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Sir William Hamilton e la Società dei Dilettanti Nuovi incontri e idee per Charles Townley

Napoli è stata una città che nei secoli ha saputo reinventarsi, la rivolta popolare capeggiata da Masaniello nel 1647, la successiva eruzione del Vesuvio e ancora la terribile peste del 1656,118

debilitarono fortemente la struttura sociale napoletana, ma se la miglior virtù della popolazione partenopea è come si dice l’ottimismo, essa seppe risorgere dalle proprie ceneri come l’araba fenice e diventare nel Diciottesimo secolo capitale di un vasto Regno, trasformandosi in caotica metropoli, veicolo di incontri e possibilità.

Il viaggio a Napoli e dintorni di Charles Townley non fu utile essenzialmente in termini di scoperte artistiche e acquisizione di opere antiche, bensì nelle tappe campane del Grand Tour venne in contatto con alcuni personaggi cui rimase legato per tutta la vita e con i quali condivise punti di vista, teorie e problematiche legate all’interesse “dell’antico” inteso nella maniera più ampia e completa possibile.

Come già evidenziato nel capitolo introduttivo, il viaggiatore settecentesco tendeva a ricercare la compagnia dei propri connazionali per condividere impressioni, esperienze, consigli e forse talvolta conforto in terra straniera. In definitiva studiando a fondo la questione potremmo

scoprire che un qualche collegamento tra i visitatori britannici con gli inglesi che già risiedevano in Italia per periodi più o meno brevi è quasi sempre rilevante.

Dal primo momento in cui nel 1764 William Hamilton giunse nella capitale partenopea in qualità di Inviato Straordinario di S.M. Britannica presso il Regno delle Due Sicilie, colse di certo mancanze e difetti della metropoli borbonica, ma l’immenso patrimonio archeologico e

nauralistico che essa offriva seppe compensare ogni carenza, tant’è che si calò appieno nella vita della città e vi rimase per trentaquattro anni.

Una città come Napoli non può prescindere dalla presenza del Vesuvio, quel mostro sacro che i napoletani tutt’oggi amano e non vedono come un nemico, ma come simbolo ed ambasciatore della storia della città. All’epoca di Hamilton il vulcano regalava spettacoli eruttivi continui ed egli divenne un valido esperto nel campo degli studi vesuviani oltreché un noto collezionista d’arte antica, avvantaggiato dal gran numero di opere provenienti dalla zona di Pompei ed Ercolano, e in generale dal nutrito parco archeologico campano.119

                                                                                                               

118 E. Bellucci, V. Valerio, Piante e vedute di Napoli dal 1600 al 1699. La città teatro, Napoli 2007, p. 9. 119 I. Jenkins, K. Sloan, Vases & volcanoes : Sir William Hamilton and his collection, London : British Museum Press, 1996; C. Knight , Sulle orme del Grand Tour : uomini, luoghi, societa del Regno di Napoli 1995, p. 118.

L’inclinazione di Hamilton al gusto dello spettacolare e dell’insolito giustifica il fatto che la bizzarra raccolta conservata al Museo Pigorini di Roma,120 contenente una serie di manufatti polinesiani, fosse stata acquistata dal devoto servitore del re e inserita poi nel Museo Farnesiano di Capodimonte.

Il carattere volubile e poliedrico del delegato britannico lo spinse a convocare a Napoli i lavori dei maestri fiamminghi, così da far penetrare nella pittura napoletana quell'uso ragionato e sapiente del colore, tipico della cultura nordica. Non faremo dunque fatica a credere che spesso il suo ruolo politico passò in secondo piano rispetto all'attività di ambasciatore della cultura, ma il punto è che sentendosi italiano, aveva a cuore sia il luogo natale sia quella città ospitale e variegata che lo aveva adottato. Spese ogni momento per integrare in qualche modo questi due mondi tanto diversi e forse anche questo è espressione della bizzarria caratteriale nonché della grande apertura mentale di William Hamilton.

La residenza di palazzo Sessa121 (fig. 17) divenne così punto d'appoggio per quanti fossero interessati all'arte antica poiché l'accesso alla collezione era non solo possibile ma anzi fortemente incentivato, l'ambasciatore britannico spingeva i pittori che capitavano in città ad ampliare il proprio repertorio cogliendo l'occasione per prendere ispirazione dall'incredibile varietà di opere custodite nel Palazzo, nulla a che vedere certamente con ciò che custodiva il Museo di Portici, ma l'accesso al museo e soprattutto la riproduzione dei suoi tesori, come precedentemente accennato, non era permessa. Hamilton al contrario ci teneva particolarmente affinché tutti potessero bearsi di ciò che le antiche civiltà avevano regalato ai contemporanei e dunque decise di pubblicare nel 1766 la collezione di vasi greci.

Sull’onda di questo discorso la figura dell'estroso barone d'Hancarville si colloca non a caso, a lui fu affidata la redazione dei testi nonché la generale direzione del volume edito con il nome di

Antiquités Etrusques, Grecques et Romaines tirés du cabinet de M. Hamilton, envoyé

extraordinaire de S. M. Britannique en cuor de Naples. Il d'Hancarville vantava un'esistenza

davvero movimentata, dal carcere all'invenzione di nuove identità, arrivò a Napoli pronto a cambiare vita e cominciò la collaborazione editoriale con Hamilton. A dire il vero quest'ultimo avrebbe preferito il Winchelmann, tant'è che con l'appoggio di d'Hancarville cercò di convincerlo a partecipare all'impresa. Dopo varie pressioni il tedesco accettò, affascinato dai primi fogli                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

C. Knight , Hamilton a Napoli : cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea, Napoli 2003, pp. 216-217. 120 Vedi: P. Barocelli, R. Boccassino, M. Carelli, il Regio Museo Preistorico-Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma,

in Itinerario dei Musei e Monumenti d’Italia, No58, Roma 1937, pp.15-16.

121 Il palazzo Sessa a Cappella Vecchia fu edificato nel XVIII secolo ed Hamilton abito il secondo piano a partire dal 1764. Vedi: S. Attanasio, I Palazzi di Napoli. Architetture e interni dal Rinascimento al Neoclassico, Napoli 1999, p.80.

riproducenti la collezione che gli giunsero, tuttavia la resistenza nel legarsi al progetto era nutrita dalla cattiva opinione che egli aveva per l'avventuriero francese.

Lo stesso però mise in pratica un gioco adulatorio di tale potenza e credibilità che il

Winchelmann cadde nella "trappola" e nel luglio del 1767 in una lettera al Barone Riedsel rese nota la decisione di recarsi a Napoli.

La conoscenza diretta con Pierre François Hugues si dimostrò un sodalizio inaspettatamente piacevole e ben riuscito, il Winchelmann dopo i primi tempi in cui alloggiava a palazzo Sessa, si trasferì dal Barone e fu un soggiorno piacevole ed interessante.

Alla pubblicazione degli ultimi due volumi dell'opera, editi nel 1773, Hamilton scrisse alla famiglia Wedgwood giustificando il ritardo delle edizioni e invitandoli a servirsi senza riserve dei disegni mostrati per riprodurli nella linea di ceramiche detta "stile etrusco" che fu una delle produzioni di punta dell'azienda e riscosse un successo incredibile122. Motivo del ritardo nel completare il lavoro fu la bufera che travolse il d'Hancarville, si scoprì che aveva fatto stampare una pubblicazione pornografica e dunque fu espulso da Napoli.

C’è tuttavia da precisare che Hamilton quanto fu altruista e generoso nel divulgare i contenuti della propria collezione, di certo non lo fu al momento di entrare in possesso degli stessi: le due collezioni rispettivamente create nel corso del 1760 e del 1790 erano o collezioni acquistate in blocco, oppure pezzi acquisiti individualmente o ancora opere provenienti da quegli scavi in cui Hamilton era presente e mentre gli scavatori svuotavano le tombe greche, sceglieva e adocchiava i manufatti migliori. Di questo metodo d'acquisizione egli ce ne fornisce un'interessante

descrizione in cui afferma che al momento dell'apertura di questi antichi sepolcri fuoriusciva un'ingente quantità di vasi e antichità preziose, i luoghi cui si riferisce sono perlopiù nel sud dell’Italia, Puglia e Sicilia, ma anche alla Campania, Capua e Nola. Non a caso nel frontespizio del volume dedicato alla sua seconda collezione, è rappresentato in compagnia della moglie Emma, al momento dell'apertura di una tomba presso Nola, mentre in occasione di un lavoro di scavo a Capri, l'operaio intento a scavare donò a Hamilton alcuni mattoni stampigliati, delle lampade decorate con rilievi e uno stupendo altare di Cibele.123

Un altro altare124 di sua proprietà, forse ottenuto nella stessa maniera, era un altare immortalato

                                                                                                               

122 R. Fusco, Storia del design, Bari 2010, pp. 34-35.

123 D. Romanelli, Isola di Capri. Manoscritti inediti del Conte della Torre Rezzonico, del Professore Breislak e, del

Generale Pommereul, Napoli 1816, p.96.

124 A.H. Smith, A Catalogue of Sculpture in the Department of Greek and Roman Antiquities, British Museum, vol. III, London 1904, pp. 382, 385, No 2487, fig. 61.

in una serie di disegni del XVIII secolo, conservati al dipartimento di antichità greche e romane del British Museum. Il disegno in figura fa parte di un gruppo contenuto in un folder dato inizialmente a Hamilton da suo nipote Charles Greville125 e successivamente passato a Charles Townley finchè non andò al Bitish Museum.

Il Greville conosceva bene Charles Townley e operò da trait d’union tra lo zio e l’amico

collezionista, l’amicizia tra i due è visivamente documentata nell’opera di Johan Zoffany, di cui non analizzeremo in questa sede statue e rilievi che compaiono nella biblioteca bensì i

personaggi, gli amici intimi di Townley. Oltre al Greville posizionato a sinistra ed a Thomas Astle a destra, compare in posizione centrale il Barone d’Hancarville, i due si erano conosciuti a Napoli e dal 1778 circa Townley lo aveva accolto nella sua dimora inglese, fornendogli uno stipendio mensile a fronte della sua attività di archeologo ed esperto consigliere.

Townley, Greville, Hamilton e il Barone d’Hancarville avevano in comune l’appartenenza alla Società dei Dilettanti e questo giustifica i rapporti che intercorsero tra di essi, le rispettive posizioni riguardo a nuove scoperte archeologiche e così via. Essere un dilettante significa esprimere diletto, piacere per qualcosa, la parola entrò nel linguaggio inglese con la formazione della Society così chiamata negli anni ‘30 del 1700. Robert Wood126, studioso di storia classica e architettura fornì una linea guida di questa society chiara e scherzosa: “In the year 1734, some gentleman who had travelled in Italy, desirous of encouraging, at home, a taste for those objects which had contributed so much to their entertainment abroad, formed themselves into a Society,                                                                                                                

125William Hamilton era coadiuvato nell'attività di collezionista da suo nipote Charles Greville, suo agente a Londra. Il rapporto tra zio e nipote si fece molto confidenziale quando nel 1783 l'ambasciatore trascorse un periodo di licenza in Inghilterra così da ritrovare conforto per la prematura scomparsa di sua moglie Catherine, una donna dolce e devota. Charles, vent'anni più giovane, seppe condividere con lo zio gli interessi che entrambi coltivavano e presero a recarsi alle aste di Christie's, per botteghe di antiquari e librai in cerca di pezzi curiosi da acquistare. Nell'affascinante dimora di Portman Square, il Greville possedeva anche una graziosa casetta dove viveva la sua splendida amante Emma Hart. La fanciulla diciannovenne era di modeste origini, ma la mente vivace ed un carattere gioviale seppero colmare le lacune di un'educazione non aristocratica.

Hamilton rimase colpito dalla ragazza e seppur non volesse ammetterlo a sé stesso, comincio da subito ad essere sentimentalmente coinvolto.

Accadde che Charles a causa della cattive acque economiche in cui versava decise che era arrivato il momento di prendere in moglie qualche ricca ereditiera se non avesse voluto condurre un'esistenza di povertà e per far ciò dovette congedare la bella Emma. Ma poiché l'affetto che lo legava alla ragazza era grande, la propose allo zio il quale dopo le prime resistenze accetto e la prese in moglie.

Trasformandola in un accessorio della sua passione per l'antichità, ella infatti aveva il compito di far rivivere i personaggi femminili dell'antichità e diverranno famose le sue rappresentazioni teatrali in cui grazie al profilo regolare, i capelli neri e gli occhi grande ed espressivi, sapeva impersonare l'eleganza e candore delle statue antiche. Vedi: C. Knight, Hamilton a Napoli. Cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea, Napoli 2003, pp.202- 207.

under the name of DILETTANTI, and agreed upon such regulations as they thought necessary to keep up the spirit of their scheme… it would be disingenuous to insinuate, that a serious plan for the promotion of Arts was the only motive for forming this Society: friendly and social

intercourse was, undoubtedly, the first great object in view; but while in this respect, no set of men ever kept up more religiously to their original institution, it is hoped this work will show that they have not, for that reason, abandoned the cause of virtue in which they are also engaged, or forfeited their pretentions to that character which is implied in the name they have

assumed.”127

Wood in parole povere ci descrive un mondo fatto di appassionati d'arte che dividono la passione per l'Italia ed hanno intrapreso uno o più Grand Tour, infatti, chi desiderava entrare a far parte dei Dilettanti doveva essere introdotto da qualcuno dei membri e aver effettuato il viaggio in Italia.

Insistere sulle regole base della società significherebbe rimarcare ancora una volta l'anima di questo lavoro e cioè le storie e gli incontri di uomini che mettevano l'amore per l'arte al primo posto degli interessi quotidiani, ciò che maggiormente ci interessa in questa sede è capire in che misura questa società dei dilettanti fosse stata formata da un gruppo compatto d'uomini e mise in contatto anime apparentemente diverse e lontane.

Il 30 dicembre 1781 sir William Hamilton scrisse al suo amico Sir Joseph Banks,

confermandogli le notevoli voci di corridoio sul fatto che egli avesse recentemente scoperto a Isernia, il culto di Priapo in pieno vigore quanto ai tempi di Greci e Romani.

“…Having last year made a curious discovery, that in a Province of this Kingdom, and not fifty miles from its Capital a fort of devotion is still paid to Priapus, the obscene Divinity of the Ancients…”128

Un ingegnere, come spiega in una successiva lettera, lavorando alla costruzione di una strada, aveva avuto modo di assistere alla celebrazione di una festa in onore dei ss. Cosma e Damiano in questa città remota.

Nel corso della cerimonia ex-voti di cera raffiguranti attributi sessuali maschili di varie dimensioni, erano venduti pubblicamente e poi portati alla chiesa dedicata ai santi, i vari passaggi erano perlopiù effettuati da donne che baciavano gli ex-voti prima di adagiarli in un contenitore concavo nel vestibolo, mentre offrivano dediche del tipo “San Cosma ti ringrazio”, “San Cosma, a te mi raccomando”

                                                                                                               

127 B. Redford, Dilettanti the antic and the antique in eighteenth-century England, Los Angeles 2008 128 R. Payne Knight, Discourse on the Worship of Priapus, London 1865, pp. 56-57

Hamilton aveva visitato Isernia sperando di vedere tutto ciò con i propri occhi e, sebbene scoprisse che nel frattempo questa cerimonia era stata soppressa, gli fu possibile salvare alcune delle “grandi dita”, il modo in cui gli abitanti locali denominavano gli ex-voto.129 Portò

personalmente questi fragili trofei a Londra nel 1748 e li depositò al British Museum con precise istruzioni di non toccarli.

Un paio di settimane prima la Società dei Dilettanti aveva votato a favore della pubblicazione della sua relazione.

Infine apparve nel 1786, con l’incisione di un “grande dito” utilizzato come frontespizio, seguito da un Discorso sul culto di Priapo, scritto dal membro della società che ne aveva supervisionato la pubblicazione, Richard Payne Knight.130 (fig. 18)

Il Discorso di Knight è molto di più di un semplice commento sulle cerimonie a Isernia, deve infatti molto alle idee dell’amico e collega Barone d’Hancarville.

Knight apre il Discorso con l’osservazione che sebbene gli uomini siano per costituzione gli stessi, i loro sentimenti morali e standard etici sono condizionati da fattori esterni ed incalza sostenendo che se ci spogliassimo della nostra sovrastruttura di pregiudizi ed educazione,

potremmo capire che non c’è impurità o immoralità nella regolare gratificazione di qualsiasi tipo di appetito naturale.

Per sostenere le proprie argomentazioni lo studioso attinge non solo dai rituali fallici dell’antichità, ma anche da quelli di popoli orientali, usufruendo delle descrizioni di molti viaggiatori del Settecento, che trovano riscontro in frammenti simili al rilievo proveniente da Elephanta, acquistato da Townley nel 1785 e pubblicato da Knight nei ‘Priapeia’131.

Knight sembra quasi spaventato a un certo punto del suo Discorso dalle forme di credenza religiosa e non in sé per sé, per il potere di mutare i caratteri della società che esse

innegabilmente hanno e difende i licenziosi riti fallici asserendo che essi in fin dei conti non causano alcun tipo di danno e lo spettacolo di un popolo voluttuoso che santifica l’atto della procreazione è più accettabile di quanto lo sia la vista di un campo di battaglia con migliaia di uomini morti per mano dei loro stessi simili.

                                                                                                               

129 G. Carabelli, In the Image of Priapus, London 1996, p. 5.

130 Richard Payne Knight intraprese il Grand Tour nel 1772-73, per poi tornare in Italia nel 1776-8, nel 1776 Knight parte dall'Inghilterra in compagnia del giovane acquerellista John Robert Cozens, con l'aiuto dei cui schizzi ricostruiamo le tappe del viaggio via Svizzera. Arrivarono a Roma nell'autunno dello stesso anno e fin da subito Knight si mise all'opera per pianificare il viaggio in Sicilia che ebbe inizio il 12 aprile 1777, come prima tappa fu prevista Paestum per ammirarne i templi Dorici, così da prepararsi agli splendidi templi di Segesta, Seliununte e Agrigento130. Entrò a far parte della Società dei Dilettanti nel 1781. Vedi: C. Stumpf, Richard Payne Knight

Expedition into Sicily, London 1986, pp. 12-13.

Nello stesso periodo in cui Hamilton inviava le novità da Isernia, il d’Hancarville arrivava in Inghilterra ospite della casa inglese di Townley.

Mentre si trovava a Londra scrisse la gran parte della sua “Recherches sur l’Origine, l’Espirit e le Progrès des Arts de la Grèce”, che fu pubblicata nel 1785.

In questo libro straordinario l’autore descrive un antico e universale sistema teologico dal quale erano derivate tutte le successive religioni, la cui veridicità era provata dai simboli trovati nelle antiche vestigia, comprese quelle dell’Europa dell’est.

Townley rimase piuttosto impressionato da queste idee e Knight, suo intimo amico, reiterò nel suo discorso sul culto di Priapo alcune dei punti della teoria del d’Hancarville sull’antica

teologia, scoprendo gli stessi simboli, talvolta facendo riferimento alle stesse sculture e monete. Secondo il Barone i precedenti sforzi di spiegare l’antica mitologia erano falliti perché si era prestata maggior attenzione alle prove fornite dalla letteratura che a quelle fornite dagli artefatti, gemme incise, vasi dipinti, monete e così via.

Le più primitive tra esse, quando comparate con i simboli trovati nell’arte orientale, rivelano che sebbene l’elaborata diversità della mitologia associata con tutte le differenti religioni del mondo rimanga nascosta, la prova di una comune mitologia monoteista è del tutto innegabile e il d’Hancarville investì tutta la propria forza e determinazione per provarlo.

Le scoperte di Ercolano sembravano indirizzare l’attenzione degli antiquari verso la natura fallica di molti culti greci e romani, ciò significa che la teologia antica doveva aver avuto una netta impronta di tipo sessuale, poiché espressione delle idee di generazione e creazione. Al centro del sistema si scoprì esserci una varietà di considerazioni cosmogoniche.

Così per il d’Hancarville la creazione era dapprima espressa dall’immagine straordinaria di un toro che con le proprie corna colpisce un enorme uovo. Tale immagine, egli spiega, venerata dai Giapponesi in una forma correlata con le immagini trovate sulle monete di antiche nazioni del Mediterraneo, rappresenterebbe ‘l’essere generatore’, il toro ‘nell’azione di vivificare il Caos primordiale, o materia al suo stato iniziale, simbolizzata dall’uovo132.

Altrove l’essere generatore è stato rinvenuto sotto forma di fallo e linga133 e fu più tardi personificato come Dio Dioniso per i Greci, Bacco per i Romani e Brahma per gli Induisti. L’antica teologia abbraccia i processi sussidiari di creazione e generazione che operano nel mondo naturale e il sedicente Barone la definisce infatti ‘celle de la loi de la nature’, non il prodotto di una ceca superstizione ma un tentativo di spiegare e riassumere le forze fondamentali della natura.

                                                                                                               

132 R. Payne Knight, op. cit., 1865, pp. 20-21

133 Per la religione induista il linga è traducibile come ‘marchio’, ‘simbolo’ o anche ‘la caratteristica di una cosa’. Il linga è anche rappresentazione del genere del sesso e simboleggia Siva sotto l’aspetto di un pilastro di pietra.