3. Tendenze nell’arte video all’ Est Europeo
3.4. La video arte in (ex) Jugoslavia
Anni Settanta
La video arte in Jugoslavia seguiva la pista generale sia nelle sue caratteristiche ideologiche che in quelle estetiche nell'uso del video, anche se le situazioni nelle sei repubbliche che costituivano la Jugoslavia erano molto diversificate tra di loro, avevano però i tratti specifici che la rendevano diversa dalla tendenza internazionale. Per capire meglio questo fenomeno c’è bisogno di alcune informazioni relative alla condizione artistica e culturale dello Stato precedente. Barbara Borčić nel suo saggio71 individua alcuni aspetti che caratterizzano la situazione del dopoguerra nella politica e nella cultura in Jugoslavia: la dimensione del Paese (circa ventidue milioni di abitanti in un’area di centomila kilometri quadrati), la sua ubicazione (sempre in uno stato intermedio, tra Est ed Ovest, Sud e Nord; tra Europa ed Asia, Europa centrale e Balcani) e le sue particolarità culturali e politiche.
Secondo la studiosa slovena la posizione politica del Paese, situato tra il Blocco orientale (Patto di Varsavia) e quello occidentale (NATO), generò un modello unico di sistema socialista, definito come “auto-gestione”, distinto dai regimi comunisti e dalle società democratiche dei capitalismi liberali. Gli anni Cinquanta furono un periodo in cui la creatività artistica poteva crescere e permetteva agli artisti di esprimersi in un linguaggio moderno, era un periodo in cui il Paese era relativamente aperto verso le influenze straniere, e le persone potevano viaggiare verso l’Ovest senza difficoltà – le destinazioni più frequenti erano l'Italia e Parigi. Come dice Vittorio Fagone:
«La vita del video in Jugoslavia è abbastanza singolare. Per chi ritiene che le espressioni dell'arte di avanguardia siano espressione di un “capriccio culturale” delle società capitalistiche […] la Jugoslavia rappresenta una contraddizione insormontabile. In questo paese, senza sostegno di mercato, con un appoggio minimo da parte dello Stato che preferisce forme aggiornate e temperate di arte realistica o naive, si è sviluppata negli anni Settanta una vivacissima ricerca
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BarbaraBorčić , Video Art from Conceptualism to Postmodernism.
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d'avanguardia nel campo delle arti visive, del cinema e dello spettacolo... »72.
La Jugoslavia è sempre stata abbastanza chiusa verso idee nuove e progressiste, la storia dell'arte era sempre marginalizzata. La storia della video arte è cominciata negli anni Settanta e Ottanta, quando le sperimentazioni e le innovazioni potevano andare avanti nel campo del video. Il video era un mezzo nuovo che portava con sé la possibilità dell’internazionalizzazione e democratizzazione dei media. All'inizio si potevano distinguere bene tra video specifici con cui si intendeva esprimere idee e video registrazioni che documentavano semplicemente uno spettacolo o un evento effimero. Anche se il video aveva sempre un ruolo da documentario, comunicativo e sperimentale, i primi lavori occupavano delle registrazioni di azioni che hanno messo in rilievo il rapporto stretto fra artista e società. Nei primi anni le opportunità potenziali della tecnologia video non furono sfruttate appieno; il suo nuovo linguaggio artistico e i suoi effetti nella comunicazione (di massa) non vennero stati studiati abbastanza. Il video è stato usato per lo più come un mezzo ausiliario della registrazione e della presentazione degli eventi, e poi come strumento che aiuta altri mezzi media a trasmettere messaggi, e a seguire formulazioni e trasformazioni della condizione sociale e politica.
Borčić afferma che negli anni Settanta l'uso pionieristico dei video è stato caratterizzato dalla camera fissa, che registrava l'evento in tempo reale, mentre sia il soggetto che l'oggetto erano l'artista stesso. La studiosa segnala come rappresentante di quell’uso “ridotto” del video Raša Todosijević, che ha descritto il suo rapporto con il video così
«Sempre ho prodotto i miei video lavori senza avere qualsiasi interesse nella parte tecnica di questo mezzo, nel processo della produzione oppure in queste possibilità spettacolari della tecnologia elettronica nella manipolazione dell'immagine. Ero sempre interessato al video come strumento emittente di attività psicologiche e mentali in cui ogni esibizionismo tecnico è fondamentalmente estraneo. Le mie video opere sarebbero state considerate come le realizzazioni strettamente legate a tutti quei lavori che ho fatto.»73
Quindi Todosijević ha visto il video solo come uno tra i tanti altri mezzi di espressione, senza l'illusione che la mera tecnica in sé contribuisse alla democratizzazione delle arti. Il video aveva un ruolo importante nei processi di ricerca e anche come mezzo di espressione: avendo
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V. Fagone, L'immagine video. Arti visuali e nuovi media elettronici, p. 119 73
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grande effetto sul pubblico, è stato considerato come uno strumento democratico poiché accessibile a tutti, e già dagli inizi recava in sé la promessa di creare nuovi paradigmi artistici.
Nel 1977 la rivista fotografica Spot di Zagreb dedicò un’intera edizione al video, in questa si parlava delle video registrazioni e del loro ruolo eccezionale con cui è stato possibile generare nuovi modi di pensare, forme di comportamento e metodi per vedere la realtà in una prospettiva nuova rispetto al passato, e si rifletteva anche sul fatto che i lavori video avessero delle grandi potenzialità nel far cambiare la struttura della società, per lo più nello sviluppo della solidarietà, nella dichiarazione dei valori, nell'aumento della creatività di ciascuno e nella disponibilità delle informazioni e della conoscenza.74 Anche se il ruolo sociale del video non era sicuro, poiché il suo legame con il pubblico era troppo fragile, non aveva un forum specifico dove avrebbe potuto confrontarsi con la gente.
Un'altra difficoltà era che gli artisti jugoslavi non potevano possedere i mezzi video così facilmente negli anni Settanta. Non erano disponibili per musei e gallerie, come nell’Ovest, dove grazie all'ampia disponibilità le istituzioni erano in grado di monopolizzare la loro posizione nel mondo artistico. La video arte poteva così derivare dal concettualismo, che è nato come una resistenza verso la società industriale e la mentalità del consumo, e in quel senso anche il video aveva un’attitudine critica verso la società: tale attitudine poteva essere vista anche come una “fuga dalla realtà”, nascondendo un ambiente ermetico, nel mondo delle immagini elettroniche. E come altre pratiche concettuali, anche il video è rimasto un mezzo limitato a un gruppo di artisti abbastanza piccolo.
Nonostante le difficoltà, la video arte jugoslava non aveva un ritardo così grande rispetto ai Paesi occidentali, pur essendo rimasta per tanto tempo ai margini; ma né la quantità né la qualità potevano essere paragonabili alle condizioni dei Paesi più sviluppati. Per realizzare le video opere gli artisti jugoslavi dovevano trovare modi alternativi per procurarsi questi strumenti: in alcuni casi potevano prenderli in prestito dalle agenzie. Ma occasioni ancora migliori erano quelle di mostre all'estero, oppure di incontri internazionali che avvenivano in Jugoslavia e a cui potevano partecipare, dove avevano l'opportunità di imparare a usare il mezzo video e a collaborare con i loro colleghi stranieri. Questi eventi di video, dove le opere più recenti sono state presentate dagli artisti jugoslavi e internazionali, sono stati abbastanza frequenti in Jugoslavia dall'inizio degli anni Settanta. Spesso erano organizzati dalla Galleria delle Arti Contemporanee di Zagabria e dal Centro Culturale degli Studenti di Belgrado. Ad
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esempio, l'artista jugoslava Marina Abramović ha realizzato il suo primo lavoro Freeing the Voice75al “Belgrade April Encounters” nel 1975 con Jack Moore, che in quel periodo lavorava con un gruppo artistico francese .
Secondo Borčić gli incontri al Belgrade April Encounters erano uno degli spettacoli più espressivi a livello internazionale nel mondo della video arte contemporanea in Jugoslavia, che aveva la sua importanza perché gli artisti potevano essere presenti di persona, scambiando idee ed esperienze sul loro lavoro. Grazie a questi eventi da un lato l'interesse per il video cominciava a diffondersi nel Paese, e potevano arrivare video opere dall'estero, ampliando così l’orizzonte degli artisti jugoslavi; dall'atro, invece, il video è rimasto uno strumento artistico privilegiato, legato all’ambiente delle gallerie, e disponibile solo a un piccolo gruppo di artisti. L'artista croato Goran Trbuljak sosteneva:
«Tuttavia, se qualcuno non aveva ancora lavorato con il video prima di aver avuto la possibilità di gestirlo, si sarebbe reso conto ben presto che sono stati catturati nel fascino di uno dei mezzi più seducenti. Magari sarà la sua capacità di destare la creatività della gente che porterà il futuro in cui tutti possiedono la sapienza per l'uso della tecnologia video – un tempo dell'arte senza gli artisti, un tempo in cui tutti praticano l'arte.»76
Dalibor Martinis è uno dei primi artisti di rilievo nel panorama internazionale. Vittorio Fagone scrive di lui «Il suo “stile nel video” esprime una padronanza del mezzo e una capacità singolare di governo di immagini che nella loro insistenza passano facilmente dalla “luce fredda” della loro costituzione alla “luce calda” della comunicazione espressiva.»77
Negli anni Settanta in Jugoslavia si affermò il potere del video, riconosciuto come possibile strumento nella lotta delle questioni sociali e politiche, e che aveva tutte le caratteristiche che potevano renderlo il mezzo più democratico nella trasmissione delle informazioni e nello scambio di messaggi. Ma ancora non era abbastanza diffuso né tra gli artisti né tra il pubblico, e la produzione dei lavori video era rara in questi anni in Jugoslavia. Ma alcuni artisti chi occupavano della creazione di film sperimentali; essi possono essere considerati come
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C. Grammatikopoulo, Marina Abramovic: Rituals of Breath, Voice and Void http://interartive.org/2012/01/abramovic-breath-voice-void/
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BarbaraBorčić , Video Art from Conceptualism to Postmodernism. p.5 77
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i precursori dell'arte video, a titolo di esempio Zoran Popoli oppure Guran Trubljak.78
Col passare degli anni, il video cominciava ad avere un ruolo sempre più espressivo, e insieme alla televisione è stato visto come un mezzo potente dei media di massa. Nonostante delle differenze tecnologiche, in poco tempo il video si è diffuso grazie al suo facile modo d'uso, veloce ed economico. Borčić sostiene che il primo esempio del confronto critico tra video e televisione ufficiale era un video in bianco e nero, di venti minuti, titolato TV-Timer (1973)79, realizzato dagli artisti Sanja Ivekocić e Dalibor Martinis. Con l'analisi della struttura ideologica ed estetica del programma televisivo e con l'analisi degli effetti dei media di massa sulle persone, gli autori tendevano a far vedere che loro erano interessati non solo al video come mezzo di espressioni individuali, ma anche come strumento critico in grado di riflettere sul fenomeno della televisione. Negli anni Settanta la televisione jugoslava non era interessata a cambiamenti nella sua struttura, e per questo fu una svolta inaspettata quando la Televisione di Ljubljana mandò in onda la video opera di Miha Vipotnik, Videogram 480, annunciando «Sta per avvenire un evento televisivo unico, anzi un'esperienza completamente nuova»81. Questo lavoro è stato uno dei primi risultati dell'ambiguo atteggiamento verso il mondo mostrato sullo schermo televisivo: desideri e rinunce, dipendenze dalla televisione e allo stesso tempo paura di essa. Vipotni ebbe successo nella trasmissione della tecnologia del video professionale e poté sperimentare le caratteristiche e le potenzialità del video.
78Ubravka Djurić , Impossible Histories. Historical Avant-gardes, Neo-avant-gardes, and Post-avant-gardes in Yugoslavia, 1918-1991.MIT Press, 2003. p.235
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B. Borčić , Video Art from Conceptualism to Postmodernism. p.6 80
Il video completo si trova su questo link: http://www.e-arhiv.org/diva/index.php?opt=work&id=217 81
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Dopo l'anno 1989
Verso la fine del secolo, nei Paesi cosiddetti post-sovietici il video ha guadagnato un ruolo specifico e ha creato un modo nuovo e particolare di osservare gli eventi e i cambiamenti della società. Grazie al video la gente viene messa in grado di leggere e percepire la storia in una maniera diversa rispetto a prima: può vedere oltre la superficie delle immagini e avere un'idea più chiara del futuro.
In tanti casi i Paesi socialisti tendevano a rendere la realtà più affascinante e positiva, e per realizzare questo obiettivo spesso usavano espedienti per mascherare la realtà della storia. Sembrava che la politica volesse sempre reinterpretare la storia attraverso il proprio filtro, spiegando gli eventi della storia dal proprio punto di vista.
In Slovenia il periodo dopo la guerra del 1991 (nel giugno del 1991 imperversava la guerra contro le milizie del Governo jugoslavo) è descritto da Marina Gržinić come gli anni della crisi post-indipendenza nell'economia (la Slovenia è diventata uno Stato indipendente dopo il giugno 1991); questo causò difficoltà nel possedere il mezzo di video, motivo per cui si registra una pausa che minaccia la crescita della produzione video.82
Secondo la studiosa slovena grazie alla ricchezza delle strategie visuali e narrative, la video arte poteva guadagnare una paradigma autonomo nella storia dell'arte slovena, un nuovo modo di pensare alla video arte. Nel periodo del post-guerra in Slovenia si diede un importante ruolo alla storia dell’arte per e alla promozione culturale per contrastare i fenomeni del razzismo e del nazionalismo, provando così a lasciarsi alle spalle le rovine della guerra e ad andare avanti, affrontare il futuro.
Alla metà degli anni Ottanta e negli anni Novanta i video non erano solo mezzi di espressione artistica, ma erano anche nuovi metodi con cui si potevano documentare gli eventi politici della storia. I progetti video realizzati da gruppi di professionisti, oppure di amatori con l'uso del VHS, erano più che semplici testimonianze: erano immagini e film importanti dei periodi dei diversi conflitti politici e sociali. Per questo motivo si può considerare la video arte
82 Marina Gržinić, Video art in Slovenia and in the Territory of Ex-Yugoslavia. Ljubljana, 1997 http://www.metamute.org/editorial/articles/video-art-slovenia-and-territory-ex-yugoslavia
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come una nuova alternativa che offre nuovi punti di vista per capire e riflettere meglio sulla nostra storia; un'arte in grado di raccogliere i nomi, le facce, le date, le culture e gli eventi che avevano un ruolo significativo ma che sarebbero stati destinati a finire nell'oblio. Grazie a questi lavori video le persone possono ridefinire il loro posto nella Storia di un Paese e possono essere discusse le nuove configurazioni del potere e dare loro uno un'immagine che sia lo specchio delle persone stesse.
L'artista di performance, Marina Abramović
Nata nel 1946 a Belgrado, ora vive a New York. Tra il 1965 e il 1970 ha studiato presso l'Accademia di Belle Arti, continuando poi con studi post-universitari, finiti nell'anno 1972, sempre a Belgrado. Per due anni ha insegnato all'Accademia di Belle Arti di Nibbi Sa, in questo periodo ha iniziato la sua carriera e sono nate le sue prime opere. Entrambi i genitori erano partigiani ed eroi nazionali della Seconda Guerra Mondiale, ma suo padre lasciò la famiglia nel 1964, mentre la madre si occupò dei due figli. Abramović, in un'intervista del 1998, racconta che sua madre le richiedeva un ordine molto rigido in ogni dimensione della vita. Fino al compimento dei ventinove anni, non poté mai restare fuori di casa dopo le dieci: per questo realizzava le sue performance, insolite e bizzarre, prima delle dieci di sera. Nel 1976 lasciò la Jugoslavia, trasferendosi ad Amsterdam dove conobbe l'artista tedesco Uwe Laysiepen, Ulay, con cui ha collaborato e vissuto per dodici anni.
Abramović è stata una pioniera nel campo della performance come forma d'arte, ed è considerata come uno dei fondatori principali dell'arte performativa in Europa. Il suo corpo viene sempre usato come soggetto e come trasmettitore allo stesso tempo. Tramite i suoi lavori vuole sempre esplorare le relazioni tra artista e pubblico, cercando i limiti del suo corpo e le possibilità della mente. Già dagli anni Settanta realizza lavori in cui sperimenta con i diversi suoni, i lavori di video installazioni fotografiche. La parola inglese performance si lega strettamente al nome dell'artista serba, e lei stessa si è definita la “grandmother of performance art”. La parola performance vuol dire esecuzione, ma in un'interpretazione più ampia si intende il genere delle arti performative, che all'inizio degli anni Settanta è diventato un genere artistico autonomo dell'arte visuale. Una delle caratteristiche principali è che per l'artista il proprio corpo e l’ambiente circostante sono i mezzi di espressione dell’opera, che è presentata sempre dal vivo.
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Questo genere deriva dall’arte concettuale, nata negli anni Sessanta, secondo cui anche l'essere umano può essere il soggetto di opere d'arte.83
Abramović in ogni suo lavoro cerca di ampliare i propri limiti fisici e mentali, confrontandosi e combattendo con il pericolo, con la stanchezza e con il dolore. Ad esempio, all'inizio della sua carriera, con la serie di Rhythm (1973-1976) e con l'evento Lips of Thomas84 esplorava i propri limiti: in entrambi i casi tendeva ad aprire la sua mente a nuove forme di coscienza, per andare oltre il nostro razionale modo di pensare. Attraverso le sue opere crea un ambiente molto particolare, in cui spesso avvengono cambiamenti spirituali ed emozionali di cui anche gli spettatori sono partecipi, ricevendo queste speciali energie.
Una tra le prime performance di Abramović è stata la serie di Rhythm in cui esplorava elementi di ritualità gestuale, sotto forma di erano prove di dolore fisico e di perseveranza. Usando venti coltelli e due registratori, l'artista esegue una roulette russa nella quale ritmici colpi con i coltelli sono diretti tra le sue dita aperte della mano. Quando si taglia, il “gioco” si ferma per un attimo, giusto per cambiare coltello, e continua finché non ha usato tutti i mezzi. Abramović registrava il suono dei coltelli, per poi far scorrere la registrazione: mentre la riascoltava tentava di ripetere gli stessi movimenti.
Sempre durante l'esecuzione di questa serie, nel 1974 nello Studio Marro a Napoli, è invece per gli spettatori che vengono messi vari strumenti su un tavolo: coltelli, forbici e anche una pistola, che il pubblico può usare liberamente sul corpo dell'artista. Per sei ore lei rimane passiva, priva di qualsiasi volontà. All'inizio il pubblico è tranquillo, poi piano piano si rende conto che quella donna non avrebbe fatto niente per proteggersi, ed allora si sviluppa un gruppo di protezione intorno a lei, cercando di proteggerla da quelli che erano pericolosi per la sua vita. Mettendo il proprio corpo a disposizione e dando la possibilità di farsi male, Abramović apre una seria riflessione nei confronti dell'arte, con l'obiettivo di affrontare le sue paure.
Nei lavori realizzati dopo il 1988, dopo essersi trasferita negli Stati Uniti, l'audacia, l'intensità della sua presenza e l'attitudine provocatoria sono ancora presenti, e le sue nuove esecuzioni la rendono ancor più nota in tutto il mondo. Nel 1989 realizzò la sua serie di opere
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Zoltán Sebők, http://cornandsoda.com/kortars-arcok-marina-abramovic/ 84
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con il titolo The Ship is being Evacuated/The Current is Entering; dopo sei anni, nel 1995 ha seguito il progetto di un'altra serie, Cleaning Works: House Cleaning, Mirror Cleaning 1, 2, 3, The House, Five Rooms and Storage85. Secondo Lyubov Bugaeva, nei lavori più recenti di Marina Abramovič, dopo il trauma della separazione da Ulay e il trasferimento in un Paese nuovo, con un'identità nuova, lei perseguiva tre scopi principali: primo, l’idea di disintegrazione di corpo, spazio e storia, creando un nuovo modo di ritrovare se stessa; secondo, la ricerca del passato, sia del proprio sia di quello storico, attraverso l'esperienza della morte; terzo, l'esplorazione dello spazio al nuovo livello dell'auto-sviluppo e dell’auto-identificazione.86
Marina Gržinić e Ania Smid realizzano un ritratto drammatico e molto particolare della situazione dell'ex Jugoslavia nel lavoro Labirint, del 1993. In quest'opera vengono usati gli elementi teatrali e coreografici di danza concitata, dai movimenti quasi isterici, in un ambiente abbandonato, desolato. I gesti dei ballerini sono messi a confronto con immagini d'archivio, in