La collocazione di questi reperti risulta essere un valore aggiunto per il museo che avrebbe così un forte legame non soltanto con l’ex opificio Vaccari ed il territorio circostante, ma anche con tutta la provincia.

In effetti è ragionevole pensare che fra quella parte dei nuclei a nostra disposizione che non è ancora stata studiata o è in fase di studio, siano presenti materiali di produzione locale, soprattutto per quanto riguarda i manufatti relativi all’edilizia. Ad esempio se da una lato il ritrovamento nel contesto della Villa del Varignano di due frammenti di bollo laterizio, della figlina romana di Q. Asinius Marcellus, consul suffectus del 123 d.C. testimonia i rifornimenti marittimi della villa48, dall’altro tegole e

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Per ulteriori informazioni riguardo la Villa di Bocca di Magra si veda FROVA A. 1976, MAZZONI A. 1959, per la Villa del Varignano Vecchio si veda GERVASINI L. 1998, BERTINO M.L., 2001, per il Castello della Brina si veda BALDASSARRI M., FRONDONI A., MILANESE M. 2008.

47 Cfr. Cap. 4.4. 48

mattoni della “cisterna contecta” afferente alla domus dovettero essere, secondo A.

Bertino, prodotti in una fornace locale49.

Inoltre anche i prodotti della manifattura di Massa dovevano essere destinati in primis soprattutto alle esigenze urbane e territoriali della colonia di Luni che si trovava nei

suoi primidecenni di vita50.Fra i prodotti vi erano anfore, dolia, e soprattutto materiali

per l’edilizia anche specializzati tra cui tegole, coppi, mattoni e tubuli impiegati negli

edifici termali, in particolare per la costruzione di ambienti riscaldati51.

Questa presenza sul territorio non esclude l’esistenza di altre fornaci sebbene, ad oggi non siano state ritrovate.

A supporto di questa ipotesi vi è l’esistenza stessa del bacino argillifero situato in località Palanceda a Ponzano Ceramica, la cui consistenza qualitativa e quantitativa rende molto verosimile la possibilità che anche in antico sia stato utilizzato per la produzione di ceramiche locali; a questo proposito si segnala come la particolare finezza di alcuni reperti di ceramica comune da mensa ritrovati nel sito medievale del Castello della Brina a pochi chilometri di distanza da S. Stefano, avallerebbe la suggestiva ipotesi dell’utilizzo di questa pregiata argilla, anche in mancanza di dati

archeometrici e fonti testuali52.

Purtroppo lo sfruttamento intensivo del secolo scorso e la costruzione della fabbrica stessa hanno obliterato ogni eventuale segno del passato.

Questo tuffo nella storia della produzione antica permetterà al visitatore di apprezzare maggiormente la collezione Vaccari, che infine verrà presentata beneficiando della consapevolezza di come la conoscenza e la trasmissione di questo “saper fare” siano state importanti per la nostra civiltà.

Attualmente negli ambienti del padiglione “ex Calibratura” che - come già detto- sono utilizzati come auditorium, è presente una raccolta di materiali eterogenei istituita dal Comune di Santo Stefano Magra, già in parte allestita in forma espositiva con la denominazione “Archivio per una storia del lavoro in Val di Magra” riguardante

49 BERTINO A. 1976, p.68. 50 FABIANI F., PARIBENI E. 2016, p.95. 51 Ivi p.84. 52

Trasmissione o orale da parte del Dott. M. Giannoni.

l’attività della fabbrica tra il 1880 e il 1972. I documenti e i materiali esposti provengono da sette fondi diversi.

Il più importante è il Fondo Ceramica Ligure Vaccari di Ponzano, costituito da documenti materiali, macchinari e parti di macchinari, mattonelle di serie e provinature, coloranti, argille, feldspati etc.

Molto ampia è la varietà dei materiali presenti: laterizi, grès smaltati e mosaici; oltre ai prodotti fanno parte del fondo archivistico anche macchinari e strumenti.

Allo stesso Fondo appartengono inoltre documenti cartacei suddivisi tra quelli relativi all’ufficio tecnico (disegni per la modifica dei macchinari, per la realizzazione di impianti, forni, magazzini, mappe catastali, planimetrie, depliants, riviste tecniche e corrispondenza varia), allo stabilimento (libri matricola, atti notarili, piani di fattibilità tecnico economica) e al laboratorio chimico. Quest’ultimo offre interessanti testimonianze consistenti in prove tecniche di produzione che coprono l’attività dello stabilimento dal 1920 al 1972. Sono presenti quaderni e registri con ricette e formule per la realizzazione di produzioni ceramiche in grès rosso, grès porcellanato, smaltato, in diversi formati, spesso accompagnati da prove tecniche classificate, da provinature e da commenti relativi alle rese, cali dimensionali, programmazione delle scorte per la messa in produzione. Nel bancone in uso sono ancor disponibili numerose qualità di argille, feldspati, caolini, coloranti metallici, utilizzati abitualmente nei test di pre-

produzione53. Questo Fondo costituisce la base della collezione Vaccari, che viene

integrata ed arricchita dalla presenza di altri sei fondi costituitisi nel tempo grazie al contributo di persone legate alla storia della fabbrica, che hanno donato materiali e documenti storici, in parte ancora da inventariare.

Il Fondo consiglio di fabbrica Ceramica Vaccari è costituito da documenti politici, volantini, vertenze sindacali, verbali di riunioni ed assemblee, votazioni degli organi di rappresentanza etc.

Il Fondo Comune di S. Stefano di Magra è costituito da documenti materiali, piastrelle, stampe e foto d’epoca, disegni di macchinari, planimetrie, mobili costruiti dalle maestranze, coloranti, terre. Questo materiale è stato recuperato al termine dei lavori

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di sgombero del materiale destinato alla discarica e salvati dalla distruzione da alcuni funzionari dell’amministrazione comunale.

Il Fondo Collezione Luciano Costa consiste nella serie completa dei depliant pubblicitari ed illustrativi dei prodotti Vaccari, dal 1914 al 1972, listini e prezziari, donato dall’ex dipendente dell’ufficio commerciale della Ceramica Vaccari Luciano Costa.

Il Fondo Collezione Eredi Gino Triglia è costituito da 189 disegni a tempera, guazzi, disegni ad olio, a carboncino, schizzi preparatori di pannelli ceramici realizzati dall’autore che ha collaborato lungamente all’attività artistica della fabbrica. Di particolare interesse dal punto di vista ceramico, è l’allestimento di un’antica barberia e della farmacia dell’ospedale di Sarzana, nonché di numerose attività commerciali della Liguria, in particolare Lerici e Portovenere.

Il Fondo Collezione Giancarlo Pietra è costituito dalla serie originale delle norme UNI relative alla produzione delle piastrelle grès rosso, smaltato e porcellanato realizzate dalla commissione tecnica ministeriale di cui Giancarlo Pietra era referente.

Infine il Fondo collezione Mario Giannoni, che consiste in pubblicazioni di stampa locale, negativi fotografici, diapositive, stampe in bianco e nero e a colori, e audio

registrazioni di interviste con ex dipendenti della Vaccari. 54

Sebbene non tutto il materiale sia stato ancora inventariato e catalogato e una parte si trovi giacente in magazzino, la consistenza del corpus disponibile risulta molto cospicua.

La soluzione espositiva attuale si articola in tre grandi box lignei su ruote, di forma cubica, aperti anteriormente ma protetti da un parapetto metallico poco invasivo ed illuminati da un sistema di faretti a binario applicati alla parte sommitale. All’interno, i materiali sono disposti su supporti e piani di appoggio dell’epoca, quali tavoli da lavoro e cavalletti (Fig.18).

Le strutture sono corredate da grandi pannellature con testi che illustrano il contenuto, serigrafati direttamente sulle pareti interne ed esterne. I macchinari sono invece esposti in modo isolato, presentati da una breve didascalia (Fig.19)

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Nel complesso l’allestimento non risulta soddisfacente, poiché l’auditorium non è aperto al pubblico ma viene reso accessibile solo in occasione di manifestazioni, inoltre i materiali e le macchine risultano slegati tra loro, in quanto non inseriti in un percorso espositivo articolato in maniera corretta.

Molto lavoro è stato già svolto tuttavia è evidente come alla base non ci sia stata una vera musealizzazione ma solo la volontà di rispolverare e conservare la memoria degli oggetti.

Inoltre le manifestazioni organizzate all’interno dell’auditorium se da un lato rendono possibile l’accesso al pubblico, dall’altro rischiano di adombrare la collezione anziché valorizzarla, soprattutto in alcuni casi, come l’allestimento di mostre fotografiche ed artistiche in genere che prevedono l’installazione di pannellature ed altre strutture portanti (Fig.20).

È quindi indispensabile creare uno spazio dedicato esclusivamente al grande patrimonio Vaccari dove trasferire sia i macchinari che i materiali, inserendoli nella loro naturale collocazione: lungo il racconto della storia della produzione ceramica.

Figura 19. S. Stefano Magra, Auditorium Vaccari, l’attuale allestimento. (Foto d. A)

Figura 20. S. Stefano Magra, Auditorium Vaccari, mostra fotografica “Artensile” tenuta il 15 Ottobre 2016. (Foto di Yuri Galantini)

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