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Il viaggio in Italia di Charles Townley

Charles Townley nacque l’1 ottobre 1737 da una signorile famiglia residente a Towneley fin dal Tredicesimo secolo. Era il figlio maggiore di William Towneley di Towneley Hall, e Cecilia, figlia di Lady Philippa Howard e Ralph Standish nonché erede delle tenute paterne.93 (fig. 15)

Alla morte del padre il giovane Charles divenne proprietario di un immenso patrimonio immobiliare e nel 1758 prese possesso della residenza di famiglia dove, per un certo periodo, condusse la vita del signorotto di campagna. Con questo non vogliamo certo dipingerlo come un uomo ricco e annoiato, tutt’altro, teneva i conti ben ordinati e registrava in maniera al limite del maniacale ogni movimento di cassa. Tutta questa precisione nella gestione del denaro potrebbe essere giustificata da una relativa mancanza di liquidità e con il fatto che tenesse al proprio ruolo di coscienzioso amministratore dei beni familiari.94 A tal proposito scrisse a Gavin Hamilton che la continua elargizione di capitale per impossessarsi delle opere migliori da lui segnalategli, iniziava a far vacillare la stabilità finanziaria della famiglia.95

Nelle turbolenze religiose che seguirono la Riforma, i Townley, il motto della cui famiglia era “Tenez le Vrai”, rimasero fedeli alla vecchia fede e pagarono le ammende inflitte a coloro che ricusarono. Dunque in qualità di cattolico a Charles fu negata la possibilità di ricoprire qualsiasi ruolo pubblico. Fu forse questa la circostanza che lo spinse a riversare tutte le energie

nell’attività di collezionista e gli unici uffici che gli furono concessi furono posizioni minori come vice-presidente della Società di Antiquari e curatore del British Museum.

Nel 1803 la sua salute cominciò a peggiorare ma traeva godimento dal pianificare ancora una nuova dimora e disposizione per le sue statue. Morì all’età di sessantotto anni e fu sepolto nella cappella di famiglia presso Burnley nel Lancashire.96 (fig. 15)

Si delinea il ritratto d’un uomo senza moglie né figli, ma non per questo un misantropo, solo innamorato dell’antico al punto di trasformare una passione nella compagna di una vita. I momenti di maggior felicità furono senza dubbio quelli trascorsi in Italia, la madrepatria dell’archeologia e culla dei più preparati personaggi nel campo del collezionismo. Il ricco                                                                                                                

93 Warwich Wroth, Charles Townley, in S. Lee (a cura di), Dictionary of National Biography, Londra 1909, vol. XIX, pp. 1024-1025.

94 I. Bignamini, C. Hornsby, op. cit.; vol. I pp. 326-331.

95 “I have always bled freely in your hands and that my finances must be a little shaken in the service of virtù” Bozza di lettera da Townley a Hamilton, Agosto 1781, TY 6/1.

96 “Mr Townley was interred, January 17, 1805, in the family chapel at Burnley in Lancashire, where those who love his memory would rejoice to see the best judge of sculpture Europe commemorated…” Vedi: T.D. Whitaker, an

inglese viaggiò nel nostro Paese per ben tre volte, costruendosi una fitta rete di amicizie vere miste ad approfittatori e comunque tornando ogni volta in patria con nuovi insegnamenti, scoperte e soprattutto altri oggetti antichi. Il primo Grand Tour si svolse nel 1767, Townley attraversò la Francia, s’imbarcò a Tolone diretto a Livorno, ma a causa di una terribile tempesta fu sbarcato a Lerici e raggiunse Pisa via terra.97

Visitò Massa in maniera piuttosto sbrigativa, arrivando a Lucca il 20 novembre 1767 e a Pisa due giorni più tardi, proseguendo poi per Firenze il 27 novembre dove rimase per circa tre settimane, concedendosi così il tempo di esplorare a fondo i tesori antichi della città,a metà dicembre procedette per Siena e dopo sei giorni si spostò a Viterbo per entrare a Roma esattamente il giorno di Natale.

L’esperienza romana dovette appagare il suo spirito d’intenditore d’antichità non poco, la città Eterna di certo non ne deluse le aspettative tant’è che Townley si fece romano per sette mesi, interrotti unicamente da un viaggio di sei settimane nel napoletano. Per meglio inserirsi nell’attività antiquaria della città ingaggiò l’Abate Matteo Fregiotti impiegandolo come suo segretario, contabile e assistente, cui affiancò Vincenzo Brenna98 in qualità di consulente e agente per l’acquisto di alcuni pezzi d’arte. Artefice di questo giro di presentazioni che si concluse con un periodo di proficue collaborazioni, fu Thomas Jenkins che di certo non aveva intenzione di essere soppiantato e rimase l’agente di riferimento per la maggior parte dei grandiosi acquisti d’arte antica di Townley.

Nel 1768-69 sempre Brenna eseguì una serie di tavole ad acquerello raffiguranti il Pantheon, l’acquedotto di Caserta, la sala di Domiziano, il Colosseo, le terme di Tito e quelle di

Diocleziano. Si tratta di monumenti d’interesse artistico visitati da Charles e che probabilmente egli avrebbe in qualche modo voluto portar via con sé in patria al termine del viaggio, avere la possibilità di vederli immortalati ed esposti nel salotto di casa era già di una certa consolazione e avrebbe attutito la nostalgia per il Bel Paese e i suoi tesori.99

                                                                                                               

97 Le tappe effettuate possono essere ricostruite attraverso i diari di viaggio, le lettere, i libri contabili, provenienti dal suo archivio personale e ora conservati al British Museum.

98 Francesco Gioacchino Aloisio Vincenzo Brenna era nipote dell’architetto Alessandro Specchi per parte di madre e fratello minore del canonico Nicola Brenna, segretario del Cardinal Pietro Colonna Pamphilj.

Vincenzo completò il proprio apprendistato a Roma presso la bottega del pittore Stefano Pozzi, quest’ultimo era stato attivo a Palazzo Colonna nel 1750 e nel 1758-61, dove era stato richiesto da Paolo Posi, un altro insegnante del Brenna.

99 L. Tedeschi,Vincenzo Brenna and his drawings from the antique for Charles Townley, in “Roma Britannica. Art patronage and cultural exchange in eighteenth-century Rome”, London 2011.

Tra i disegni del Brenna conservati al Victoria & Albert Museum ci sono tre fogli con quella che sembrerebbe essere una residenza estiva.Il soggetto è quello classico in cui si facevano cimentare gli studenti d’architettura in occasione dei Concorsi Clementini presso San Luca. A motivare l’acquisizione di questi schizzi potrebbe essercisi un semplice atto di gentilezza volto a

supportare economicamente il giovane artista o addirittura la possibilità che il disegno raffiguri il progetto di un eventuale padiglione ove collocare la collezione d’antichità in costante crescita.100

Di certo la bozza dell’edificio doveva essere stata pensata per La Townley Hall nel Lancashire e non per l’abitazione di Londra. Ruth Guilding pubblicò nel 1996 sulla rivista Apollo un disegno del Bonomi raffigurante una rotonda con sculture datato 1783-89 che ci suggerisce come in effetti l’idea di spostare la collezione da Park Street alla residenza di famiglia nel nord dell’Inghilterra dovesse costituire una sorta di indecisione che gli tenne costante compagnia. Alla fine del febbraio 1768, una volta conclusosi il carnevale, Townley continuò il suo viaggio verso Napoli, occasione in cui Vincenzo Brenna non solo lo seguì, ma assunse anche il ruolo di segretario dal momento che il Fregiotti rimase a Roma. A Napoli il nostro inglese seppe inserirsi in quello che potremmo definire il ‘circolo di antiquari di Portici’. Fu particolarmente vicino al talentuoso quanto controverso artista Giovanni Casanova, che stava lavorando il quel periodo alle illustrazioni per il grande progetto editoriale del re, Le Antichità di Ercolano.101 Carlo di Borbone si dimostrò piuttosto sensibile ai problemi che le scoperte di Ercolano, Paestum e Pompei sollevarono e provvide a muoversi per tutelare la conservazione di quanto estratto dagli scavi, già nel 1755 il re con un “suo sovrano dispaccio” alla regia Camera della

Sommariaindicava le linee generali di un provvedimento volto a punire coloro che trafugavano antichità per rivenderle soprattutto all’estero.

Un incontro davvero importante e che diede il via ad anni d’intensa amicizia tenuta viva dalla passione dell’antico fu quello con Pierre-François Hugues d’Hancarville, auto investitosi “Barone d’Hancarville”. Il novello Barone ed il gran turista inglese si conobbero nella capitale borbonica agli inizi di marzo, tempo dopo Townley gli affidò la catalogazione della propria collezione.

                                                                                                               

100 G. Vaughan, Vincenzo Brenna Romanus: Architectus et Pictor. Drawings from the Antique in late eighteenth-

century Rome, in “Apollo”144, 1996, 416, pp. 37-41.

101 Carlo di Borbone si dimostrò piuttosto sensibile ai problemi che le scoperte di Ercolano, Paestum e Pompei sollevarono e provvide a muoversi per tutelare la conservazione di quanto estratto dagli scavi, già nel 1755 il re con un “suo sovrano dispaccio” alla regia Camera della Sommariaindicava le linee generali di un provvedimento volto a punire coloro che trafugavano antichità per rivenderle soprattutto all’estero.

Sappiamo che Charles fu un frequente e appassionato visitatore della Villa di Portici e del Museo che ospitava le antichità dissotterrate da Ercolano e Pompei, di cui Brenna eseguì disegni di bronzi e altre suppellettili. Riprodurre quanto esposto nelle sale del Museo era assolutamente vietato e nonostante Townley elargì numerose mance ai custodi per ricompensarli di qualche favore o permesso speciale accordatogli, è possibile che il disegnatore romano eseguì quei lavori a memoria.

Roma era stata quel bagno battesimale che legava per sempre l’anima di Townley alla cultura antica, aveva cominciato ad addentrarsi sempre di più nel circuito antiquario dell’Urbe con gratificazione e curiosità, ma era stato di certo il viaggio a Napoli a consacrare la nascita di quel suo spirito di collezionista totalmente immerso in quella che sembrerebbe essere, come sopra accennato, quasi una storia d’amore con il mondo dell’antico.102

La spedizione a Paestum è chiaro esempio della serietà con cui perseguiva questo suo interesse per il collezionismo. Lasciò Napoli il 23 marzo 1768 e procedette per Salerno, il pomeriggio successivo arrivò a destinazione.

I retroscena della gita alle rovine dell’antica città greca ci vengono abbondantemente svelati dal

Diario di Viaggio scritto da Townley stesso, da cui scopriamo impiegarono sette ore per

percorrere i 40 km che separano Salerno da Paestum, sistemandosi presso la dimora di un canonico della cattedrale, trovarono la cena pronta e accoglienza calorosa e gioviale. A parte ciò la sistemazione si rivelò piuttosto spartana, niente posate né coperte e letti, sostituiti da giacigli improvvisati.103

Allo scopo di riportare a casa il maggior numero possibile d’immagini del suo soggiorno

meridionale, Townley assunse Volaire, allievo di Vernet, per eseguire vedute panoramiche della zona mentre Brenna si occupava del lavoro di misurazione dei templi, sulla base di cui costruì in seguito una serie di fedeli modellini in sughero, uno dei quali arrivò anche a Townley in

Inghilterra.104

La mattina dopo si alzarono tutti molto presto e cominciarono a lavorare ai disegni dei templi, stesso modus operandi fu osservato nel giorno successivo. Oltre a concentrarsi sulle rovine                                                                                                                

102 In tale occasione il collezionista fece numerosi acquisti, come risulta dal registro dei pagamenti (ABM Townley Archive, Lists and of Papers relating to Purchases of Antiquities. Catalogue of priced lists, TY 10/1, fol. 1-10v), dove sono indicati gli elenchi delle “Robbe prese à Napoli in Marzo 1768. Nota di diverse Specie della Collezzione

del Vesuvio fatto da Tommaso Valenziani Custode delle Pitture in Portici”. fol. 1.

103 E. Béck-Saiello, Le chevalier Volaire. Un peintre français a Naples au XVIII siècle, Napoli 2004, pp. 194-197. 104 I modellini in sughero non possono più essere rintracciati, Quelli raffiguranti i templi di Paestum al Soane Museum hanno tutt’altra provenienza.

archeologiche, Volaire fece alcuni schizzi dei contadini al mercato, il cui abbigliamento fu definito da Townley simile alla “Maniera degli Antichi”.

A partire dal 1768 i templi greci di Paestum105 erano ben conosciuti dagli specialisti, ma

nonostante ciò il sito era difficilmente raggiungibile e mai menzionato nelle guide disponibili per i turisti in visita a Napoli e il 1768 fu un anno cruciale per l’evoluzione degli studi su Paestum, a cominciare con la pubblicazione dell’opera di Thomas Major, The Ruins of Paestum, (figg.)

seguita da The Graecian Orders of Architecture, a cura di Stephen Riou. Questi volumi ebbero il

merito di rendere accessibile a una nutrita fetta di pubblico il dibattito sull’innegabile inizio di una diffusione del Revival greco che prometteva di diventare un fenomeno di un certo riscontro. La Grecia e l’Egeo erano divenuti oggetto di ricerca attenta e sistematica, Paestum era utilizzata come massimo esempio di quella nota polemica volta a contrapporre Greci e Romani così da provare la supremazia di Atene su Roma o viceversa, una questione che traeva nutrimento da sentimenti campanilistici, pregiudizi storici e luoghi comuni.

Per capire che proporzioni assunse questa storia sarà sufficiente fare un paio di nomi di coloro che se ne occuparono: il Winchelmann nel 1762 in Osservazioni sulla natura degli antichi, analizza l’architettura greca svincolandosi dai limiti addotti a suo tempo da Vitruvio, chiudendo con l’elevazione dell’arte greca a modello di assoluta bellezza, poco prima Piranesi presentò la sua Magnificenza e architettura dei Romani che bilanciava le parti e portava alla ribalta il genio di Roma magnificando l’ingegno degli architetti romani che a suo dire seppero superare i Greci e rigetta la congettura secondo cui i Romani “prima di sottomettere i Greci, fossero in una

profonda ignoranza di tutte le arti della pace” rafforzando il proprio punto di vista con l’evidenza dei fatti: visto che Roma era divenuta famosa in tutti il globo per le sue conquiste ben prima di assoggettare la Grecia, di certo doveva sapersi destreggiare in trattative di pace e diplomazia.106 In tal contesto, il tour di Townley fu una scelta quanto mai efficace per pubblicizzare Paestum ed i suoi magnifici tesori. Ad ogni modo devono aver avuto un certo peso anche altri fattori oltre il desiderio d’imparare attraverso le prove archeologiche e ritagliarsi una propria opinione

all’interno della polemica greco-romana, di certo voleva verificare in situ quanto sostenuto da Major, verso il quale Brenna sembra essere molto in debito, i suoi disegni dell’antica

                                                                                                               

105 S. Lang, “The Early Publications on the Temples at Paestum”, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, vol. 13, 1950 pp. 48-64.

Poseidonia107 sono infatti conformi alla scienza archeologica maturata in Gran Bretagna a quel tempo.

Oltre ai cinque fogli con i disegni dei templi di Paestum in una lettera del novembre 1768 l’architetto e disegnatore menziona il modellino dei templi in questi termini: “Circa alli modelli di Pesto hò già in Casa il primo molto bello ed il secondo che è la Basilica, ma vi è nata una difficoltà, cioè che lei mi disse, che li facessi fare in Sugero alla grandezza delli disegni che a lei io in Roma avevo fatti, il primo che ho disegnato grande che era il tempio più grande A è venuto bene di tal grandezza ma li altri due B C che erano la metà di A venivano molto piccoli, essendo le Colonne della loro grandezza, tali eguali al’ disegno D si chè in cambio di far bene parevano due Gabbie.”108 Dunque Vincenzo Brenna continuò a essere con Townley anche al termine della

parentesi napoletana, in più, ispirato dalla recente pubblicazione dei bronzi d’Ercolano, il giovane Vincenzo seppe trovare il proprio filone di fornitori e commercianti, ne è prova la voce sul registro dei conti di Townley in cui una somma di 100 scudi, pari a £25, venne versata il 7 Aprile 1768 a Vincenzo Brenna per il pagamento della Contessa Cheroffini. L’amante del Cardinal Albani aveva venduto un cospicuo numero di bronzi appartenenti alla collezione del religioso, non sappiamo con certezza se egli ne fosse effettivamente a conoscenza, ma l’idea che la donna stesse sfruttando l’assenza del Winchelmann a Roma è difficile da scartare a priori.109 In Agosto Townley riprese la via di casa, abbandonò Roma e giunse ad Ancona, proseguendo per Bologna e Venezia, raggiungendo Torino e le Alpi con una tappa a Milano. Nella città marchigiana fu scortato dal suo disegnatore di fiducia incaricato stavolta di immortalare alcuni edifici antichi e contemporanei. Il sodalizio tra i due non si esaurì certo con il ritorno in patria del ricco inglese, anzi un nutrito numero di ampi disegni a colori raffiguranti il Colosseo, occupò il Brenna per oltre un anno, finché i lavori non furono spediti a Londra nel febbraio 1770 con l’aiuto di Thomas Jenkins.

                                                                                                               

107 Si tratta del primo nome imposto alla città dai fondatori, in onore di Posidone. Più tardi venne ribattezzata Pesto, termine con il quale anche Townley e Vincenzo Brenna nelle loro lettere si riferiscono al sito archeologico a sud di Salerno. Solo dal 1926 s’impose l’attuale denominazione di Paestum.

108 La lettera riporta uno schizzo delle piante dei templi associati alle lettere A (Tempio di Poseidon), B (Tempio di Hera) C (Tempio di Atena), più una colonna dorica contrassegnata con la D.

Vedi: L. Tedeschi, “Il mio singolar piacere” in 18 missive di Vincenzo Brenna a Charles Townley e a Stanislaw K.

Potocki, in P. Angelini, N. Navone, L. Tedeschi (a cura di) La cultura architettonica italiana in Russia da Caterina II

a Alessandro I, Mendrisio 2008, pp. 452-454.

109 L’amicizia di Townley e Brenna con Giovanni Casanova, intimo della Contessa Cheroffini, ma che aveva interrotto ogni rapporto con il Winchelmann a causa di una lite, potrebbe essere rilevante per capire i rapporti commerciali che s’instaurarono tra il ricco collezionista inglese e la nobildonna.

Brenna eseguì un totale di dodici tavole sul Colosseo che si chiudevano con l’imponente rappresentazione di una finta caccia al leone.110 Il risultato fu qualcosa di inaspettatamente emozionante, l’artista non si limitò a ricostruire con dovizia di particolari il monumento architettonico simbolo per eccellenza dell’antica civiltà romana, la scena è ricostruita con accorgimenti spaziali tali da immedesimare lo spettatore nella spettacolarizzazione dei fatti, il Townley di turno poteva occupare uno dei posti prossimi all’arena e partecipare emotivamente alla cruenta battaglia tra leoni selvaggi e uomini mentre l’imperatore, protetto da una tenda assicurata con funi, appare placido e rilassato nel suo palchetto d’onore. Dalle parole dell’artista in persona apprendiamo che “li detti disegni li hò ricavati da ciò che ora esiste da detto

anfiteatro, e dalli libri di autori, che molto bene ne parlano e scrivono.”111

Nelle sue lettere con Townley, Brenna utilizza un tono di rispettosa familiarità, le epistole cominciano con “Amatissimo Sig. Cavaliere”, “mio gran benefattore” o lodi riguardanti “il suo bel genio e buon gusto, ed affabilissimo maniera”, gli argomenti trattati sono vari ed interessanti, si passa da informazioni di servizio quali commenti sui lavori a lui commissionati ed il loro progredire, ma anche notizie relative alla vivacità di Roma. Tramite Brenna il suo benefattore anche in Inghilterra rimane aggiornatissimo sul conclave per l’elezione di Clemente XIV,112 il premio vinto dal Nollekens all’Accademia del Disegno in Campidoglio, il proprio busto in esecuzione da Hewetson (fig. 16) e gli fornisce addirittura le novità sul rapido espandersi della bottega del Piranesi, con più di trenta lavoranti impegnati, sebbene la vendita effettiva a detta di Brenna appariva di modesta entità. Infine il giovane corrispondente non dimenticava mai di inserire nelle epistole una serie d’informazioni ed accadimento legati alla propria famiglia, tra cui la nascita di una figlia,113 la morte del fratello114 e la continua lotta per far quadrare i conti. Nonostante Townley effettuasse regolari pagamenti in suo favore, l’architetto si lamentava spesso della mancanza di lavoro e della conseguente penuria economica.

Una lunga malattia aveva impedito all’eclettico gran turista di recarsi nuovamente a Roma all’inizio dell’estate 1771 come avrebbe desiderato, dunque fu costretto a rivedere i propri piani tant’è che il secondo tour italiano ebbe luogo dal febbraio 1772 al novembre 1773.

                                                                                                               

110 I. Jenkins ha suggerito che il disegno del Brenna fosse ispirato ad un lavoro di Pirro Ligorio andato perduto, ma piuttosto conosciuto grazie ad alcune copie, che era stato copiato a sua volta per il Museo Cartaceo di Cassiano dal Pozzo.

111 L. Tedeschi, op. cit., pp. 459-460.

112 M. Rosa, Clemente XIV, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, vol. III, pp. 475-492.

113 Maria Paola Gertrude, primogenita di Vincenzo Brenna, nata il 25 aprile 1769. Vedi: AVR, SS. XII Apostoli,

Liber bapt., 1752-76, vol. XIII, fol. 138r.

114 Fabrizio Alessandro Michele Antonio Pietro Francesco Andrea Apostolo, nacque il 15 novembre del 1731 in