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STRATEGIE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE VERSO UNA PROSPETTIVA DI STUDIO DEL BENESSERE

3.2. Verso una Psicologia Positiva

Il concetto di benessere organizzativo è profondamente mutato nel corso del tempo, le prime analisi sul tema si sono essenzialmente concentrate sulla nozione di “assenza di malessere”, l’obiettivo da raggiungere era quello di migliorare la sicurezza delle condizioni lavorative per ridurre il rischio di infortuni, l’attenzione era dunque concentrata sull’individuo e l’intervento era orientato verso la prevenzione del danno fisico (Minelli, Morucci, Dominijanni, Cocchi, 2009).

Successivamente, in linea anche con le indicazioni dell’OMS per cui la salute è definita come “stato di benessere fisico, psicologico e sociale”, si è passati ad un interesse verso condizioni non solo fisiche, ma anche mentali del lavoratore. Il benessere organizzativo oggi è inteso come un costrutto multidimensionale definito

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come “la capacità dell'organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori” (De Carlo, 2006) “e nel contempo di incrementare la qualità dei servizi resi dall'organizzazione, nella prospettiva della soddisfazione degli utenti” (De Carlo, 2009).

Nel tempo inoltre è cambiato il modo di approcciarsi al tema del lavoro e del benessere organizzativo da parte soprattutto degli psicologi che hanno spostato il focus della loro attenzione da un’idea di lavoro visto come faticoso, debilitante, caratterizzato solitamente da richieste troppo elevate rispetto alle reali capacità e risorse del lavoratore di farvi fronte, all’idea che il lavoro, oltre ad essere insito di questi rischi, può esser visto anche come fonte di soddisfazione, di risorse e di energie positive. Si è passati dunque dalla concezione dell’attività lavorativa vista come potenziale fattore di rischio per il benessere psicofisico dell’individuo, in cui si focalizzava l’attenzione sui possibili fattori stressogeni presenti nell’attività lavorativa, a una visione più positiva del lavoro, concentrata sulla necessità di comprendere le condizioni che determinano il benessere del lavoratore, piuttosto che il suo stato di malessere (Sarchielli, 2008).

La psicologia sociale del lavoro e delle organizzazioni nello studio del benessere organizzativo è passata infatti da una prospettiva centrata sul “malessere” ad una di tipo “salutogenica”, proponendo un approccio non più solo centrato sull’individuazione dei fattori che concorrono al “malessere organizzativo” (ad esempio fattori di Stress Lavoro Correlato o il burnout), ma spostando il focus sul tentativo di cogliere quelle caratteristiche positive che possono permettere ad individui, comunità e società di crescere e migliorare (Sheldon, Frederickson, Rathunde, Csikszentmihalyi e Haidt, 2000). Si è iniziato dunque ad utilizzare il concetto di benessere organizzativo per indicare uno stato organizzativo positivo non caratterizzato soltanto da assenza di malessere.

Il benessere organizzativo viene infatti definito da Avallone e Paplomatas (2005) come “l’insieme dei nuclei culturali, dei processi e delle pratiche organizzative che animano la convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando il benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità

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lavorative”.

Si assiste pertanto al passaggio dalla focalizzazione sul disagio e sulla devianza al pensiero positivo, dalla preoccupazione di curare i sintomi alla promozione delle potenzialità, mettendo in evidenza come il lavoratore, anche se coinvolto in situazioni particolarmente stressanti, può far leva sulle sue risorse e sugli aspetti positivi del lavoro, mirando a raggiungere il suo benessere fisiologico, psicologico e sociale. Questa attenzione sulle potenzialità del lavoratore, piuttosto che sulle sue debolezze o disfunzioni rientra in quel movimento più generale definito “psicologia positiva”.

La “psicologia positiva” ha come scopo principale lo studio e l’applicazione di un nuovo paradigma orientato al potenziamento di competenze e capacità psicologiche per migliorare la qualità della vita delle persone (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000), negli ultimi anni ha posto al centro dei suoi interessi di ricerca gli stati positivi e le dimensioni psicologiche che possono essere misurate, sviluppate ed efficacemente gestite per migliorare la performance all’interno delle organizzazioni (Pisanti, Paplomatas, Bertin, 2008). Si è approdati dunque verso un approccio che si preoccupa di studiare le caratteristiche e i predittori del buon funzionamento psicologico delle persone e delle risorse che esse avrebbero a disposizione per affrontare le numerose esperienze stressanti della vita quotidiana, cercando dunque di mettere in evidenza quelli che sono gli aspetti positivi dell’esperienza lavorativa. Col tempo si è compreso che il normale funzionamento dell’individuo non può essere spiegato facendo riferimento soltanto agli aspetti negativi, ma per avere una visione più esaustiva, bisogna concentrarsi anche sugli aspetti positivi, così come lo studio della loro interazione (Sheldon e King, 2001). All’interno di questa prospettiva il concetto di “work engagement”, ovvero il coinvolgimento nel lavoro sta assumendo un ruolo fondamentale.

70 3.3. Il Work Engagement

Il costrutto di “work engagement” è stato definito per la prima volta in uno studio etnografico di Kahn (1990) come il grado di identificazione dei membri di un’organizzazione con il proprio ruolo.

Secondo Kahn grazie all’engagement le persone si impegnano fisicamente, cognitivamente e emotivamente durante le proprie performance lavorative, proprio in virtù del loro elevato grado di identificazione.

Ispirato dal lavoro di Kahn, Rothbard (2001) definisce l’engagement come un costrutto motivazionale bidimensionale che include “attenzione”, intesa come disponibilità cognitiva e tempo investito pensando al proprio ruolo e “assorbimento”, ossia intensità della concentrazione dedicata al proprio ruolo.

In letteratura, la concezione di engagement ad oggi più accreditata è quella di Schaufeli, Salanova, Gonzales-Roma & Bakker (2002), che definiscono il concetto di “work engagement” come una condizione psicologica associata al lavoro, positiva e soddisfacente, caratterizzata da vigore, dedizione e assorbimento.

Tali autori sottolineano in seguito come il work engagement non si riferisce ad una condizione specifica e momentanea, ma ad uno stato cognitivo-affettivo persistente nel tempo e non focalizzato esclusivamente su un oggetto, un evento o una situazione particolare (Schaufeli, Salanova, Gonzales-Roma, & Bakker, 2006).

Il vigore “vigor” rappresenta la componente energetica del work engagement e si contraddistingue per alti livelli di energia da investire nel proprio lavoro, elevata resilienza e perseveranza nel portare a termine i propri compiti, anche se questo implica il superamento di particolari avversità e sfide lavorative. Spesso il concetto di vigore viene associato a quello di motivazione intrinseca al lavoro, in quanto quest’ultima, così come il vigore, comporta un piacere e una soddisfazione per lo svolgimento della propria attività lavorativa, che va oltre a quelli che sono i guadagni materiali legati al lavoro.

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La dedizione “dedication” rappresenta invece la componente emotiva del work engagement, è caratterizzata da un elevato coinvolgimento emotivo nel proprio lavoro, unito alla manifestazione di un sentimento di entusiasmo, orgoglio, abnegazione e devozione per la professione svolta. La dedizione condivide alcune somiglianze concettuali con il più tradizionale concetto di job involvment (o job commitment), definibile come il grado in cui un lavoratore si lega psicologicamente al proprio lavoro ed alla propria organizzazione. Sia la dedizione che il job involvment sono visti come fenomeni relativamente stabili e la differenza tra i due concetti non è stata finora chiaramente spiegata. Il concetto di dedizione sembra rappresentare un fenomeno più ampio del job involvment, poiché, il primo include sentimenti di entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida, mentre il secondo si focalizza soltanto sull’importanza psicologica di una professione nella vita del lavoratore.

Infine, l’assorbimento “absorption” rappresenta la componente cognitiva del work engagement e fa riferimento all’essere pienamente concentrati e assorti nel proprio lavoro, tanto da riscontrare una certa incapacità nel distaccarsi da esso. I lavoratori con alti livelli di assorbimento hanno difficoltà ad interrompere il lavoro svolto per l’elevata concentrazione ed impegno sperimentati, essi nonostante provino al termine della giornata lavorativa stanchezza, sia a livello fisico che mentale, tendono a descrivere questa sensazione come piacevole in quanto associata ad un forte sentimento di realizzazione personale. Il concetto di assorbimento richiama invece il costrutto di flusso “flow”, esso è stato definito come uno stato mentale in cui le persone sono coinvolte in un’attività così intensamente che nient’altro sembra loro importare.

Il work engagement può essere inoltre interpretato come “l’essere imbrigliati nel proprio lavoro da parte dei membri dell’organizzazione” (Bakker, 2011). Nonostante ci siano molte definizioni utilizzate per spiegare l’engagement, la maggioranza degli studiosi concorda sul fatto che tale costrutto indichi alti livelli di energia e una profonda identificazione con il proprio lavoro.16

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Il work engagement è spesso considerato in letteratura come l’opposto del burnout (Schaufeli, Dijkstra, Borgogni, 2012), gli stessi Maslach e Leiter (2000) considerano il burnout e l’engagement come poli opposti di uno stesso continuum, mentre il work engagement genera nel lavoratore benessere, efficacia ed energie, il burnout provoca malessere, inefficacia e sfinimento. L’esaurimento emotivo e il cinismo – due dimensioni centrali nella sindrome del burnout – si rivelano concettualmente opposte al vigore e alla dedizioni tipici dell’engagement. Nel passaggio da un polo all’altro del continuum tra engagement e burnout sembra che l’energia tipica dell’engagement si trasformi in esaurimento emotivo, il coinvolgimento in cinismo e l’efficacia in inefficacia.

Il livello di work engagement del lavoratore può essere favorito da alcune risorse presenti nell’organizzazione, tra le risorse lavorative positivamente correlate al work engagement possiamo citare: l’autonomia decisionale, la possibilità di un supporto da parte di colleghi e superiori, la chiarezza dei ruoli, la possibilità di ricevere feedback sul lavoro svolto e la supervisione. Anche le risorse personali del lavoratore (aspetti di carattere fisico, psicologico, emotivo e sociale) possono essere considerate importanti predittori del coinvolgimento lavorativo, per esempio l’autoefficacia, l’ottimismo, la resilienza e la perseveranza nell’ottenere risultati, rappresentano delle caratteristiche personali che si correlano positivamente al work engagement.

I benefici derivanti dall’avere lavoratori engaged si ripercuotono non soltanto sull’individuo, ma anche sull’organizzazione. Infatti l’essere positivamente coinvolto nel proprio lavoro, non solo permette al lavoratore stesso di trarre maggiore soddisfazione dall’attività quotidiana, ma un maggior investimento di energie, tempo e risorse nel lavoro da parte dei dipendenti favorisce senza dubbio aspetti come l’efficienza e la produttività dell’azienda. Il work engegement infatti rappresenta una predisposizione positiva verso il lavoro, grazie alla quale gli individui divengono essi stessi promotori di benessere nelle organizzazioni. Il work engegement è spesso associato ad atteggiamenti positivi nei confronti del lavoro e dell’organizzazione come: soddisfazione lavorativa, impegno, innovazione, iniziativa personale, scarsa intensione a cambiare lavoro e motivazione ad apprendere (Schaufeli & Bakker,

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2008).

Alcuni studi (Bakker, Van Emmerik e Euwema, 2006) hanno dimostrato come il work engagement risulti addirittura contagioso, tanto che lavoratori engaged tendono ad influenzare positivamente i loro colleghi, favorendo dunque la diffusione di ottimismo e di atteggiamenti proattivi verso il lavoro all’interno dell’azienda. Inoltre i lavoratori con elevato work engagement godono di migliori condizioni di salute e anche questo comporta tutta una serie di benefici per l’azienda, in termini di riduzione di assenteismo, di assenze per malattie etc.

E’ facile dunque intuire come il work engagement sia un fattore rilevante per il successo dell’impresa, avere infatti a disposizione lavoratori motivati e coinvolti può fare la differenza in termini di produttività, efficacia ed efficienza.

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